lunedì 5 aprile 2010

Pyrgi e le sue lamine d'oro



Pyrgi è il nome greco (e significa "torri") dell'antica cittadina etrusca che occupava lo spazio dell'attuale Santa Severa, lungo il litorale laziale. Fu il porto di Caere (Cerveteri), da cui distava 13 chilometri. Nel 384 a.C. fu distrutta dal tiranno Dionigi di Siracusa e divenne, in seguito, colonia romana.
Presso Pyrgy la tradizione ricorda esser stato costruito un ricco santuario etrusco, dedicato ad una divinità di nome Leucotea o Ilizia, saccheggiato proprio da Dionigi di Siracusa durante il suo assedio alla città.
Le prime ricognizioni archeologiche, datate 1957, hanno originato diverse campagne di scavo di cui fu direttore Massimo Pallottino. Durante i primi sondaggi si rinvennero i resti di un importante edificio che fu ritenuto essere il tempio. Vennero ritrovati i resti di due fondazioni in blocchi di tufo ed elementi della sua decorazione: cornici di antefisse e frammenti di figure fittili, ammassati alla rinfusa, come se fossero stati volontariamente collocati in uno scarico. Questo materiale è databile ad un periodo compreso tra la fine del V secolo a.C. e l'età ellenistica e porta le tracce dell'incendio.
Con il tempo gli archeologi riuscirono a definire meglio le dimensioni dell'edificio: esso si estendeva su una superficie di m. 24,05 x 34,40 ed aveva un orientamendo da nord-est a sud-ovest. Era, praticamente, un tempio tuscanico come ve ne erano molti nel territorio etrusco, per esempio il tempio C di Marzabotto o il Capitolium di Cosa. Internamente l'edificio sacro era tripartito nel senso della larghezza. Per la sua lunghezza, invece, era suddiviso in due da un muro di circa due metri e mezzo di spessore.
Le decorazioni architettoniche ritrovate nell'area dove si ergeva il tempio erano soprattutto antefisse raffiguranti, tra le altre, anche dei mostri alati con la testa di gallo ed alcune protomi sileniche. Alcuni reperti fittili, invece, scoperti nell'area esterna a nord-est del tempio, appartengono ad una grandiosa e singolare decorazione frontale. L'altorilievo fu ricostituito al Museo di Villa Giulia e costituisce una testimonianza unica di decorazione frontale per i templi etruschi coevi. Attraverso i tratti anatomici ed il modellato dei panneggi, è stato possibile datare il fregio al 480-470 a.C.. In un primo tempo interpretato come una Gigantomachia, l'altorilievo rappresenta, a grandezza quasi naturale, un episodio del mito dei Sette contro Tebe: Eteocle e Polinice in lotta per la successione al trono del padre Edipo.
Accanto a questo primo tempio, sulla stessa terrazza, fu identificato e scavato un secondo tempio, disposto nella stessa direzione ma di dimensioni minori e più antico (fine del VI secolo a.C.). La pianta di questo secondo tempio è di tipo ellenico, con una sola cella preceduta da un àdyton (entrata) e circondata da un colonnato. Entrambi i templi furono distrutti durante la conquista romana (270 a.C.), sebbene il culto pare essere continuato sulla terrazza antistante il primo tempio.
Il santuario sorse in relazione alla funzione portuale e commerciale del luogo. La divinità femminile, cui il santuario fu dedicato, era probabilmente legata alla storia commerciale dell'emporio ed il suo nome era, probabilmente, Leucotea od Ilizia che molti identificano con l'etrusca Uni, la Hera dei Greci e l'Astarte dei Fenici. Si sono anche ritrovate dediche al dio infero oracolare etrusco Suri, assimilabile, forse, ad Apollo.
La storia del santuario ebbe una svolta importante nel 1964 quando, all'interno dell'area sacra tra i due templi, dove sorgevano un altare, un pozzo dedicato al culto di una divinità ctonia ed una vasca rettangolare costruita con il materiale risultante dalla demolizione del primo tempio, furono rinvenute tre lamine auree di forma rettangolare. La meticolosità con la quale erano state ripiegate e deposte al sicuro indicava il loro valore sacro ed hanno fatto pensare, agli studiosi, che fossero state affisse agli stipiti oppure ai battenti lignei del tempio.
Le iscrizioni incise sulle lamine, due in etrusco ed una in lingua fenicia, databili alla fine del VI secolo a.C., sono importanti fonti storico-linguistiche. E' la prima iscrizione punica ritrovata nell'Italia continentale e, nel contempo, il primo documento etrusco in lingua locale. L'iscrizione etrusca, composta da 16 righe, quella punica di 11, si riferiscono alla dedica di un tempio ad una dea chiamata Uni nel testo etrusco ed Astarte in quello punico, da parte del signore di Caere, Thefarie Velianas. Il testo punico riporta il termine zilath, corrispondente, forse, a "magistrato".
I testi delle lamine possono essere interpretati ponendo attenzione alla storia della politica estera di Caere che nel VI-V secolo a.C. appare subordinata all'alleanza con i Cartaginesi. Già in precedenza, infatti, Cartaginesi e Ceretani avevano battuto i coloni focesi dinnanzi alle coste della Corsica, aggiudicandosi il controllo del Tirreno settentrionale. Le lamine sottolineano il riconoscimento ufficiale dell'area di Pyrgi come luogo di incontro degli interessi comuni di etruschi e fenici.
Si sono rinvenute tracce sparse dell'abitato che doveva sorgere attorno all'area sacra. La vita del centro urbano pare essere stata strettamente connessa all'attività del porto di Pyrgi. Quando arrivarono i Romani, nei primi decenni del III secolo a.C., la fascia costiera venne progressivamente abbandonata. Alla fine del I secolo a.C. si verificò il saccheggio dei materiali edilizi dell'area etrusca, che furono riutilizzati in altre strutture romane.

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