domenica 31 luglio 2011

Frammenti di antico splendore: la Domus Aurea

La cosiddetta sala ottagonale nella Domus Aurea
La Domus Aurea è l'espressione tangibile del potere raggiunto dalla Roma imperiale. Un'imponente costruzione edilizia, il vero e proprio palazzo imperiale dell'Urbe. Così era stato concepito.
Ottaviano Augusto aveva abitato in una semplice dimora sul Palatino, accanto alla casa di Livia e la prima casa di rappresentanza degna di questo nome fu la domus Tiberiana, in cui abitavano i Giulio Claudi. Fu sotto Nerone, però, che il concetto di dimora imperiale andò sviluppandosi in immagini e realizzazioni grandiose.
Dopo l'ennesimo incendio che funestò Roma nel 64 d.C., Nerone diede disposizioni affinchè fosse edificato un nuovo, grandioso, palazzo, una vera e propria residenza imperiale nel cuore di Roma. Tacito sostiene che il progetto sia stato affidato agli architetti Celere e Severo, che trassero ispirazione dalle grandi ville marittime sul golfo di Napoli e gettarono le fondamenta della nuova casa imperiale tra la Velia e il Palatino, su una parte del Colle Oppio, degli horti dell'Esquilino e del Celio, dove era un tempio dedicato a Claudio trasformanto in un ninfeo.
Nella parte più bassa della valle, al suo centro, era stato scavato un lago artificiale circondato da boschi e giardini. Oggi non si riesce nemmeno ad intuire cosa relamente fosse questo grandioso e monumentale progetto. Del resto già a 34 anni dalla sua costruzione rimaneva ben poco del sogno imperiale, devastato parzialmente da un altro incendio. Poi, nel 104 d.C., l'imperatore Traiano si fece costruire le sue terme proprio sul padiglione del Colle Oppio, sfruttando le strutture neroniane. Questo contribuì a preservare il grande padiglione, il solo testimone della grandiosità della Domus Aurea che sia pervenuto sino ad oggi.
Il padiglione era composto da circa 150 stanze che si affacciavano sui giardini, prive di porte, di riscaldamenti e di servizi. Probabilmente si trattava di stanze con funzione di rappresentanza. Le terme di Traiano, impiantatesi sui resti del padiglione, hanno interferito con la costruzione originaria con muri e divisioni, alterandone le proporzioni, togliendogli la luce e facendo inevitabilmente scomparire gli affreschi che dovevano ornare le pareti, originariamente rivestite in marmo e stucchi.
Nelle stanze della Domus Aurea sono stati ritrovati veri e propri capolavori quali il Galata suicida, il Galata morente e il Lacoonte, che fanno pensare ad una ricchissima decorazione scultorea che doveva comprendere i capolavori più alti della statuaria antica.
Tacito racconta: "Non tanto erano da ammirare gemme e ori, quanto terreni coltivati e laghi, di qua parchi come selvagge foreste, di là liberi spazi e prospettive: opera dei fantasiosi architetti Severo e Celere, la cui geniale arditezza si sbizzarriva nel creare con l'arte ciò che natura non offriva" (Annali, XV, 42).
La planimetria del padiglione suggerisce la presenza di due grandi ali: quella orientale che si incentra sulla sala ottagonale, nucleo di un corpo di fabbrica rettangolare racchiuso tra due cortili pentagonali; quella occidentale, i cui ambienti circondavano un grande cortile a peristilio (nascosto dalle sostruzioni traianee). Nella zona posteriore vi erano due criptoportici che fungevano da disimpegno e come passaggio veloce tra le due ali della struttura.
Nel cosiddetto Corridoio delle Aquile si può ammirare la raffinata decorazione della volta, solo parzialmente conservata: aquile ad ali spiegate su clipei con cariatidi, pavoni, grifoni, candelabre. Nel riquadro centrale era raffigurato l'abbandono di Arianna addormentata da parte di Teseo.
Il Ninfeo di Ulisse e Polifemo è raggiungibile dal Corridoio delle Aquile. Qui vi erano giochi d'acqua e cascatelle. Il ninfeo era illuminato dalle tre finestre sui lati. I colori delle pareti, le vasche di marmo, le rifrangenze dell'acqua e il mosaico delle volte in tessere di pasta vitrea rendevano l'ambiente luminoso come una grotta marina o un acquario. Le pareti erano rivestite da un mosaico e la volta del ninfeo ospitava la raffigurazione di Ulisse nell'atto di porgere a Polifemo una coppa di vino.
La decorazione delle diverse sale richiamava molti degli episodi cantati da Omero: il riconoscimento di Achille a Sciro, l'addio di Ettore ad Andromaca.
In un secondo tempo il ninfeo venne trasformato: i colonnati della sala antistante vennero sostituiti con un muro a tre porte e le finestre vennero chiuse e trasformate in nicchie. Qui, probabilmente, vennero poste delle statue.
Nell'ala orientale una prima stanza si affaccia su un piccolo cortile su cui si aprivano le finestre del ninfeo. Una seconda stanza è decorata con architetture a più piani e finte finestre dalle quali si affacciavano alcuni personaggi. Ogni sala è decorata diversamente: talvolta con il rosso porpora, colore molto apprezzato nell'antichità e piuttosto costoso poichè ottenuto da una murice che ne produceva in scarsa quantità.
Un corridoio che si diparte nella zona orientale ospita alcune stanze sulla sinistra, mentre sulla destra si apriva all'esterno. Qui è visibile solo il terrapieno di riempimento di età traianea. La più grande delle stanze qui presente è chiamata della "volta dorata" e si trova al centro di un cortile.
In un riquadro centrale era affrescato il rapimento di Ganimede da parte di Zeus, oggi, purtroppo, perduto. Vi erano, poi, soggetti tratti dai miti più conosciuti. Forse autore di queste scene fu un certo Fabullus, pittore di corte di Nerone ricordato da Plinio. La volta della stanza era coperta di dorature e le pareti erano decorate con marmi pregiati, che Traiano fece recuperare da pavimenti e muri prima di dar l'ordine di interrare e chiudere il padiglione di Nerone.
L'ambiente sicuramente più impressionante e che meglio rimanda i bagliori del passato è il lungo e spettacolare corridoio che collega tutto il settore orientale al padiglione. Corridoio illuminato da finestre a bocche di lupo e finestre strombate sulle pareti ricoperte da affreschi fino a terra. In antico gli ambienti maggiori erano rivestiti di marmo fino alle volte, mentre quelli meno importanti recavano il mrmo fino ad una certa altezza o ne erano completamente privi.
Certamente la stanza più famosa del complesso del padiglione è la cosiddetta sala ottagonale, per la sua forma. Essa è circondata da cinque stanze a raggiera, delle quali la centrale è un grande ninfeo con cascata d'acqua sul fondo, acqua che proveniva dal colle del Celio e arrivava attraverso un archetto del criptoportico. La sala ottagonale si apriva sul panorama del lago artificiale e della vallata. La sua volta è in calcestruzzo e si inserisce sull'ottagono, conservando l'emisfericità nella parte superiore. Si tratta di uno dei primissimi esempi di volta gettata che diventerà, nel tempo, la caratteristica più innovativa e audace della tecnica costruttiva romana (come nelle coperture delle stanze di Villa Adriana o nella cupola del Pantheon). Sia le pareti della stanza centrale che quelle delle stanze laterali erano rivestite di marmi. Le volte erano coperte di stucchi e mosaici e tuttora sono visibili i segni delle tavole di legno utilizzate per creare la gettata di calcestruzzo. Gli studiosi pensano che si sia trattato di un rivestimento temporaneo in legno o altro materiale facile da asportare, per questo, forse, si è portati a credere che la stanza non sia stata mai ultimata.

Il mosaico di Apollo dorato

Apollo, particolare del mosaico
ritrovato a Roma
Come scritto qui, a Roma è stato ritrovato un preziosissimo mosaico, sul Colle Oppio, raffigurante Apollo e le Muse. Si trova a due passi dalla famosa Domus Aurea, il palazzo imperiale che Nerone avrebbe voluto costruire per sé e per i suoi discendenti sul colle romano.
Il 29 luglio scorso l'assessore alla Cultura Dino Gasperini e il sovrintendente ai Beni Culturali di Roma Umberto Broccoli hanno presentato alla stampa l'eccezionale opera d'arte riaffiorata dall'oblìo al quale l'avevano consegnata i secoli e l'incuria. Apollo e le Muse a lui care si trovano non lontano dall'affresco della "città ideale", nel criptoportico traianeo. Affresco scoperto nel 1998.
Apollo, tra l'altro, è il protagonista dell'affresco della "città ideale", dove è raffigurato sotto forma di grande statua. Queste opere d'arte sono inserite sotto la grande esedra del complesso termale ideato per l'imperatore Marco Ulpio Nerva Traiano nel 109 d.C. da Apollodoro di Damasco.
Il mosaico di Apollo e le Muse, però, sembrano appartenere ad un edificio precedente l'impianto traianeo. Si pensa ad un Musaeum, luogo che, in antichità, era dedicato alle Muse, protettrici delle arti, dove i ricchi Romani si riunivano per ascoltare musica e parlare d'arte. A scoprirlo sono stati gli archeologi della Soprintendenza comunale, guidati da Rita Volpe.
Il criptoportico in età moderna aveva ospitato una polveriera napoleonica ed ha cominciato ad essero oggetto d'indagine sin dalla metà degli anni '90 del secolo scorso. Proprio qui, in fondo ad una galleria lunga 60 metri e larga 8 fu riportato alla luce l'affresco che ritraeva la cosiddetta "città ideale" ripresa a volo d'uccello. Un affresco eccezionale: una città con la sua cerchia di mura turrite, sulla sinistra il corso di un fiume attraversato da ponti e accompagnato da camminamenti. In basso un mausoleo che sembra dorato e delle case di colo rosso, poi un quadriportico collonnato, templi ed altri edifici su un'altura. Al centro della città una statua dorata di dimensioni colossali posta all'incrocio tra due strade. Ed ancora un teatro con la stessa raffigurazione di Apollo che compare sul mosaico appena scoperto.
Già in passato, in un vano adiacente a quello dove si trova il mosaico, erano stati individuati affreschi raffiguranti la vendemmia e il culto della vite. Durante gli scavi, poi, all'interno della galleria del criptoportico è stata rinvenuta un'altra struttura muraria, anteriore a quella traianea, sulla quale si trova il mosaico parietale oggi restituito alla città, con i suoi due metri di altezza e sei di lunghezza. Finora la parte scavata ha messo in luce solo la parte superiore delle nove figure. Si presume che la parete scenda per altri dieci metri dal punto attuale fino a raggiungere il ninfeo che vi si affacciava.

Kha e l'oggetto misterioso

Lo "strano oggetto" ritrovato nel corredo di Kha
Da circa cento anni o poco più, gli archeologi si stanno interrogando sulla funzione di un oggetto ritrovato nella sepoltura di un architetto egizio. Una studiosa, ora, sostiene che possa trattarsi del primo goniometro conosciuto al mondo, basandosi sui numeri codificati nella parte interna e sulle incisioni riportate sulla superficie.
L'oggetto misterioso è stato ritrovato nella tomba dell'architetto Kha, che ideò e costruì le tombe dei faraoni della XVIII Dinastia, intorno al 1400 a.C.. La tomba di Kha fu scoperta nel 1906, dall'archeologo italiano Ernesto Schiaparelli, a Deir el-Medina, nei pressi della Valle del Re.
Nel corredo funerario dell'architetto dei faraoni sono stati trovati diversi oggetti interessanti. Oltre al sarcofago di Kha, ornato di decorazioni d'oro e fatto di legno di cedro, sono stati rinvenuti oggetti di uso quotidiano: letti, poggiatesta, sgabelli, vasi canopi, tuniche e vesti di lino, contenitori con biancheria e addirittura cibo fossilizzato: varie specie di pane, olive, aglio. Inoltre, una elegante sedia decorata con una statuetta appoggiata sopra raffigurante Kha.
Kha fu sepolto anche con tutti gli attrezzi del mestiere: due cubiti (unità di misura pari a 52,5 cm), uno in legno di acacia e ripiegabile, contenuto in un astuccio di pelle rossa con una piccola cinghia per poterlo appendere alla cintura; l'altro ricoperto in lamina d’oro con incise alcune iscrizioni, donatogli direttamente dal faraone.
Questi oggetti sono ora esposti al Museo Egizio di Torino.
Amelia Sparavigna, fisico del Politecnico di Torino, pensa che uno degli strumenti ritrovati nella tomba dell'architetto Kha sia un goniometro. La chiave di volta, sostiene la studiosa, sono i numeri che "decorano" questo strano oggetto, che somiglia ad una bussola con sedici "petali" spaziati tra loro in modo uniforme e circondati da un anello con 36 angoli. Questi ultimi richiamano i decani, vale a dire i 36 gruppi di stelle conosciuti dagli antichi Egizi. Sparavigna sostiene che, dunque, l'oggetto aveva due scale, una basata su frazioni egiziane (i sedici petali) e l'altra sui decani (i 36 angoli).
Kate Spence, archeologa all'Università di Cambridge, specializzata proprio in architettura egizia, non è convinta di questa spiegazione e ritiene che l'oggetto misterioso ritrovato nella tomba di Kha sia puramente decorrativo. Gli egiziani, afferma, quando vogliono sanno essere estremamente accurati nell'esecuzione e nella resa degli oggetti e questo misterioso congegno non sembra avere una fattura granchè accurata.
La tomba di Kha conteneva anche il corredo della moglie Merit, tra cui figura una parrucca di capelli veri di color nero, ancora impiastricciata del grasso del profumo che vi era stato fatto sciogliere sopra.

venerdì 29 luglio 2011

Una necropoli longobarda a S. Albano Stura

Orecchino d'oro dalla
necropoli longobarda
Lavori di sistemazione stradale sul percorso Asti-Cuneo hanno permesso di riportare alla luce un complesso archeologico straordinario, situtato nel territorio di S. Albano Stura.
Nella frazione di Ceriolo è stata rinvenuta la più importante necropoli longobarda in Italia, nonchè la più importante in Europa poichè sembra risalga al VII secolo a.C.. Gli archeologi della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte hanno indagato ben 760 tombe poste su file parallele, tutte orientate est-ovest, con il cranio del defunto posto ad ovest. Sul fondo di ciascuna sepoltura si sono ritrovati alcuni ciottoli che sorreggevano tavole lignee, la cui presenza è suggerita da altri ciottoli disposti lungo il "confine" della fossa che, scivolando all'interno, hanno coperto parzialmente alcuni oggetti di corredo. Più rare le sepolture entro un tronco d'albero o una cassa lignea, che ha lasciato una cavità dovuta alla decomposizione del legno. Cavità riempitasi, in seguito, di argilla.
L'eccezionalità del ritrovamento è dovuta al fatto che più di metà delle sepolture presenta un corredo funerario. La maggioranza delle tombe maschili ha, nel corredo, un coltello (scramasax), cinture di bronzo e ferro ageminato. Pochissime sepolture maschili presentano, nel corredo, la spada (spatha), la lancia, punte di freccia o cesoie.
Ci sono molte donne e bambini, tra gli inumati. Le sepolture femminili contengono collane in vaghi di pasta vitrea o ambra, braccialetti (armillae) in vetro, ambra e bronzo. Rari gli orecchini d'oro o d'argento.
Il complesso funerarrio è venuto alla luce nella primavera del 2009, ma se ne ha notizia solo ora, a scavi ultimati. Non sono emersi resti umani, forse a causa dell'acidità del terreno. Sono state ritrovate solamente le ossa di un bambino, poichè la sua sepoltura presentava una copertura a mattoni.
I materiali di scavo sono stati portati nel laboratorio del Museo di Antichità di Torino.
Probabilmente, pensano gli studiosi, si tratta di un complesso di sepolture collegate ad un grande insediamento longobardo sorto in prossimità del fiume.

giovedì 28 luglio 2011

Roma delle sorprese, un mosaico al Colle Oppio

Il criptoportico di Traiano
Un ritrovamento eccezionale a Roma: al Colle Oppio è emerso un mosaico di Apollo a due passi dalla domus aurea. Un mosaico di grandi dimensioni, non lontano dall'affresco della città ideale ritrovato nel 1998.
Il mosaico si trova sotto la grande esedra delle terme di Traiano, ideata da Apollodoro di Damasco, architetto personale dell'imperatore, ed ha al centro Apollo e le Muse. Apollo era già stato raffigurato nell'affresco sulla "città ideale". Probabilmente, però, la scoperta appena fatta riguarda un edificio precedente l'impianto traianeo. Il mosaico risale al I secolo d.C.

Non solo anfiteatro

Il Colosseo
Il Colosseo non è stato solo e semplicemente un anfiteatro, un luogo di divertimenti e di morte. Il monumento simbolo di Roma ospitava anche botteghe ed attività produttive. E' questa la scoperta emersa dagli ultimi scavi della Soprintendenza speciale per i Beni Archeologici di Roma e dell'Università Roma 3.
Nel decimo cuneo dell'area meridionale è stato riportato alla luce una sorta di focolare, dei muri e una porzione di piano calpestabile del XII secolo pertinenti ad un'abitazione. In fondo al cuneo è stato identificato anche un calcatorium, una vasca che veniva utilizzata per la conservzazione del vino nel XIII secolo. Sono state anche ritrovate medagliette votive, monete e resti di ceramiche.
Dunque, nel Medioevo, il Colosseo ospitava vere e proprie abitazioni e botteghe.

mercoledì 27 luglio 2011

Gli irriducibili Galli Boi

Tracce dei Galli Boi ritrovate nell'antica
Felsina/Bononia
I Galli Boi furono una delle più importanti tribù celtiche che invasero la Padania. Attraversarono le Alpi attraverso il passo del Gran San Bernardo per passare il Po ed andare ad occupare il territorio compreso tra quest'ultimo e i contrafforti dell'Appennino, venendo in contatto con Liguri, Umbri ed Etruschi. Nessuno dei centri dei Galli Boi fu così importante da assumere il ruolo di capitale, neanche quello che si era insediato sulle rovine dell'etrusca Felsina (oggi Bologna).
I Boi entrarono in aperto conflitto con i Romani dopo la vittoria di questi ultimi a Sentino, nelle Marche, contro la coalizione composta da Sanniti, Etruschi, Galli Senoni e Umbri (295 a.C.). I Boi furono sconfitti nel 283 a.C. dal console P. Cornelio Dolabella, presso il lago Vadimone, nel Viterbese. La stessa cosa accadde l'anno seguente, quando i Boi si arresero a Q. Emilio Papo.
Mai completamente sconfitti, i Galli Boi provarono nuovamente ad insorgere nel 238 e nel 236 a.C., quando mossero per attaccare Rimini, e di nuovo nel 231 quando, unitamente agli Insubri della Lombardia e ad un sostanzioso contingente di Gesati provenienti dalla valle del Rodano, misero a ferro e fuoco l'Etruria spingendosi fino al Tirreno. I Romani intervennero con estrema decisione utilizzando entrambi gli eserciti consolari, rinforzati dagli alleati italici e da contingenti di Veneti e Galli Cenomani. I Boi furono annientati presso Talamone. Lo storico Polibio scrive che 40.000 furono i morti dei Boi e 10.000 i prigionieri. Era il 225 a.C., l'anno seguente i Boi, nuovamente ribellatisi, dovettero ancora una volta sottomettersi al potere romano.
La discesa di Annibale in Italia nel 218 a.C. fu un'occasione ghiotta di cui i Boi approfittarono per risollevarsi. Nel 216 a.C., lo stesso anno della disfatta di Canne, riuscirono, utilizzando uno stratagemma, a distruggere due legioni romani all'interno della Silva Litana, una foresta che si è localizata tra Modena e Reggio. Qualche anno più tardi Placentia cadde nelle mani dei Galli.
Agli inizi del II secolo a.C., dopo essersi liberata di Annibale, Roma si preparò a riconquistare la Padania, nella quale doveva fronteggiare gli irriducibili Boi. Questi furono sconfitti da Scipione Nasica, cugino di Scipione l'Africano, nel 191 a.C. e definitivamente sottomessi. Il trionfo che Scipione celebrò a Roma fu particolarmente ricco per quel che riguarda il bottino: armi, insegne, cavalli, 1471 torques (caratteristici collari celtici) d'oro, 247 libbre d'oro e 2340 d'argento grezzo e lavorato in forma di vasi e moltissime monete.
Il 30 dicembre 189 a.C. fu fondata la colonia latina di Bononia là dove un tempo sorgeva l'etrusca Felsina, antenata dell'attuale Bologna.

Ritrovata la tomba di Filippo, uno degli Apostoli

Rovine di Hierapolis
Gli archeologi italiani, diretti dal professor Francesco D'Andria, hanno ritrovato a Pamukkale (antica Hierapolis, in Turchia), la tomba di  Filippo, uno dei dodici apostoli.
Filippo era originario della Galilea ed evangelizzò l'Asia Minore. Finì i suoi giorni lapidato e crocifisso dai Romani a Hierapolis.
La spedizione italiana aveva già identificato il sepolcro del santo nel 2008. Che si tratta proprio della tomba di Filippo, il professor D'Andria lo ha dedotto dalla struttura della sepoltura e dalle iscrizioni che vi ha ritrovate.
La tomba, per il momento, non è stata aperta.

martedì 26 luglio 2011

Tracce dell'etrusca Viterbo

Viterbo, Colle del Duomo
Nella seconda metà del '400 il domenicano viterbese Giovanni Nanni, conosciuto meglio con il soprannone latinizzato di Annio, nei suoi Commentari, contribuì alla nascita del mito etrusco, servendosi spesso di testi apocrifi.
Annio attribuiva la fondazione della città di Viterbo a Noè, che avrebbe costruito quattro castelli: Fanum, Arbanum, Vetulonia e Longula (la Tetrapoli viterbese, il cui acrostico FAVL compare nello stemma cittadino).
Le teorie di Ennio popolarono la fantasia di molti per diverso tempo, fin quasi al XIX secolo. Quel che è certo è che c'è un paleonimo latino, Sorrina Nova, attestato da alcune iscrizioni dell'età di Augusto ritrovate in territorio viterbese. Dal nome latino si può risalire al toponimo etrusco che suona come Surina o Surna. Il nome derivava da una divinità di nome Suri, di carattere ctonio, legata alle diverse manifestazioni termali della zona. A Suri era dedicato anche un culto oracolare, attestato da una lastrina in bronzo fuso con incisa un'iscrizione che riporta il nome della divinità ed un aggettivo che ne descrive i poteri. La lastrina risale, presumibilmente, al IV-III secolo a.C. ed oggi è custodia nel Museo di Villa Giulia a Roma.
La città di Surina sorgeva su un colle, il Colle del Duomo, dove, nel Medioevo, furono edificati la Cattedrale di San Lorenzo e il Palazzo dei Papi. Qui, in epoca arcaica, vi era già un insediamento etrusco, un'arce in tufo in tutto e per tutto simile ad un'acropoli.
Nel 1933 i lavori di abbassamento del piano della piazza del Duomo permisero di scoprire tratti di muro in peperino che, con tutta probabilità, appartenevano ad una cinta difensiva. Altri rinvenimenti occasionali confermarono le ipotesi che il cuore di Viterbo medioevale aveva ospitato un centro etrusco. A quest'ultimo, con un continuum temporale senza particolari interruzioni, era seguito il centro romano, attestato dai resti di un antico ponte in opera quadrata riferibile al II secolo a.C., visibile presso l'attuale Ponte del Duomo.
Alcuni cronisti viterbesi riportano, poi, la tradizione di un Castrum Herculis, localizzato sul Colle del Duomo, forse riferimento ad un antico luogo di culto dedicato a Ercole, che gli Etruschi assimilavano al dio Suri. Una notizia, riportata negli Acta Martyrum, a proposito del sacerdote Valentino e del diacono Ilario, patroni della città, riferisce che ai due fu ordinato di sacrificare al dio Ercole che, nel IV secolo d.C., aveva ancora un tempio in città.
Le necropoli attestate sul Colle del Duomo hanno rivelato una frequentazione ininterrotta dall'età arcaica fino a quella imperiale. I corredi recuperati indicano un periodo di vitalità del centro tra il IV e il III secolo a.C., caratterizzato da un costante rapporto con Tarquinia, a cui Surina era legata politicamente.
Tra le famiglie gentilizie di Surina è attestata la presenza dei Cilna, il cui ramo principale era originario di Arezzo e dal quale, in epoca augustea, discese Mecenate.
Sorina Nova divenne municipium nell'87 a.C. ed entrò a far parte della tribù Stellatina. Dalle iscrizioni si sa che possedeva un macellum (mercato) e delle terme.

sabato 23 luglio 2011

Il Colosseo
Una squadra di studenti universitari di Roma Tre, cattedra di Archeologia urbana, ha scavato per sei settimane nell'Anfiteatro Flavio, concentrandosi sul Cuneo III e sul Cuneo X, sul lato meridionale del Colosseo. Proprio qui sono emerse preziose testimonianze del XII e XIII secolo, che dimostrano che il Colosseo ospitava, oltre ai giochi circensi e ad una folla immensa, tabernae, fienili, stalle, ovili e persino abitazioni private con tanto di cucina.
Nel Cuneo X è stata ritrovata traccia di un focolare (pietre disposte a circolo), frammenti ossei animali di piccola taglia, numerosissimi gusci di telline, lumachine, carapaci di tartarughe. In fondo al Cuneo due vasche poco profonde interpretate come "calcatorium" dove, pigiando l'uva, si produceva il vino.
Alla fine del XIII secolo risalgono due grandi fosse laterali, a causa della spoliazione dei blocchi di travertino che rivestivano le mura del Cuneo

La casa perduta e ritrovata di Tel Shikmona

La casa di Tel Shikmona
Un eccezionale lavoro di archeologia combinata a indagini degne del miglior detective ha portato, durante la prima stagione di scavi a Tel Shikmona, nella zona sud della cittadina di Haifa, alla scoperta delle rovine di una casa datata al Regno di Israele.
Il sito era stato già scavato 40 anni fa, ma lo stato di abbandono e le continue sovrapposizioni di spazzatura e terra che si erano accumulati negli anni, hanno nascosto i resti e disperso la memoria di quello che era nascosto sotto il groviglio di terra e detriti. Gli archeologi dell'Università di Haifa sono rimasti sorpresi di trovare dei resti ben conservati di una casa di quattro stanze.
"Abbiamo visto le strutture su alcune vecchie foto e ci siamo rammaricati che un così raro ritrovamento, oltretutto ben conservato, fosse sparito a causa del progressivo abbandono. Non eravamo sicuri di poterlo più recuperare. E' stato, praticamente, un miracolo che siamo riusciti a localizzarlo e scoprirlo ancora ben conservato", ha detto il dottor Shay Bar dell'Istituto Archeologico Zinman dell'Università di Haifa.
Tel Shikmona, sulla costa sud di Haifa, si trova nella riserva e nel parco naturale di Shikmona. E' stato scavato negli anni '70. Negli ultimi anni, comunque, i ritrovamenti archeologici a Tel Shikmona hanno subito gravi danni a causa dei cumuli di rifiuti ammassati nel sito e dei veicoli che vi sono passati. Le ricerche degli archeologi sono iniziate circa sei mesi fa.
Le fotografie degli anni '70 fatte sul luogo di scavo, mostrano una casa databile all'VIII-IX secolo d.C., periodo del Regno d'Israele. La struttura mostra la traccia definita di quattro stanze, che era la planimetria più comune tra le case del periodo. E' caratterizzata da una divisione funzionale della struttura in quattro spazi abitativi: tre posizionati verticalmente e il quarto orizzontalmente.
Il lavoro investigativo portato avanti sulle immagini ha condotto i ricercatori a stimare, con buona approssimazione, la localizzazione della casa. Il ritrovamento è senz'altro una preziosa opportunità di studiare la vita di tutti i giorni durante l'epoca del Regno d'Israele. Gli studiosi pensano di includere la casa nel percorso archeologico del parco, ovviamente dopo averla studiata e restaurata.
Un'altra importante e rara scoperta è stata fatta durante gli scavi: un sigillo personale con un'iscrizione in ebraico o in fenicio. Gli archeologi sperano di decifrarla per ottenere delle risposte sul quesito se, durante il periodo in questione, l'insediamento fosse di fatto israeliano o fenicio.
Altri ritrovamenti del periodo restituiscono l'immagine di un fiorente traffico con i paesi vicini del Medio Oriente. Reliquie importate da Cipro e dalle coste del Libano, che arrivavano custodite in graziosi e delicati vasi di ceramica di alta qualità. Sono stati ritrovati anche i resti di una brocca colorata con la porpora. I ricercatori hanno spiegato che si tratta di un caso molto raro di conservazione di una tintura, rafforzato dal fatto che sono state trovate centinaia di gusci di murice nel sito.
In precedenza era stata scavata una lunga sezione della parte orientale della collina che aveva rivelato una struttura terrazzata di epoca bizantina costruita sulla pendenza. Nelle case sono venuti alla luce pavimenti in mosaico semidistrutti e magazzini con dozzine di vasi che sono sopravvissuti al tempo intatti. Molte monete ed ornamenti, pendenti, armi e vasi di vetro sono stati recuperati, a riprova del benessere degli abitanti dell'insediamento.
Al di sotto dei resti di epoca bizantina, gli archeologi hanno ritrovato strutture pertinenti all'epoca persiana (IV secolo a.C.) tra le quali un forno, pesi da telaio in argilla e brocche per lo stoccaggio alimentare.

I tesori di Classe

Pozzo romano esplorato
dal Grupp Archeologico Ravennate
Durante gli scavi subacquei che il Gruppo Archeologico Ravennate sta conducendo a Classe, in un antico condotto utilizzato a scopo domestico, è stata rinvenuta una notevole quantità di reperti del I-II secolo d.C.La conduttura giace a una profondità di 3,5 metri ed è stata scoperta 26 anni fa durante i lavori di costruzione di alcune abitazioni ed è da allora che il Gruppo Archeologico conduce in loco le sue campagne archeologiche annuali. In questa, in particolare, sono stati rinvenuti due piccoli specchi d'argento con iscrizioni in greco antico, un coltello da cucina con manico in corno, un piccolo cestino di vimini, diverse lucerne risalenti anch'esse al I-II secolo d.C., una placca d'ottone dorata e alcune monete che, al momento del ritrovamento, erano illeggibili.

Scoperte messicane

Nell'area di Sitpach, presso Merida, in Messico, sono stati individuati ben sette nuovi siti archeologici Maya nonchè un buon numero di sepolture.
Gli studiosi pensano che i resti ritrovati siano ascrivibili al Preclassico Tardo (dal 300 a.C. al 250 d.C.). Le sepolture scoperte ospitano 75 individui unitamente ai primi ritrovamenti di vasellame policromo.

venerdì 22 luglio 2011

Le botteghe dei profumi di Pompei

Casa del Giardino di Ercole
La via degli Augustali, a Pompei, è un percorso che mette in comunicazione la via Stabiana e la via del Foro. Qui, sulla via degli Augustali, pochi giorni fa sono state individuate tre botteghe dove, probabilmente, si producevano profumi.
Era da qualche tempo che gli archeologi stavano dando la caccia alla via dei profumi e questa nuova scoperta permette di collocare un importantissimo tassello sul puzzle della storia di Pompei. Le botteghe, scavate dalla squadra di J. Pierre Brun, sono ambienti piuttosto piccoli e non sembrano possedere una retrostante domus. In una di queste botteghe è stato individuato un vano adibito a cantina. Sono state, inoltre, recuperate, nella stessa bottega, 25 monete, vari unguentari e una bilancia che conservava, in uno dei suoi bracci un piccolo pezzo di papiro recante un'iscrizione.
In un'altra bottega, contro il muro di fondo, è stata individuata una vasca. Un'altra vasca, posta sotto il pavimento, era piena di anfore bucate per la coltivazione dei fiori con i quali si creavano i profumi. La terza bottega conteneva vari unguentari di ceramica.
Ai primi accertamenti le botteghe sembrano risalire al II secolo a.C. Si sa per certo che un profumiere abitava sicuramente nella casa conosciuta con il nome di Casa del Giardino di Ercole, dove furono recuperati attrezzi agricoli, unguentari di vetro e piante che, una volta analizzate, si rivelarono quelle utilizzate comunemente per la produzione di profumi e particolari unguenti. Di alcuni profumieri si conoscono i nomi, come Febo e Agatho.
Fiori e foglie erano messi a macerare con degli oli fino al momento della spremitura, questo era il metodo per la realizzazione dei profumi. Le essenze più popolari venivano da Capua, Napoli e dall'Egitto.

Emergenze dell'antica Piombinaria

Castello di Piombinara
Profittando di alcuni lavori per la realizzazione di un grande impianto fotovoltaico nel territorio di Colleferro, la Missione Archeologica di Piombinara, in accordo con la Soprintendenza ai Beni Archeologici del Lazio, ha chiesto alla società che sta effettuando i lavori per l'impianto fotovoltaico di estendere l'indagine del georadar. Si è pensato, infatti, di indagare sul luogo dove sorgono i resti della chiesa di S. Maria in Piombinara.
Una prima indagine ha permesso di definire i resti della chiesa ottocentesca sotto il manto stradale. Questa chiesa è nota da alcune foto degli anni '40 e '50 del secolo scorso e i resti sono stati già in parte messi in luce durante una campagna di scavo nel 2006.
Le foto, poi, hanno mostrato i resti di un'altra chiesa, più antica di quella ottocentesca, identificata con la chiesa medioevale nota già attraverso un documento del 1152 con il nome di S. Maria di Piombinara. Il georadar ha rilevato un edificio a pianta ottagonale lungo più di sedici metri e largo dieci, con il fronte rivolto perso il fiume e il retro annesso ad un ambiente trasversale in asse con il campanile.
La chiesa medioevale è completamente ricolma di detriti di crollo e questo rende, al momento, impossibile l'esplorazione interna.
Il castello di Piombinara, invece, è documentato dal 1051, data in cui un non meglio identificato monastero di S. Cecilia, di sua pertinenza, viene indicato come rifugio di Oddone, abate di Subiaco. Il 10 dicembre 1151, nella chiesa di S. Maria "prope castrum Plombinaria" viene stipulato un atto di permuta tra la chiesa e Oddone Colonna. Il castello figura in una bolla di Lucio III del 1181, con l'elenco delle chiese di sua pertinenza.
Dal XIII secolo i documenti sul castello diventano più abbondanti, in concomitanza con l'affermarsi della famiglia Conti sul territorio (pontificato di Innocenzo III, Lotario dei Conti di Segni). Nel 1208 il castello compare in un atto di vassallaggio effettuato da Riccardo dei Conti fratello del Pontefice.

giovedì 21 luglio 2011

I tesori della cisterna di Massa D'Albe

Uno dei reperti ritrovati nella
cisterna di Massa D'Albe
Nell'antica cisterna del tempio di Ercole a Massa D'Albe (Aq), stanno emergendo tesori veramente inaspettati. Innanzitutto sono stati ritrovati i frammenti dell'antico edificio sacro dedicato ad Ercole, gettati nella struttura utilizzata per la raccolta delle acque.
Tra le macerie sono stati rinvenuti anche resti di statue in marmo e bronzo e fregi di materiali diversi. Probabilmente gli abitanti di Alba Fucens subirono un sisma devastante che distrusse parte dell'abitato e li costrinse ad utilizzare la cisterna come discarica per smaltire le macerie.
Gli scavi sono stati ripresi dopo due anni di pausa ed hanno prodotto già le prime novità, la più significativa è proprio la cisterna, che si trova nell'area utilizzata come piazzale del tempio. Scavando la struttua, gli archeologi hanno ritrovato piccoli tasselli che permetteranno di ricostruire la conformazione del tempio e dell'antistante piazza. Sono anche emersi resti di mura, mattoni in terracotta e frammenti di macerie oltre a piccoli tesori. E' stata ritrovata una mano in marmo bianco con un oggetto tra le dita e una mano in bronzo che faceva parte di una statua di grandi dimensioni. Sotto terra sono stati conservati anche frammenti in marmo pertinenti al tempio, formelle policrome con decorazioni geometriche e altri reperti. Sono state anche recuperate colonne antiche che facevano parte del porticato del tempio, del quale non si conosce la pianta precisa. Le colonne erano spezzate in più parti proprio a causa del sisma del V secolo d.C.

mercoledì 20 luglio 2011

Il principe di Leubingen

Le asce ritrovate a Leubingen
Nel 1877 il professor Friederich Klopfleisch scavò un tumulo nella parte orientale della Germania e scoprì una camera sepolcrale intatta, in cui giacevano i resti di un uomo, spille d'oro, strumenti preziosi, un pugnale, un piatto di cibo e bevande poste ai piedi del defunto. Oltre all'uomo adulto, nel sepolcro era stato inumato anche un bambino, posto sul grembo dell'uomo.
Il defunto venne presto soprannominato il principe di Leubingen, per la sua appartenenza ad un'elite che l'aveva seppellito in un tumulo appositamente costruito utilizzando 3.000 metri cubi di terra, con una volta a forma di tenda, con travi di quercia e coperta da uno strato di pietre.
Per anni gli studiosi si sono chiesti chi fosse il misterioso individuo. Adesso sembra che nuovi indizi possano far luce sull'identità dell'uomo. Gli archeologi hanno scavato faticosamente 25 ettari di terreno nelle immediate vicinanze del tumulo ed hanno scoperto una delle più grandi strutture della Germania preistorica (1940 a.C.): 470 metri quadri di superficie contenenti una notevole quantità di oggetti in bronzo e un cimitero costituito da 44 sepolture semplici e disadorne. Particolarmente interessante è il deposito di armi che è stato ritrovato nei pressi delle sepolture. Le armi si trovavano in un vaso di ceramica ed i test hanno dimostrato che il vaso contiene circa 100 lame di asce di bronzo. Il vaso era stato sepolto fuori da una casa recentemente scoperta, lunga 44 metri, con il tetto in canne o assi di legno alto circa 8 metri.
Alcuni studiosi pensano che l'edificio possa essere stato un tempio e le asce delle offerte agli dei degli inferi. Altri, invece, ritengono che la casa sia stato il palazzo del principe ritrovato più di cento anni fa. Una piccola incudine, ritrovata nella sepoltura del principe, fa pensare che l'uomo avesse a che fare con la metallurgia. Forse era addirittura un fabbro. Il bambino ritrovato nella tomba dell'uomo era, forse, un sacrificio effettuato alla sua morte.

La domus dei Gavii a Verona

L'arco dei Gavi
A Verona, sotto l'Arco dei Gavi, è stata trovata una domus patrizia. I resti si trovano a tre metri di profondità sotto il piano stradale. Gli scavi hanno portato alla luce anche resti di un mosaico che rafforza l'ipotesi che la domus fosse di proprietà di un ricco patrizio, forse proprio qualcuno appartenente alla gens Gavia, una delle famiglie più influenti della Verona romana, di cui l'Arco celebra le fortune.
I reperti furono rilevati la prima volta nel 1932, anche se in modo piuttosto sommario. In quell'anno l'Arco era stato demolito per essere spostato negli arcovoli dell'Arena e poi venne ricostruito nell'attuale sito. Dello scavo non venne stilata alcuna documentazione.
L'Arco, eretto intorno alla metà del I secolo d.C., è opera dell'architetto Lucio Vitruvio Cerdone. In origine era stato posto sulla via Postumia, nel 1805, durante l'occupazione napoleonica, il monumento fu demolito perchè d'intralcio al movimento delle truppe.

martedì 19 luglio 2011

Tesori d'Isonzo

Resti della via Aquileia-Ljubljana,
la romana Emona
Sulle rive dell'Isonzo è stata ritrovata una mansio romana di oltre 150 metri quadri, dove sono stati sepolti diversi gruppi familiari. Si sono rinvenuti diversi scheletri adorni di monili, orecchini e fibule ed una vasca per mescolare la calce.
Il territorio in cui è stata effettuata la scoperta si trova in località Mainizza, nel comune di Farra d'Isonzo. Recentemente era stata già eseguita una campagna di scavi per verificare il tesoro sepolto sotto le zolle. Il terreno circonda la chiesa di Nostra Signora del Sacro Cuore ed i reperti hanno restituito una datazione compresa tra il I e il II secolo d.C., quando questa parte di territorio peninsulare era attraversato dalla via Iulia-Emona e l'Isonzo era scavalcato da un ponte che poggiava su pilastri in pietra di ben 10 metri di larghezza, ora completamente inglobati nel letto del fiume.
Che il sito della Mainizza fosse uno snodo di una certa importanza, in epoca romana, era risaputo. La mansio che vi sorgeva era chiamata ad Pontem Sonti, vi soggiornavano quasi esclusivamente gli alti funzionari romani. Sono stati rintracciati i perimetri di 3 absidi che, con tutta probabilità, corrispondevano al calidarium, al tepidarium e al frigidarium delle terme. Si è ritrovata una base di cocciopesto che sosteneva una decorazione musiva della quale sono rimaste poche tessere.
Già in passato sono stati ritrovati alcuni lacerti dell'arteria stradale principale, la via Aquileia-Ljubljana (la romana Emona). I resti giacevano a poica distanza dalle strutture del ponte romano alla Mainizza. A lato della parte di strada riportata alla luce, gli archeologi scoprirono anche una sepoltura in una semplice fossa, forse risalente al periodo tardoantico-altomedioevale. Il defunto aveva circa 30 anni ed era privo di corredo funerario, giaceva con le braccia disposte lungo il corpo e le mani raccolte sul ventre.

lunedì 18 luglio 2011

I menhir di Samugheo

I resti dei menhir di Samugheo
Nel comune di Samugheo, nel centro della Sardegna, sono stati scoperti ben 300 frammenti di menhir in trachite durante una campagna archeologica da poco iniziata. I resti erano inglobati in un muretto a secco, realizzato tra gli anni 40 e 50 del secolo scorso, quando non era ancora noto il valore di queste grandi pietre. I menhir risalgono al III millennio a.C., durante l'Età del Rame.
Già in passato era stato ritrovato un menhir nella stessa zona di Samugheo e proprio questa scoperta ha dato il via alle indagini archeologiche che hanno interessato anche una vicina tomba dei giganti. Lo scavo è stato condotto dalla Soprintendenza delle province di Cagliari e Oristano sotto la supervisione di E. Usai, con l'ausilio dell'archeologo e direttore del museo di Villanovaforru, M. Perri.
I menhir ritrovati, purtroppo, sono frammentati e solo alcuni si conservano integri con un'altezza massima di 1,20 metri. Il recupero di questi manufatti è molto importante soprattutto per rilevare le decorazioni di superficie, dove ricorrenti sono le raffigurazioni di volti umani, di U capovolta e fregi a spina di pesce e a reticolo. Un altro motivo ricorrente e quello del pugnale. L'archeologo Perri ha sottolineato che questi segni sono comuni ai menhir dell'arco alpino e della Lunigiana, dal che si può dedurre che la Sardegna era in contatto con queste aree.

Emerge il tempio di Sulky

Area del centro abitato di Monte Sirai
Lo scorso 20 giugno è stato dato inizio alla IV Summer School di archeologia fenicio-punica nell'area urbana di S. Antioco, in provincia di Carbonia-Iglesias. La campagna si è aperta nel migliore dei modi, dal momento che sono stati riportati alla luce i resti di un santuario. Lo ha annunciato il professor Piero Bartoloni, ordinario di archeologia fenicia e punica dell'Università di Sassari, che dirige gli scavi.
Il sospetto che qui sorgesse un'area sacra era, del resto, suggerito dai frammenti di ex voto, parti di doni frammisti a rame. Questo era il tempio, secondo il professor Bartoloni, dove si effettuava la pratica dell'incubatio, nella quale i malati che si recavano al tempio per ottenere la guarigione, sostavano nell'area sacra per dormire. In base, poi, ai sogni fatti, i sacerdoti davano un'interpretazione della malattia del fedele.
Sant'Antioco è la fondazione fenicia più antica  in Sardegna. Il villaggio si chiamava Sulky e conserva i resti di un insediamento di VIII secolo a.C. L'area in cui si stanno svolgendo gli scavi è nota come Cronicario e la sua scoperta risale al 1983. Vi sono, oltre a quelle cartaginesi, emergenze di epoca romana.
Un altro sito interessato dalla campagna di scavi attuale è il Monte Sirai, scelto dai fenici, nel 750 a.C., per installarvi un insediamento utilizzato, in seguito, dai punici. Qui si conservano tracce dell'abitato ma anche la necropoli con camere ipogee di età punica.

La stele della gens Lollia

La stele ritrovata a Modena
Si sono da poco concluse le indagini archeologiche seguite al ritrovamento di una stele funeraria che affiorava a circa tre metri di profondità. Gli scavi sono arrivati al piano di posa della stele, rinvenuto a 5,8 metri di profondità. Nel complesso il manufatto è alto circa due metri e poggia su un basamento lapideo di due gradini. L'iscrizione attribuisce il monumento a un membro della gens Lollia, Quintus Lollius Niger, che lo eresse per sé, per il padre Niger, la madre Tettulenae Prima e la figlia Gratillae.
Altre indagini intorno alla stele hanno riportato alla luce due sepolture a incinerazione della gens Lollia, una delle quali dotata di un ricco corredo composto da tre monete emesse sotto il principato di Tiberio, lucerne, balsamari, alcune coppette e bicchieri a pareti sottili e alcuni elementi in osso lavorato, probabilmente pertinenti al letto funerario arso con il defunto.
La stele è stata rimossa dal cantiere sotto il controllo del restauratore della Soprintendenza Roberto Monaco e trasferita presso un deposito.
(Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna)

mercoledì 13 luglio 2011

Bagliori dell'antica Sidone

Sidone, il Castello del Mare - epoca crociata
Gli scavi condotti da una squadra del British Museum nel sito archeologico di Freres', nella città vecchia di Sidone, hanno permesso il ritrovamento di oggetti antichi di 5000 anni. I ritrovamenti più importanti sono, certamente: uno strumento musicale dell'Età del Ferro, la testa di una figurina fenicia, un anello di età romana e una grande stanza per lo stoccaggio del grano risalente al 3000 a.C.
E' stato, anche, scoperto un tempio di 48 metri di lunghezza, dove venivano celebrate feste religiose, unitamente ad un ampio sito sepolcrale con diverse anfore per l'incinerazione, pezzi di ceramica e resti di ossa animali.
Secondo il responsabilie della missione del British Museum, Claude Doumit Serhal, i nuovi ritrovamenti vanno a colmare le lacune nella storia di Sidone. Il sito archeologico di Freres' non è un sito comune oppure lo scenario della vita di ogni giorno, ma un sito storico e archeologico che comprende templi, sepolture ed edifici piuttosto grandi che testimoniano tutti lo svolgimento, a Freres', di importanti feste e cerimonie religiose.
Tra le scoperte vi è uno strumento musicale in bronzo che risale all'età Fenicia, intorno al 1000 a.C., sul quale compare, dipinto, il volto della dea egizia Hathor con due corna. Lo strumento è comunemente chiamato sistro ed era utilizzato durante le danze, i rituali religiosi e le cerimonie, particolarmente in onore di Hathor, dea della musica e dell'amore.
Sono state, inoltre, riportate alla luce altre stanze in cui veniva ammassato il grano, stanze direttamente addossate ai templi. Queste stanze contenevano del farro, una delle più antiche varietà addomesticate, che comparve in Siria nel periodo Neolitico. Sia il grano che ben 160 chilogrammi di orzo furono completamente bruciati, segno di un incendio che distrusse l'edificio che li conteneva tra il 2500 e il 2400 a.C.
Sono state anche scavate 116 sepolture risalenti alla prima metà del II millennio a.C. e, particolarmente degno di nota quest'anno, è stata la scoperta di una tomba contenente i resti di circa otto individui. La sepoltura conteneva anche un notevole quantitativo di ceramica, un sigillo cilindrico, perline di faience e depositi animali.
Gli scavi all'interno di un tempio dell'Età del Bronzo hanno rivelato che l'edificio constava di sei stanze, dove si svolgevano feste e cerimonie.

Iulium Carnicum e i suoi gioielli

Il foro di Zuglio
Nel corso delle indagini archeologiche che la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli ha affidato alla ditta Artè di Trieste a Zuglio, sono emerse alcune strutture, tra le quali una sala già individuata tra il 1941 e il 1942, nell'area nord est del Foro Romano.
La sala apparteneva, inizialmente, ad una domus repubblicana fu poi compresa in un complesso termale, del quale è stato scoperto un tratto di pavimentazione, arricchita, centralmente, da un tappeto di croci bicolori. Questa campagna archeologica è stata voluta dal comune di Zuglio per ampliare l'area archeologica dell'antica Iulium Carnicum.
Iulium Carnicum fu fondata nel I secolo a.C.. In età tardoromana, gota e longobarda fu sede vescovile (IV-VIII secolo d.C.) ed il vescovo aveva autorità sulla Carnia e sul Cadore. La cittadina sorgeva in posizione strategica sulla Via Iulia Augusta che, attraverso il passo di Monte Croce Carnico, conduceva alle regioni del Noricum (attuale Austria) e la Pannonia (attuale Ungheria).
I primi scavi archeologici furono fatti nel 1800 ed interessarono quasi interamente la basilica fonrense, nella quale furono rinvenuti frammenti di decorazioni bronzee. Nel 1873 Giovanni Gortani riportò alla luce la basilica cimiteriale e parte delle terme. Il foro è l'unico complesso a tutt'oggi visitabile. Vi sono testimoniate una fase preromana, con strutture murarie a secco associate a ceramica a vernice nera e monete tolemaiche (III- II secolo a.C.); la fase romana tardorepubblicana, con edifici che si affacciano sugli spazi aperti; una fase augustea, rappresentata dal foro chiuso con porticato e basilica.
A nord est del Foro, nel 1874, furono parzialmente scavate le terme. Nel 1935 vennero ritrovati due tubi di piombo dell'acquedotto termale. Dal frigidarium provengono lacerti di pittura decorativa conservati attualmente al Museo Archeologico.
Nel 1963, quando si iniziò a costruire il nuovo Municipio di Zuglio, venne alla luce la basilica paleocristiana, affrettamente scavata per poi essere nuovamente ricoperta e sovrastata da un parcheggio. Ne furono visualizzati l'abside e i muri perimetrali, un ampio atrio circolare, un'area rettangolare. A circa 9 metri dall'abside dellabasilica furono rinvenuti i resti di una gradinata circolare che, sia all'interno che all'esterno, conteneva tombe paleo-cristiane.

martedì 12 luglio 2011

Il colosso di Caligola

Caligola
Il Nucleo di Polizia Tributaria di Roma della Guardia di Finanza, in un'operazione posta in essere dal Gruppo Tutela Patrimonio archeologico, coordinata dalle Procure della Repubblica di Roma e Velletri, ha recuperato, nel gennaio di quest'anno, ad Ostia Antica, una scultura di marmo di dimensioni colossali raffiguranti l'imperatore Caligola.
L'opera, divisa in sezioni per agevolarne il trasporto e l'occultamento, era in procinto di essere inviata all'estero insieme ad altri manufatti. Le Fiamme Gialle hanno bloccato l'operazione accertando, nel contempo, che l'opera proveniva da uno scavo clandestino nella campagna del comune di Nemi, in un'area adibita alla silvicultura, dove si conosceva la presenza di tracce dell'imperatore Gaio Cesare Germanico, conosciuto come Caligola.
I funzionari della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio hanno pensato che il luogo di rinvenimento della statua dell'imperatore Caligola potesse celare altre testimonianze del passato, tanto più che alla statua mancava la testa e gli archeologi pensavano di poterla ritrovare là dove, un tempo, era stata eretta.
L'area, sottoposta a scavo dagli archeologi, ha restituito vestigia di un complesso termale, pertinente il ninfeo di una villa in territorio nemorense, già conosciuto in età imperiale come luogo elettivo di villeggiatura della gens Iulio-Claudia. Sono stati, inoltre ritrovati i resti di un impluvium e parti pertinenti la statua posta sotto sequestro. Quest'ultima è stata ricavata dal pregiatissimo marmo greco e rappresenta Caligola assiso in trono come Zeus, con la tipica calzatura dei legionari romani ("caliga") da cui prese il soprannome.
Al termine del restauro la grande statua sarà esposta presso il Museo delle Navi Romane di Nemi, poco distante dalla faraonica residenza che Caligola volle farsi costruire sulle rive del lago.

domenica 10 luglio 2011

Ritrovata la più antica basilica romana ad Alessandria d'Egitto

Veduta aerea di Alessandria d'Egitto
Una missione archeologica egiziana che sta lavorando nell'area di Al-Baron, nel distretto di Semouha, ad Alessandria d'Egitto, ha scoperto diversi monumenti significativi ed anche manufatti che saranno d'aiuto nello scrivere la storia di quest'area.
Durante gli scavi, gli archeologi hanno scoperto la prima basilica civile romana mai ritrovata, edificata su un tempio di epoca tolemaica dedicato alla triade alessandrina (Iside, Serapide e Arpocrate), insieme ad una collezione di statue di terracotta. Mohamed Mostafa, direttore generale delle antichità di Alessandria, ha confermato che questi scavi hanno riportato alla luce, in effetti, due fila parallele di granito e pietra, nonchè parti di colonne di granito che dovevano, presumibilmente, far parte di una grande costruzione di epoca romana. Le prime indagini rivelano che questa costruzione poteva essere un tribunale, oppure un luogo in cui si svolgeva un'attività commerciale piuttosto importante.
Da parte sua Osama El-Nahas, responsabile della missione di scavo, ha dichiarato che un certo numero di statue di terracotta ritrovate in situ, raffiguranti la dea Iside che nutre al seno suo figlio, il dio Serapide, senza alcun oggetto di natura religiosa che le circondi, suggerisce che l'edificio scoperto dovesse essere una basilica civile romana. El-Nahas ha aggiunto che il tempio tolemaico ritrovato al di sotto della supposta basilica era uno dei due tempi menzionati dallo storico Strabone quando descrisse l'area durante la sua visita di Alessandria nel 24 d.C.
E' stata ritrovata, nella basilica, anche una collezione di lampade decorata con figure umane e antiche divinità. L'elemento più importante venuto alla luce è una statua di piombo raffigurante un cavaliere con il suo cavallo. Sono stati anche dissotterrati dei forni ed una collezione di vasi d'argilla contenenti ossa umane. Gli studi su queste ultime hanno permesso di risalire ad una datazione vicina al VI secolo d.C., mentre l'età delle persone alle quali appartenevano i resti si aggirava intorno ai 25-30 anni.
E' un ritrovamento unico ad Alessandria, è quanto ha dichiarato il Ministro di Stato per le Antichità, Zahi Hawass. Il ritrovamento della basilica civile romana ad Alessandria conferma l'ipotesi che l'area di Al-Baron corrisponde ad una delle aree che, secondo Strabone, facevano parte della provincia di Unis.

sabato 9 luglio 2011

I segreti di Karnak

Il bacino sacro di Karnak
Durante i loro consueti lavori di scavo, gli archeologi della spedizione franco-egiziana che stavano lavorando al tempio di Karnak a Luxor hanno scoperto due importanti monumenti. Il primo è il muro che, un tempo, circondava il tempio del Nuovo Regno dedicato al dio Ptah e il secondo è una porta datata al faraone Shabaka (712-698 a.C.) della XXV Dinastia.
Cristophe Tiers, direttore della missione francese a Karnak, ha affermato che la spedizione ha anche disotterrato un certo numero di blocchi incisi dal tempio di Ptah. Durante il restauro, gli archeologi hanno capito che i blocchi appartenevano al regno del faraone Tuthmosis III (1479-1427 a.C.), il che significa che la costruzione del tempio iniziò nel periodo egiziano e non durante la dinastia tolemaica come si era creduto finora.
Dominique Vebale, professoressa alla facoltà di archeologia della Sorbona, ha affermato che i restauratori fancesi stanno ora portando avanti il loro lavoro di ricostruzione del tempio per renderlo visibile al pubblico il prossimo anno. La professoressa Vebale ha precisato che la porta del faraone Shabaka è un manufatto estremamente raffinato decorata con pitture altrettanto raffinate ed è ben conservata. Tra le pitture vi è una scena raffigurante il faraone che offre il simbolo della giustizia di Maat al dio Amon Ra.
Mansour Boreih, supervisore generale ai monumenti di Luxor, ha affermato che il tempio di Karnak non è stato ancora completamente scavato e custodisce ancora molti dei suoi segreti.

Lo tsunami che distrusse Olimpia

L'antico santuario di Zeus ad Olimpia fu probabilmente distrutto, insieme alla città stessa, da uno tsunami che raggiunse l'entroterra e non, come si è sempre creduto, da terremoti e da inondazioni dei fiumi limitrofi. Questa è la teoria recentemente elaborata dal Dott. Andreas Vott dell'Istituto Geografico dell'Università Johannes Gutenberg di Magonza.
Il Dott. Vott ha esaminato il sito di Olimpia alla ricerca delle tracce di paleo-tsunami verificatisi negli ultimi 11.000 anni sulle coste del Mediterraneo orientale. Ha individuato, a tal proposito, dei sedimenti nelle vicinanze di Olimpia, sepolti sotto una coltre di 8 metri di sabbia ed altri detriti, depositatisi circa 250 anni fa.
"La composizione e lo spessore dei sedimenti che abbiamo trovato si adattano con il flusso dell'acqua del fiume Cladeo e con eventi geomorfologici quali i terremoti", ha affermato il Dott. Vott. Finora si è ritenuto che un terremoto, occorso nel 551 d.C., avesse distrutto i santuari. Successivamente sarebbero intervenute le inondazioni del fiume Cladeo. Ma quest'ultimo ha un bacino troppo piccolo per giustificare l'invasione di un sito, sepolto sotto 10-12 metri di sedimenti. Il Dott. Vott ha trovato prove che la regione è stata colpita più volte da inondazioni catastrofiche. Conchiglie di lumaca e resti di foraminiferi, indicano la presenza di acqua marina. Questi sedimenti devono essere arrivati a velocità elevata dalla costa verso Olimpia, posta a 33 metri sul livello del mare.
Nelle ipotesi formulate dal Dott. Vott, gli tsunami si sarebbero formati dal mare, avrebbero percorso la stretta valle di Alpheus (nella quale scorre il fiume Cladeo) e con grande forza si sarebbero abbattuti sulle colline che proteggono Olimpia. Il santuario di Zeus si sarebbe allagato immediatamente, mentre l'acqua avrebbe tardato a defluire, essendo la valle dell'Alpheus ostruita dai sedimenti. Questo scenario si sarebbe ripetuto più volte nel corso di 7.000 anni. Una delle ultime volte è stata quella del VI secolo d.C., che ha determinato la definitiva distruzione di Olimpia.
A sostegno dell'ipotesi formulata dal Dott. Vott, si sono trovati sedimenti identici sia sul mare in prossimità di Olimpia, sia sulle colline vicine alla città, sia in Olimpia stessa. "I depositi a Olimpia hanno la stessa firma dei depositi dello tsunami a monte della valle dell'Alpheus", ha detto il Dott. Vott.

giovedì 7 luglio 2011

Sacrifici umani a Chichén Itzà


I resti trovati nella caverna di Chichén Itzà
(Fonte: NatGeo) Le ossa di sei esseri umani, tra cui due bambini, perline di giada, conchiglie e strumenti di pietra sono stati scoperti di recente in una grotta colma d'acqua nel celebre sito archeologico di Chichén Itzà, in Messico.
Gli antichi manufatti sono legati a sacrifici umani eseguiti in un periodo in cui il livello delle acque era più basso, compreso tra l'850 e il 1250 d.C. (la civiltà Maya scomparve attorno al 900 d.C.).
E' altamente improbabile, infatti, che resti umani e manufatti siano stati semplicemente gettati nella voragine (un sinkhole - inghiottitoio - chiamato localmente cenote), dice il responsabile della scoperta, Guillermo Anda. Quasi certamente, invece, furono disposti nel sito durante una cerimonia per compiacere il dio maya della pioggia, Chaak.
L'impero Maya, che si estendeva dall'attuale Messico meridionale attraverso il Guatemala fino al Belize settentrionale, produsse l'unica forma di scrittura nota nella Mesoamerica nonchè straordinarie opere artistiche e architettoniche. Chichén Itzà era una delle città più importanti della Penisola dello Yucatàn.
La scoperta di sacrifici umani in uno dei cenotes della regione sembra confermare l'ipotesi che, per i Maya, queste voragini colme d'acqua rappresentassero "una sorta di soglia affacciata sul mondo spirituale e sacro che si nascondeva nelle profondità della Terra", dice Anda, professore della Universidad Autonoma de Yucatàn.

mercoledì 6 luglio 2011

Un secondo sarcofago di piombo a Gabii


Il secondo sarcofago di piombo ritrovato a Gabii
Dopo un primo, straordinario e clamoroso ritrovamento, in questi giorni è stato rinvenuto, a Gabii, un altro sarcofago di piombo.
Il primo sarcofago è stato ritrovato nel 2009 nel corso delle indagini del Gabii Project, coordinato dall'Università del Michigan nella persona del professor Nicola Terrenato. Il progetto è iniziato nel 2007 per studiare l'antica città stato del Lazio, a metà strada tra Roma e Preneste, la cui importanza fu notevole soprattutto in epoca repubblicana. Qui, secondo le leggende, Romolo e Remo ricevettero la loro istruzione.
Il sito è stato ininterrottamente occupato dal X secolo a.C. al II-III secolo d.C. ed è un cantiere di notevole interesse per lo studio dell'archeologia urbana.
Il sarcofago ritrovato nel 2009 e quello ritrovato in questi giorni erano sepolti piuttosto vicino e sono stati entrambi datati al I-II secolo d.C.. Il primo sarcofago è momentaneamente custodito presso l'American Academy di Roma.

Novità da Yenikapi


Uno dei relitti di Yenikapi con il carico ben conservato
Giungono altre notizie in merito alle navi ritrovate a Yenikapi, in Turchia. Quello in cui sono seppelliti i relitti delle navi bizantine non è altro che il Porto di Teodosio, costruito intorno al IV secolo d.C., uno dei maggiori porti del Mediterraneo. Da qui veniva smistato il grano proveniente dall'Egitto.
Durante gli scavi sono, inoltre, emersi dei resti di muri che gli studiosi ritengono essere la prima cinta muraria di Costantinopoli. Il progetto in corso prevede la ricostruzione in 3D delle navi per permetterne la completa comprensione della struttura.

Le antiche raffigurazioni di Nag el-Hamdulab

Le incisioni rupestri di Nag el-Hamdulab
Archeologi italo-statunitensi hanno studiato e ricostruito in digitale le incisioni rupestri di Nag el-Hamdulab (3200 a.C.) scoprendo la più antica immagine di un re sacerdote con la corona bianca dell'Alto Egitto e una delle più antiche iscrizioni geroglifiche.
A fare la clamorosa scoperta la missione The Aswan-Kom Ombo Archaeological Project, nata dalla collaborazione tra l'Università di Yale e il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna. Nag el-Hamdulab è un sito rupestre sulla riva occidentale del Nilo a nord di Assuan, scoperto, alla metà del '900, dall'egittologo egiziano Labib Habachi.
Sia i geroglifici che le figure incise nella pietra costituiscono la prima rappresentazione di un giubileo reale, completo degli elementi che finiranno per caratterizzarlo nei secoli successivi, tra cui il faraone con la corona bianca dell'Alto Egitto, accompagnato dal "Seguito di Horus", la corte regale proto-dinastica.
Il ciclo risale, con tutta probabilità, al 3200 a.C. (parte finale della cultura Naqada, tra il re Scorpione e Narmer). Si tratta di un ciclo estremamente importante perchè fissa il momento di passaggio tra i temi raffigurati nel periodo predinastico (barche e animali come simboli regali) a quelli raffigurati nel periodo dinastico (la figura regale in primo piano).
Altro elemento eccezionale è la presenza di geroglifici. Nell'iscrizione di Nag el-Hamdulab si fa riferimento ad un luogo e ad una barca appartenente ad un "seguito di ", forse alla "corte di Horus", come confermano i testi antichi, tra i quali gli annali di pietra di Palermo, dove la raffigurazione di un'imbarcazione è associata alla "corte di Horus". Nella I Dinastia, il re e la sua scorta viaggiavano sovente per il paese, soprattutto per riscuotere le tasse (come la tassa biennale sul bestiame).

martedì 5 luglio 2011

La giovane donna di Egtved

Ricostruzione della bara di quercia in cui fu
sepolta la ragazza di Egtved
La ragazza di Egtved è uno dei ritrovamenti meglio conservati dell'Età del Bronzo in Danimarca, soprattutto per via dell'abito, in perfette condizioni, che apre nuove conoscenze sulla preistoria danese.
Il corpo ritrovato è quello di una ragazza di 16-18 anni, sepolta in una collina di Egtved circa 3.500 anni fa, avvolta in una pelle di mucca e protetta da una coperta di lana. Sono stati ritrovati solamente i capelli dalla parte sinistra del cranio, il cervello, i denti le unghie e tracce di pelle. I denti della giovane donna hanno permesso di attribuirle l'età al momento della morte.
La ragazza di Egtved indossava una camicia corta ed una gonna al ginocchio. Sullo stomaco le era stata deposta una cintura piatta in bronzo decorato con spirali, forse simbolo del sole. Aveva anche un piccolo pettine di corno fissato alla cintura. Attorno a ciascun braccio vi era un bracciale di bronzo ed aveva un orecchino leggero ad un orecchio. Sulla sua testa vi era una piccola scatola con perni e resti di una retina. Ai suoi piedi era posto un piccolo secchio di corteccia di betulla che conteneva una bevanda di frutta fermentata. E' stato ritrovato anche un piccolo frammento di stoffa con le ossa bruciate di un bambino di 5-6 anni. Poche ossa dello stesso bambino erano custodite in una scatola di corteccia.
La ragazza di Egtved fu ritrovata nel 1921, oggi è in mostra al Museo Nazionale di Copenhagen. E' il ritrovamento meglio conservato dell'Età del Bronzo in Danimarca, anche se la pelle e parte del suo corpo sono scomparsi. Gli esami fatti sul quel che resta del bambino ritrovato assieme alla giovane donna, hanno dimostrato che non si tratta di madre e figlio. Molto probabilmente la ragazza di Egtved fu sacrificata alla morte del bambino.
Nel 1990 il risultato degli esami dendrocronologici sulla bara, hanno accertato che la quercia del cui legno è composta fu tagliata nel 1370 a.C.. La ragazza fu deposta con estrema accuratezza, nella bara, avvolta in morbida pelle di mucca e ulteriormente protetta da una coperta di lana. Quando la bara è stata aperta, 3.500 anni dopo la deposizione, della pelle di mucca rimaneva ben poco, ma erano visibili i lunghi capelli biondi che incorniciavano il volto della ragazza. Un fiore di Achillea fu lasciato sulla sua sepoltura e la presenza di un millefoglie fa ritenere che il funerale sia stato celebrato in estate.

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