martedì 31 maggio 2011

Una strada romana nei pressi di Imola

Il tratto di strada emerso
Durante i lavori per la posa in opera di alcuni tubi per il teleriscaldamento, è stato messo in luce, nei pressi di Imola, un tratto di strada in ciottoli, laterizi e ghiaia di età romana, che corre perpendicolarmente alla via Emilia ed ha orientamento nord-sud.
Questo tratto  per il momento, ha una lunghezza di 6 metri ed una larghezza di 4. Evidenti sono le tracce delle ruote dei carri che vi sono passati. Non sono, però, stati ritrovati reperti archeologici in collegamento alla strada. Quest'ultima, nel tratto riportato alla luce, sembra aver subito diverse fasi di ripristino, che testimoniano la continuità di utilizzo anche in epoca post romana.

domenica 29 maggio 2011

Una vasca rituale degli antichi terramaricoli

La vasca costruita ai margini del
villaggio terramaricolo di Noceto
Nel 2004, in località Torretta di Noceto, è stata individuata e riportata alla luce una grande vasca rivestita in legno, opera di alta ingegneria e carpenteria dell'Età del Bronzo, il cui significato è collegato alla sfera del sacro. La vasca mostra un eccezionale stato di conservazione, se si considera che risale a 3500 anni fa, e fu costruita ai margini di un villaggio terramaricolo che è andato distrutto nel XIX secolo. La cavità che la ospita è ampia circa 22 x 13 metri e profonda almeno 4. All'interno è stato delineato un perimetro rettangolare di 12 metri x 7 per mezzo di 24 pali di 3 metri di altezza infissi verticalmente nel terreno a distanze regolari l'uno dall'altro. Questi pali erano, poi, bloccati sia alla base che alla sommità, da un reticolo di travi disposte ortogonalmente e diagonalmente.
La sedimentazione che ha colmato la vasca è indice del fatto che è stata permanentemente colma d'acqua e, con il tempo, di terra erosa dai margini. All'interno sono stati ritrovati un centinaio di vasi interi o ricomponibili che hanno permesso la datazione del tutto al XV-inizi XIV secolo a.C., 25 vasetti miniaturistici, sette figurine fittili di animali, resti di fauna, cestini e numerosi frammenti di strumenti in legno tra i quali quattro aratri. I vasi giacevano con l'imboccatura in alto e in qualche caso impilati uno sull'altro. Non sono, pertanto, caduti, ma collocati volutamente in quel modo. Questo ha portato gli studiosi a pensare che lo spazio artificiale deputato a bacino fosse destinato a raccogliere offerte votive, quali, appunto, vasi, figurine fittili e attrezzi agricoli.
Il ritrovamento del prezioso reperto è dovuto alla segnalazione, nel 2004, di un cittadino di Noceto durante i lavori di un cantiere edile. La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna è intervenuta immediatamente ed ha promosso da subito delle campagne di scavo che hanno permesso il ritrovamento di una notevole serie di materiali archeologici e scientifici pressocchè inediti.
L'acqua è uno degli elementi naturali più frequentemente connessi ai rituali dell'Età del Bronzo europea. Ha un significato simbolico molto potente, forse anche più significati simbolici, uno dei quali è sicuramente quello che la vuole transito tra la vita e la morte, tra la vita degli uomini e quella nel mondo ultraterreno.
(Fonte: archeobologna.beniculturali.it)

La Rocca dei Malatesta in mostra

Stanza della Rocca Malatestiana con cisterna
di raccolta per l'acqua
Le indagini archeologiche svoltesi tra il 2006 e il 2008 hanno permesso di recuperare numerosi dati e oggetti relativi alla vita nel castello di Montefiore Conca, nell'entroterra di Rimini. Gli scavi hanno interessato principalmente le antiche strutture della Rocca Malatestiana ed i nuovi ritrovamenti saranno oggetto di una mostra che aprirà i battenti l'11 giugno 2011 e che si intitolerà "Sotto le tavole dei Malatesta. Testimonianze archeologiche dalla Rocca di Montefiore Conca". La mostra sarà allestita proprio nella Rocca Malatestiana e resterà visitabile fino al 24 giugno 2012, offrendo una ricostruzione della vita quotidiana nella rocca durante i tre secoli in cui questa fu occupata dai Malatesta prima e dai Montefeltro poi (tra il '300 e il '500, quindi).
L'allestimento, curato dall'Arch. Franco Roberti, si svilupperà su due piani. Al primo saranno ospitati i reperti in vetro, metallo, le monete e gli stucchi che decoravano i saloni e le stanze della Rocca. Al secondo piano si potranno ammirare le ceramiche che servivano nei pasti quotidiani, ritrovate anch'esse durante gli scavi.
Le prime notizie su Castrum Montis Floris risalgono al 1170. All'epoca papa Alessandro III lo concesse in enfiteusi alla chiesa di Rimini. Con il termine castrum/castellum le fonti, è bene ricordarlo, indicano innumerevoli tipologie costruttive e amministrative. Gli scavi archeologici hanno restituito strutture del XIII secolo al di sotto del muro del mastio che, purtroppo, oggi non è più conservato.
La Rocca attuale fu costruita da Guastafamiglia Malatesta (1299-1364) e ampliata dai figli Pandolfo II (1325-1378) e Ongaro (1327-1372) che commissionarono anche il ciclo di affreschi che decorano la sala dell'Imperatore, eseguiti da Jacopo Avanzi da Bologna. Nel XV secolo la Rocca venne ristrutturata da Sigismondo Pandolfo (1417-1468), nipote di Pandolfo II.
La sala dell'Imperatore fu decorata per mandato di Ungaro Malatesta, così chiamato in virtù di una decorazione ricevuta dal re d'Ungheria nel 1348. Degli affreschi che, un tempo, la decoravano completamente rimangono ampi brani pittorici sui lati brevi. Vi si riconosce facilmente la maestosa figura di un uomo armato, con uno scettro nella mano destra e la spada nella sinistra. Sulla sua identità gli storici hanno fatto svariate ipotesi: Tarcone, figlio di Laomedonte re di Troia, cugino di Ettore e di Enea e, sulla base di una leggenda piuttosto diffusa nel Trecento, presunto capostipite dei Malatesta; oppure Ettore, o Enea o Scipione l'Africano.
Negli scavi del castello gli archeologi hanno riportato alla luce cucine, magazzini, stalle che vennero utilizzati tra il XIV e il XVI secolo. A questa fase appartiene, anche, la costruzione di una grande cisterna, collegata al recupero dell'acqua piovana attraverso un impianto costituito da grondaie di scolo che, dal tetto e attraverso i muri perimetrali, scendevano fino nelle cucine. Qui l'acqua veniva filtrata e quindi raccolta nel pozzo centrale. Quando la cisterna venne abbandonata, ne fu costruita una seconda più grande durante l'occupazione veneziana (1504-1505), ancora in uso all'interno della Rocca.
Sempre al 1300 si ascrivono dei "butti" collocati nelle cucine, vicino alla cisterna e nei magazzini. Sono strutture interrate formate da una camera completamente chiusa, priva di accesso, dotata di piccole caditoie o di condotti a botola per scaricarvi i rifiuti. Questi "butti" sono importantissimi per quello che vi era buttato e che è stato recuperato dagli archeologi: resti di pasti, ceramiche, attrezzi da lavoro rotti o non più utilizzati, pesi da bilancia, falcetti, forbici ed anche vetri di bottiglia e bicchieri. Una volta riempito, il "butto" veniva chiuso con una botola e saldato, in modo che non si propagassero spiacevoli effluvi.
Alcuni bicchieri e calici ritrovati nei "butti" provengono dalle vetrerie di Murano. Numerose sono, anche, le bottiglie recuperate, in parte anch'esse importate da Venezia, che si distinguono per la raffinatezza della lavorazione del vetro. Sono stati anche rinvenuti oggetti tipici della toletta femminile, quali bottigliette e fiale per profumi e olii da corpo, unguentari per medicinali. Non si sono ritrovate lastre da finestra, in compenso si potranno ammirare i colori esibiti nella produzione degli oggetti vitrei: giallo, incolore, verde e azzurro, il rarissimo viola scuro e il costoso blu cobalto.
Tra gli oggetti in metallo spiccano alcune monete coniate nelle zecche di Bologna, Lucca, Torino e Firenze, ma anche oggetti per il cucito, come spilli in bronzo e ditali. Saranno esposti anche pettini in osso, monili in bronzo e fibbie per cinture e calzature.
Il secondo piano della mostra ospiterà le ceramiche di uso comune e quelle per la mensa. E' stata ricostruita una tavola del 1300 con maioliche arcaiche, boccali in zaffera e ceramiche graffite padane prodotte a Ravenna, Forlì, Cesena, Rimini e Pesaro. Alcune di queste ceramiche recano gli stemmi delle famiglie che si sono alternate nel possesso del castello, fra questi un boccale in maiolica arcaica con lo stemma dei Malatesta. La ceramica da mensa comprende olle, pentole, tegami in ceramica invetriata e una leccarda perfettamente conservata, che veniva utilizzata in cucina come tegame di raccolta dei grassi che colavano dagli spiedi. Ma sarà possibile anche vedere bicchieri e boccali, piatti e scodelle, alcuni dei quali con il trigramma di S. Bernardino da Siena (IHS) che, con il tempo, aveva paerso il suo significato effettivo e veniva utilizzato come decorazione nei servizi da tavola del '400. Una coppetta esposta mostra il ritratto di un profilo femminile con la fronte rasata secondo la moda dell'epoca: era un omaggio alla fanciulla amata.
(Fonte: archeobologna.beniculturali.it)

sabato 28 maggio 2011

Una donna-guerriero sepolta in un castello scozzese

Ricostruzione dei volti dell'uomo
e della donna i cui scheletri sono
stati ritrovati a Stirling Castle
La scoperta dei resti di un'aristocratica scozzese uccisa in battaglia durante le guerre di indipendenza, potrebbe riscrivere i libri di storia.
Lo scheletro della donna era insieme a quelli di altri cinque individui di condizione sociale elevata, tutti morti di morte violenta, sono stati ritrovati al di sotto del pavimento della cappella reale del castello di Stirling.
La donna, chiamata semplicemente "scheletro 539" doveva essere di costituzione fisica robusta. Gli archeologi pensano che abbia fatto parte del personale di corte, ma l'analisi dei patologi forensi ha stabilito che morì di morte estremamente violenta durante uno dei tanti conflitti che costellarono le Guerre di Indipendenza. La donna potrebbe essere stata tra coloro che resistettero vittoriosamente con Robert Bruce nella storica battaglia di Bannockburn del 1314; oppure potrebbe essere stata partecipe del trionfo di William Wallace a Stirling Bridge nel 1297.
Una ricostruzione in 3D ha permesso di dare volto a questa donna-guerriero e a un cavaliere medioevale i cui resti sono stati ritrovati inumati accanto a lei. Peter Yeoman, Responsabile storico dello Scotland's Cultural Heritage, ha affermato che si sono fatte nuove importanti scoperte sugli indidui sepolti al di sotto del pavimento della cappella reale.
La datazione al Carbonio14 ha collocato la vita degli individui, senza ombra di dubbio alcuno, al periodo in cui furono combattute le Guerre di Indipendenza: la battaglia di Stirling Bridge del 1297 e la battaglia di Bannockburn nel 1314. In questo periodo il castello di Stirling fu sottoposto a ben dieci assedi, passando nelle mani, alternativamente, degli Scozzesi e degli Inglesi. E' proprio in questo periodo che è vissuta la donna il cui scheletro è stato ritrovato e le prove convergono sulla sua partecipazione attiva alla battaglia.
La donna conosciuta come "scheletro 539" era sicuramente una donna, di età compresa tra i 36 ed i 45 anni, che morì tra il 1270 e il 1324. Essa presenta molte ferite al cranio che, quasi certamente, ne hanno provocata la morte. Fu colpita ripetutamente alla parte destra del capo da fendenti portati dall'alto verso il basso, forse da qualcuno che si trovava a cavallo, mentre lei era a piedi. Probabilmente fu poi finita con un colpo portato da una sorta di mazza a punta che le ha perforato il cranio e, conseguentemente, il cervello.
Il fatto che la donna sia stata seppellita sotto il pavimento della chiesa del castello è un fatto piuttosto insolito e denota, con molta probabilità, l'alto rango sociale della defunta. Le fonti storiche ricordano solo una donna che ha giocato un ruolo importante nelle battaglie combattute durante le Guerre di Indipendenza. Era chiamata Agnese la Nera, era contessa di Dunbar nonchè figlia di Thomas Randolph, conte di Moray e fedele alleato di Robert Bruce. Nel 1337, mentre suo marito stava combattendo nel nord, Agnese la Nera difese strenaumente il castello di Dunbar contro l'assedio degli Inglesi, oltraggiando il capo di questi ultimi, il conte di Salisbury, rifiutandosi di arrendersi. Per mesi interi la contessa e le sue scarne forze si batterono eroicamente contro gli Inglesi, malgrado le mura del castello fossero bersagliate dalle macchine da guerra degli avversari, che le stavano mano a mano riducendo a un cumulo di macerie. Dopo cinque mesi di inutile assedio, il conte di Salisbury levò le tende

Una stele funeraria sotto un immondezaio del Seicento

La stele funeraria come è emersa
durante gli scavi archeologici
Durante i lavori in un cantiere di via Ferrari, nella zona nord di Modena, è emersa una stele funeraria, di cui si vede la sommità.
Gli scavi, eseguiti dalla Ditta ArcheoModena, sotto la direzione scientifica degli archeologi della Soprintendenza Donato Labate e Luca Mercuri, hanno intercettato, ad un metro di profondità, una piccola discarica cittadina risalente al 1600-1700, dalla quale sono stati estratti numerosi frammenti ceramici ed alcune scodelle con caricature disegnate a graffito.
Gli scavi sono proseguiti finchè, a 3 metri di profondità, non è emerso l'apice della stele funeraria che si trova ancora in situ. Il Soprintendente archeologo Filippo Maria Gambari ha richiesto l'ampliamento dello scavo per recuperare la stele ed indagare le eventuali relative sepolture, che dovrebbero trovarsi a circa 5 metri di profondità.
Il monumento emerso presenta un frontoncino decorato con una gorgone, ha lo specchio epigrafico rivolto ad occidente, verso una strada della centuriazione modenese, il Cardo Massimo, che passava poco distante.
(archeobologna.beniculturali.it)

La domus romana di Assisi, altri particolari

Particolare di uno degli affreschi della domus
Emergono altri particolari della stupefacente casa romana ritrovata ad Assisi. Gli scavi sono iniziati, in realtà, nel 2001 e con il tempo hanno permesso di rivelare sempre più particolari di una domus di straordinaria importanza, soprattutto per la ricercatezza e la raffinatezza della tecnica pittorica utilizzata per gli affreschi, datata alla prima metà del I secolo d.C., più o meno all'epoca in cui il soglio imperiale era appannaggio della gens Giulio-Claudia. La domus si trova al centro di  Assisi, non lontana dal Tempio di Minerva e dal Foro Romano e a monte di quella comunemente chiamata Casa di Properzio. Già si parla di una Pompei umbra.
Si possono vedere, a tutt'oggi, il peristilium, lungo 7,80 metri, e cinque ambienti, tre dei quali si affacciavano proprio su questo cortile interno. Del peristilium rimangono in situ quattro colonne rivestite in stucco, conservate per tutta la loro altezza di 4 metri, il cui diametro è di 55 centimetri. Rimane anche il pavimento a mosaico a tessere nere di piccole dimensioni e le pareti con decorazione pittorica.
Dei tre ambienti che si affacciano sul lato nord del peristilium, uno è stato identificato come un probabile triclinio con decorazione parietale di terzo stile avanzato. I colori utilizzati per le raffigurazioni geometriche sono il rosso, il giallo e il verde. La decorazione è sormontata da elementi architettonici rappresentanti due quinte poste affrontate al centro delle queali è raffigurato un tripode.
Un altro ambiente si conserva per tutta la sua altezza di 4,20 metri e si affacciava sul peristilium grazie ad una porta ed una finestra con davanzale di marmo ancora conservate. Eccezionale è la decorazione pittorica delle pareti, soprattutto di quella nord che presenta una tripartizione orizzontale: la fascia in alto è di colore bianco e presenta elementi architettonici e due pinakes; la fascia mediana è di color rosso pompeiano, molto ben conservata, con al centro un pinax raffigurante una coppia su un letto da banchetto in atteggiamento intimo; la fascia inferiore è costituita dallo zoccolo di colore nero, nella cui parte centrale corre un fregio con cinque figure femminili: sono quattro dame ben vestite che osservano una quinta intenta alla toletta.
La pavimentazione di quest'ultimo ambiente è a mosaico con tessere bianche e tere e decorazione geometrica. E' riconoscibile un esagono nero con fiore bianco a sei petali al centro, circondato da quadrati neri alternati a triangoli. Il mosaico è stato realizzato con estrema accuratezza ed uniformità. Sul pavimento, durante lo scavo, sono stati ritrovati una gran quantità di fermacapelli, il che ha fatto ritenere che potesse trattarsi di un cubiculum. Sulla soglia della stanza gli archeologi hanno trovato un piccolo altare in terracotta con una statuina, il Lararium, dedicato alle divinità protettrici della casa. Appeso al soffitto c'era sicuramente l'oscillum rinvenuto in terra rotto in due pezzi: era un grande talismano in marmo a forma di mezzaluna, che oscillava al soffiare del vento. Gli agricoltori lo utilizzavano nei campi durante le feste rituali

venerdì 27 maggio 2011

Un cimitero bizantino in Siria

Una sepoltura di epoca bizantina è stata scoperta nel villaggio di al-Ruba, nella città di Zighreen, 30 chilometri a nord-est di Hama. Alcune tombe avevano, al loro interno, della ceramica, oggetti di metallo e vetro, pezzi d'oro. Una delle sepolture comprende un'entrata ampia circa 60 centimetri e lunga 110, che reca ad una piccola piazza circondata da cinque camere che includono ciascuna tre sepolture. Le tombe hanno una lunghezza di 175 centimetri e 40 di profondità. La sepoltura collettiva comprendeva 15 tombe. Alcune delle sepolture erano rivestite con pannelli di mattoni, mentre altre erano coperte di basalto naturale. Tra gli oggetti sono stati trovati dieci vasi di ceramica, cinque bracciali in metallo e vetro, due anelli di metallo in cattive condizioni, due monete di rame, sei perle in pietra, due bottiglie portaprofumo in vetro e quattro gettoni d'oro che, probabilmente, venivano utilizzati per tener chiusi gli occhi del defunto.
Il cimitero ha restituito anche otto lanterne di ceramica e alcune paia di scarpe in cuoio piuttosto consumate, che fanno pensare a deposizioni per soldati.

Una tomba sorprendente a Lima

Più o meno un migliaio di anni fa, un adulto e tre bambini furono sepolti sull'alta cima dell'Huaca Pucllana, un complesso cerimoniale al centro del quale c'è, attualmente, la moderna città di Lima, in Perù.
I quattro corpi furono accuratamente avvolti in diversi strati di tessuto e di foglie e ciascuno di essi fu strettamente legato con delle corde ricavate dalla pianta di lantana. Furono, quindi, sigillati in una tomba con il soffitto ligneo rivestito di mattoni e paglia, dove riposarono indisturbati dall'avvicendarsi di re, conquistadores ispanici e forti terremoti che spesso devastarono la città.
Per quasi 30 anni l'archeologa Isabel Flores Espinosa ha lavorato a Huaca Pucllana. Il complesso era stato dedicato al dio del mare e fu costruito dalla cultura Lima tra il 450 e il 700 d.C.. Al suo interno ospitava una Grande Piramide a sette livelli, con marciapiedi e rampe d'accesso tutte costruite in argilla. All'inizio dell'VIII secolo d.C., la civiltà Wari conquistò Lima ed anche questa zona della costa centrale del Perù, che mantenne fino al 1000 d.C.. I Wari hanno spesso utilizzato le strutture preesistenti, compreso il cimitaro di Huaca Pucllana.
Negli ultimi trent'anni, l'archeologa Espinosa e la sua squadra hanno riportato alla luce decine di tombe che si trovano presso il complesso. Queste sepolture hanno restituito oggetti di grande lusso, tra i quali tessuti finemente intrecciati e manufatti d'oro e d'argento. Questo ha portato gli studiosi a credere che qui fossero sepolti i membri più eminenti della società Wari. La recente scoperta dei tre corpi - uno di adulto e tre di bambini - sono dunque tipici della cultura Wari, che usava avvolgere e legare bene i corpi dei morti, tra i quali frequenti erano i bambini e le giovani ragazze, sacrificati agli dèi della terra e del mare. Di 62 tombe scavate, questa ultima è l'unica ritrovata intatta.
Le bende in cui erano avvolti i cadaveri non sono state ancora esaminate completamente, ma i manufatti associati a sacchetti di lana e cotone pieni di mandarini e porta aghi, fa pensare che la sepoltura dell'adulto sia da attribuirsi ad una ragazza. I Wari erano tessitori particolarmente abili e raffiguravano, sui tessuti, elaborate scene e figure.

Vicenza romana e medioevale

In quella che, un tempo, era chiamata Piazza dell'Isola, a Vicenza, è venuto alla luce un tracciato della vecchia città romana: anfore, sigilli e ceramiche alla base di una parte di muro medioevale. I materiali sono riaffiorati all'interno del cortile di Palazzo Chiericati (in Piazza Matteotti).
Emerse anch'esse recentemente a Vicenza, sono le "bricole", un sistema di pali in uso nel Medioevo per sostenere le mura poste su terreni umidi. Un sistema analogo a quello utilizzato a Venezia.
Del nuovo tratto di cinta muraria la direttrice dei Musei Civici di Vicenza ha detto di "non sospettarne l'esistenza". I lavori di Palazzo Chiericati, ideato dal Palladio, ha permesso di riportare alla luce un tratto di queste mura medioevali, vere e proprie pareti di roccia sorrette da contrafforti che, a loro volta, poggiano sulle famose "brucole".
Oltre a queste testimonianze di XI secolo, sono emerse anche altri reperti, più antichi, eredità dei Romani che, per drenare il terreno umido, riempivano il suolo di anfore e oggetti di ceramica, ora restituiti agli archeologi dal recente scavo. Questi oggetti saranno presto esposti e sarà anche possibile visitare i resti delle mura.

Isotopi e...vecchi merletti

Tra il 1520 e il 1650, l'economia spagnola subì una terribile inflazione. Molti storici hanno attribuito quest'inflazione, iniziata nel 1550, all'argento affluito in gran quantità dalle Americhe, che determinò un aumento della circolazione monetaria in Spagna.
Un rapporto stilato, però, in questi giorni da una squadra di ricercatori ha dimostrato che gli spagnoli non utilizzarono l'argento delle Americhe per coniare monete per almeno un secolo. Dunque la quantità di monete in circolazione nel paese iberico non ha avuto alcun effetto scatenante dell'inflazione.
Tra il XVI e il XVIII secolo, la Spagna estrasse più di 300 tonnellate all'anno dalle miniere in Perù ed in Messico. Se i pesanti lingotti riuscivano a sopravvivere ai pericoli del mare, sia di origine umana (i pirati) che naturale, potevano, una volta giunti a destinazione, essere "confezionati" in pezzi più piccoli o commercializzati con altri paesi in modo da far rientrare dei costi il governo spagnolo, che doveva, a quel tempo, finanziare la guerra in Olanda e nel contempo importare porcellana e seta dalla Cina.
Ma gli spagnoli utilizzarono l'argento anche per coniare monete? Per rispondere a questa domanda, l'archeologa Anne-Marie DeSaulty ed i suoi colleghi dell'Università di Lione, in Francia, hanno utilizzato uno spettrometro di massa per misurare la quantità dei diversi isotopi del metallo in 91 monete antiche: 24 provenienti dalla Grecia e da Roma, 23 monete medioevali provenienti da tutta Europa, 25 monete coniate in Spagna dal XVI al XVIII secolo sotto diversi re e 19 monete coniate con argento proveniente dall'America Latina. Queste ultime avevano, generalmente, una commistione di differenti metalli: sono stati rilevati isotopi di argento, piombo e rame in misura maggiore rispetto a quelli presenti nelle monete europee. Questo, probabilmente, è dovuto alla complessità geologica delle grotte vulcaniche in cui fu cavato l'argento del Nuovo Mondo.
Gli studiosi hanno anche scoperto che le monete coniate in Spagna prima del regno di Filippo V (1700-1746), avevano dei marcatori di isotopi simili alle monete coniate in Europa nel Medioevo. Monete coniate più tardi avevano, al contrario, dei marcatori di isotopi più simili a quelli rintracciati nell'argento delle Ande. Proprio questo ha permesso agli studiosi di stabilire che pure se l'argento del Nuovo Mondo è giunto in Spagna nel 1550, esso fu, comunque, utilizzato solo un secolo più tardi per coniare monete.
Akira Motomura, economista allo Stonehill College di Easton, Massachussetts, ha obiettato che, forse, il campione studiato da DeSaulty non è sufficientemente ampio per giungere a queste conclusioni. Tuttavia, afferma Motomura, non è soltanto l'importazione di grosse quantità d'argento dal Nuovo Mondo ad aver scatenato la devastante inflazione che colpì la Spagna.

I cannoni di Henry Morgan

Pirati dei Caraibi: recuperati  i cannoni di Henry Morgan

Il capitano Morgan, terrore degli spagnoli nel Nuovo Mondo, perse la sua flotta quasi per intero al largo di Panama. Oggi questi relitti costituiscono, per gli studiosi, un'occasione eccezionale di studio di armi da fuoco e di imbarcazioni di tre secoli fa.
Da poco è stato recuperato un cannone, appartenente, assieme ad altri sei, alla flotta del bucaniere Henry Morgan.
L'ammiraglia della flotta del pirata, la Satisfaction, affondò nel 1671 andando a sbattere su alcuni scogli alla foce del fiume Changres. Almeno altre tre navi della medesima flotta finirono per affondare allo stesso modo o perchè, in seguito all'incidente dell'ammiraglia, finorono per scontrarsi l'una con l'altra.
Malgrado questa funesta serie di incidenti, Morgan raccolse il resto della sua flotta ed andò comunque ad assediare Panama City.
Nel 2008 un team di archeologi ha ritrovato le navi e i cannoni della flotta pirata e nel 2010 è iniziato il recupero dei cannoni e di altri reperti, che devono essere puliti per poter essere, poi, esposti al pubblico a Panama. Il progetto è stato varato in collaborazione tra il governo di Panama, il Waitt Institute for Discovery, la National Oceanic and Atmospheric Administration, la Texas University e la National Geographic Society.

Il muro misterioso


Il litorale di Konkan, da Shrivardhan a Venguria, in India, può essere stato abitato già 8000 anni fa? E la popolazione che vi abitava, poteva aver sviluppato un'ingegneria architettonica sviluppatissima per quel tempo? C'era una civiltà, a Konkan, già nel 6000 a.C.? Le ultime scoperte nel campo dell'archeologia portano ad un'unica risposta affermativa a tutte queste domande.
La scoperta più importante è stata fatta nel 2005, sotto le acque antistanti la costa di Konkan. Si tratta di una struttura molto simile ad un muro, lunga ben 24 chilometri, alta 2,7 metri per 2,5 metri di larghezza. Questa struttura mostra un'accurata uniformità di struttura che ha suggerito, agli archeologi, la possibilità che sia stata fatta da un'antica civiltà.
Ci sono studi sufficienti sia sulle profondità marine che sulla terraferma, per quanto riguarda Konkan, che permetto di calcolare la costruzione del muro subacqueo al 6000 a.C.. Ovviamente il ritrovamento di questa costruzione ha sollevato tutta una serie di altri problemi, per esempio: come sono state portate fino al mare le pietre utilizzate per edificare il muro? Qual'era la funzione di questa struttura? Se si è riusciti a stabilire con tanta certezza la data di costruzione di questo muro, si può arguire che sia esistita una civiltà altrettanto antica che lo ha edificato? Perchè, finora, gli archeologi non hanno trovato traccia alcuna di questa civiltà?

giovedì 26 maggio 2011

Plancia Magna, figlia della città di Perge



Sia nel mondo greco che in quello romano, in alcuni casi le donne hanno potuto, in qualche modo, partecipare alla vita pubblica della società in cui vivevano. Alcune iscrizioni ed alcune monete parlano del ruolo svolto da alcune matrone nelle loro comunità, al punto che le stesse hanno ricevuto degli appellativi di particolare prestigio in genere impiegati per gli uomini.
La partecipazione di una donna alla vita pubblica, comunque, era fonte di imbarazzo sia per i Romani che per i Greci. Alcune donne potevano ereditare notevoli patrimoni, però, e questo poneva il problema di controllare sia questi ultimi che chi li aveva ereditati. Così, nel V secolo a.C., le figlie dei membri della boulè, l'assemblea di Atene, dovevano sposarsi all'interno della propria classe. Se non l'avessero fatto, il Concilio cittadino avrebbe sottratto dal loro patrimonio una quota pari ad 1/4 o 1/3.
Nel II secolo d.C., però, in una città dell'Anatolia, una donna riuscì a dimostrare che anche le espondenti del mondo femminile potevano accrescere il prestigio e la fama della comunità in cui vivevano. Il nome di questa donna era Plancia Magna. Le iscrizioni che le sono dedicate la nominano sempre con il suo nome. Marito e fratello, invece, sono identificabili solo per mezzo di riferimento a lei.
Generalmente, nel mondo romano, la donna attiva dal punto di vista politico-sociale, era considerata come una sorta di "pertinenza" del coniuge che ricopriva cariche pubbliche di più o meno prestigio. Nel caso di Plancia Magna, gli studiosi hanno pensato anche che in Anatolia potesse esistere una sorta di matriarcato o che l'ellenismo avesse portato con sé una certa autonomia della figura femminile. Pur conservando, il marito, il diritto d'uso sul patrimonio della donna era quest'ultima che ne disponeva.
Plancia Magna doveva essere una donna di una certa importanza, nella comunità di Perge. Plancia visse nell'epoca antoniniana - II secolo d.C. - ed apparteneva ad una delle famiglie più abbienti della città. Era figlia di Publio Rutilio Varo, di rango consolare, senatore al tempo di Nerone e proconsole di Bitinia sotto Vespasiano. Per parte di madre, Plancia discendeva da un'importantissima famiglia reale dell'Asia, la madre, Iulia, era figlia di Tigrane, re d'Armenia, e sacerdotessa di Artemide.
Il marito di Plancia era Iulius Cornutus Tertullus, esponente anch'egli di un'importantissima famiglia cittadina. Questo insieme di potenti parentele metteva Plancia nelle condizioni di poter disporre di un patrimonio finanziario non indifferente. Con questi soldi Plancia poté finanziare la costruzione di diversi monumenti cittadini, come il teatro (lo si è dedotto dal fatto che la sua statua si trovava nel corridoio anulare dove defluivano gli spettatori). La donna, poi, sistemò a sue spese la porta urbica, a due torri, con nicchie per statue inquadrate da decorazioni in marmo. Al piano inferiore le statue raffiguravano delle divinità, nel secondo ordine si trovavano le statue dei fondatori mitici e dei benefattori cittadini, tra i quali la stessa Plancia e suo padre.
Nell'area della porta urbica sono state trovate alcune iscrizioni bilingui, in latino e greco, con lettere in bronzo, in cui è menzionato il nome di Plancia. Una di queste iscrizioni reca la dedica alla città, in un'altra Plancia è appellata come "demiurgo", una sorta di benefettrice della cittadina. Un'altra epigrafe le attribuisce il titolo di "figlia della città" e sappiamo che Plancia fu anche sacerdotessa di Artemide Pergaia. Ma il nome di Plancia compare anche in altri frammenti di iscrizioni: una parte di trabeazione, per esempio. Anche l'acquedotto è opera della munificenza della donna. L'acqua raggiungeva la città per mezzo di due ponti e di un canale sotterraneo e finiva in un ninfeo, da cui provengono due statue di Adriano le cui iscrizioni, abrase, comunque fanno riferimento a Plancia.
L'edificio sepolcrale di Plancia è avvolto nel mistero. Si parla di una sorta di grande mausoleo situato presso il teatro. Non è stata, però, rinvenuta alcuna epigrafe sepolcrale che attribuisca definitivamente l'edificio a Plancia.
Perge era un'importante città della provincia romana di Pamphylia, in Asia Minore (sud-est della Turchia).

Prima degli Incas in Equador



I ricercatori continuano a fare straordinarie scoperte su una civiltà che ha preceduto quella Inca e che sovraintendeva a diversi centri cerimoniali, nonché agli scambi commerciali, in una località remota dell'Equador.
Gli archeologi stanno cercando un sito nei dintorni di Quito che, stando agli studi fatti, dovrebbe restituire i resti di quest'antica civiltà, precedente a quella Inca, che produsse un'architettura monumentale e un sofisticato sistema di commerci e di vie di comunicazione. Una cultura che fiorì tra l'800 e il 1660 d.C.. Quest'estate si avvierà, in proposito, una nuova campagna di scavi.
Il sito in questione si chiama Tulipe e vi sono evidenze di almeno 2000 piramidi e tumuli. Particolare attenzione sarà riservata, dagli archeologi, ad un complesso costituito da 8 piscine, delle quali sette sono semicircolari o di forma poligonale ed una è rotonda.
Questo centro cerimoniale si trova in una foresta tropicale a nord-ovest di Quito, capitale dell'Equador. Si pensa che quanto rimane di questo centro sia stato edificato da una popolazione chiamata Yumbo, che praticavano un'avanzato tipo di agricoltura e che avevano creato un sistema di strade antiche chiamate Culuncos che passavano nella foresta ed erano percorse da una fitta rete commerciale, oltre a servire da vie di comunicazione tra l'insediamento di Tulipe, gli insedimenti dell'area montana e quelli sulla costa.
Si pensa che le funzioni di queste architetture, di cui sono stati individuati i poderosi resti, siano state soprattutto religiose e cerimoniali. Gli archeologi, però, si interrogano ancora sull'utilizzo e la funzione delle otto piscine che sono state ritrovate. Gli Yumbo erano una popolazione pacifica e piuttosto comunicativa, non è stata ritrovata, finora, traccia di armi nei loro insediamenti. L'arrivo degli Inca, nel 1400 d.C., cambiò il mondo in cui vivevano gli Yumbo, anche se sia gli archeologi che gli storici sono concordi nell'affermare che gli Inca ebbero solo un effetto limitato sulla popolazione residente.
Tulipe era un villaggio di mercanti con una notevole varietà di materiale da porre in commercio, come coca, peperoncino, penne di uccello, sale, conchiglie e cristalli. Ben presto gli Yumbo impararono la lingua Inca che permise loro di commerciare anche la civiltà che li aveva invasi.

Alla ricerca del corpo di Alessandro IV



Papa Alessandro IV, al secolo Rinaldo dei Signori di Jenne, moriva il 25 maggio 1261 nel palazzo papale di Viterbo. Tre mesi dopo la sua morte veniva eletto papa Urbano IV, che affermò che il suo predecessore era stato sepolto nella Cattedrale di San Lorenzo, a Viterbo, ma la sepoltura del papa non fu mai ritrovata, nè tantomeno individuata. Oggi si ritorna a cercarla. Si utilizzeranno tecnologie geofisiche non invasive. Il progetto coinvolge Alberto Picardo Gallardo, ricercatore dell'Università di Siviglia e studioso della storia viterbese, e vari altri atenei: Tuscia, Palermo, "La Sapienza" di Roma ed altri centri di studio a livello universitario sia tedeschi che americani.
Alessandro IV era della stessa famiglia di Innocenzo III (1198-1216), Gregorio IX (1227-1241) e Innocenzo XIII (1721-1724). Fu lui a dichiarare che San Francesco aveva realmente le stigmate, a canonizzare Santa Chiara d'Assisi, ad avviare trattative per la riunificazione tra la chiesa Greca e quella Romana. Era membro di una famiglia ricca e potente e inizialmente fu canonico presso la Cattedrale di Anagni, completando, in seguito, i suoi studi all'Università di Parigi. Fu consacrato vescovo nel 1235 (o nel 1232), quando divenne cardinale-vescovo di Ostia e Velletri. Fu eletto papa a Napoli il 12 dicembre 1254.
Alessandro IV venne descritto come un uomo buono, allegro ma non brillante, potendo contare sul consiglio del potente cardinale Riccardo Annibaldi, nipote di Gregorio IX.
Il papa scelse, quale sua residenza, proprio Viterbo per evitare il clima di intrighi politici e di lotte intestine che inquinava Roma. E' proprio grazie a lui che vennero iniziati i lavori per la costruzione della residenza papale nella città, affidati all'architetto Raniero Gatti. Fu proprio Alessandro IV ad ordinare la riesumazione del corpo incorrotto di Santa Rosa. Quattro cardinali trasportarono il corpo della santa nella chiesa delle Clarisse, dando inizio alla tradizione del trasporto della macchina di Santa Rosa, diventata, nel tempo, la più importante festività di Viterbo.

Eran trecento ossa... ma di chi?



Come scritto precedentemente, ad aprile di quest'anno un gruppo di antropologi ha preso in esame due scheletri trovati nella cattedrale di Reggio Emilia, identificandoli come i martiri Crysanthus e Daria, morti nel III secolo d.C.
Vuole la leggenda che Crysanthus fosse figlio di un senatore romano, convertitosi al cristianesimo con grande dispiacere di suo padre. Quest'ultimo tentò di "recuperare" il figlio proponendogli diverse prostitue e, infine, facendogli sposare Daria, una vergine vestale di appena vent'anni. Crysanthus, però, riuscì a convertire persino la moglie che venne condannata per prostituzione.
Nel 283 d.C. i coniugi furono condannati a morte, forse arsi vivi, ma la leggenda è sostanzialmente piuttosto fumosa. La loro tomba fu fatta immediatamente oggetto di pellegrinaggio e mille anni dopo le loro ossa furono traslate laddove sono state ritrovate.
Le ossa che gli antropologi hanno rinvenuto nella cripta della cattedrale di Reggio Emilia sono più di trecento e sono state attribuite a due persone dell'età di 17-18 anni. Le analisi del Dna hanno confermato il sesso dei defunti, mentre le analisi con il C14 hanno datato i resti ad un periodo di tempo che va dall'80 al 340 d.C.. Le ossa non presentano traumi fisici e contengono un alto tasso di piombo. Questo, unitamente all'assenza di traumi fisici, ha portato gli antropologi a pensare che i due scheletri appartenessero a persone di alto rango sociale. Ma non tutti gli studiosi sono concordi con questa conclusione.
Le tracce di piombo rinvenute nelle ossa sono dovute al fatto che l'acqua, nelle case ricche di Roma, arrivava percorrendo tubi di questo materiale. I più abbienti, infatti, potevano installare nelle loro case rubinetti collegati a tubature che attingevano direttamente agli acquedotti. Ma anche chi viveva lungo il percorso di questi ultimi poteva usufruire - se pure abusivamente - di un servizio analogo. E' stato stimato che i prelievi effettuati in modo così poco ortodosso ammontassero a 89 milioni di galloni d'acqua al giorno su 100 milioni forniti complessivamente dagli acquedotti.
Gli avvelenamenti da piombo, però, non erano così elevati come comunemente si crede, perlomeno se si parla del piombo delle fistulae, i tubi che trasportavano l'acqua. Pare più probabile che l'avvelenamento da piombo fosse dovuto - come osservano Plinio il Vecchio e Columella - all'uso di utensili da cucina di piombo, nonchè all'abitudine di mettere del piombo del vino per rendere quest'ultimo più dolce.
Chissà, dunque, se i resti esaminati dagli archeologi sono proprio quelli dei due santi. C'è, poi, da dire che non ci si può fidare fino in fondo dell'agiologia, più simile ad un racconto mitico che a un resoconto storico dei fatti.

mercoledì 25 maggio 2011

Sorprese del sottosuolo viste dall'alto



(Asca) L'hi-tech al servizio dell'archeologia: 17 piramidi finora sconosciute, mille tombe e tremila antichi insediamenti nascosti nei deserti egiziani sono stati scoperti grazie alle immagini a infrarossi scattate da satelliti spaziali. Come riporta il sito della Bbc, si tratta di un progetto attivo da circa un anno, lanciato dall'egittologa americana Sarah Parcak presso l'Università dell'Alabama a Birmingham, che sfrutta il fatto che gli infrarossi sono in grado di penetrare nel terreno e mettere in risalto la differente densità dei materiali. Dato che gli antichi egizi costruivano case e templi con mattoni di fango essiccato, molto più densi del terreno circostante, tali strutture risultano dunque riconoscibili dalle immagini.
"Abbiamo faticato molto per portare a termine questa ricerca e credo che in Egitto faremo nuove scoperte", ha detto la Parcak, secondo la quale, per ora, sono stati identificati solo i siti più vicini alla superficie ma "ve ne sono migliaia che il Nilo avrebbe ricoperto di detriti con il passare dei secoli". I primi scavi condotti a Saqqara e Tanis hanno confermato in pieno le immagini satellitari.

L'effimero impero di Gao



Gao, città situata sul fiume Niger, fu, un tempo, la capitale dello stato Songhai, nell'Africa centro-occidentale. La città era situata sulle rotte commerciali che attraversavano il Sahara e fu anche un centro di studi islamici tra il XV e il XVI secolo. L'impero si era, però, formato già nel VII secolo d.C.
Gli archeologi hanno ritrovato reperti archeologici che parlano di una abitazione del sito sin dal IX secolo d.C.. Nel X secolo la dinastia Sa allargò i confini dell'impero, introducento l'Islam nella regione. Una delle fonti di commercio e di ricchezza della comunità che viveva a Gao era il pesce, mentre il Niger depositava, lungo le sponde, il fertile limo che consentiva buoni raccolti. Recentemente gli archeologi hanno trovato, proprio nei pressi di Gao, merci importate dal nord Africa, risalenti all'XI-XII secolo.
Gao si sviluppò all'interno dell'impero del Mali nel 1290. Nel 1375 lo stato di Songhai, di cui la città faceva parte, si staccò dall'impero del Mali e divenne un impero a sé stante, cominciando a commerciare con successo il sale e l'oro.
La ricchezza passata di Gao è rappresentata efficacemente dalla tomba dell'imperatore Askia Muhammad, all'interno della Grande Moschea che occupa il centro città. Askia Muhammad fu il fondatore della dinastia Askia (1493-1528). La sua sepoltura è una piramide a gradoni in fango e mattoni di argilla cruda. Sotto il regno di questo sovrano, Gao divenne il principale centro religioso e intellettuale dell'Africa occidentale.
Verso la fine del XVI secolo, Mulay al Mansur, sovrano marocchino, conquistò sia Songhai che Gao, servendosi di mercenari spagnoli e, per la prima volta nella regione, di armi da fuoco.

martedì 24 maggio 2011

Il supervulcano ed i primi indonesiani




Recenti scoperte archeologiche effettuate nel sud e nel nord dell'Indonesia, hanno rivelato come viveva la popolazione prima e dopo la disastrosa eruzione vulcanica del Toba, avvenuta 74.000 anni fa. Un team di ricerca multidisciplinare, guidato dall'Università di Oxford in collaborazione con le istituzioni indiane, ha scoperto quella che viene definita una nuova Pompei, tra le ceneri del Toba.
Il progetto ha avuto una durata di sette anni ed ha preso in considerazione l'ambiente in cui sono vissuti gli esseri umani, i loro attrezzi in pietra ma anche le piante e le ossa degli animali. Queste ricerche hanno permesso di stabilire che gli uomini erano già presenti in Indonesia 74.000 anni fa, 15.000 anni prima di quanto si era pensato finora. Molte forme di vita sono riuscite a sopravvivere alla devastante eruzione del Toba.
Secondo i ricercatori, inoltre, gli uomini che modellarono gli attrezzi in pietra finora ritrovati appartenevano alla specie dell'Homo Sapiens. A tutt'oggi non sono stati ancora ritrovati resti umani, ma gli scienziati non disperano in future rivelazioni. Nel frattempo, nel complesso di grotte di Billasurgam, gli studiosi hanno scoperto ossa di animali (bovini selvatici, carnivori, scimmie) risalenti a 100.000 anni fa.
Attualmente il lago generato dallo sprofondamento dell'antica caldera vulcanica, è lungo 100 chilometri e largo 30. L'eruzione più catastrofica del vulcano, che viene comunemente fatta risalire a 70-80.000 anni fa, scagliò in aria 2-3000 chilometri cubici di roccia, 800 dei quali sotto forma di cenere che si depositò su tutta l'Asia meridionale in uno strato spesso 15 centimetri con zone in India e Malesia che vennero sepolte da ben 6-9 metri di cenere. L'eruzione causò un drastico calo delle temperature su tutto il pianeta.

Un campo di battaglia del 1200 a.C.



Scavi archeologici nella Valle di Tollense, nel nord della Germania, hanno permesso il ritrovamento di alcuni teschi fratturati e resti di cavalli che risalgono al 1200 a.C. circa. Le ferite presenti sui teschi suggeriscono che siano state inferte in un combattimento faccia a faccia, probabilmente avvenuto tra tribù avversarie.
Già nel 2008 sono stati ritrovati i resti di circa 100 uomini dei quali almeno otto avevano importanti lesioni alle ossa. Molti scheletri, anche se non tutti, sembrano essere appartenuti a uomini di giovane età. Le ferite al cranio sembrano essere state inferte con colpi piuttosto forti e con punte di frecce, alcune di queste ferite sembrano essere state letali.
Un omero aveva, inclusa, una punta di freccia che si era conficcata per più di 22 millimetri nell'osso, mentre una frattura alle ossa della coscia hanno suggerito agli esperti che l'uomo che le presentava doveva essere caduto da cavallo (sono state trovate anche ossa di cavallo poco lontane dalle ossa umane). Gli archeologi hanno anche ritrovato i resti di armi in legno, nella stessa zona.
Il dottor Harald Lubke, del centro archeologico per il Baltico e la Scandinavia con sede in Germania, ha affermato che quando finora messo in luce non è che il campo di battaglia più antico e più grande mai ritrovato. Sugli scheletri ritrovati è stata constatata, ha detto il dottor Lubke, la presenza di ferite da corpo contundente e da armi da taglio che hanno avuto esiti ferali. Inoltre i corpi appaiono essere stati sepolti senza particolari riti di inumazione.
Il dottor Lubke ritiene, inoltre, che la battaglia si sia combattuta in un luogo vicino al fiume, ma ad una certa altezza e che i resti rinvenuti siano solo una piccola parte di un'immensa carneficina. E', pertanto, necessario cercare ancora il luogo in cui si è svolta questa grande battaglia, in modo da studiare ancor meglio i resti e ricostruire la storia in modo più accurato. Nel frattempo si è accertato che i defunti si nutrivano di miglio, il che porta a pensare che fossero dei possibili invasori, visto che le antiche popolazioni germaniche non avevano miglio nella loro dieta.

lunedì 23 maggio 2011

Il santuario della Dinastia Ming



Sono recentemente riemerse, nella parte orientale della Cina, a causa di una grave siccità, diverse sezioni pertinenti una tomba-santuario costruita dal fondatore della Dinastia Ming, Zhu Yuanzhang, nel 1368, per onorare i suoi antenati. Il mausoleo era stato sommerso dalle acque del fiume Giallo nel 1680.
La siccità, che ha colpito il lago Hongze, ha evidenziato la porzione esterna del santuario ed anche alcune statue. La tomba vera e propria, però, rimane ancora sotto il livello dell'acqua e sembra essere praticamente intatta. Gli abitanti del luogo sono contrari a un suo recupero, poichè ritengono che sia foriero di sventure disturbare il sonno di così nobili defunti.
Molti dei mattoni utilizzati per costruire il santuario conservano ancora il colore originario, il cinabro, colore della Dinastia Ming, anche se sono rimasti sepolti nella fanghiglia per diversi secoli. Per evitare di causare danno alla tomba, le autorità hanno preferito pompare acqua nel lago e sommergere il monumento.

La foresta pietrificata



Sull'isola di Ellesmere, nel nord del Canada, è stata scoperta un'antica foresta pietrificata, con tronchi, foglie e baccelli ben conservati. A trovare questa foresta sono stati dei ricercatori messi in allarme dalle guardie del Quttinirpaaq National Park. I ranger si sono imbattuti in resti di grandi alberi sparsi sul terreno di cui ignoravano l'origine ma che pensavano essere molto antichi.
Gli studiosi hanno analizzato le caratteristiche dei tronchi, delle foglie e dei baccelli ed hanno identificato, in tal modo, alcune specie. La foresta pietrificata è risultata essere simile alle foreste oggi diffuse a latitudini più meridionali, il che porta a credere che un tempo l'Artide avesse un clima più caldo.
Contando i cerchi dei tronchi, i ricercatori hanno stimato che gli alberi dovevano avere almeno 75 anni al momento in cui furono seppelliti da una frana. Gli anelli erano molto deboli, il che significa che le piante crescevano con estrema lentezza a causa delle condizioni climatiche proibitive.

Visitabili sei tombe a Saqqara



Nella necropoli di Saqqara, non lontano da il Cairo, da oggi è possibile visitare sei tombe del Nuovo Regno, tra le quali quella di Maya, tesoriere di Tutankhamon. In questa tomba sono visibili scene di vita familiare che raffigurano Maya e la moglie Merit mentre ricevono offerte.
La tomba che era destinata ad Horemhab, successore di Tutankhamon, è la più grande di Saqqara e raffigura il generale egizio - poi sepolto nella Valle dei Re - in scene di battaglie vittoriose.
E' aperta al pubblico anche la tomba del maggiordomo reale incaricato di servire i cibi e le bevande ad Akhenaton, Ptahemwia, e quella di Pay, guardiano dell'harem.

domenica 22 maggio 2011

Massimiano Erculio



Dietro la costruzione delle famosissime Terme di Diocleziano a Roma, non vi è propriamente la figura imperiale che tutti ben conoscono, Diocleziano, appunto, quanto, piuttosto, un suo grandissimo amico e collega assai poco conosciuto, che aiutò l'imperatore nella difficile impresa di risollevare le sorti dell'impero romano. Il suo nome è Gaius Aurelius Valerius Maximianus, noto come Massimiano Erculio, il cui appellativo è collegato ad Ercole, da cui diceva di discendere.
Gli autori antichi sottolineano il carattere rozzo e la brutalità di Massimiano, sostenendo che i tratti di questa personalità così primitiva erano impressi nel suo volto. Massimiano fu nominato Cesare da Diocleziano, nel 285 d.C.. Si trattava di un ringraziamento per il fatto di aver condiviso con l'imperatore numerose campagne militari. Massimiano era un uomo dalle grandi capacità militari e questo aveva indotto Diocleziano ad affidargli il governo della parte occidentale dell'impero che aveva per capitale Milano.
Massimiano era nato tra il 241 e il 246 nelle vicinanze di Sirmium, in Pannonia, da umili contadini. Aveva servito sotto Aureliano e Probo e questo gli aveva consentito di fare una rapida carriera, agevolata dalle sue innegabili capacità sul campo di battaglia. Prima del 278 d.C. aveva sposato la siriana Galeria Valeria Eutropia da cui ebbe Massenzio e Fausta. Non appena eletto Cesare si distinse per la sconfitta che inflisse alle tribù dei Bagaudi che infestavano la Gallia. Tra il 286 e il 288 d.C. combatté contro i Germani e ristabilì un minimo di sicurezza lungo il confine renano e sconfisse Carausio, che si era sollevato in Britannia indossando, addirittura, la porpora imperiale.
Nella primavera del 289, però, la flotta romana comandata da Massimiano fu distrutta proprio durante la campagna bellica contro Carausio. La perdita della flotta fu un colpo durissimo per Massimiano, un colpo che compromise per sempre la sua carriera. Diocleziano, infatti, gli volse le spalle e sostituì all'antico compagno d'arme Costanzo Cloro, che divenne Cesare ed ebbe in consegna Gallia e Britannia.
Massimiano ottenne l'Italia con la Sicilia e la Sardegna e l'Africa, probabilmente anche la Spagna. Quando, poi, Costanzo Cloro si accinse a liberarsi definitivamente di Carausio, sferrando l'attacco decisivo alla Britannia, Massimiano si recò sul Reno per guardargli le spalle e impedire altre incursioni barbariche.
Nel 299 Massimiano, dopo una fortunata campagna d'Africa, giunse per la prima volta a Roma, accolto favorevolmente dalla popolazione e qui incontrò, dopo otto anni, Diocleziano. Il 1° maggio del 305 d.C. si svolse la cerimonia congiunta dell'abdicazione dei due Augusti, che restituirono le insegne del potere davanti alla statua di Giove: Diocleziano a Nicomedia e Massimiano a Mediolanum. Massimiano, poi, abdicò dietro pressioni da parte di Diocleziano e si ritirò a vita privata non lontano da Roma, nell'eventualità di dover intervenire nuovamente nella vita politica e militare dell'impero.
Ben presto, però, sorsero contrasti tra il figlio di Massimiano, Massenzio, e il figlio di Costanzo Cloro, Costantino, che rivendicavano entrambi il diritto a considerarsi successori di Diocleziano, secondo un principio dinastico che trovava fertile terreno negli ambienti militari. Principio che era in contrasto con il principio adottivo voluto da Diocleziano. Alla morte di Costanzo Cloro nel 306 d.C., suo figlio Costantino fu acclamato Augusto dalle truppe, in barba alla presenza di un Cesare di nome Severo che fu presto, però, sollevato al ruolo di Augusto d'Occidente, mentre Costantino era riconosciuto Cesare. A Roma, intanto, Massenzio era considerato il legittimo erede al trono imperiale e il 28 ottobre 306 assunse il titolo di princeps invictus, richiamando nella capitale il padre Massimiano in qualità di imperator Caesar Augustus. Severo finì per rifugiarsi a Ravenna dove, dopo aver restituito la porpora, morì nel 307. In quello stesso anno Costantino sposò Fausta, figlia minore di Massimiano che, dopo un infruttuoso tentativo di strappare il potere al figlio, difeso dai soldati e dai pretoriani, fu costretto a fuggire da Roma e a rifugiarsi in Gallia dal genero Costantino.
Nel novembre del 308 d.C. fu indetto un congresso a Carnutum, dove Diocleziano costrinse Massimiano ad abdicare e proclamò Licinio il nuovo Augusto d'Occidente. La sollevazione dei Franchi, però, offrì all'irriducibile Massimiano un nuovo motivo per organizzare una rivolta e per assumere, per la terza volta, la porpora imperiale ad Arles. Rimase, tuttavia, ben presto privo di appoggi militari e fu costretto a fuggire verso Marsiglia dove fu raggiunto dall'esercito di Costantino. Massimiano fu consegnato al suo destino dagli stessi militari che lo circondavano. Agli inizi del 310 d.C. fu trovato appeso alla trave della sua camera. Si uccise o forse fu ucciso per impiccagione.

La residenza di Massimiano



Sono state trovate le tracce della villa dell'imperatore Massimiano Erculio in Campania e non in Sicilia come, inizialmente, si era pensato. Si è sempre ritenuto che la residenza di questo imperatore fosse Piazza Armerina, celebre per i suoi mosaici, in provincia di Enna. Il polemista cristiano Lattanzio, invece, afferma che Massimiano, deposta la porpora, si fosse ritirato a vita privata in Campania e questa ipotesi è stata ripresa dallo storico dell'impero romano Santo Mazzarino, che l'ha integrata con quanto sostenuto da un'altra fonte, lo storico Zosimo, che vuole essere la residenza di Massimiano in Lucania.
Ora gli archeologi e gli storici sono convinti che la villa dell'imperatore giaccia sotto il centro storico di Campagna e sotto il palazzo Tercasio, la chiesa di S. Spirito, il palazzo dell'ex seminario vescovile e l'attuale casa comunale. Nella zona, infatti, anticamente era assai diffuso il culto di Ercole, di cui Massimiano si riteneva l'incarnazione. Inoltre la struttura architettonica del centro storico somiglia molto alla ripartizione classica romana tra cardi e decumani, senza contare la tetrarchicità delle figure che sono scolpite sui quattro lobi della fontana in via Giudecca, doppioni di quelli in porfido ancor oggi visibili in piazza San Marco a Venezia.
Probabilmente, sostiene la studiosa Martina Calogero, le poche evidenze che si possono notare in località "Concezione" di Campagna possono essere idenficate con un anfiteatro castrense esistente nel I secolo a.C., costruito da Annio Milone, difeso da Cicerone contro Clodio nonchè organizzatore di ludi gladiatori e costruttore dell'omonima via che innesta con l'Appia.
Proprio dall'anfiteatro è deducibile, secondo Martina Calogero, il toponimo "Campagna" come Campus-Annii. La studiosa suggerisce un interessante parallelismo filologico tra il nome dato a una via adiacente l'anfiteatro, via Ginestra, con il termine greco "omester", indicante l'animale feroce che solitamente si fa combattere nell'anfiteatro. Altro suggestivo parallelismo è quello tra il toponimo "Carriti" che, in sanscrito, sta ad indicare la roccia scavata e che qui ben si addice alla cavea e all'arena dell'anfiteatro.

sabato 21 maggio 2011

Importante scoperta in Turchia



Durante degli scavi archeologici a Yenikapi, in Turchia, non lontano da Istanbul, sono stati trovati, in un'unica sepoltura, gli scheletri di due individui di 8.500 anni fa. Sono gli scheletri più antichi trovati in Anatolia.

Navigatori Maya a Vista Alegre



Alcuni ricercatori stanno esplorando una linea di costa, in gran parte selvaggia e inesplorata, dove sono ben nascoste le prove e i resti di una della tradizione marinara più antica del Nuovo Mondo, un luogo dove i commercianti Maya allestivano le loro imbarcazioni con i beni da esportare in Messico e Centro America.
Uno degli obiettivi che si propone la spedizione, è quello di scoprire i resti di queste antiche imbarcazioni, utilizzate a scopi commerciali dai Maya e descritte nel 1502 da Ferdinando, figlio di Cristoforo Colombo come delle canoe con 25 e più rematori, capaci di trasportare passeggeri e merci allo stesso tempo.
Per ora la squadra di ricercatori sta ancora esplorando la giungla, la foresta di mangrovie e la laguna antistante l'antico porto di Vista Alegre. Gli archeologi ritengono che il porto fosse parte di un'importante rete commerciale fiorente tra l'800 d.C. e il 1521.
Le popolazioni Maya della costa sono spesso chiamati i Fenici del Centro America: commerciavano in cotone, sale, incenso, giada, ossidiana, cacao, piume dell'uccello Quetzal e finanche schiavi. Le rotte marittime di questo popolo, ancora quasi sconosciute, hanno avuto modo di svilupparsi tra l'850 e il 1100 d.C.. Gli scavi recenti a Vista Alegre, hanno permesso di individuare piccoli ed antichi siti legati alla rete del commercio marittimo.
Tra il 2005 e il 2008 gli archeologi hanno mappato ben 29 strutture nell'antico sito portuale, incluse piattaforme, tumuli, strade rialzate ed una piramide che dominava il centro della piazza cittadina, che è stata, con tutta probabilità, danneggiata da un violento uragano. Gli studiosi ritengono che la sommità di questa piramide sia stata utilizzata per sorvegliare l'arrivo e la partenza delle imbarcazioni dal porto. Inoltre una stretta passerella collega il porto ad un tempio crollato e saccheggiato.
Gli studiosi si stanno confrontando, nella ricerca di questi antichi approdi, con gli stessi problemi che sono stati affrontati, secoli fa, dagli antichi Maya, dal momento che l'area interessata è accessibile solo via mare, vi è scarsità di acqua potabile, sono molto frequenti le tempeste tropicali e la zona è infestata da zanzare, serpenti, ragni e coccodrilli. La spedizione fa parte del Proyecto Costa Escondida, una ricerca interdisciplinare a lungo termine incentrata sul rapporto tra i Maya ed il loro paesaggio costiero.

L'antichissimo cavallo del Caspio



Una squadra di archeologi che stava lavorando a Gohar Tappeh, nella provincia iraniana di Mazandaran, ha scoperto i resti più antichi conosciuti del cavallo del Caspio, la più antica razza di cavalli tuttora esistenti.
La scoperta è stata fatta in un cimitero risalente al Bronzo tardo e alla prima Età del Ferro (orientativamente intorno al 3.400 a.C.) ed al culmine di otto stagioni di ricerche archeologiche a Gohar Tappeh, un sito archeologico esteso su 50 ettari situato tra le città di Neka e Behshahr, nella parte orientale della provincia di Mazandaran.
Il cavallo del Caspio, più piccolo del cavallo moderno, era utilizzato, anticamente, dalle popolazioni iraniche per le corse dei carri ma anche in battaglia. Era un animale dalla struttura sottile, con ossa piuttosto corte, con un muso sottile e pronunciato. Aveva occhi grandi e orecchie piccole ed era estremamente veloce e straordinariamente forte. Il cavallo del Caspio aveva, inoltre un buon carattere.
Creduto un tempo estinto, il cavallo del Caspio è stato scoperto, nel 1965, da Luoise Firouz, un'americana moglie di un aristocratico iraniano, durante una spedizione a cavallo nelle regioni montane a sud del mar Caspio. Gli esemplari che ancora sopravvivono di questa razza sono piuttosto piccoli. A loro si aggiungono circa 1300 cavalli di razza ibrida tra quella del Caspio e quella persiana, sparsi per il mondo, la maggior parte dei quali si trova negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania e in Australia.
Gohar Tappeh, il luogo dove è stata ritrovata la diretta testimonianza di quest'antica razza equina, è considerato uno dei siti archeologici più importanti dell'Iran, custode dei segreti di un'antica civiltà. Uno tra gli strati archeologici più antichi presenti sul territorio, risale all'Età Calcolitica (3.500-3.400 a.C.).

martedì 17 maggio 2011

Il dio del silenzio ritrovato in Egitto



La settimana scorsa sono state recuperate alcune misteriose statue in Egitto. Esse rsono comunemente ritenute rappresentare il dio del silenzio. Si tratta, in tutto, di quattro statue risalenti al Periodo Tardo (688-332 a.C.), delle quali due erano state trafugate dal Museo de Il Cairo. Una delle statue è in bronzo, alta 37,5 centimetri, e raffigura Osiride, il dio dell'Oltretomba egizio. L'altra è alta 18 centimetri e raffigura Arpocrate che, nell'antico Egitto, era chiamato Horus ed era figlio di Iside e Osiride. Solitamente è raffigurato con un dito in bocca, che venne interpretato, dai greci, come un gesto di silenzio, sicchè Arpocrate venne assimilato al dio del silenzio.
Anche le statue trafugate e poi ritrovate, rappresentano Osiride e Arpocrate. Quest'ultima, a detta di alcuni esperti, sembra aver subito un processo di corrosione nel sottosuolo per poi essere stata pulita chimicamente. La statua di Osiride presenta, invece, un sottile stato di ossidazione lucidato per mezzo di un'azione manuale.
Una commissione di archeologi sta, ora, indagando su queste misteriose statuette, per capire da dove provengano e magari restituirle al Museo a cui appartenevano.

Il castello scomparso

Alcuni archeologi, in Inghilterra, hanno scoperto le rovine di un castello perduto a Westgate. Un grandissimo aiuto nella scoperta del castello è venuto da circa 50 volontari. Il castello fungeva da ufficio per il Vescovo del luogo nel XIII secolo e conservò questa funzione sin quasi al XVII secolo.
Con il tempo il castello è caduto in rovina e non è rimasta visibile nessuna parte della sua muratura. Solo un'indagine geofisica ha permesso di individuarne le rovine sepolte appena sotto la superficie di terreno

Tracce greche in terra russa



Una scoperta davvero eccezionale sarebbe stata fatta a Taman, nella Russia Meridionale, sulle rive del Mar Nero. Sarebbero state scoperte le rovine di un'antica città greca risalente al VI secolo a.C., che avrebbe sorpreso gli archeologi per la copiosità dei ritrovamenti e per lo stato di conservazione dei reperti.
Gli scavi stanno procedendo con estrema attenzione, per evitare di danneggiare l'antica fortezza della città, che gli archeologi ritengono essere le rovine di un tempio dedicato a Demetra, dea della fertilità e dell'agricoltura. Le condizioni in cui operano gli studiosi sono piuttosto difficili, poichè si tratta di un sito remoto, privo di acqua corrente che, durante la notte, raggiunge temperature piuttosto basse. Mancano, inoltre, le risorse finanziarie per lo scavo e si va avanti grazie soprattutto all'opera di volontari che si autotassano per partecipare ai lavori di recupero di quest'antica città.

domenica 15 maggio 2011

Un mosaico bizantino in Siria



Il Dipartimento di scavo del Direttorato per le Antichità di Idleb, in Siria, ha riportato alla luce un mosaico risalente al periodo bizantino nella chiesa di Deir Sounbol, sul monte al-Zawieh. Anas Haj Ziydan, responsabile del Dipartimento di Studi e Scavi, ha affermato che è stata ritrovata solo una parte del mosaico, quella posta nel lato orientale dell'edificio religioso. Il mosaico si estende su una superficie di 5 metri di lunghezza per 4 di ampiezza.
La parte orientale del mosaico reca segni di bruciature, mentre la parte collocata ad ovest delle basi di marmo, è anch'essa danneggiata, come gli angoli settentrionali e meridionali del mosaico. Quest'ultimo reca decorazioni geometriche e floreali con l'aggiunta di parti scritte. Queste ultime sarebbero le preghiere e le suppliche dei religiosi che vivevano nell'annesso convento, il nome del proprietario della chiesa e di colui che supervisionò l'opera.

sabato 14 maggio 2011

I gioielli nascosti del Costarica




Finora si è creduto che la storia delle popolazioni del Costarica iniziasse con l'arrivo degli Spagnoli nel 1502, ma i recenti ritrovamenti archeologici prospettano una ben diversa verità. Infatti ci sono sempre più prove che antiche culture prosperavano qui ancor prima dell'arrivo degli Europei.
Sono tre i siti archeologici, dislocati in diverse parti del paese, a restituire un colpo d'occhio interessante nella vita delle civiltà precolombiane: il complesso di Guayabo e La Montana nella regione di Turrialba e i sentieri del lago Arenal. Ciascun sito mostra i diversi modi in cui si è sviluppata la civiltà costaricana e come vivevano gli antichi abitanti di questa nazione.
Il sito sicuramente più importante è Guayabo de Turrialba, esteso su circa 219 ettari di terreno sul versante sud del vulcano Turrialba. Il Parco Nazionale di Guayabo è stato recentemente istituito proprio per preservare le rovine della città, anche se gli archeologi continuano ad effettuare, all'interno di esso, gli scavi per riportare alla luce i monumenti che ancora giacciono sotto una fitta vegetazione e le tracce degli antichi abitanti. Si ritiene che Guayabo sia stata fondata e costruita nel 1500 a.C. circa. Nel periodo di massima espansione e fortuna, ospitava tra i 10.000 e i 25.000 abitanti. Non si conoscono le ragioni per le quali il sito fu abbandonato nel 1400 d.C., quasi un secolo prima dell'arrivo degli Spagnoli. Nessuna menzione, in merito a Guayanabo, è stata lasciata da questi ultimi.
Di Guayanabo si stima sia stato scavato solo il 10% di tutta la superficie effettiva, scoprendo strade in pietra, vari edifici, cisterne per l'acqua e numerosi petroglifi, che contribuiscono, tutti, a dipingere il ritratto di una società vivace e fiorente. Gli studiosi hanno ipotizzato che il potere era detenuto da due differenti autorità, una politica e una religiosa, la prima nota come Cacique, la seconda chiamata Saman.
Un altro importante sito archeologico nella regione di Turrialba è il complesso di La Montana. Questo sito archeologico non è vasto come Guayanabo, ma ha restituito resti di ceramica che risalgono ad un periodo compreso tra il 1500 e il 300 a.C.. Gli archeologi pensano che alcune ceramiche possano addirittura essere retrodatate al 2000 a.C..
Altra località archeologica, piuttosto misteriosa, si trova vicino alle rive del lago Arenal. L'Arenal è conosciuto per essere il maggior vulcano che funge da sentinella dell'intera vallata e divenne la sede principale delle ricerche di un archeologo dell'Università del Colorado, Payson Sheets. Utilizzando la tecnologia di rilevamento remoto messa a punto dalla Nasa, Sheets ha scoperto l'esistenza di antichi sentieri sia intorno che sotto l'attuale superficie del lago Aranal. Questi sentieri risalgono al 500 a.C. e permettono di indagare meglio sulle usanze di vita della civiltà che viveva nei pressi, che li utilizzò nel corso della sua esistenza. Sheet, unitamente ad altri studiosi, pensano che vi possano essere stati dei gruppi sparsi di esseri umani che abbiano vissuto accanto alla superficie lacustre già 10.000 anni fa, anche se gli insediamenti non divennero stabili se non intorno al 2000 a.C.. Questi antichi coloni si allontanarono durante le frequenti eruzioni dell'antico vulcano, per poi tornare a coltivare i loro campi quando l'Arenal divenne più tranquillo. Anche questi insediamenti scomparvero intorno al 1400 d.C., si pensa a causa di un'epidemia.
L'ultima area del Costarica a rivelare insediamenti preistorici è la penisola di Nicoya. Mano a mano che si procede nella ricerca archeologica e nello scavo, gli studiosi retrodatano i reperti e si configura sempre più un'interazione tra gli Olmechi e le antiche popolazioni del Costarica. Ceramiche ritrovate vicino Guanacaste e risalenti al 300 a.C. testimoniano proprio questo contatto e sembrano essere il preludio di ritrovamenti destinati a dare maggior valore alla connessione tra gli antichi Meso Americani e i primi abitanti del Costarica.

I cavalli rossi di Askondo



In una grotta accanto ad una cava nei pressi di una cittadina industriale spagnola, i ricercatori hanno inaspettatamente scoperto tenui immagini di cavalli e pitture risalenti a circa 25.000 anni fa. L'attività estrattiva della vicina cava ha, purtroppo, danneggiato diverse pareti della grotta dipinta.
Gli speleologi avevano già esplorato nella grotta di Askondo - così è chiamata la cavità - già nei primi anni del 1970 e l'avevano anche catalogata attraverso particolari segnaletiche, ma non si erano accorti dei cavalli ed è stato un bene, perchè così queste figure possono essere ora efficacemente restaurate.
La Spagna è la prima nazione europea dove sono state scoperte grotte con pitture risalenti al Paleolitico. Le scoperte si sono intensificate a partire dal 1879, quando è stata rivelata al mondo la famosa grotta di Altamira, ma piano piano queste scoperte si sono fatte sempre più rare. Infatti nella provincia di Biscaglia, dove si trova la grotta di Askondo, l'ultima scoperta del genere risale al 1904.
Gli artisti del Paleolitico non hanno dipinto esclusivamente gli animali che hanno cacciato e mangiato ma, per qualche ragione che resta ancora ignota, hanno scelto altri animali. In particolare, i cavalli dipinti nella grotta di Askondo sembrano essere contemporanei alla prima fase della decorazione delle grotte di Altamira. Qui, sul soffitto dipinto, al di sotto del noto bisonte, sono state identificate delle figure di animali dipinte in rosso che sono molto simili a quelle ritrovate nelle grotte di Askondo.
In altre grotte nel nord della Spagna delle figure identiche di cavalli, dipinte in rosso, si trovano nei pressi dell'entrata della cavità, dove si può ancora percepire la luce del sole, contrariamente a quel che accade per la maggior parte delle immagini ritrovate in Europa, dipinte nei recessi più bui delle caverne.

giovedì 12 maggio 2011

Una Tac per la principessa del Nilo



Un'antica principessa egiziana avrebbe potuto vivere più a lungo se avesse mangiato in modo più sano, tagliando le calorie, e se si fosse dedicata maggiormente all'attività fisica. Il suo nome, quando era in vita, era Ahmose Meryet Amon ed è vissuta circa 3500 anni fa. Alla sua morte fu sepolta a Deir el-Bahari, il luogo dove venivano sepolte le regine, sulla riva occidentale del Nilo, dalla parte opposta a dove sorgeva la città di Luxor.
Quella della principessa Ahmose Meryet Amon è tra le mummie meglio conservate del Museo Egizio de Il Cairo. Indagini recenti su 52 mummie hanno rivelato che più della metà aveva le arterie ostruite, compresa la principessa Ahmose Meryet Amon, morta per un'ateriosclerosi coronarica che, bloccando le arterie con delle placche, provoca o infarto o ictus.
Ahmose Meryet Amon, Figlia della Luna prediletta di Amun, aveva ben cinque delle arterie maggiori ostruite, incluse quelle che portano il sangue al cervello e al cuore. Se la principessa fosse stata collocata in una macchina del tempo e avesse potuto ritrovarsi in uno studio medico moderno, le sarebbe stata prescritta una dieta e degli esercizi e poi avrebbe dovuto subire un intervento al cuore per l'impianto di un doppio by pass.
Malgrado questa scoperta, gli scienziati non possono mettere la mano sul fuoco sulle cause della morte di questi pazienti particolari, dal momento che gli organi interni sono stati asportati al momento della mummificazione. Comunque i testi medici risalenti all'epoca in cui Ahmose Meryet Amon visse, descrivono molto bene i sintomi di un attacco di cuore potenzialmente fatale: dolori al braccio e al torace.
Il fatto che la principessa facesse parte della cerchia reale, l'ha paradossalmente esposta in modo maggiore ai rischi di un attacco cardiaco, dovuto, in casi del genere, ad un'alimentazione più ricca di calorie, come la carne, e ad una vita più sedentaria. Inoltre altri membri della famiglia di Ahmose Meryt Amon erano afflitti da ateriosclerosi. In aggiunta la principessa soffriva di artrite e di infiammazioni alle giunture e ai denti.

sabato 7 maggio 2011

Colonia Julia Concordia



Concordia Sagittaria, colonia romana con il nome di Julia Concordia, sorge su un luogo frequentato già dal X secolo a.C., ma solo tra il IX e l'VIII secolo il centro, ai margini della laguna, si sviluppò arricchendosi di aree artigianali, delle quali si è ritrovata traccia in numerosi scarti di fornaci nonchè nel rinvenimento di una fornace interrata. E' stata documentata la lavorazione delle corna di cervo e delle ossa di bovini, suini ed equini.
Il termine Sagittaria fu aggiunto al nome originario della cittadina, Julia Concordia, nel secolo scorso, per ricordare la presenza di una fabbrica di frecce. Concordia Sagittaria fu fondata nel 42 a.C., durante il secondo triumvirato, poichè i Romani avevano bisogno di dare terra ai veterani e, nel contempo, creare un baluardo difensivo sul confine orientale, dove si incrociavano due importantissime direttrici: la via Annia e la via Postumia.
La via Postumia fu costruita, dai Romani, nel 148 a.C. e congiungeva Genova con Aquileia. La via Annia, invece, fu costruita dal pretore Tito Annio Rufo, nel 137 a.C., partiva da Adria e giungeva ad Aquileia.
A partire dal III secolo d.C. Concordia fu coinvolta nelle guerre di difesa contro le invasioni barbariche, divenute sempre più frequenti e massicce. Nella metà del V secolo d.C. gli Unni, guidati da Attila, dopo essersi impadroniti di Aquileia, misero sotto assedio Concordia e la rasero, poi, al suolo. Promotrice della rinascita cittadina fu la chiesa, che con il Vescovo di Concordia e la comunità che attorno a lui si coagulò, si fece promotrice del mantenimento dell'identità storica e culturale. Il cristianesimo, infatti, si era diffuso largamente a Concordia, attraverso soprattutto i contatti commerciali con l'Oriente e gli spostamenti militari. Da Concordia Teodosio I emanò due leggi importantissime che contribuirono grandemente alla diffusione ed all'affermazione del cristianesimo: la De Fide Testium e la De Apostasis. Sempre Teodosio elesse la città a sua residenza.
Furono due le figure più importanti che caratterizzarono i primi secoli del cristianesimo: il monaco Paolo (III secolo d.C.) e l'esegeta Rufino (IV secolo d.C.). Nel 389 Concordia Sagittaria fu eletta sede vescovile e continuò a prosperare sino all'avvento dei Longobardi, evento che segnò la sua decadenza. Divenne, allora, cava di materiali per costruzione, evento attestato dall'abbondanza di resti architettonici utilizzati per costruire la chiesa paleocristiana.
I primi scavi regolari vennero effettuati alla fine dell'Ottocento e consentirono di riportare alla luce importanti monumenti della colonia romana quali il ponte e il teatro, tuttora visibili, il foro (situato all'incrocio tra il cardo e il decumano massimi) e la presunta fabbrica di frecce che fornì l'altro nome della città. E' stato scavato anche un grande sepolcreto contenente 260 sarcofagi di epoca tardo-antica le cui iscrizioni, per evitare che si deteriorassero e divenissero illegibili, furono segate e trasportate nel Museo Nazionale Concordiense di Portogruaro. Il ponte romano fu costruito in epoca augustea e restaurato in epoca giulio-claudia. Originariamente era a tre arcate, delle quali ne sopravvive solo una, ed era costruito in blocchi squadrati in trachite, senza legante.
I resti più importanti si trovano nella piazza della Cattedrale di Santo Stefano, al di sotto e al fianco della chiesa. Si tratta di un complesso di monumenti scavati tra il 1950 e il 1970, comprendente due sepolcreti pagani a tre nicchie, davanti ai quali si trova uno dei più antichi monumenti cristiani del Veneto: una Trichora, edificio con tre absidi, risalente originariamente alla metà del IV secolo d.C. e destinato, allora, a monumento per onorare le reliquie dei martiri. In seguito l'edificio, con l'aggiunta di un avancorpo a tre navate, divenne una piccola basilica con cortile antistante e zona sepolcrale con sarcofagi iscritti a fianco.
Nel 1168 il vescovo Reginpoto costruì il Battistero che sovrasta gli scavi e che si accorda, architettonicamente, all'antica trichora. Sul fianco nord di quest'ultima si sviluppa una grande Basilica.
La chiesa fu utilizzata fino alla seconda metà del VI secolo d.C., fu più volte rimaneggiata, soprattutto nella zona presbiteriale e nel pavimento. Fu distrutta da un incendio e sulle sue macerie confluirono ben due metri di sabbia a causa di diverse alluvioni. Due secoli più tardi fu costruito un edificio religioso più piccolo, a tre absidi di cui sono, attualmente, visibili i resti delle fondazioni per quel che riguarda due absidi. A questa chiesa altomedioevale si sostituì, alla fine del X secolo d.C., la Cattedrale trasformata, nella struttura, nel 1466 e tuttora utilizzata.
Ultimamente, nella piazza antistante la chiesa e al complesso paleocristiano, sono stati rimessi in luce ampi tratti di strada romana con basoli in trachite che recano ancora impressi i segni del passaggio dei carri. Questa strada, che usciva dalla porta urbica orientale, è stata identificata dagli archeologi con la via che raccordava Concordia alla via Annia. A sud si sviluppavano, invece, i resti di magazzini che i Romani avevano costruito come un grande edificio articolato in corpi paralleli suddivisi in ambienti pavimentati dapprincipio in assi di legno, poi in cubetti di cotto. In un fossato, lungo il fianco occidentale dei magazzini, si riversava la cloaca originariamente coperta a volta, che usciva dalla città passando sotto le mura di cinta.

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