sabato 30 giugno 2012

La sconosciuta statua d'avorio di Settimio Severo

Il reperto d'avorio raffigurante
l'imperatore Settimio Severo
A poco meno dalla ripresa degli scavi nel Foro della Pace compare la foto dell'effige di Settimio Severo, mai mostrata prima, proveniente dall'area tra il Colosseo e la Basilica di Massenzio, nel complesso del Tempio della Pace, che sarà nuovamente esplorato.
La storia della statuetta dell'imperatore è iniziata nel 2005, con il ritrovamento durante la prima campagna di scavi (1998-2006) da parte dell'archeologa Stefania Fogagnolo. "Non esiste nulla di simile tra i manufatti in avorio conservati", disse l'archeologa. "L'avorio si limita in genere a elementi decorativi di letti funerari del I e del II secolo d.C., a placchette, a piccoli distici tra il IV e il VI secolo".
La statuetta è alta circa 25 cm, ha alle spalle tracce di incasso e mostra l'imperatore nella posa tipica dei filosofi greci, con il braccio alzato e non come condottiero. Il restauro è stato lungo ed è stata avanzata anche un'attribuzione iconografica basata sullo stato di conservazione dell'avorio. Nel 2009 si pensò di esporre la statuetta nella mostra sui Flavi inaugurata a Roma, ma si trattava di un contesto non pertinente. Pur essendo stata ritrovata nel foro inaugurato da Vespasiano nel 75 d.C., bisogna pensare che il foro venne ristrutturato da Settimio Severo (193-211 d.C.) dopo l'incendio del 192 d.C.. Il ritratto, pertanto, si configura come parte della nuova decorazione voluta da Settimio Severo ed era probabilmente collocata all'interno della Bibliotheca Pacis, struttura inserita nell'area del Templum.
Da anni questa statuina giace nei magazzini del Museo di Palazzo Massimo, in attesa di una teca - così si dice - climatizzata per l'esposizione assieme ad un altro celeberrimo pezzo in avorio: il cosiddetto "Volto d'avorio".

Nuove scoperte a Khirbet al-Batrawy

Le asce di rame di Khirbet al-Batrawy
La missione archeologica italiana de "La Sapienza" di Roma ha effettuato nuove, interessanti scoperte durante l'ottava campagna di scavo a Khirbet al-Batrawy, in Giordania. Qui gli archeologi italiani hanno scoperto un'antica città del III millennio a.C., hanno portato alla luce una grande torre e, nel "Palazzo delle asce di rame", sono stati riportati alla luce altri grandi vani con reperti molto interessanti: vasellame, un'altra ascia di rame, una collana a quattro fili con pietre preziose e semi-preziose alternate a perle di rame, due torni da vasaio in basalto. I resti animali ritrovati indicano che sia l'asino che l'onagro era usuali mezzi di trasporto nella città, un tempo importante centro carovaniero.
Nella campagna dei mesi di maggio e giugno 2012, gli archeologi si sono concentrati sul sito dell'antica città e sulle sue monumentali fortificazioni, nonché sul famoso "Palazzo delle asce di rame". La città di Batrawy sorgeva presso il guado sul fiume Zarqa, dove arrivavano i percorsi carovanieri che attraversavano il deserto verso il fiume Giordano nel III millennio a.C.
Veduta dell'antica Batrawy
Batrawy fu data alle fiamme nel 2300 a.C., dopo un attacco nemico. La torre scoperta quest'anno era stata costruita con grandi blocchi di calcare ed aveva uno spessore di 5,5 metri. Gli archeologi l'hanno denominata Torre Nord, proteggeva il punto più avanzato delle fortificazioni e la porta di accesso alla città.
E' stato completato, anche, lo scavo del "Palazzo delle asce", così chiamato dal ritrovamento - nella campagna di scavo del 2010 - di quattro asce di rame ora esposte al Museo Nazionale di Amman. Qui sono stati ritrovati due vasi decorati con figure applicate: uno con un grande serpente, l'altro diviso in metope in cui si fronteggiavano un serpente e uno scorpione. E' stata anche ritrovata, nello strato sottostante la Sala dei Pilastri, una paletta egittizzante in scisto, testimone pregiato delle relazioni intercorrenti da Batrawy e il paese del Nilo nel III millennio a.C.
La scoperta più straordinaria è stata una collana a quattro fili, composta da 630 perle in corniola, osso, cristallo di rocca, fritta, giadeite, osso, conchiglie, ametista e rame, con alcune perle infilate in fili di rame estremamente sottili. E' stata anche rinvenuta un'altra ascia di rame, due falcetti con rame in selce affilata, una grande brocca in ceramica rossa lustrata, una collezione di strumenti di osso d'uso femminile e riguardanti il mondo della filatura. Gli scavi hanno rivelato un'ulteriore terrazza del Palazzo, ancora da esplorare, nella quale è stata scavata una grande vasca in ceramica.

Secondo annuncio Maya sulla "fine del mondo"

Uno dei blocchi di pietra scoperto a La Corona
con immagini della vita dei Maya e del
loro calendario
E' stato recentemente scoperto un testo Maya che rivela la "fine del mondo" secondo il calendario di questa popolazione. E' il secondo documento noto che riporta queste indicazioni, ma gli antichi Maya non si aspettavano che il mondo finisse proprio in quella data.
"Questo testo parla di un'antica storia, piuttosto che di una profezia", ha affermato Marcello Canuto, direttore della Tulane University Middle America Research Institute. "Questa nuova prova suggerisce che la data 13 bak'tun è stato un importante evento nel calendario e che sarebbe stata adeguatamente celebrata dagli antichi Maya. Essi non fanno profezie apocalittiche di sorta per quanto riguarda questa data".
Gli archeologi, esplorando le rovine Maya di La Corona, in Guatemala, hanno riportato alla luce un altro riferimento al 13 bak'tun. Sul blocco di pietra di una scala hanno scoperto dei geroglifici che narravano di una commemorazione in occasione della visita da parte di Yuknoom Yich'aak K'ahk' di Calakmul, il sovrano più potente dei Maya nel periodo in cui furono scolpiti i geroglifici. Il re, conosciuto anche come Zampa di Giaguaro, aveva sofferto una terribile sconfitta in battaglia ad opera del Regno di Tikal nel 695 d.C.
Geroglifici Maya appena scoperti a La Corona
Per molto tempo gli storici hanno pensato che Zampa di Giaguaro fosse stato catturato oppure fosse morto in battaglia, ma quest'ultimo ritrovamento ha dimostrato che si sbagliavano. Zampa di Giaguaro visitò La Corona nel 696 d.C., cercando di rendere più salda la fiducia e la fedeltà dei suoi sudditi, resa vacillante dalla sconfitta patita l'anno precedente. In questa sorta di "tour promozionale" il re chiamava se stesso "signore del tredicesimo K'atun". K'atun è un'altra unità di misura del calendario Maya, corrispondente a 7.200 giorni, quasi 20 anni. Zampa di Giaguaro aveva presieduto alla fine del tredicesimo di questi k'atuns nel 692 d.C. "Questo mostra che, in tempi di crisi, gli antichi Maya hanno utilizzato il loro calendario per promuovere la stabilità e la continuità, piuttosto che prevedere l'apocalisse", ha affermato il professor Canuto.
Gli archeologi hanno scoperto, nel 2010, a La Corona, gradini di pietre scolpite nei pressi di un edificio gravemente danneggiato dai saccheggiatori, i quali si erano appropriati di alcune di queste pietre, lasciandone altre in loco. I ricercatori hanno trovato spostate dieci pietre della scalinata. In totale, sulle 22 pietre rimaste, sono stati individuati 264 geroglifici che ripercorrono la storia politica di La Corona.

Una borsa di denti di cane

La "borsa" di denti di cane
In Germania potrebbe essere stata ritrovata la più antica borsa del mondo, il cui proprietario doveva avere un particolare gusto estetico.
Il particolare reperto è stato trovato nei pressi di Lipsia ed è formato da più di un centinaio di denti di cane sovrapposti. Il particolare reperto era collocato vicino ad una sepoltura datata ad un periodo compreso tra il 2500 e il 2200 a.C.. L'archeologa Susanne Friederich sostiene che i denti erano probabilmente delle decorazioni per la parte esterna della borsetta. Nel corso dei secoli la pelle o il tessuto su cui erano applicati è scomparso. I denti sono tutti rivolti nella stessa direzione.
Finora gli scavi avevano riportato alla luce testimonianze di insediamenti dell'età della pietra e del bronzo, tra i quali 300 tombe, centinaia di strumenti di pietra, punte di lancia, vasi di ceramica, bottoni d'osso ed una collana di ambra. Sono stati anche ritrovati, e portati nei magazzini, resti di epoche successive, come la sepoltura di una donna inumata con circa mezzo chilogrammo di gioielli d'oro, intorno al 50 d.C.
In altre sepolture ritrovate nella medesima area, denti di cane e di lupo, così come le conchiglie, ricoprivano gli scheletri degli inumati come borchie. I denti di cane erano ornamenti comuni per capelli e collane, sia per gli uomini che per le donne.

La donna e la mucca sepolte nel Cambridgeshire

La sepoltura della donna con la mucca a Cambridgeshire
In uno scavo nel cantiere archeologico del cimitero anglo-sassone di Cambridgeshire, gli archeologi hanno ritrovano una donna sepolta insieme ad una mucca. Sono stati gli studenti della Manchester Metropolitan University e della University of Central Lancashire a fare la scoperta. La sepoltura risale al tardo V secolo d.C.
In un primo momento si riteneva che lo scheletro dell'animale appartenesse ad un cavallo. I guerrieri potevano essere seppelliti con un cavallo. Ma si trattava, invece, di una mucca il che è piuttosto curioso. "Le sepolture animali sono, comunque, estremamente rare", ha affermato il co-direttore dello scavo, Dottor Duncan Sayer, della University of Central Lancashire. Le 31 sepolture con animali esistenti in Gran Bretagna, sono tutte sepolture di uomini e cavalli.
La mucca era simbolo di ricchezza economica e nazionale e, pertanto, anche simbolo di potere. Lo scheletro della donna era attorniato da oggetti di corredo, tra i quali spille e centinaia di perle di vetro e di ambra. La donna era dotata anche di una sorta di portachiavi, costituito da una cintura di ferro, che era l'attestazione del suo alto grado sociale. Sicuramente, dunque, si trattava di una figura importante, una sorta di matriarca.
Resta l'unicità della sepoltura della mucca, dal momento che, essendo un animale sfruttato per il latte e la carne, raramente se non addirittura mai veniva sepolta come sacrificio al defunto.

mercoledì 27 giugno 2012

Scoperta una sezione di strada romana a Salonicco

Gli operai della metropolitana di Salonicco al lavoro
tra i resti risalenti all'epoca romana
Nella seconda città più grande della Grecia, Salonicco (l'antica Tessalonica), gli archeologi hanno scoperto una sezione di 70 metri di un'antica strada costruita dai Romani e che si pensa fosse l'arteria principale della città quasi 2.000 anni fa.
La strada, lastricata in marmo, è stata ritrovata durante gli scavi per la metropolitana di Salonicco, che dovrebbe essere completata in quattro anni. Molte delle grandi pietre della pavimentazione sono state incise con giochi da tavolo per bambini, mentre altre pietre hanno i solchi delle ruote dei carri. Sul sito sono stati riportati alla luce anche resti di suppellettili, di utensili, lampade e basi di colonne di marmo.
L'archeologo Viki Tzanakouli ha detto che la strada romana risale a 1.800 anni fa, mentre al di sotto di essa sono stati individuati i resti di una vecchia strada costruita dai Greci 500 anni prima di quella romana. La strada romana segue grosso modo il percorso della moderna Egnatia Avenue di Salonicco.
Nel 2008, sempre grazie ai lavori per la costruzione della metropolitana, gli archeologi hanno scoperto più di mille sepolture, alcune delle quali piene di pezzi di gioielleria e di monete.

Un'urna intatta risalente all'Età del Bronzo

L'urna ritrovata nella contea di Norfolk
Un emozionante ritrovamento è stato fatto nella contea di Norfolk: un'urna sepolcrale dell'Età del Bronzo intatta. A fare la scoperta un gruppo di archeologi che stanno lavorando sul sito di una nuova strada di collegamento che sta per essere completata presso Lynn.
Gli archeologi avevano già riportato alla luce pali di legno dell'Età del Ferro accanto al tracciato della strada. Ken Hamilton, alto funzionario del consiglio della contea di Norfolk, ha affermato che si pensa che l'urna contenga i resti cremati di un individuo di 2.500 anni fa. L'urna ha un bordo piuttosto spesso ed è stata prontamente rimossa dal luogo di ritrovamento. E' raro ritrovare reperti del genere intatti.

Gli italiani e il Buddha di Jahanbad

L'archeologo Luca Olivieri
Quando i talebani hanno fatto saltare, in Pakistan, il volto di un imponente scultura di pietra raffigurante il Buddha, antica di 1500 anni, in soccorso dei tesori minacciati dalla stupidità umana è arrivato un archeologo italiano, Luca Olivieri. Grazie agli sforzi suoi e dei suoi collaboratori, un'immagine del Buddha di sei metri di altezza, vicino la città di Jahanabad, sta per essere restaurata e molti tesori contenuti nella splendida valle di Swat sono in corso di scavo e di conservazione.
Il Buddah di Jahanabad è stato inciso su un'alta parete di roccia nel VI-VII secolo d.C. ed è una delle più grandi sculture che si trovano nell'Asia meridionale. Nell'autunno del 2007 è stato gravemente danneggiato quando i talebani del Pakistan si riversarono nella pittoresca valle di Swat. Il Dottor Olivieri dovette, in quei frangenti, lasciare, dopo due decenni, incustodite ricchezze che risalgono ad Alessandro Magno oltre ai capolavori dell'arte buddista, indù e musulmana. Tornò in Pakistan solo nel 2010.
La squadra capeggiata da Olivieri ha iniziato proprio a giugno di quest'anno a lavorare sulla statua del Buddah di Jahanabad, cercando di "suturare" le fessure e ricostruire fedelmente quel che resta del viso. Una ricostruzione completa è impossibile, perché non esiste una documentazione dettagliata in grado di guidare gli archeologi nel loro paziente lavoro di ricostruzione.
La missione archeologica del Dottor Luca Olivieri è finanziata dal governo italiano che lavora in accordo con le locali autorità pakistane. Gli archeologi italiani hanno scoperto oltre 120 siti buddisti tra le colline di Swat. 

Scoperta una miniera di cinabro in Perù

In Perù è stata scoperta una miniera di cinabro, utilizzato dai componenti della cultura Moche per dipingere tatuaggi sulla pelle, circa 1600 anni fa. Ad effettuare la scoperta, una squadra di archeologi guidata dal Dottor Franco Regulo.
Già nel 2006 il Dottor Regulo e la sua squadra scoprì, presso il sito di El Brujo, sempre in Perù, la sepoltura di una giovane madre morta intorno al 400 d.C., avvolta in 26 strati di tessuto fine e fiancheggiata da lance a dimostrazione del potere che deteneva in vita. Dai vasi che vennero ritrovati nella tomba, si ritiene che la donna fosse morta di parto. Oltre ad essere riccamente abbigliata ed avere preziosi anelli al naso, la pelle della giovane donna era delicatamente tatuata con figure di pesci e serpenti.
Il Dottor Franco riteneva che questi tatuaggi fossero stati fatti con il cinabro trasportato da miniere che si sapeva esistere più a sud, sugli altipiani andini di Huancavelica. Ma la scoperta appena effettuata nei pressi di Trujillo lo ha portato a credere che il solfuro di cinabro e il solfuro di mercurio siano stati ottenuti a livello locale. La miniera ritrovata contiene cristalli di malachite, minerali di mercurio e solfuro di mercurio ed è accessibile dal versante occidentale del Cerro Portachuelo, all'interno dell'area protetta di Cerro Campana, una collina fuori Trujillo, considerata sacra per la cultura Moche. L'ingresso della miniera presenta uno spazio di circa 7 metri di ampiezza che precede il tunnel che si immette nella montagna. Qui gli archeologi hanno rinvenuto cocci e frammenti di ossa che indicano chiaramente che la miniera era sfruttata dai Moche. Il luogo non è stato, però, mai esplorato a causa della presenza di gas nocivi.

sabato 23 giugno 2012

Sorprendente scoperta nel Galles

Gli scavi di Monmouth
Gli studiosi si sono confessati disorientati da quanto vanno scoprendo nel sito di Monmouth, in Galles. Le fondazioni in legno di un antico insediamento, qui ritrovate, risalirebbero all'Età del Bronzo e potrebbero, addirittura, essere retrodatate a 6.500 anni fa, nel Neolitico, il che le renderebbe più antiche delle piramidi egiziane. I reperti sono stati rinvenuti durante lo scavo per la costruzione di 80 abitazioni.
L'archeologo Steve Clark, con un'esperienza di ben 55 anni alle spalle, ha affermato che nulla di simile è stato scoperto in Gran Bretagna. Egli sostiene che la struttura lignea era, forse, una casa costruita sulle sponde di un antico lago insabbiatosi nel corso dei millenni. Le fondamenta della casa erano costituite da interi tronchi di albero della larghezza di un metro.Qui, forse, si riuniva una famiglia o l'assemblea della comunità.
Si attendono, ora, i risultati delle datazioni al radiocarbonio.

Un'antica sepoltura femminile in Kazakistan

Deserto del Kazakistan
Gli archeologi del Centro di Storia e Archeologia del Kazakistan occidentale hanno ritrovato la sepoltura di una giovane donna dell'Età del Bronzo nel territorio della città di Zhaiyk, a 12 chilometri da Uralsk.
La donna è stata seppellita in posizione fetale, con il capo verso ovest. Si ritiene che questo dovesse propiziarle una seconda nascita. Questo modo di seppellire è tipico delle comunità dell'Età del Bronzo. Lo scheletro si trovava accanto ai resti di una vecchia fornace di 800 anni fa.
Ci sono molte aree antiche nel Kazakistan, che attendono solo di essere scavate. Nel 2009, per esempio, è stata individuata un'antica città nella regione del Kaztal, della quale è stata scavata solo l'area residenziale, al momento.
Ora si pensa di allestire un museo a cielo aperto nel luogo in cui sorgeva, anticamente, la città di Zhaiyk, dove verranno raccolti tutti i reperti della regione.

Alla ricerca del tesoro del golfo...

Archeologi subacquei al lavoro
Una squadra di archeologi marini condurrà indagini subacquee al largo della costa nord-occidentale del Qatar per cercare i segni di un antico insediamento umano, esistente in questo luogo prima che venisse ricoperto dall'innalzamento del livello del mare.
Le località che sorgevano, 7.000 anni fa, nel golfo intrattenevano proficui rapporti commerciali con tutti i paesi all'intorno. Gli archeologi sperano di trovare i relitti delle antiche imbarcazioni utilizzate per questi commerci. Già altri archeologi hanno scoperto, nell'entroterra del Qatar, una tomba sconosciuta con i resti di uno scheletro. Si ritiene, pertanto, che le popolazioni che abitavano l'entroterra vi si siano rifugiate proprio in seguito all'innalzamento del livello marino che aveva spazzato via il loro iniziale insediamento.

Dietro le quinte della storia, la regina di Saba

Gli antropologi sono certi che 3.000 anni fa le popolazioni etiopi si siano mescolate con quelle egiziane, israeliane e siriane. L'evento potrebbe essere all'origine della storia della famosa regina di Saba, narrata nell'Antico Testamento. La ricerca in questione è stata pubblicata su The American Journal of Human Genetics e fornisce nuovi indizi sulla migrazione umana in Africa a partire da 60.000 anni fa.
Le testimonianze fossili portano a fissare l'origine della storia umana in Etiopia, ma poco, finora, si è capito e compreso della genetica del popolo etiope. Ora che questi studi stanno cominciando ad intensificarsi, si è scoperto che ci fu, 3.000 anni fa, un notevole flusso di popolazioni che dal Levante confluirono in Etiopia. E' forse questa migrazione ad essere stata tramandata attraverso la storia della regina di Saba.
A tal proposito antropologi e genetisti hanno preso in esame un campione di popolazione dell'Etiopia, concentrando l'attenzione su piccole sezioni del genoma umano e sul Dna mitocondriale, che passa per eredità materna. Ora si attendono nuove, interessantissime, scoperte.

Gli antichi Romani e ... il Giappone

Una delle perle ritrovate nella tomba giapponese
In Giappone sono stati scoperti gioielli prodotti nell'antica Roma, segno che l'Urbe mantenne un ruolo centrale nell'export internazionale. Si tratta di tre perle preziose ritrovate in una sepoltura a Nagaoka, nei pressi di Kyoto, che si ritiene siano state realizzate da artigiani romani tra I e il IV secolo d.C.
La scoperta è il risultato degli studi di un gruppo di ricercatori del Nara National Research Institute for Cultural Properties. Le perle sono in natron, un cristallo utilizzato per la fusione di prodotti nelle botteghe commerciali dell'Impero di Augusto, Costantino e Teodosio, hanno un diametro di circa 5 millimetri, con sfumature dorate.
"Sono i più antichi prodotti in vetro multistrato mai trovati in Giappone. Sono accessori molto rari che si crede siano stati realizzati nell'antica Roma e inviati in Giappone", ha dichiarato lo specialista Tomomi Tamura.

venerdì 22 giugno 2012

Lo yogurt nelle caverne del nord Africa

Immagini di animali sui monti dell'Acacus, in Libia
Nuove scoperte stanno per rivoluzionare le comuni opinioni sul consumo di latticini tra le antiche popolazioni del nord Africa. Uno studio, pubblicato su Nature, ha infatti stabilito che lo yogurt era consumato, in Africa, già 7.000 anni fa.
Questo tipico prodotto della fermentazione del latte pare abbia lasciato eloquenti tracce di grasso su alcuni frammenti ceramici. Gli archeologi e gli scienziati che hanno fatto questa scoperta sono gli stessi che hanno individuato la produzione del latte su frammenti risalenti a 9.000 anni fa ritrovati in Anatolia. Si tratta dell'archeologo biomolecolare Richard Evershed, dell'Università di Bristol, nel Regno Unito, e dell'archeologa Julie Dunne. Per entrambi lo yogurt avrebbe reso più digeribile il latte per gli adulti, in questo modo, infatti, dal latte sarebbe stato eliminato il lattosio.
Il team guidato dai due scienziati ha analizzato frammenti databili ad un arco temporale compreso tra il 5200 e il 3000 a.C., ritrovati nel riparo roccioso di Takarkori, sulle montagne dell'Acacus, in Libia. Attualmente questa regione si trova in pieno deserto, ma 7.000 fa il panorama era più lussureggiante, in grado di offrire pascolo agli animali che producevano latte.
Nel rifugio Takarkori ed in altri simili all'intorno, si sono individuati ricoveri per il bestiame e vivaci disegni sulla roccia, vere e proprie opere d'arte raffiguranti animali simili a mucche che vengono munte. Queste immagini, però, non possono essere datate con precisione. Gli archeologi hanno anche ritrovato frammenti di ossa di animali domestici.
Gli 81 frammenti di ceramica ritrovati sono stati analizzati con la spettrometria di massa, al fine di individuare l'appartenenza dei grassi animali e i relativi livelli di isotopi di carbonio. In 29 dei campioni la metà del grasso individuato proveniva da latticini. Mark Thomas, genetista dello University College di Londra, è entusiasta della scoperta. Egli ipotizza che le mutazioni che hanno permesso agli adulti di digerire il lattosio si sono diffuse circa 7.000-8.000 anni fa in Europa e da qui in Africa, dove hanno sicuramente offerto molti benefici alla popolazione presente. Il latte fresco è sicuramente, ora come allora, una fonte di idratazione non indifferente e le persone in grado di tollerare il lattosio risultavano più idrate delle altre.

Un misterioso amuleto egizio ritrovato in America...

L'amuleto rappresentante il dio Bes
Un manufatto rappresentante una testina dagli occhi rotondi potrebbe essere stato utilizzato dagli Egizi per proteggere bambini e donne incinte dalle forze del male.
L'oggetto, in ceramica, contiene silice (tra le componenti maggiori della cosiddetta faience) ed è di colore verde pallido. Risalirebbe, secondo le datazioni, al I millennio a.C. e rappresenterebbe il dio nano Bes, con la lingua di fuori e i tipici occhi rotondi, coronato con delle piume. L'amuleto era, probabilmente, sospeso al collo attraverso una catenella.
Carolyn Graves-Brown, curatrice del Centro Egizio della Swansea University, ha scoperto il manufatto nella collezione del Woking College, una scuola superiore per giovani e anziani. Il collegio possiede più di 50 manufatti egizi poco studiati, recentemente prestati al Centro Egizio, dove vengono regolarmente catalogati e documentati. In un primo momento Carolyn Graves-Brown non sapeva cosa fosse l'oggetto, poi lo ha confrontato con un manufatto simile in possesso del British Museum ed è stata in grado di determinare che si trattava di un amuleto, uno dei pochissimi rappresentante il dio Bes di cui si conosca l'esistenza. Probabilmente l'amuleto può essere stato depositato, come ex voto, in un tempio egizio dedicato al dio deforme oppure può essere stato deposto, millenni fa, nella culla di un bambino per proteggerlo durante il sonno. Purtroppo non si è in grado di contestualizzare l'oggetto.

Il tesoro di Gessel e gli Argonauti

Un anello facente parte del tesoro di Gessel
Gli archeologi tedeschi hanno un nuovo "idolo", l'ex cancelliere Schroeder, che spinse, a suo tempo, la Germania, in accordo con la Russia di Putin, a far arrivare il gas russo in Europa. Per far questo era necessario creare un argine di 440 chilometri di lunghezza, largo fino a 30 metri, che partisse da Lublin, località turistica costiera nel nord-est della Germania, e raggiungesse la città di Rehden, nella Bassa Sassonia.
Il progetto si rivelò una vera manna per le scoperte archeologiche, la più importante delle quali fu fatta nel distretto di Gessel, nella Bassa Sassonia. Qui furono ritrovati ben 117 pezzi d'oro, accuratamente raccolti in un vecchio panno di lino oramai marcito. Il tesoro è stato datato a 3.300 anni fa.
Il tesoro, di circa 1,8 chilogrammi di peso, è stato rinvenuto in un campo e si compone di alcuni gioielli, soprattutto spirali d'oro legate insieme in file di decine. Recenti test effettuati sull'importante ritrovamento hanno rivelato che l'oro con cui sono stati forgiati questi gioielli proveniva da una miniera dell'Asia centrale, nell'attuale Kazakhistan, oppure nell'Uzbekistan o nell'Afghanistan.
Probabilmente l'oro ritrovato a Gessel era stato caricato dai monti che si trovano nei pressi della Valle dell'Indo ed inviato via nave in Mesopotamia. Da qui, per vie ancora da esplorare, ha raggiunto infine la Germania.
Una delle spirali facenti parte del tesoro di Gessel
Alcuni studiosi, però, ritengono piuttosto avventurosa quest'ipotesi e tendono a non fidarsi degli studi e dei test effettuati sugli oggetti d'oro di Gessel. C'è da dire che negli anni sono stati diversi oggetti "strani", per l'epoca e per la provenienza, in Europa. Per esempio un seggiolino reale egizio è stato ritrovato addirittura in Svezia e magnifiche conchiglie Spondylus, provenienti dal Mediterraneo, sono finite - chissà come e chissà perché - fino in Bavaria.
Per quanto riguarda l'oro, si sa che vi è una forte presenza del prezioso minerale in un'area che va dai monti Altai al lago di Aral. Una miniera d'oro preistorica, la più grande del Caucaso centrale, è stata recentemente scoperta in Armenia. Tutto questo potrebbe spiegare anche l'origine del mito degli Argonauti che, secondo la leggenda, attraversarono il Mar Nero per rubare il famoso Vello d'Oro.

Il ritorno della Porta del Paradiso

La Porta del Paradiso
Il 26 giugno la Porta del Paradiso, capolavoro in senso assoluto di Lorenzo Ghiberti, raggiungerà il cortile del Museo dell'Opera del Duomo, dove verrà montata all'interno di una maxiteca di cristallo antiriflesso, alimentata con aria depurata, dotata di congegni sofisticati che dovranno mantenere il giusto grado di temperatura ed umidità per tenere lontana l'ossidazione tra la foglia d'oro e il bronzo.
L'evento è davvero epocale, dal momento che la magnifica Porta era in restauro da ben 27 anni presso l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze. L'8 settembre 2012, poi, la monumentale Porta sarà rimontata nel cortile che è stato consolidato per l'occasione, visto che il capolavoro, compresa la teca in cui sarà custodito, pesa ben 8 tonnellate. Da allora la Porta del Paradiso sarà visibile al pubblico.
Il più che ventennale intervento, che ha visto l'avvicendarsi di numerosi studiosi, esperti e tecniche conservative, ha richiesto 3 milioni di euro di finanziamento, due dei quali provenienti dal Ministero per i Beni Culturali, 700.000 dall'Opera del Duomo e 240.000 dall'Associazione Friends of Florence. La Porta del Paradiso è considerata il culmine della scultura rinascimentale fiorentina. Doveva essere costituita da 24 formelle, ma il Ghiberti le ridusse a dieci per meglio evidenziare la rivoluzione plastica e prospettica delle arti all'epoca (XV secolo).
Autoritratto del Ghiberti
La porta è alta 5,20 metri, larga 3,10 con uno spessore di 11 centimetri. E' stata smontata per la prima volta e nascosta in una galleria ferroviaria nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, per ragioni di sicurezza. Il primo restauro si data al 1948 e fu allora che riemerse la sua stupefacente duratura. L'alluvione di Firenze del 1966 strappò letteralmente sei pannelli dal telaio di bronzo. Negli anni '70 traffico e inquinamento atmosferico arrecarono i primi danni per ossidazione dei metalli ma solo nel 1990 la Porta del Paradiso venne messa in cura nell'Opificio delle Pietre Dure. Al suo posto venne esposta una copia realizzata grazie al mecenate giapponese Choichiro Motoyama.
Lorenzo Ghiberti realizzò il suo capolavoro assoluto tra il 1425 e il 1452, con l'aiuto del figlio Vittore. Fu soprannominata Porta del Paradiso da Michelangelo Buonarroti. La porta reca scene dell'Antico Testamento che furono scelte da Leonardo Bruni, cancelliere della Repubblica fiorentina e fine umanista. Ci vollero 27 anni perché la Porta venisse realizzata, tanti quanti ne sono occorsi per il suo attuale restauro. Solo nel 1452 il Ghiberti, oramai settantenne, installo gli ultimi pannelli bronzei. 

La villa e il tempio di Montegibbio

Pavimento in opus signinum della villa di Montegibbio
Ricerche archeologiche iniziate nel 2007 in località Poggio di Montegibbio (Sassuolo), hanno permesso di riscoprire una villa urbano-rustica di età romana, in cui sono state subito evidenziate ben quattro fasi di occupazione, dal I secolo a.C. fino al VI secolo d.C..
Già nel 2006 erano state ritrovate, in loco, raffinate ceramiche da mensa, intonaci dipinti e frammenti di tubuli fittili che si riferivano a impianti termali o di riscaldamento. I resti più importanti si riferiscono alla prima fase insediativa, risalente al I secolo a.C.. In quest'epoca era installata in questo luogo una villa romana composta da una pars urbana dotata di ambienti estremamente raffinati e residenza del dominus, e da una pars rustica con ambienti di carattere prettamente rurale. Esempio della pars urbana è un cubiculum con splendido pavimento in opus signinum, con decorazione simile a un tappetto con caratteri geometrici. L'opus signinum è un tipo di pavimentazione costituita da una base formata da calce mescolata a frammenti di terracotta, decorato da tessere di mosaico sparse, regolarmente intervallate o disposte a formare un disegno geometrico, oppure da frammenti di marmi o pietre bianche o colorate. Il termine "signinum" deriva dalla città di Segni (Signa), in provincia di Roma, dove le fonti antiche riferiscono sia stata inventata questo tipo di pavimentazione.
Alcuni dei reperti provenienti dallo scavo di Montegibbio
Questo ritrovamento, di per sé già significativo, è ancora più importante a causa delle evidenze di un evento catastrofico che ha causato, in epoca antica, la distruzione dell'abitato di primo periodo. Il pavimento in opus signinum del cubiculum e le pareti che lo delimitano sono collassati per circa un metro di profondità dal piano originario di posa, il che è indice di un forte terremoto, avvenuto intorno al I secolo a.C. e riconducibile alla salsa di Montegibbio. A quest'ultima fa riferimento lo storico e naturalista romano Plinio il Vecchio, che nella sua Naturalis Historia narra dello scontro tra due monti identificati dagli studiosi con le "mammelle" della salsa di Montegibbio, che distrusse le ville romane di quest'area del modenese nel 91 a.C.. L'ultima attività nota della salsa di Montegibbio è attestata nel 1835 dallo studioso Giovanni De' Brignoli di Brunhoff. Le salse sono vulcani che eruttano fango e acqua salata in seguito alla fuoriuscita, dal sottosuolo, di gas metano.
Sul cubiculum furono poi costruiti altri ambienti in epoca imperiale, probabilmente nel III secolo d.C.. L'ultima fase insediativa è riconducibile al V-VI secolo d.C. ed è caratterizzata da muri in ciottoli e da un grande basamento in laterizio.
Accanto all'insediamento abitativo costituito dalla villa, sono stati ritrovati i resti di una fornace, attiva dalla fine del II secolo a.C., che produceva non solo laterizi per la costruzione e il restauro eventuale degli ambienti pertinenti la villa, ma anche anfore per olio e vino, nonché dolia, grossi vasi per la conservazione delle derrate alimentari. Tra i reperti riguardanti la fornace sono stati ritrovati numerosi distanziatori fittili di forma cilindrica e alcuni frammenti di tubuli usati per costruire le volte di fornaci ed edifici pubblici e privati (detti orieni).
Nella zona a nord della villa, poco lontano dall'insediamento abitativo, sono emersi, inoltre, resti di mura in ciottoli squadrati che fanno riferimento ad una precedente struttura edificata al di sopra di un crollo che, a sua volta, si riferisce ad una struttura più antica di carattere monumentale. Quest'ultima è stata identificata come un santuario dedicato a Minerva, ipotesi rafforzata dal ritrovamento dei resti di una coppa in ceramica recanti l'iscrizione "[...] Miner sum", "sono dedicato a Minerva". I blocchi dell'antico santuario vennero, in seguito, riutilizzati nelle costruzioni successive.
Frammento di coppa in ceramica con iscrizione
dedicatoria a Minerva
Il tempio dedicato a Minerva è da mettersi strettamente in relazione alla presenza di acque salutari che scorrevano in prossimità dell'insediamento. Si tratta, quasi sicuramente, di fonti salate, polle di petrolio e vulcani di fango. Publio Ovidio Nasone conferma che Minerva era certamente una divinità dagli aspetti diversi, protettrice dei medici e della medicina (Minerva Medica), oltre che legata all'intelligenza ed alla guerra. Il culto di una Minerva Medica è, del resto, attestato nei dintorni di Montegibbio in riti salutari e tradizioni indigene. In prossimità dei vulcani di fango di Nirano, non lontano da Montegibbio, infatti, è stato ritrovato un piccolo altare votivo di epoca imperiale dedicato proprio a Minerva.
Tra i reperti ritrovati nelle passate campagne di scavo sono presenti tre monete di epoca repubblicana, con prua di nave sul verso e Giano bifronte sul recto (II-I secolo a.C.) e due piccoli piatti in ceramica a vernice nera coevi. Varie altre monete e vasellame di pregio attestano ulteriormente le fasi successive dell'insediamento (I secolo d.C.).
Gli scavi a Montegibbio sono stati condotti dalla dottoressa Francesca Gualandini per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna, sotto la direzione scientifica del Soprintendente Luigi Malnati e dell'archeologo Donato Labate.
Domenica 10 e 24 giugno 2012 e domenica 1, 15 e 22 luglio 2012, alle ore 10.00, 17.00 e 18.00 si terranno le visite guidate a cura degli archeologi che hanno condotto gli scavi in questa zona. Il costo è di € 3,00 a persona (gratuito per i bambini fino a 12 anni). E' gradita, pur non essendo obbligatoria, la prenotazione alla URP di Sassuolo, tel. 0536.1844801.

Il British Museum e i giochi olimpici

Discobolo, copia romana di un bronzo
greco del V secolo a.C., da Villa Adriana
In occasione dei giochi olimpici del 2012 che si svolgeranno a Londra, il British Museum ha voluto onorare l'atletismo nell'antica Grecia attraverso una serie di reperti di statuaria raffiguranti la vittoria nel mondo antico. La mostra, con ingresso gratuito, rimarrà aperta fino al 9 settembre 2012.
Alcuni oggetti esposti provengono direttamente dal British Museum, come il Discobolo di Townley, copia romana di una statua greca, attribuita al greco Mirone di Eleutere, andata perduta e risalente al V secolo a.C.; o come il Diadumeno di Vaison-la-Romaine, copia anch'essa romana di un originale greco del V secolo a.C. scolpito da Policleto e raffigurante un atleta mentre si lega, attorno alla testa, il nastro della vittoria.
Il pezzo più prezioso dell'esposizione è l'Auriga di Mozia, un'enorme scultura del V secolo a.C., caratterizzata dal panneggio bagnato, tipico della scultura del periodo classico. L'Auriga fu scoperto a Mozia nel 1979. Mozia era, un tempo, una città fenicia e si chiamava Motya. L'Auriga non è mai stato presentato fuori dal Museo Giuseppe Whitaker di Mozia ma ora è per la prima volta in Gran Bretagna, in cambio dell'Apollo di Strangford, un kouros tardo-arcaico.
Non è sicuro che la statua di Mozia raffiguri un Auriga. Alcuni pensano, piuttosto, che rappresenti Ercole o un magistrato, anche se il fisico atletico e diversi altri attributi lo accomunano all'Auriga di Delfi (il lungo chitone, per esempio, che l'Auriga di Mozia indossa con una banda attorno al torace). Quattro chiodi di bronzo presenti sulla testa dell'atleta di Mozia fanno pensare alla presenza, un tempo, di un oggetto circolare, forse una corona della vittoria.
Nella mostra inglese saranno visibili anche quattro vasi greci che recano, sulle pareti, le raffigurazioni di diversi sport. Proprio una di queste raffigurazioni, un velocista su un'anfora proveniente da Rodi, è stato preso a simbolo della mostra.

La forcina di Caterina...

La forcina di Caterina de' Medici
Una forcina appartenente a Caterina de' Medici, regina di Francia dal 1547 al 1559, è stata ritrovata nel castello di Fontainebleau, a sud di Parigi. L'oggetto è stato recuperato in una latrina comune del palazzo reale.
E' la prima volta che un oggetto appartenente alla regina, figlia di Lorenzo II de' Medici nonché pronipote di Lorenzo il Magnifico, viene ritrovato a Fontainebleau. La forcina è lunga circa 9 centimetri ed è stato possibile attribuirla a Caterina de' Medici grazie all'iniziale "C" ed alle decorazioni bianche e verdi, colori preferiti da Caterina, presenti sull'oggetto.

mercoledì 20 giugno 2012

I misteri di Palmira

La strada principale di Palmira
Palmira è stata la più importante città sulla rotta commerciale che collegava l'est del mondo allora conosciuto all'ovest. La città arrivò ad ospitare ben 100.000 abitanti, ma la sua storia è stata avvolta sempre dal mistero. Come faceva, per esempio, una città di 100.000 abitanti a sopravvivere nel bel mezzo del deserto? Dove si procuravano il cibo gli abitati di Palmira?
Archeologi Norvegesi e Siriani stanno collaborando da quattro anni per trovare le risposte alle numerose domande sulla misteriosa ed affascinante città nel deserto. Gli studiosi hanno affrontato il problema da una prospettiva diversa da quella incentrata sullo studio della città. Servendosi di foto satellitari, gli archeologi hanno catalogato e studiato un gran numero di antiche vestigia visibili su un'ampia distesa di territorio a nord di Palmira. In questo modo hanno scoperto un buon numero di villaggi dimenticati già in epoca romana. A risolvere uno degli enigmi di Palmira è stata la scoperta di giacimenti d'acqua utilizzati da questi villaggi.
Attraverso la raccolta di tutti questi dati, gli archeologi si sono resi conto che, un tempo, la zona in cui sorge Palmira era non tanto un deserto quanto un'arida steppa, con radici sotterranee che trattenevano l'acqua che, a sua volta, si convogliavano in ruscelli e fiumi intermittenti chiamati dagli Arabi wadi.
Gli archeologi hanno potuto accertare che i residenti di Palmira raccoglievano, al pari degli abitanti dei vicini villaggi, l'acqua piovana in dighe e cisterne che sono andate ad alimentare le colture circostanti che fornivano di cibo la città. 

Ritrovati i resti del Battista?

Le presunte ossa di Giovanni Battista
Alcune ossa, ritrovate in una piccola chiesa in Bulgaria, potrebbe essere tutto quel che rimane di Giovanni Battista, il predicatore che, secondo il Vangelo, battezzò Gesù. Naturalmente non c'è modo di avere la certezza assoluta perché non ci sono altri resti con i quali confrontare le ossa. Il sarcofago che conteneva i reperti è stato rinvenuto vicino ad un altro contenitore che reca il nome di San Giovanni e la data in cui veniva celebrata la sua festa, il 24 giugno. Una nuova datazione al radiocarbonio del collagene delle ossa le ha datate al I secolo d.C..
Le indagini hanno confermato che i resti umani appartenevano ad un maschio, di statura superiore rispetto a quella degli uomini del Vicino e Medio Oriente, dove Giovanni Battista sarebbe vissuto. Le ossa sono state trovate nel 2010 dagli archeologi bulgari Kazimir Popkonstantinov e Rossina Kostova durante gli scavi di un antico sito dove sorge una piccola chiesa, sull'isola di Sveti Ivan (San Giovanni). La chiesa venne costruita in due periodi, tra il V e il VI secolo d.C.. Sotto l'altare gli archeologi hanno ritrovato il piccolo sarcofago di marmo, dentro al quale riposavano sei ossa umane e tre ossa animali. Successivamente i ricercatori hanno trovato una seconda scatola, poco distante, scolpita nel tufo. Su quest'ultima era incisa una scritta che recitava: "Caro Signore, aiuta il tuo servo Tommaso", con il nome di San Giovanni Battista.
Sepolcro del Battista nella Moschea degli Omayyadi a Damasco
Probabilmente il tal Tommaso aveva trafugato parte del corpo di Giovanni Battista e lo aveva portato sull'isola per consacrare, con le ossa, una nuova chiesa. Tra le ossa sono presenti un astragalo, un dente, parte del cranio e un'ulna. I ricercatori hanno potuto utilizzare solamente l'astragalo per trarre collagene sufficiente per effettuare un'analisi. Al momento sono stati in grado di ricostruire la sequenza del Dna da tre delle ossa e quest'analisi ha permesso loro di appurare che i resti appartengono ad un'unica persona, un uomo proveniente dal Medio Oriente.
Gli storici, ovviamente, non sono in grado di dire che sorte abbia avuto il corpo di Giovanni Battista dopo la morte. Quel che si sa è che fin dal III-IV secolo d.C. diverse chiese cominciarono ad esibire presunte reliquie del cugino di Gesù al fine di attirare i pellegrini. La chiesa di Sveti Ivan è più recente rispetto alle ossa che sono state trovate nel sarcofago ritrovato sotto l'altar maggiore.
Prese in consegna dalla chiesa ortodossa bulgara, le ossa sono attualmente custodite nella cattedrale di Santa Sofia, capitale del paese. Il clamore suscitato dal ritrovamento, però, ha portato al furto di una costola del presunto Giovanni il Battista.

Rostri e acido solforico

Uno dei rostri scoperti presso le isole Egadi, simile
al reperto studiato dagli archeologi
Un antico rostro da guerra è stato recuperato dal fondo del Mediterraneo. Un'analisi ha dimostrato che sul rostro si è accumulato molto acido solforico, per questo i ricercatori sono impegnati in una lotta contro il tempo per evitare la disgregazione del reperto. Inoltre questi tentativi potrebbero essere molto utili per preservare altre strutture di legno antiche recuperati dai fondali marini.
Attualmente il rostro è conservato sott'acqua poiché si è stimato che l'esposizione all'aria potrebbe significare la sua distruzione. Durante la prima guerra punica, tra il 264 e il 241 a.C., centinaia di navi da guerra romane e cartaginesi si scontrarono nel Mediterraneo, con la conseguenza che alcune di loro giacciono, ora, sul fondo marino.
Nei casi precedenti di ritrovamento di simili reperti, i ricercatori avevano potuto studiare il metallo del rostro per individuarne la provenienza. Grazie ad una sorta di impronte "digitali" proprie del metallo, il bronzo del rostro è stato attribuito a delle miniere spagnole o cipriote. Il rostro presenta sei punte rivolte in avanti, tre per lato, adatte a squarciare il fianco di una nave in modo tale da impedirle di essere riparata. Il legno che sosteneva il rostro era di pino, impermeabilizzato con resina dello stesso albero.

L'ultimo riposo dei Greci di Marsiglia

Scavi archeologici a Marsiglia
Si sa che i primi abitanti di Marsiglia, cittadina del sud della Francia, erano Greci provenienti dalla città di Focea. Ora gli archeologi hanno scoperto un antico cimitero che potrebbe fornire ulteriori notizie sugli usi e costumi degli antichi abitanti di Marsiglia.
Il cimitero è stato datato al IV o V secolo a.C. ed è stato riportato alla luce durante gli scavi nell'antico porto di Marsiglia. Al momento sono stati trovati sei sarcofagi ed alcune urne. A scavare una squadra di archeologi francesi, che contano di trovare presto altri indizi relativi ai Focesi di Marsiglia

Il passato di Skiathos riemerge dal mare

Il porto di Skiathos
Esplorazioni subacquee nel Mar Egeo, nel maggio scorso, hanno portato alla scoperta di un tesoro di antichità archeologiche. L'esplorazione subacquea si è svolta sotto la supervisione della Soprintendenza delle antichità subacquee greca. Sono stati individuati, tra l'altro, il vecchio porto di Skiathos e la fortezza veneziana chiamata Burtzi.
Sono stati scoperti antichi frangiflutti, un molo bizantino in prossimità del porto antico, in coincidenza proprio con l'antico porto di Skiathos. Sono riemersi anche molti pezzi di vasi in ceramica e due lampade complete risalenti al VI ed al IV secolo a.C., nonché due vasi intatti del periodo classico.
I sommozzatori hanno ritrovato, nella regione di Tarsanades, anche i resti di un naufragio di tarda età romana nonché quelli di un naufragio di epoca bizantina.

Neanderthaliani o no?

Uno dei crani ritrovati a La Sima de los Huesos
E' il sito paleontologico più importante d'Europa: si tratta di una camera sotterranea situata in fondo ad un pozzo nei recessi più profondi della caverna di Atapuerca, nel nord della Spagna, dove sono stati ritrovati decine di scheletri. Si tratta de La Sima de los Huesos ed è stata designata Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, per la sua importanza nella comprensione dell'evoluzione umana.
Un esperto britannico sull'evoluzione umana, il professor Chris Stringer, del Museo di Storia Naturale, però, ha avanzato il sospetto che il team incaricato di datare il sito de La Sima ha sbagliato nell'attribuire la datazione ai fossili. Questi ultimi, secondo il professor Stringer, lungi dall'essere antichi di 600.000 anni ed attribuiti ad una specie umana chiamata Homo Heidelbergensis, sono comuni resti dell'Homo Neanderthaliensis e non hanno più di 400.000 anni.
"I reperti di Atapuerca sono estremamente importanti. - Ha detto il professor Stringer. - Non c'è un altro sito in termini di numero di ossa e teschi dei nostri antichi predecessori. E' la più grande collezione al mondo di fossili umani e la squadra che vi ha lavorato ha fatto un eccellente lavoro di scavo".
La Sima de los Huesos è stata scoperta dagli speleologi che stavano esplorando la caverna di Atapuerca. Gli scavi sono stati condotti dall'archeologo Juan Luis Arsuaga, dell'Università di Madrid, e sono stati iniziati nel 1990. Da allora sono emersi i corpi di 28 umani che il professor Arsuaga ritiene appartenere alla specie di Homo Heidelbergensis. Il professor Stringer, al contrario, ritiene che gli scheletri abbiano caratteristiche neanderthaliane, come i denti e le mascelle.

Il paleolitico a Siega Verde

Siega Verde, rappresentazione di equide
In Portogallo si trova un sito di arte rupestre quasi sconosciuto, Siega Verde, a pochi chilometri da Ciudad Rodrigo, nella provincia di Salamanca. Il sito è stato riconosciuto di notevole importanza solamente nel 2010, dal momento che la fama del vicino complesso di Valle del Coa ne oscurava, finora, la fama.
In diversi punti della valle del fiume Coa e in una piccola insenatura del fiume Agueda, si trovano una notevole quantità di graffiti e incisioni su roccia scistosa, rappresentanti animali (cavalli, cervi, capre) ma anche disegni astratti e alcune figure antropomorfe.
Siega Verde è situata in un paesaggio in cui dominano le rocce di ardesia, non lontano dal fiume Agueda. Si tratta del più importante complesso di arte rupestre paleolitica all'aperto della penisola iberica, il primo ad essere scoperto nel 1988. I graffiti qui presenti sono stati datati ad un periodo compreso tra 20.000 e 10.000 anni fa. A tutt'oggi sono state catalogate 91 rocce con circa 650 figure, delle quali 443 rappresentano animali, 3 uomini, 165 sono disegni schematici e 35 non è stato possibile determinare cosa intendano rappresentare.
Gli animali più rappresentati sono gli equidi, al secondo posto i bovidi, seguono i cervidi, i caprini, i canidi, pachidermi, orsi e felini. La presenza dei cervidi denota un clima, all'epoca, umido e temperato, tipico delle zone boschive; quella del rinoceronte lanoso indica che vi furono anche situazioni di freddo estreme.
I disegni sono stati tracciati mediante una serie di punti e solchi risultato di percussione diretta o indiretta. In alcuni casi sono sovrapposte profonde incisioni che completano il disegno. Non sono presenti tracce di pittura.

venerdì 8 giugno 2012

Scoperta la tomba di Djehutinakht, padre di Ahanakht

L'interno della tomba di Djehutinakht, con gli oggetti
ivi posizionati dopo la collocazione del corpo
E' stata ritrovata, nella necropoli di Deir el-Barsha, vicino alla città egiziana di Minya, la sepoltura di un  governatore (nomarca) della provincia nel Medio Regno. La tomba è piuttosto ben conservata.
La scoperta è stata effettuata dagli archeologi Belgi in quella che un tempo era la provincia di Hare e sembra si tratti di un'importantissima sepoltura del Medio Regno, contenuta nella tomba di un altro nomarca, Ahanakht I. E' la prima volta, a distanza di un secolo, che viene ritrovata una sepoltura così ben conservata, è stata la dichiarazione del ministro di stato per le antichità Mohamed Ibrahim. Pur essendo stata violata per due volte nell'antichità, con conseguenti danneggiamenti, la sepoltura del governatore conserva ancora gran parte del corredo funerario così come fu deposto all'inumazione del defunto. Si tratta di oggetti rituali in alabastro, ceramica e rame, soprattutto vasi per libagioni e piatti. La posizione di questi oggetti nella sepoltura (sono stati ritrovati nello stesso identico modo in cui erano più di duemila anni fa), ha permesso agli studiosi di ipotizzare quale fosse il rito di sepoltura. Innanzitutto è stato portato il sarcofago del defunto, quindi sono stati fatti dei rituali di purificazione comprendenti anche delle offerte. La tomba di Ahanakht I è piuttosto conosciuta, dal momento che è stata esplorata tra il 1891 ed il 1891 e completamente scavata dall'archeologo americano George Andrew Reisner nel 1915. Tutta la campagna di scavo di Reisner fu occupata dalla scoperta della sepoltura del nomarca in una tomba vicina. Tomba che ha restituito uno splendido corredo funerario. Reisner, però, non concluse gli scavi delle sepolture presenti nella tomba di Ahanakht.
Parte del corredo di Djehutinakth
Pur essendo il sarcofago dello sconosciuto governatore in cattive condizioni, sono visibili delle righe scritte che parlano di un certo Djehutinakht, probabilmente il possessore del sepolcro. Djehutinakth è conosciuto per essere stato l'ultimo nomarca del nomo di Hare durante il Primo Periodo Intermedio. Probabilmente è stato lui ad essere seppellito qui. Djehutinakht è il padre di Ahanakht I che, pertanto, ha voluto seppellire il genitore nel sepolcro che si era fatto edificare.
Nel sarcofago sono presenti anche i Testi dei Sarcofagi, tra i più importanti testi diffusi nel Medio Regno, legati ai Testi delle Piramidi ed al Libro dei Morti. Deir el-Barsha, durante il Medio Regno, fu il principale cimitero dei governatori del XV nomo dell'Alto Egitto e risale alla XI e XII Dinastia. Già nel 2007 fu scoperta la tomba di un cortigiano egizio di nome Henu, gestore di proprietà immobiliari, vissuto intorno al 2100 a.C.. La mummia di Henu era avvolta nel lino e deposta in una grande bara di legno, a sua volta contenuta in un sarcofago decorato con testi geroglifici che facevano riferimento ad Anubis e Osiride. Con le spoglie di Hanu furono sepolte anche statuette di legno dipinto molto ben conservate, raffiguranti operai che fabbricavano mattoni, donne impegnate nella produzione della birra e di cereali pestati ed un modello di barca con rematori.
Deir el-Barsha



giovedì 7 giugno 2012

Scoperta antica chiesetta sul Mar Nero

Sarafovo, i resti della chiesetta
Gli archeologi bulgari hanno scoperto una chiesa di età tardo-antica nei pressi del villaggio di Sarafovo, sulla costa del Mar Nero. Il sito è stato scavato dalla squadra del professor Lyudmil Vagalinski, direttore dell'Istituto Nazionale di Archeologia presso l'Accademia Bulgara delle Scienze.
A detta dello stesso professor Vagalinski, la chiesa risalirebbe ad un periodo compreso tra il IV e il VI secolo d.C.. Gli scavi sono iniziati dopo che, durante l'inverno, il movimento delle onde marine aveva permesso di scoprire parti di strutture romane, un edificio residenziale con un sistema fognario, di cui gli archeologi bulgari sospettavano l'esistenza sin dal 1970.
All'inizio del 2012, quando sono iniziati gli scavi, gli archeologi pensavano di trovare una città portuale romana, dal momento che ci si trova vicino ad Aquae Calidae, che si trova, in parte, sotto l'attuale cittadina di Burgas, invece si sono imbattuti nella piccola chiesa. Forse l'edificio religioso contiene, all'interno delle sue fondamenta, anche le reliquie di qualche santo.

Le gemelline di Olerdola

Olerdola, i resti delle gemelline
I ricercatori dell'Università Autonoma di Barcellona hanno scoperto i resti di due gemelle neonate nel sito archeologico di Olerdola a Barcellona. I resti risalgono ad un periodo compreso tra il IV e il II secolo a.C. e sono il primo caso documentato di resti gemellari registrati nella penisola iberica.
I resti, ritrovati in Catalogna, appartengono a due neonate di 38-40 settimane di gestazione, che furono seppellite nello stesso momento. I resti ossei non presentano segni patologici che possano dare una spiegazione della morte che, per il momento, sembra doversi attribuire ad una gravidanza e ad un parto difficili, conseguenza della scarsa igiene e profilassi dell'epoca.
Gli archeologi sono ricorsi ai metodi dell'antropologia forense per determinare il sesso e l'età delle due gemelle. Per quest'ultima, in particolare, si è preso come riferimento la lunghezza delle ossa e il loro stato di calcificazione. La scoperta è tanto più importante in quanto consente di studiare le sepolture dei neonati nella penisola iberica. Finora, infatti, si pensava che ai bambini piccoli non fosse riservata una vera e propria sepoltura in cimiteri. Le gemelle, invece, sono state sepolte in un luogo dove solitamente si conciavano le pelli, un luogo di lavoro, il che suggerisce che questo era il luogo dove lavorava la loro madre.

mercoledì 6 giugno 2012

Vampiri di Bulgaria

Scavi in Bulgaria
Gli archeologi bulgari hanno scoperto un uomo sepolto con un bastone di ferro nel petto nella città di Sozopol, sul Mar Nero. L'uomo è stato sepolto 700 anni fa, dopo essere stato accoltellato più volte al petto e nello stomaco. Sembra che fosse considerato un vampiro, ha affermato Bozhidar Dimitrov, direttore del Museo Nazionale di Storia.
La sepoltura è stata scoperta nei pressi dell'abside di una chiesa, il che suggerisce che appartenesse ad una famiglia aristocratica. Oltre cento persone uccise a coltellate perchè sospettate di essere dei vampiri sono state scoperte in Bulgaria nel corso degli anni.

martedì 5 giugno 2012

Bizantini di Sicilia a S. Pietro in Deca

S. Pietro in Deca, edificio ottagonale
Gli scavi archeologici hanno confermato che un'azienda agricola nonché monastero, in Sicilia vanta una vita millenaria. Il complesso è un insediamento economico-religioso sviluppatosi tra il V ed il XVI secolo.
L'isola, anticamente, è stata colonizzata dai Greci, poi dai Romani e, infine, nel medioevo, era il centro dei possedimenti normanni in Italia. I precedenti quattro secoli di dominio bizantino sono molto poco conosciuti e stanno cominciando a riaffiorare grazie al lavoro dell'Istituto di Studi Greci Bizantini dell'Università di Vienna.
Per un decennio i ricercatori dell'Istituto si sono concentrati sui terreni agricoli nei pressi della cittadina di Torrenova, a circa 120 chilometri da Messina, che mostravano delle preesistenze monastiche delle quali sopravvive un edificio ottagonale dotato di cupola conosciuto come Conventtazzo, che ha subito due importanti modifiche. Il complesso mostra una continuità d'uso dalla tarda antichità fino all'epoca moderna. Si tratta, forse, di un antico Monastero Basiliano. Il ritrovamento, casuale, di una moneta d'oro della zecca di Siracusa nella muratura di una monofora esterna, dimostrò che questa struttura fu sicuramente utilizzata nel IX secolo sotto il regno di Michele II, imperatore di Bisanzio.
La moneta trovata
nella muratura
Le indagini sono iniziate nel 2001 con l'ausilio della più avanzata tecnologia che ha consentito un'analisi non invasiva del territorio, con l'identificazione di strutture edilizie celate nel terreno. Sono state riportate alla luce le mura di una chiesa della lunghezza di 20 metri e della larghezza di otto, all'interno della quale è stata trovata una base in muratura che si pensa fosse una scala. La chiesa, di cui sono stati ritrovati i resti è stata datata al periodo normanno (dal 1061 in avanti). Gli scavi successivi, con grande sorpresa degli archeologi, hanno rivelato anche l'abside di un edificio più antico, forse con funzione rituale. I reperti riportati alla luce risalgono al IV-VII secolo a.C. e sono costituiti da ceramica nordafricana, ossa di animali, tratti di mura testimonianze dell'esistenza, prima del monastero, di un ignoto complesso edilizio e sepolture.
Numerose monete, ritrovate durante lo scavo, hanno dimostrato l'estrema vivacità del complesso monastico che le fonti scritte attestano fino al 1585 e che è chiamato San Pietro in Deca. Nel XVI secolo la lingua e la cultura greca nel territorio erano quasi del tutto scomparse, San Pietro in Deca, invece, commissionò, proprio nel 1549, al monaco Teofilatto Contostablina, un messale in greco tuttora conservato. Si tratta di un codice vaticano greco, in cui il copista, al foglio numero 200, ha registrato la data di compimento dell'opera: venerdì 22 febbraio 1549.
I primi segni di decadenza del monastero si ebbero in conseguenza dello spostamento forzato della fiera che si svolgeva nell'antistante piana, a causa delle frequenti incursioni dei pirati nordafricani.

La ricongiunzione di due sposi

I due sposi ricongiunti
Sono rimasti separati migliaia di anni, ora moglie e marito, raffigurati in un'antica scultura egizia, possono tornare ad essere una coppia. Il tutto grazie all'occhio esperto di un egittologo che ha riconosciuto delle somiglianze tra due reperti. La riunione sarà celebrata durante la decima Fiera Annuale di Arte Antica a Bruxelles.
Uno dei frammenti rappresenta una figura femminile seduta, con un abito a vita alta ed una parrucca. Il suo braccio sinistro si protende verso il marito. La raffigurazione risale al Nuovo Regno e Terzo Periodo Intermedio (1550-702 a.C.) ed è stata volutamente distrutta nell'antichità, le due figure sono state separate e il volto della donna è stato sfigurato per dannare per sempre la memoria di entrambi.
Il frammento raffigurante la donna era in possesso della collezione di Leighton Wilkie (1900-1993), che aveva acquistato il pezzo da un rivenditore di cose antiche al Cairo nel 1970. La composizione completa, o diade, era stata scolpita per raffigurare entrambi i coniugi. Separare le due figure deturpando, nel contempo, il volto della donna potrebbe essere stato il gesto di un amante geloso, o di una seconda moglie oppure semplicemente un atto di vandalismo.

lunedì 4 giugno 2012

Tesori sommersi nello Ionio

Un'anfora integra sul fondale dello Ionio
I relitti individuati nel mar Ionio durante una ricerca condotta dalla nave oceanografica Aigeo, non sono due, bensì tre. La ricerca ha preso in considerazione una superficie di 200 chilometri quadrati di fondale nel tratto tra le isole di Corfù e di Paxoi. E' la prima ricerca marina in acque profonde condotta nel Mar Ionio.
Fino ad oggi i relitti ritrovati giacevano ad una profondità che non superava i mille metri. Il primo dei relitti individuati pare essere una nave di epoca romana del III secolo d.C.. Da questa nave sono state riportate in superficie due bocche di anfore africane diverse tra loro e un vaso di marmo di 30 centimetri di altezza. Le immagini dal relitto hanno evidenziato l'esistenza di oggetti da cucina, due ancore, altre anfore e pezzi di nave ancora da recuperare.
Il secondo relitto si trova ad una profondità di 1.375 metri e con tutta probabilità risale allo stesso periodo del precedente. Il fango del fondale non ha permesso di recuperare reperti da questo relitto, ma si è visto che ci sono anfore, piatti in terracotta, utensili da cucina ed oggetti metallici.
Il terzo relitto si trova a 1.260 metri di profondità e sarebbe una nave più "recente", del XVII-XVIII secolo, della quale si riescono a vedere le ancore di ferro ed pochi altri oggetti sparsi all'intorno.

Ritrovata la Ciudad Blanca?

I resti della Ciudad Blanca?
Sono stati recentemente scoperti i resti di un'antica città maya in Honduras, nella giungla della Moskitia. Si tratta, forse, della Città Bianca (Kaha Kamasa, in lingua maya), un luogo sacro e centrale del regno di un'antica civiltà precolombiana. Secondo la leggenda degli indios Pech, questa città comprendeva gigantesche costruzioni di pietra bianca con raffigurazioni umane ed animali.
La città si troverebbe nascosta tra alberi di ben 75 metri di altezza. Se verrà confermata, questa scoperta potrebbe essere paragonata, per importanza, al ritrovamento della tomba di Tutankhamon. Molti esperti sono piuttosto scettici sul ritrovamento dell'antica città, poiché ritengono che un luogo del genere difficilmente sarebbe sfuggito a ladri di reperti ed esploratori.
Il ritrovamento è stato fatto attraverso una tecnica moderna di rilevamento, la Laser Imaging Detection and Ranging, che ha permesso di scrutare tra la lussureggiante vegetazione.

sabato 2 giugno 2012

La tavoletta del sopravvissuto

La tavoletta assira in possesso della famiglia Flamenbaum
Un tribunale dello stato di Brooklyn ha ordinato alla famiglia di un sopravvissuto all'Olocausto di restituire ad un museo tedesco un'antica tavoletta d'oro. Secondo i documenti in possesso del tribunale il prezioso artefatto, risalente a 3200 anni fa e di origine assira, è frutto di un saccheggio. Quest'ultimo non sarebbe stato perpetrato dal sopravvissuto, ma, piuttosto dal Vorderasiatisches Museum di Berlino. Come, poi, il reperto sia pervenuto alla famiglia di Riven Flamenbaum, è ignoto.
L'uomo entrò in possesso della tavoletta dopo essere stato liberato da Auschwitz nel 1945 ed essere stato inviato in un campo profughi nel sud est della Germania. Quattro anni più tardi Riven Flamenbaum emigrò, con la moglie, conosciuta nel campo di Auschwitz, negli Stati Uniti portando con sé la preziosa tavoletta che ha le dimensioni di una fototessera. Solo dopo la sua morte si scoprì che il reperto era stato rubato, a sua volta, dal Vorderasiatisches Museum.
Ora la tavoletta si trova custodita in una cassetta di sicurezza. Una squadra di archeologi tedeschi scoprì la tavoletta nel 1913, durante gli scavi in una zona dell'Iraq chiamata Qual'at Serouat, secondo i documenti in possesso del tribunale. La tavoletta finì nel museo di Berlino nel 1926 e quando scoppiò la guerra, nel 1939, fu collocata, insieme ad altri antichi reperti, in un deposito. Quando, alla fine della guerra, fu effettuato un inventario di questo deposito, la tavoletta era sparita.
Nel 1949 Riven Flamenbaum aveva impegnato la tavoletta insieme ad un gruzzolo di monete rare (che non si sa che fine abbiano fatto) per l'acquisto di un negozio di liquori, da cui ricavò abbastanza per riscattare, dal banco dei pegni, sia la tavoletta che le monete.
La tavoletta pesa 9,5 grammi appena ed è in oro massiccio. Era sepolta nelle fondamenta di un tempio nella città di Ashur, ora Qual'at Serouat, a circa 150 chilometri da Baghdad. Vi era stata collocata dal re assiro Tukulti Ninurta I (1243-1207 a.C.), che ampliò l'impero assiro ma venne, in seguito, ucciso dal figlio.

venerdì 1 giugno 2012

Il signore di Qusayr 'Amra

Qusayr 'Amra, la scritta in alfabeto cufico
Ad 85 chilometri da Amman sorge Qusayr 'Amra, patrimonio Unesco dell'Umanità, che, durante dei lavori conservativi, ha rivelato il nome del principe omayyade che commissionò la costruzione dell'edificio.
Il lavoro di conservazione del sito è condotto dal Dipartimento delle Antichità della Giordania, in collaborazione con l'Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma e con il Fondo mondiale Monumenti. Quasayr 'Amra è un piccolo edificio che risale all'epoca omayyade, conosciuto soprattutto per gli affreschi che custodisce, affreschi che raffigurano gazelle, asini selvatici, danze, musici, scene di corte e simboli zodiacali.
L'iscrizione appena scoperta non era visibile a causa della patina di sporcizia che la ricopriva. Si tratta di un'invocazione ad Allah dipinta in bianco su una finestra, utilizzando l'alfabeto cufico senza punti diacritici. L'iscrizione menziona Walid Ibn Yazid, o Walid II, un califfo omayyade che regnò per poco più di un anno tra il 743 ed il 744. L'iscrizione manca della attribuzioni tipiche utilizzate nei confronti dei califfi omayyadi, il che vuol dire che fu dipinta quando Walid era ancora un principe, all'epoca di Hisham bin Abd el-Malik.

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