giovedì 29 aprile 2010

Sorprese archeologiche ad Ostia


I resti di una necropoli di epoca romana sono stati rinvenuti ad Ostia antica, nel Parco dei Ravennati, nel corso di alcuni lavori effettuati dall'Acea per l'installazione di un nuovo impianto di illuminazione.
Le tombe ritrovate sono ad inumazione, poche ad incinerazione, tutte sistemate piuttosto disordinatamente, con numerose riduzioni volontarie per ospitare più corpi. L'area sepolcrale sembra risalire al I secolo d.C., in un momento in cui si registrava il passaggio dal rito ad incinerazione a quello ad inumazione.
L'analisi antropologica degli inumati ha rivelato che essi erano prevalentemente di sesso maschile, di un livello sociale piuttosto umile (a causa di tracce di stress biomeccanici dovuti all'attività lavorativa pesante). Nell'area di cantiere più vicina alla ferrovia Roma-Lido sono state, inoltre, riportate alla luce delle strutture murarie rasate al livello delle fondazioni, riferibili ad ambienti adiacenti alla necropoli, pavimentati con mosaici a disegni geometrici bianchi e neri. Probabilmente si trattava di edifici a carattere commerciale e residenziale.

mercoledì 21 aprile 2010

Arsenico e...antichi merletti!


L'antica popolazione costiera del Cile, i Chinchorro, furono, forse, avvelenati dall'acqua contaminata dall'arsenico. Le mummie dei Chinchorro sono tra le più antiche del mondo e l'arsenico era contenuto, per natura, nell'acqua che consumavano, secondo Bernardo Arriaza, dell'Universidad de Tarapacà de Arica.
I Chinchorro non erano, ovviamente, coscienti di ingerire alte dosi di arsenico, tossina priva di gusto e sostanzialmente invisibile. Questo li avrebbe portati a soffrire, con sempre maggiore frequenza, di cancro alla pelle, ai polmoni, alla vescica ed ai reni. Dopo la morte le vittime venivano talvolta mummificate ed i loro organi interni rimossi e sostituiti con fibre vegetali, peli di animale ed anche argilla.
Circa 7000 anni fa i Chinchorro cominciarono a praticare la mummificazione su adulti, bambini e persino feti. E proprio mummie di bambini e feti sono quelle meglio conservate ed analizzate. Non solo, gli studiosi ritengono anche che l'alto numero di aborti potrebbe aver suggerito, in qualche modo, il processo di mummificazione.
Tuttora l'inquinamento dell'acqua potabile presente nel luogo dove vissero i Chinchorro è contaminata. La World Health Organization ha stimato che è presente un livello di arsenico cento volte superiore a quello considerato sicuro. Gli archeologi hanno studiato campioni di capelli di 46 mummie trovate in cinque diversi siti. Alcune mummie, sepolte nel 1700 a.C., si sono conservate grazie al clima secco della valle. I risultati hanno dimostrato che il 90% dei Chinchorro vissuti tra i 7000 ed i 600 anni a, avevano capelli contenenti dosi di arsenico tali da provocare problemi di salute. La tossina, infatti, una volta penetrata nell'organismo, si accumula nella cheratina dei capelli e delle unghie.

giovedì 15 aprile 2010

Memorie fenicie

Gli autori classici ritenevano che la colonizzazione fenicia nel Mediterraneo ebbe inizio nel XII secolo a.C.. Cadice, nella penisola iberica, sarebbe stata fondata nel 1110; Utica, in nordafrica, nel 1100. Ma le testimonianze archeologiche non sorreggono a fondo queste ipotesi.
Solo per Cartagine, la Qart Hadasht (in fenicio "Città Nuova") della virgiliana Didone, i dati archeologici sembrano confermare quelli storici. La più antica ceramica cartaginese rinvenuta, infatti, risale all'800 a.C.. E' oramai storia che, nel 146 a.C., i Romani distrussero la loro acerrima nemica. I primi archeologi del XIX secolo, pertanto, si prefissero come compito di ritrovare i resti della città che gli antichi avevano esaltato per il numero degli abitanti e per la ricchezza dei centri urbani.
Alla metà dell'Ottocento, Davis esplorava, per conto del governo britannico, la piccola pianura litorale. Charles-Ernest Beulé, che aveva scoperto i Propilei dell'Acropoli di Atene, intreprese, poi, per proprio conto degli scavi sulla collina che si convenne di chiamare Byrsa, dalla pelle di bue (in greco byrsa) che, secondo la leggenda, dava il nome all'acropoli di Cartagine. Il sito fu identificato con l'acropoli in base a considerazioni topografiche dedotte dalle indicazioni ritrovate nei testi antichi.
Sul declivio meridionale della collina, il 7 aprile 1878, padre Delattre, della congregazione dei Pères Blancs, scoprì una tomba punica. Fu l'inizio di un'attività che doveva durare mezzo secolo. Vennero messe in luce centinaia di tombe a pozzo, scavate nella roccia. Malgrado gli scavi fossero condotti con criminale leggerezza ed incapacità totale, tra il 1930 ed il 1938 si trovarono tombe del VII-VI secolo a.C..
Fu nel 1921 che, però, Cartagine rivelò la sua sorpresa più grande. Un uomo si aggirava, un giorno, per il mercato, portando con sé una stele a forma di obelisco, alta più di un metro, che tentava di vendere. Fermato ed interrogato l'uomo, venne accertato che la stele recava su una faccia l'immagine di un sacerdote fenicio con in braccio un bambino. Si avviarono immediatamente le ricerche che condussero all'identificazione di un santuario a sud di Byrsa, nei pressi della zona portuale. A sei metri di profondità vi erano centinaia di stele, associate ad urne in terracotta contenenti resti di ossa bruciate e ceneri. Questi resti, una volta analizzati, risultarono appartenere a bambini piccolissimi ed animali di piccola taglia.
Il santuario di Salammbo (dal nome dell'eroina protagonista del romanzo omonimo di Gustave Flaubert) fu esplorato durante diverse campagne di scavo che accertarono la datazione del sito all'VIII secolo a.C., subito dopo la fondazione della città. Il tofet si presenta come un'area sacra a cielo aperto, circondata da una cinta rudimentale fatta di terra e pietre grezze. All'interno vi era un gran numero di urne costrassegnate da stele, le cui scritte rivelano che i sacrifici dei fanciulli erano dedicati al dio Baal Ammon e alla dea Tanit. Le immagini scolpite sulle stele più recenti, invece, si ispirano alla vita quotidiana.
L'interesse degli archeologi si concentrò, in seguito, sulla zona portuale. La laguna circolare, a sud di Byrsa, fu identificata con il porto militare della tradizione classica, anche se l'identificazione fu piuttosto criticata. Dal 1974 in poi, gli esiti più spettacolari degli scavi si ebbero proprio nella zona portuale, ad opera della missione britannica. Il porto di Cartagine aveva una forma circolare ed era destinato alle imbarcazioni di tipo militare. Vi era anche un isolotto su cui sorgeva l'edificio dell'ammiragliato, preceduto dal porto commerciale. In epoca romana questo era un bacino di carenaggio concepito con estrema razionalità.
Alla fine del I secolo la collina di Byrsa subì un gigantesco livellamento. Furono prelevati tutti gli elementi che potevano essere riutilizzati. Quello che non poteva essere riutilizzato ed i resti delle costruzioni incendiate e distrutte, fu spinto sui pendii. Una vasta resezione tagliò la collina e la terra così tolta andò a formare il terrapieno destinato a diventare il centro monumentale della Cartagine romana.
La missione francese ha evidenziato, sulle pendici orientali della collina di Byrsa, verso il mare, alcune tombe tra le più antiche di Cartagine, databili ad un periodo tra l'VIII ed il VI secolo a.C..

mercoledì 14 aprile 2010

Ancora sorprese nella terra d'Egitto

Una collezione di ben quattordici tombe greco-romane, mummie ed oggetti vari, risalenti al III secolo d.C., sono stati scoperti nell'oasi di Baharya, in Egitto. Gli archeologi pensano che questo importante ritrovamento sia il segno dell'esistenza, in situ, di una vasta necropoli greco-romana.
Le tombe sono state ritrovate durante i lavori per la preparazione delle fondamenta di un edificio destinato alla gioventù. Il Dottor Mahmoud Affifi, direttore delle antichità del Cairo e di Giza, si sta adoperando per isolare l'area e sospendere i lavori finquando la necropoli non sarà venuta alla luce.
Affifi ha detto che le sepolture avevano tutte una pianta estremamente semplice, consistente in una lunga scala che termina in una stanza contenente, ad ogni angolo, delle mastabe, utilizzate per seppellire i defunti.
Gli scavi hanno anche permesso di scoprire un sarcofago di appena 97 centimetri, appartenente ad una donna abbigliata con vesti romane e recante, su di sé, dei gioielli.
L'oasi di Baharya, conosciuta, in antico, anche come Oasi del Nord è la stessa dove, nel 1996, Zahi Hawass scoprì la Valle delle Mummie d'Oro con la sua favolosa collezione di ben 17 sepolture e 254 mummie. Grazie alla presenza costante di acqua ed alla disponibilità di minerali, l'oasi è stata costantemente abitata sin dal Paleolitico. Durante il regno di Alessandro il Grande, qui si eresse un tempio in suo onore.

Sarcofago ellenistico a Gela

Nel corso degli scavi per un impianto civile di distribuzione idrica a Gela, è venuto alla luce un sarcofago di epoca ellenistica. Il reperto risale al VI secolo a.C..
Fin dal 1905 l'area era stata indagata in quanto si pensava ospitasse una necropoli della quale, però non era mai stata ritrovata traccia. All'interno del sarcofago appena ritrovato sono state rinvenute delle ossa umane frammentate e quel che restava del corredo funebre, cioè due balsamari per oli profumati. All'esterno è stata anche ritrovata una fuseruola che ha fatto pensare che la sepoltura fosse quella di una donna di umili origini.

sabato 10 aprile 2010

Tracce fenicie


Il sito dove, un tempo, sorse Biblo era sconosciuto quando, nel 1860, Renan cominciò a scavare e riconobbe, nei primi resti affioranti dal terreno, la città che, secondo le fonti greche, aveva dato i natali all'alfabeto. Una città a circa 37 chilometri a nord di Beirut, nell'antico porto di Gebail.
Quando i francesi cominciarono a scavare, la zona era prevalentemente occupata da abitazioni, per cui i sondaggi furono estremamente limitati dalla loro presenza. Gli scavi clandestini, tuttavia, continuarono, al punto che un busto pertinente al faraone Osorkon I comparve a Napoli intorno al 1881, anche se la scritta che lo accompagnava rivelò solo negli anni Venti del secolo scorso che il busto proveniva dall'antica città fenicia.
Nuove campagne di scavo sul sito dell'antica Biblo si ebbero tra il 1921 ed il 1924, ostacolati anch'essi dalla presenza di edifici abitativi che occupavano l'area. Tuttavia, malgrado questi ostacoli, furono scoperti due templi, chiamati "tempio egiziano" e "tempio siriano" in via provvisoria. I resti appartenevano, in realtà, ad un tempio del periodo romano costruito sui diversi livelli architettonici di un più antico santuario. Gli oggetti che furono ritravati durante gli scavi, però, erano senz'altro indizio di un fiorente commercio tra Biblo e la terra dei faraoni già a partire dal III millennio a.C..
La scoperta più sensazionale fu pressocché casuale ed avvenne nel febbraio 1922, grazie ad una frana sul pendio dell'altura dove sorgeva la cittadina moderna. La frana portò alla luce una tomba che si identificò immediatamente come appartenente ad una famiglia di rango reale. La camera funeraria conteneva il sarcofago di un sovrano di Biblo, insieme con oggetti che erano stati donati dal faraone Amenhemat III, vissuto nel XIX secolo a.C.. Questa scoperta portò, più tardi, allo scavo di un'intera necropoli reale, con nove tombe delle quali tre ancora inviolate. La più importante, sebbene non fosse la più ricca, era quella contenente oggetti dell'epoca di Ramses II insieme ad un sarcofago decorato con rilievi fenici, datato al XIII secolo. Su questo sarcofago vi era un'iscrizione che specificava come Ittobaal, re di Biblo, avesse fatto fabbricare quel sepolcro per il padre Ahiram. Quest'iscrizione è considerata una delle più antiche iscrizioni in lingua fenicia mai rinvenute.
In realtà già si conosceva l'esistenza, fuori da Saida, l'antica Sidone, di una necropoli con ricche tombe, ma poche altre tracce dell'antico centro fenicio erano sopravvissute al tempo ed agli uomini. A Saida i primi scavi condussero alla scoperta del Sarcofago di Eshmunazar, scoperta che spinse gli archeologi a scavare, nei primi decenni del XIX secolo, fino ai piedi delle colline che circondano la moderna Saida.
La scoperta più spettacolare data al 1887, quando, nei pressi di Sidone, in un terreno sfruttato come cava, un operaio portò casualmente alla luce una tomba. L'esistenza di questo sepolcro portò ben presto alla individuazione di ben altri sei ipogei scavati nella roccia. Questi contenevano sarcofagi scolpiti in modo magistrale appartenenti agli antichi sovrani fenici. Questi sarcofagi furono battezzati con i nomi di Sarcofago di Alessandro, Sarcofago del Satrapo, Sarcofago licio, Sarcofago delle Piangenti.
Nel 1901 una Missione dell'American School di Gerusalemme rinvenne, nella necropoli di Ain el-Helwe, a sud est della città di Seida, un gran numero di sarcofagi antropoidi in marmo bianco che si ispiravano alle mummie egiziane ma i cui capelli erano realizzati in stile greco. Gli scavi presso Seida continuarono nel 1914, nel 1920, nel 1924 e nel 1929.
Circa 4 chilometri a nord di Sidone, in località Bostan esh-Sheik erano ben note le rovine di un grande complesso architettonico. Nell'estate del 1900 alcuni operai che lavoravano al recupero dei grandi blocchi di un muro, s'imbatterono in due massi iscritti, che furono letti da Charles C. Torrey, dell'Università di Yale. Le iscrizioni erano in fenicio e dicevano che il re Bodashtart, sovrano dei Sidoni, aveva costruito quel tempio per il suo dio Eshmun. Nel 1924 il tempio, che nel frattempo era stato praticamente dimenticato e ricoperto di vegetazione, tornò alla ribalta. Eshmun era una divinità guaritrice che era "specializzata" soprattutto nella guarigione dei fanciulli. Dagli scavi si dedusse che il tempio fu costruito forse alla fine del VI secolo. Esso era un alto massiccio piramidale, ricoperto da un podio monumentale sul quale, in epoca persiana, fu costruita un'altra struttura. Fu proprio quest'ultimo il periodo più fiorente del santuario, quando Sidone era la sede della V satrapia ed il suo re era l'ammiraglio principale della flotta al servizio del re di Persia. L'edificio fu distrutto, con tutta probabilità, al tempo della rivolta dei satrapi, culminata con l'incendio di Sidone nel 343-342 a.C.. Il santuario conobbe una nuova vita quando furono edificati, alla base dell'alto podio, tre ambienti decorati con scene di caccia e sacrifici in stile ellenistico. Proprio in questo frangente, l'edificio sacro tornò ad essere meta di pellegrinaggi per ottenere guarigione dalle malattie.

Un bambino sa la rispsta?


Un bambino della rispettabile età di ben due milioni di anni potrebbe essere il custode del segreto dell'evoluzione umana. Il suo scheletro, quasi completo, è stato ritrovato nella grotta calcarea di Malapaga Sterkfontein, in Sudafrica, in una zona chiamata "la culla dell'umanità". Forse si tratta del fatidico "anello mancante".
Il bambino apparterrebbe ad una specie del tutto nuova, una specie intermedia tra la scimmia e l'uomo, praticamente, il che potrebbe rispondere alle domande degli studiosi sul momento in cui l'uomo cominciò a camminare su due gambe.

lunedì 5 aprile 2010

Pyrgi e le sue lamine d'oro



Pyrgi è il nome greco (e significa "torri") dell'antica cittadina etrusca che occupava lo spazio dell'attuale Santa Severa, lungo il litorale laziale. Fu il porto di Caere (Cerveteri), da cui distava 13 chilometri. Nel 384 a.C. fu distrutta dal tiranno Dionigi di Siracusa e divenne, in seguito, colonia romana.
Presso Pyrgy la tradizione ricorda esser stato costruito un ricco santuario etrusco, dedicato ad una divinità di nome Leucotea o Ilizia, saccheggiato proprio da Dionigi di Siracusa durante il suo assedio alla città.
Le prime ricognizioni archeologiche, datate 1957, hanno originato diverse campagne di scavo di cui fu direttore Massimo Pallottino. Durante i primi sondaggi si rinvennero i resti di un importante edificio che fu ritenuto essere il tempio. Vennero ritrovati i resti di due fondazioni in blocchi di tufo ed elementi della sua decorazione: cornici di antefisse e frammenti di figure fittili, ammassati alla rinfusa, come se fossero stati volontariamente collocati in uno scarico. Questo materiale è databile ad un periodo compreso tra la fine del V secolo a.C. e l'età ellenistica e porta le tracce dell'incendio.
Con il tempo gli archeologi riuscirono a definire meglio le dimensioni dell'edificio: esso si estendeva su una superficie di m. 24,05 x 34,40 ed aveva un orientamendo da nord-est a sud-ovest. Era, praticamente, un tempio tuscanico come ve ne erano molti nel territorio etrusco, per esempio il tempio C di Marzabotto o il Capitolium di Cosa. Internamente l'edificio sacro era tripartito nel senso della larghezza. Per la sua lunghezza, invece, era suddiviso in due da un muro di circa due metri e mezzo di spessore.
Le decorazioni architettoniche ritrovate nell'area dove si ergeva il tempio erano soprattutto antefisse raffiguranti, tra le altre, anche dei mostri alati con la testa di gallo ed alcune protomi sileniche. Alcuni reperti fittili, invece, scoperti nell'area esterna a nord-est del tempio, appartengono ad una grandiosa e singolare decorazione frontale. L'altorilievo fu ricostituito al Museo di Villa Giulia e costituisce una testimonianza unica di decorazione frontale per i templi etruschi coevi. Attraverso i tratti anatomici ed il modellato dei panneggi, è stato possibile datare il fregio al 480-470 a.C.. In un primo tempo interpretato come una Gigantomachia, l'altorilievo rappresenta, a grandezza quasi naturale, un episodio del mito dei Sette contro Tebe: Eteocle e Polinice in lotta per la successione al trono del padre Edipo.
Accanto a questo primo tempio, sulla stessa terrazza, fu identificato e scavato un secondo tempio, disposto nella stessa direzione ma di dimensioni minori e più antico (fine del VI secolo a.C.). La pianta di questo secondo tempio è di tipo ellenico, con una sola cella preceduta da un àdyton (entrata) e circondata da un colonnato. Entrambi i templi furono distrutti durante la conquista romana (270 a.C.), sebbene il culto pare essere continuato sulla terrazza antistante il primo tempio.
Il santuario sorse in relazione alla funzione portuale e commerciale del luogo. La divinità femminile, cui il santuario fu dedicato, era probabilmente legata alla storia commerciale dell'emporio ed il suo nome era, probabilmente, Leucotea od Ilizia che molti identificano con l'etrusca Uni, la Hera dei Greci e l'Astarte dei Fenici. Si sono anche ritrovate dediche al dio infero oracolare etrusco Suri, assimilabile, forse, ad Apollo.
La storia del santuario ebbe una svolta importante nel 1964 quando, all'interno dell'area sacra tra i due templi, dove sorgevano un altare, un pozzo dedicato al culto di una divinità ctonia ed una vasca rettangolare costruita con il materiale risultante dalla demolizione del primo tempio, furono rinvenute tre lamine auree di forma rettangolare. La meticolosità con la quale erano state ripiegate e deposte al sicuro indicava il loro valore sacro ed hanno fatto pensare, agli studiosi, che fossero state affisse agli stipiti oppure ai battenti lignei del tempio.
Le iscrizioni incise sulle lamine, due in etrusco ed una in lingua fenicia, databili alla fine del VI secolo a.C., sono importanti fonti storico-linguistiche. E' la prima iscrizione punica ritrovata nell'Italia continentale e, nel contempo, il primo documento etrusco in lingua locale. L'iscrizione etrusca, composta da 16 righe, quella punica di 11, si riferiscono alla dedica di un tempio ad una dea chiamata Uni nel testo etrusco ed Astarte in quello punico, da parte del signore di Caere, Thefarie Velianas. Il testo punico riporta il termine zilath, corrispondente, forse, a "magistrato".
I testi delle lamine possono essere interpretati ponendo attenzione alla storia della politica estera di Caere che nel VI-V secolo a.C. appare subordinata all'alleanza con i Cartaginesi. Già in precedenza, infatti, Cartaginesi e Ceretani avevano battuto i coloni focesi dinnanzi alle coste della Corsica, aggiudicandosi il controllo del Tirreno settentrionale. Le lamine sottolineano il riconoscimento ufficiale dell'area di Pyrgi come luogo di incontro degli interessi comuni di etruschi e fenici.
Si sono rinvenute tracce sparse dell'abitato che doveva sorgere attorno all'area sacra. La vita del centro urbano pare essere stata strettamente connessa all'attività del porto di Pyrgi. Quando arrivarono i Romani, nei primi decenni del III secolo a.C., la fascia costiera venne progressivamente abbandonata. Alla fine del I secolo a.C. si verificò il saccheggio dei materiali edilizi dell'area etrusca, che furono riutilizzati in altre strutture romane.

domenica 4 aprile 2010

Indra e...i suoi fratelli!


La mitologia vedica è dominata da Indra, divinità rossa di pelo che incarna le virtù degli Arya. Egli è il demiurgo, colui che instaura violentemento l'ordine nel cosmo, colui che guida la lotta contro i titani Asura. Ebbro del liquore dell'immortalità (il soma), Indra devasta il cosmo e per questo deve sottoporsi a riti espiatori. La sua cavalcatura preferita è Airavata, elefante dalle sette zanne a forma di nuvola.
Vrtra, invece, è il dragone che Indra combatte indefessamente. Il suo nome significa "(colui) che stringe", tanto che è stato identificato con il boa costrictor. Vrtra è un titano che rappresenta la forza coercitiva che si oppone a quella espansiva di Indra, è un demone dell'aridità, un trattenitore di acque.
Varuna, invece, etimologicamente, è identico all'Urano ellenico, dio della volta celeste. E' l'aspetto positivo di Vrtra, con cui condivide la radice "Vr", "stringere". Varuna è in rapporto con le acque superiori ed incarna, in questa funzione, le funzioni di Giove pluvio.
Un'importante coppia di divinità vediche sono Agni e Soma, divinizzazione di due elementi necessari per il compimento del sacrificio: il fuoco (Agni) sacrificale e il liquido (Soma) che, sottoposto al fuoco, evapora. Il Veda descrive una triplice divisione di questi due elementi divinizzati: celeste, atmosferica e terrestre. Agni è il fulmine, il sole ed il fuoco terrestre; Soma è la galassia, la luna e la pianta terrestre da cui si ricava il liquore sacrificale.
Al di sotto degli dei uranici, il Veda colloca la gerarchia degli aditya, i soli. Il numero degli aditya non è ben precisato, variano da sette ad otto, a nove, a dieci ed anche a dodici. I dodici soli sono considerati come le dodici posizioni che occupa il sole nel suo viaggio annuo attraverso le dodici costellazioni zodiacali.
Le gerarchie più basse dell'Olimpo vedico sono popolate di divinità collettive, tra queste turbe anonime spiccano i gemelli Asvin, dei di sapienza e taumaturghi con la testa di cavallo. Rappresentano la costellazione dei Gemelli. Seguono i Vayu, i soffi dell'universo, rappresentati da tutti i venti; i Marut, le terribili folgori che sono l'arma preferita di Indra. Sotto queste gerarchie celesti, più a contatto con il mondo degli uomini, vi sono i geni (yaksa), gli elfi (gandharva), le fate (apsara) ed i diavoli (raksasa).
Al di sotto del mondo terrestre giacciono gli Asura, di dignità pari a quella degli dei, maestose e perverse divinità.

Dov'è sepolto Userkare?

Il faraone Userkare ebbe un breve periodo di regno, seguito all'assassinio del suo predecessore Teti (Sehoteptawy) ad opera di un sacerdote. Il nome di Userkare è riportato nella lista di Abydos ma la sua sepoltura non è stato mai ritrovata.
In realtà le notizie su Userkare sono piuttosto scarse. Alla presa del potere da parte di Pepi I (Merytawy), Userkare scomparve misteriosamente. L'egittologo Vassili Dobrev ritiene che Userkare possa essere sepolto all'estremità meridionale della necropoli di Saqqara. Un faraone raramente veniva sepolto da solo, se Dobrev ha ragione vicino alla sepoltura di Userkare dovrebbe esserci una necropoli reale. Nella piana di Saqqara gli archeologi hanno già riportato alla luce circa 15 sepolture appartenenti a sacerdoti della VI Dinastia. Nella tomba di un certo Haunufer, Dobrev ha trovato la scritta "Beneamato dal re", che non specifica a quale sovrano si riferisca ma che, probabilmente, non aveva bisogno di specifiche se il re Userkare, della VI Dinastia fosse stato sepolto nelle vicinanze.
Il professore di archeoastronomia del Politecnico di Milano Giulio Magli, invece, ritiene di aver identificato un altro possibile luogo di sepoltura del misterioso Userkare. La sua teoria è che le piramidi di Saqqara siano state volutamente allineate le une alle altre. La piramide, o il complesso di due tombe costruite nello stile della V Dinastia, di Userkare sarebbe allineata con la piramide a gradoni di Djoser.
Le linee che congiungono le piramidi della VI Dinastia nella piana di Saqqara, secondo Magli, individuavano e circondavano lo spazio sacro del luogo. Analizzando i rispettivi allineamenti, Magli ritiene di poter identificare il luogo in cui un tempo sorgeva la piramide di Userkare, posta tra le piramidi di Pepi I e di Merenre, allineata con la piramide di Djoser.
Si attendono, dagli scavi, novità e conferme a questa interessante teoria.

Un sarcofago medioevale

A Carrara è stato scoperto un sarcofago medioevale durante la bonifica del torrente Carrione. Gli operai di una ditta, incaricati di allargare il letto del fiume hanno scoperto il sarcofago, lungo un metro e mezzo, nell'acqua.
Sul posto sono immediatamente intervenuti i tecnici della Provincia di Massa e Carrara e del Comune di Carrara. Il sarcofago è in marmo ed è vuoto. Sarà recuperato dopo Pasqua.

venerdì 2 aprile 2010

Antichissima città di Veio


Veio è stata sempre una città che ha svolto funzioni di cerniera tra il mondo degli Etruschi e quello dei Latini. Nel momento più florido della città, la sua estensione raggiungeva, da una parte, il Lucus Feroniae, antico centro laziale coagulatosi attorno al santuario della dea sabina Feronia, dall'altra il lago di Bracciano. Per un tratto, poi, l'agro veientano comprendeva anche un breve passaggio prospiciente la costa tirrenica, tra la foce del fiume Arrone ed il fiume Tevere.
Le testimonianze più antiche del territorio di Veio risalgono al Bronzo Finale. La vera storia, però, comincia in età villanoviana (IX secolo a.C.), quando fu occupato il pianoro in cui fu edificata la città vera e propria. Questo pianoro tufaceo trova i suoi confini con il Fosso della Valchetta, che molti ritengono essere l'antico Cremera, ed il Fosso Piordo o Fosso della Mola, nella bassa valle del Tevere.
La Dott.ssa Francesca Boitani, della Soprintendenza Archeologica per i Beni Archeologici dell'Etruria Medionale, ha datato un tratto di mura che circondavano l'antica città all'inizio dell'VIII secolo a.C., ma l'impiano vero e proprio delle mura urbane risale a due secoli dopo. Gli ultimi anni di scavo hanno permesso un'eccezionale scoperta all'interno dell'abitato urbano, quella della tomba di un personaggio di rilievo, forse il fondatore della comunità, sepolto in una tomba a fossa del IX secolo a.C.. L'area abitativa, inoltre, si caratterizza per un impianto urbanistico ben definito già dalla metà del VI secolo a.C., mentre le fasi di occupazione arrivano fino al V.
Scavi recenti, da parte della Soprintendenza, in quello che è stato chiamato il "Ceramico" della Veio protostorica, hanno portato al ritrovamento di alcune coppe greche di importazione, risalenti al 770 a.C., in argilla figulina con decorazione geometrica, che sono il segno ben chiaro di traffici di vino e dell'usanza del simposio anche nella comunità etrusca, usanza e rito importati, con tutta evidenza, dalla Grecia. Dal VII secolo a.C. le necropoli si estendono su tutti i poggi circostanti il pianoro.
Veio è famosa, al pari di altre città etrusche, per alcune tombe dipinte che sono la testimonianza concreta delle prime pitture parietali etrusche. Una tra le più famose tombe dipinte è la cosiddetta Tomba delle Anatre, in località Riserva del Bagno. Essa fa parte di un complesso di cinque sepolture, forse destinate a personaggi della locale aristocrazia. La Tomba delle Anatre è datata al 680-670 a.C. ed è stata, per lungo tempo, considerata la più antica sepoltura etrusca. Poi, nel 2006, sempre a Veio, venne scoperta una nuova sepoltura, battezzata Tomba dei Leoni Ruggenti, che è stata datata al VII secolo a.C.. In questa sepoltura vi erano le tracce di due deposizioni, una maschile ed un femminile, e di un ricco corredo con carro a due ruote.
Dal Tumulo Chigi, scavato, nel 1882, da Rodolfo Lanciani, provengono l'Olpe Chigi, esempio di tarda ceramica protocorinzia, ed una gran quantità di altri vasi di corredo che sono attualmente in fase di studio. Dallo stesso contesto, secondo analisi recenti, proviene anche il cosiddetto "alfabetario di Formello", una piccola anfora di bucchero con un'iscrizione di proprietà ed i simboli di un alfabeto.
Nel VI-V secolo a.C., anche nel territorio di Veio si assiste ad una contenimento del lusso esibito nelle sepolture, fenomeno comune a tutto il Latium Vetus, accompagnato dal ritorno all'incinerazione dei defunti.
Il maggior tempio di Veio è quello di Portonaccio, dal quale provengono le statue acroteriali in terracotta qui ritrovate nel 1916: Apollo, Eracle e la cerva cerinite, Ermes, Latona con un bambino e, probabilmente, un piccolo Apollo. Queste statue possono oggi ammirarsi al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Dal territorio di Veio, del resto, provengono notizie circa valenti coroplasti che furono chiamati ad operare anche a Roma. Tarquinio il Superbo, nel 509 a.C., chiamò un veiente esperto di coroplastica per creare il famoso gruppo con quadriga in terracotta che doveva essere posto sul tetto del tempio dedicato a Giove Capitolino. La maggior parte delle scritture votive, però, era dedicata a Menerva, da assimilarsi alla latina Minerva. Gli archeologi pensano che il culto a questa divinità femminile fosse localizzato presso il sacello a oikos nel tempio di Portonaccio, dedicato ad Apollo ed Ercole. Il culto del santuario è attestano fino all'inizio del II secolo a.C..
A partire dal V secolo a.C. crebbero i motivi di attrito tra Veio e Roma, soprattutto per il possesso di Fidenae, città alleata di Veio. Nel 477 a.C. la gens romana dei Fabii venne clamorosamente annientata nella battaglia del Cremera. La posta in gioco era il controllo della navigazione sul fiume Tevere. Nel 420 a.C. Veio chiese aiuto, contro Roma, a tutte le città etrusche riunite al Fanum Voltumnae, vicino Orvieto, ma l'aiuto fu negato. Forse la ragione può essere trovata nel fatto che Veio era governata da un re, mentre le altre città avevano una forma di governo conforme al modello repubblicano. Un'altra tesi vuole che le città etrusche fossero impegnate contro degli invasori Galli, che minacciavano di scendere da nord. Alleate di Veio rimasero Fidenae, Falerii e Capena.
L'attacco finale è databile al 406 a.C., mentre la presa di Veio è comunemente datata al 396 a.C., dopo un assedio di 10 anni. Livio narra che Veio fu presa solo perchè vi fu un traditore che permise alle truppe romane di entrare in città attraverso un cunicolo che sbucava all'interno del tempio di Giunone Regina, localizzato a sud-est del pianoro. Marco Furio Camillo, che guidava le truppe romane, saccheggiò il santuario e ne trasferì la statua di culto a Roma per mezzo del rito della evocatio, avvenuta con il "consenso" di Giunone, espresso - narrano le fonti - con un cenno del capo.
Una parte del territorio veientano venne asegnata a cittadini romani. Gli scampati al massacro del 396 a.C. ottennero anch'essi la cittadinanza romana e non furono ridotti in schiavitù, ma diedero origine alle tribù Stellatina, Tromentina, Sabatina e Arniensis. Nel III secolo a.C. si provvide a completare la via Clodia e la via Flaminia. La via Cassia è databile al 150 a.C.. Dalla fine del III secolo a.C. vi sono circa cento anni di silenzio delle fonti storiche, fino ad arrivare a Giulio Cesare che assegnò lotti del territorio di Veio ai suoi veterani.
Veio ritorna a vivere con Ottaviano Augusto, nel 27 a.C., quanto diventa municipio e si trova ad ospitare i veterani della XXII Legione Deiotariana, di stanza in Egitto. L'elemento etrusco, nel frattempo, va lentamente scomparendo dall'onomastica locale. Il periodo più florido è quello tiberio-claudio, nel quale si produsse una notevole quantità di epigrafi e ritratti imperiali. La città arriva ad avere anche un teatro ed una porticus Augusta, nonchè un complesso termale.
Nel IV secolo d.C. si completa il declino di Veio. Nell'VIII secolo d.C. vengono qui insediate alcune domuscultae, aziende agrarie collocate nella campagna romana dai papi e affidate alla gestione diretta dei proprietari. Papa Adriano I (772-795) fondò la Domusculta Capracorum, in località Santa Cornelia. Compito di queste fattorie era quello di costituire una sorta di riserva alimentare per Roma ed anche un presidio militare e strategico. Il fenomeno durò fino al X secolo, dopo le incursioni arabe, che ne segnarono il declino.
Nel 1992 è stato istituito il Museo dell'Agro Veientano, Museo Civico del Comune di Formello, in cui è possibile viaggiare nel tempo, dal IX secolo a.C. fino al XVII secolo, attraverso ceramiche, bacili di bronzo, segnacoli in tufo giallo, monete, bolli doliari, teste, mani, braccia di ex voto, statue di marmo di età imperiale, iscrizioni che vanno da quelle funerarie a quelle dell'arte cristiana.

Museo dell'Agro Veientano
nel Museo Civico del Comune di Formello - piazza S. Lorenzo 7, Formello
Orario: giovedì-venerdì ore 10.00-13.00 e 15.00-18.00; sabato ore 9.00-13.00 e 15.00-19.00; domenica ore 9.00-13.00
Info: Tel. 06.90194240-239 - http://www.comunediformello.it/
e-mail: museo@comunediformello.it

giovedì 1 aprile 2010

La comunità del Tarim


Nel 1934, nel deserto a nord del Tibet l'archeologo svedese Folke Bergman ritrovò un cimitero davvero straordinario. Dopo un oblìo di 66 anni, i cinesi riscoprirono, grazie al GPS, le antiche sepolture e le scavarono tra il 2003 ed il 2005.
Nei cinque livelli di cui è composta la necropoli, sono stati ritrovati ben 200 pali, di 4 metri d'altezza ognuno, ai piedi dei quali vi erano delle barche capovolte coperte con pelli di vacca. I defunti, all'interno, erano ancora vestiti ed avevano, a corredo, fili d'erba intrecciati, maschere e fasci d'ephedra. Nelle sepolture femminili erano anche presenti due o tre falli di legno a grandezza naturale. Le barche, in cui erano sepolti gli uomini, invece, avevano la forma di una vulva.
I corpi più antichi, ritrovati nello straordinario cimitero, hanno ben 3980 anni e si sono conservati grazie al clima secco del luogo. I tratti somatici dei defunti presentano spiccate caratteristiche europee.
Il cimitero si trova accanto al corso di un fiume essiccato nel bacino del Tarim. La popolazione di questo luogo non ha un nome e sono ancora sconosciute le sue origini. Alcune delle 200 mummie sono state analizzate da alcuni esperti cinesi. Lo studio ha evidenziato che il cromosoma Y dei corpi analizzati, è caratteristico soprattutto dell'Europa Orientale, dell'Asia Centrale e della Siberia. Probabilmente le popolazioni di Europa e Siberia, circa 4000 anni fa, si sono in qualche modo imparentate. Il bacino del Tarim era già secco quando vi giunse questa misteriosa popolazione

Il misterioso santuario di Nemrut Dagi

Gli astronomi stanno studiando ad una nuova interpretazione dei resti del santuario di Nemrut Dagi, in Turchia. Il luogo sacro sembra celare un messaggio astrologico noto ai Romani, che trasformarono la Turchia in provincia nel I secolo a.C..
Il complesso cultuale venne costruito da Antioco I Epifane nel I secolo a.C.. I cinque colossi monumentali che sono, seppure in frammenti, arrivati fino a noi rappresentano Antioco I, la dea Tyche, Zeus, Apollo ed Eracle-Marte. Insieme a queste strutture è rimasto intatto il misterioso leone astrale, una lastra di 1,70 x 2,40 metri, sulla quale sono raffigurate 19 stelle che si trovavano in quadratura al momento dell'incoronazione di Antioco I Epifane.
Quello che ha più provocato la perplessità degli studiosi è la presenza di Eracle-Marte sia sulla lastra, sia sulle teste dei megaliti. Eracle-Marte era molto popolare in Grecia ed a Roma gli erano stati dedicati diversi templi e diverse feste pubbliche. Forse si trattava di una captatio benevolentiae da parte dei sovrani della dinastia commagene.

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...