lunedì 27 giugno 2011

Anxa, la città di Angitia

Santuario della dea Angitia a Luco dei Marsi
basamento del tempio
I Marsi, antica popolazione italica affine agli Umbri e ai Sanniti, occupavano, un tempo, la conca del Fucino, la valle del Giovenco (affluente del Fucino da est) e l'alta valle del Liri. Sulla sponda nord ovest del lago si trovavano gli Equi nel cui territorio i Romani costruirono, nel 303 a.C., la città di Alba Fucens.
Contemporanea alla fondazione di Alba Fucens fu l'alleanza dei Marsi con i Romani, che pose fine a decenni di guerre. I Marsi adottarono la lingua e gli usi latini e furono fedeli ai Romani persino quando Annibale arrivò a minacciare da vicino l'Urbe. Si ribellarono solo nel 91 a.C., guidando la rivolta degli Italici e dando luogo a quella che fu chiamata Guerra Sociale. Obiettivo: l'integrazione nello stato romano, con pari diritti e pari dignità. I Romani vinsero la guerra ma concessero agli Italici ciò che avevano chiesto.
I Marsi furono iscritti nella tribù Sergia. Fino a quel momento essi occupavano insediamenti fortificati d'altura (oppida), non molto grandi, ai cui piedi sorgevano numerosi villaggi aperti (vici). Esistevano, poi, diversi santuari che avevano una vita piuttosto ricca, aperta anche a influssi culturali esterni, soprattutto magnogreci. Con la conquista romana Alba Fucens e le città come lei, divennero municipia. Dove non esistevano centri abitati di una certa importanza, i Romani cercarono quelli più popolati e sviluppati e li promossero a rango di municipi, avviando il processo di fitta urbanizzazione del territorio.
L'indagine archeologica concorda con le fonti romane (Plinio il Vecchio), riconoscendo tre centri principali, quindi tre municipi. Il primo era quello degli Anxatini (o Anxates) Luceres, abitanti di Anxa, sorta presso il lucus Angitiae, il santuario del bosco sacro alla dea Angizia, la dea nazionale dei Marsi (identificato nell'attuale Luco dei Marsi). C'erano, quindi, gli Antinates, che abitavano ad Antinum, odierna Civita d'Antino, nella Valle Roveto. E poi, infine, la comunità più importante, quella dei Marruvini detti Fucentes, per distinguerli dagli abitanti di un centro omonimo nel reatino.
Questi centri prosperarono soprattutto tra il I e il II secolo d.C., usufruendo dei vantaggi proventi dalla bonifica del lago Fucino ad opera degli imperatori Claudio, Traiano e Adriano.
Il nome Marsi Anxates, ricordato da Plinio il Vecchio, presuppone l'esistenza di una città presumibilmente chiamata Anxa, direttamente affine al nome della dea nazionale, Angitia che, nella forma arcaica, compare come A(n)ctia. Forse anche la città mitica di Anchisia ha un collegamento con Anxa. Anchisia era ricordata come una delle città troiane da Dionigi di Alicarnasso. Già nel III secolo a.C. Anxa, comunque, appare fortemente connessa alla dea Angitia ed al suo culto. La lamina bronzea di Caso Cantovios attesta intorno al 294 a.C. la dedica di un dono alla dea A(n)ctia da parte di soldati Marsi che avevano combattuto al fianco dei Romani ai confini del territorio dei Galli.
Un culto estremamente complesso, quello di Angitia, che le fonti vogliono fosse manipolatrice di serpenti e veleni, dal momento che i Marsi stessi avevano fama di essere incantatori di serpenti e conoscitori di erbe. In realtà Angitia era connessa al ciclo solare ed agrario ed al mondo sotterraneo dei defunti. Caso Cantovios, colui che fece incidere la lamina bronzea che reca il suo nome, era un liberto del II secolo a.C., il che porta a pensare che anche Angitia, come Feronia, avesse un ruolo nella liberazione degli schiavi. Ad Antinum è stata ritrovata una dedica nei pressi del santuario di Colle d'Angelo che la collega alle fonti.
In diverse iscrizioni peligne Angitia compare con l'epiteto di Cereia, il che fa pensare che, ad un certo punto, il suo culto fosse stato assommato a quello di Demetra e Persefone.
Il centro di Anxa sorse già nell'Età del Ferro, quando fu costruita una cinta in opera poligonale che abbracciava un'area di 14 ettari intorno alle tre cime del monte Penna. Già allora Angitia avea il suo santuario ai piedi del monte, sulle rive del lago, dove fu ritrovata la lamina di Caso Cantovios. Originariamente doveva trattarsi semplicemente di un boschetto sacro, tant'è vero che il santuario continuò a chiamarsi lucus Angitiae persino quando cominciò ad ospitare diversi edifici di culto. Successivamente fu costruita la cinta in opera poligonale i cui resti si possono oggi ammirare nei pressi della chiesa di S. Maria delle Grazie. Un'unica cinta, dunque, abbracciò sia il monte Penna che il santuario di Angitia. Tra l'oppidum e il santuario si venne ad avere un'area di 30 ettari che gli studiosi pensano sia stata edificata nel IV secolo a.C.. I ritrovamenti della campagna di scavo del 2003, in particolare l'eccezionale statua di culto in terracotta, con la dea in trono, risalente al III secolo a.C. ed attribuibile ad un artigiano greco, hanno confermato l'esistenza, tra il IV e il III secolo a.C., di profondi legami culturali tra le popolazioni dell'Appennino centrale e le colonie greche dell'Italia meridionale.
Il santuario di Angitia mantenne la sua vitalità anche all'indomani delle guerre sociali e persino in età imperiale, quando fu restaurato e rinnovato. Nel 52 d.C. Claudio iniziò dei grandi lavori per la realizzazione dell'emissario artificiale del lago del Fucino. Anxa funse da base operativa. Con Adriano l'opera venne portata a termine ed un ampia fascia del lago poté essere messa a coltura. Trent'anni fa, all'interno del lago, è stato recuperato un cippo che segnava i nuovi confini dei municipi di Alba Fucens, Anxa e Marruvium. Per indicare Anxa si utilizzò il nome della dea Angitia, dal momento che le terre strappate al lago erano state attribuite al santuario della dea.
Per un secolo, a partire da Claudio, Anxa fu anche un distaccamento della flotta imperiale di stanza a Ravenna con compiti, probabilmente, di manutenzione dell'emissario artificiale. Quando quest'ultimo perse la sua efficienza, Anxa declinò rapidamente, finquando un terremoto, nel 508 d.C., non mise definitivamente fuori uso il canale artificiale.

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