venerdì 30 novembre 2012

Birra di Cipro

Il luogo in cui è stato scoperto il birrificio ed archeologi
dell'Università di Manchester al lavoro
Gli archeologi che stanno lavorando nella parte occidentale dell'isola di Cipro hanno scoperto quello che sembra essere un antico birrificio. Si tratta di una struttura in gesso a forma di cupola, sepolta sotto due metri di fango, che fungeva da forno per produrre, 3500 anni fa, la birra.
Quest'antica bevanda sarebbe stata ottenuta dal malto d'orzo fermentato con lieviti e la sua gradazione alcolica era di circa il 5 per cento. Il lievito era ricavato dalla frutta (uva o fichi).
La birra aveva un posto importante nella società Neolitica e nelle successive società. Gli archeologi pensano che, in alcuni casi, sia stata proprio la birra a spingere gli uomini primitivi a coltivare il grano. E' molto raro trovare resti di impianti produttivi antichi, pertanto la scoperta di Cipro acquista un notevole valore.
La fornace di Cipro è stata trovata con diversi tipi di ceramiche e strumenti lasciati sul posto, che sono indicativi sui metodi di produzione, le tecniche e le ricerche. Il forno ritrovato dagli archeologi era posizionato all'estremità di un cortile di 50 metri quadrati di superficie, con un pavimento intonacato. Sono stati ritrovati degli strumenti e dei mortai che, con tutta probabilità, sono stati utilizzati per la raccolta e la lavorazione del grano dopo la sua trasformazione in malto.
Sono stati ritrovati, inoltre, dei recipienti che hanno fatto pensare ad additivi o correttori del lievito in grado di dare alla birra più o meno forza e aroma. Evidentemente le comunità primitive erano perfettamente a conoscenza delle qualità "rilassanti" della preziosa bevanda.
Una squadra di archeologi, guidata da Ian Hill, ha ricreato il forno di essiccazione per verificare la rispondenza al vero delle teorie archeologiche. Le birre che sono state prodotte sono piuttosto diverse da quelle che siamo abituati a bere, ma non tutte sono risultate sgradevoli.

giovedì 29 novembre 2012

Monete romane in Bulgaria

Il sito di Odeon
Gli archeologi che lavorano nel sito di Odeon, nella città di Plovdiv, hanno ritrovato 40 monete d'argento risalenti al III secolo d.C., quando la città era sottoposta al dominio romano.
Gli archeologi ritengono che le monete siano state coniate durante l'epoca dei Severi, tra il 193 e il 235 d.C., e presentano le effigi di quattro differenti imperatori.
Il sito di Odeon, risalente al V secolo a.C., prende il nome da un teatro di epoca romana. Le monete sono state rinvenute nei pressi del complesso di edifici amministrativi nella parte settentrionale del complesso.
A Plovdiv, quest'anno, sono avvenuti diversi ritrovamenti archeologici: 600 monete, reperti dell'epoca ellenistica, un'aquila romana del III secolo d.C., collocata all'interno di un edificio pubblico, colonne di marmo ed altri oggetti. Odeon in particolare ha restituito piastrelle con maschere teatrali e ceramica romana.

Ritrovata una necropoli in Bulgaria

Una delle sepolture ritrovate nel nord della Bulgaria
Durante gli scavi archeologici che sono in corso nei pressi del villaggio di Marten, nel nord della Bulgaria, è stata scoperta una necropoli comprendente circa 100 tombe. Autore della scoperta l'archeologo Deyan Dragoev, del Museo Archeologico della città di Ruse, sul Danubio. La necropoli si trova su quello che, in futuro, sarà il percorso del gasdotto tra la Bulgaria e la Romania.
Le tombe appena scoperte risalgono all'epoca dei Traci. Le più antiche risalgono al V-IV secolo a.C.. Tra queste vi è la tomba di un soldato decapitato, la cui testa è stata posta sulle sue ginocchia. Gli altri defunti sono stati deposti con gioielli d'oro e d'argento e, talvolta, con i loro cani. Alcuni scheletri hanno il teschio deformato, tipico segno dell'appartenenza ad una classe elevata. Ai bambini nobili veniva stretta la testa con delle fasce al fine di modificare la forma del cranio.
I resti sono stati deposti in bare di legno ed accanto sono stati ritrovati resti di ceramica ed anche vetro di epoca romana.

Antiche pitture nelle grotte di Favignana

Le pitture della grotta di Favignana
A Favignana sono stati rinvenuti segni pittorici ancora in fase di studio. Le pitture si trovano nelle grotte dell'Ucciria e delle Stalattiti e ritraggono figure antropomorfe maschili stilizzate e animali. A scoprire questo stupefacente ciclo pittorico sono stati Francesco Torre, docente di geoarcheologia alla sezione trapanese di Archeologia Navale dell'Università di Bologna, il laureando Francesco Ernandez e Simona Torre, presidente dell'Associazione di preistoria "Lucy".
Le pitture sono simili a quelle rinvenute, 60 anni fa, nella Grotta di Levanzo. Gli studiosi pensano che siano state realizzate quando le due isole erano unite alla terraferma. Le pitture appena scoperte ritraggono 5 figure maschili monocrome nere che risalgono all'Eneolitico e alcuni animali che non sono ancora stati definitivamente riconosciuti.
Nelle grotte sono state trovate anche numerose conchiglie del genere "Littorina", che erano il pasto degli uomini preistorici.

I "nuovi" guerrieri di Xi'an

Gli archeologi al lavoro su uno dei "nuovi" guerrieri
Sono stati scoperti un centinaio di altre figure dell'esercito di terracotta del primo imperatore cinese. Gli archeologi pensano che ce ne siano ancora altre 5.000 da scoprire.
Gli scavi hanno permesso di recuperare anche statue di cavalli, armi e tamburi, oltre al primo scudo d'argilla rinvenuto finora, che sono una valida testimonianza dell'equipaggiamento bellico indossato dai soldati dell'epoca.
Gli scavi non si sono mai interrotti fin dalla scoperta del sito, nel 1974, nei pressi della città di Xi'an. L'esercito di terracotta era posto a guardia della tomba di Qin Shi Huang Di, sovrano del III secolo a.C., la cui Dinastia (la Dinastia Qin), diede alla Cina il suo nome attuale. Quando Qin, 2000 anni fa, venne sepolto, accanto a lui furono deposte le statue di guerrieri dipinti con vivaci colori.

martedì 27 novembre 2012

Antichi mosaici a Plotinopolis

Parte del mosaico ritrovato a Plotinopolis
Durante gli scavi di quest'anno nei pressi della collina di Aghia Petra, nei pressi della cittadina di Didymoteicho, sono venuti alla luce dei mosaici. Didymoteicho è stata identificata come l'antica Plotinopolis, città romana fondata dall'imperatore romano Traiano che volle chiamarla così dal nome di sua moglie Plotina.
La collina ha cominciato a interessare gli archeologi dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1956 è stato ritrovato proprio ad Aghia Petra un busto d'oro raffigurante l'imperatore romano Settimio Severo.
Il mosaico ritrovato quest'anno fa parte di una grande sala, una sorta di triclinio. Secondo l'archeologo Mattahios Koutsoumanis, direttore degli scavi dal 1996, oltre al mosaico sono stati ritrovati anche lacerti di affreschi datati, come il mosaico, al II-III secolo d.C.
Il mosaico raffigura, nella parte centrale, il dio del fiume Eurus e Plotina e contiene anche la rappresentazione di mostri marini, Nereidi, delfini. Finora è stata ripulita e restaurata la parte orientale del triclinio. Si stima che l'intera area occupi 130-140 metri quadrati.

I fantasmi di Phia Vai

Il corpo estratto dalla grotta di Phia Vai, in Vietnam
Gli archeologi dell'Istituto di Archeologia del Vietnam hanno scoperto i segreti della sepoltura degli uomini primitivi attraverso i ritrovamenti nella grotta Phia Vai, nella provincia di Tuyen Quang. Questa grotta ed i suoi preziosi resti sono stati ritrovati grazie alla leggenda sui Vai Phia, i "fantasmi di montagna" ai quali gli indigeni ritenevano fosse consacrata la grotta. A causa di questa leggenda, l'anfratto è rimasto inalterato ed inviolato fino ai giorni nostri.
La grotta di Phia Vai è ampia 35 metri e profonda 11 per un'altezza di 4 metri. Purtroppo dal soffitto sono cadute delle rocce calcaree che hanno notevolmente ostacolato il lavoro degli archeologi che, comunque, sono riusciti a scoprire resti risalenti a più di 10.000 anni fa: uno scheletro ritrovato in posizione sdraiata, con la testa su una roccia e le gambe distese. Apparteneva alla cultura Hoa Binh, risalente a 12.000 anni fa ed intorno a lui c'erano resti di incendi e rocce enormi utilizzate, con tutta probabilità, dai suoi contemporanei per le attività comunitarie.
Il corpo apparteneva ad una donna che rivestiva, con tutta probabilità, una posizione elevata all'interno della sua comunità e che, al momento della morte, aveva tra i 45 e i 50 anni di età. Nelle orbite del teschio le sono state collocate due lumache di mare. Queste fungevano da moneta per il baratto.

Nuove scoperte a Paphos

Teatro di Paphos
Durante scavi in corso nell'antico teatro di Paphos, sono stati ritrovati dei frammenti di sculture in marmo di un monumento consacrato alle ninfe della mitologia greca e romana.
Paphos era la capitale di Cipro in età greca e romana e le sue rovine archeologiche fanno parte del Patrimonio Mondiale dell'Umanità. I resti del teatro antico, presso cui sono stati trovati i frammenti di sculture, non sono stati sottoposti a nessun tipo di restauro moderno.
Le indagini hanno rivelato che il teatro ha subito ben cinque fasi di ristrutturazione tra il 300 a.C. e il IV secolo d.C.. Durante il medioevo l'area in cui sorgeva fu resa edificabile.

Riaperta la sepoltura di Giovanni dalle Bande Nere

La sepoltura di Giovanni dalle Bande Nere e di sua moglie
Nuove indagini sulle ossa di un nobile e brutale guerriero rinascimentale dimostrerebbero che l'uomo non è esattamente morto come gli storici hanno sempre pensato finora.
Alcuni ricercatori italiani hanno aperto la tomba di Giovanni dalle Bande Nere per indagare quale sia stata la vera causa della sua morte. Giovanni era nato nel 1498 dalla ricca e influente famiglia dei Medici, che diede al mondo papi e regine. Lavorò come capitano di ventura per papa Leone X (uno dei papi della famiglia Medici) e combatté in moltissime battaglie. Quando Leone X morì, nel 1521, Giovanni, in segno di lutto, mise delle bande nere sulla sua uniforme e da queste bande prese il soprannome.
Giovanni venne ferito in battaglia nel 1526. Una delle gambe gli venne amputata e morì a pochi giorni dal suo ferimento a causa di un'infezione. La nuova inchiesta ha rivelato che non gli fu tagliata tutta la gamba, ma solo il piede.
La tomba di Giovanni dalle Bande Nere è stata aperta ben cinque volte. Le sue ossa giacciono nella sepoltura insieme con quelle della moglie, Maria Salviati, in due scatole di zinco nella cripta delle Cappelle Medicee di Firenze. La tibia, il perone e le ossa della gamba dell'uomo sono stati ritrovati segati e sono stati riscontrati danni al femore.
Studi preliminari suggeriscono che Giovanni dalle Bande Nere fosse alto 178 centimetri. Accanto alle sepolture è stato ritrovato anche un contenitore in vetro recante, al suo interno, quella che sembra essere della carta scritta arrotolata. Questo contenitore non risulta menzionato nei rapporti delle indagini precedenti effettuate nella cripta.

Il faraone sconosciuto

La statua ritrovata ad Armant, vicino Luxor
Una missione archeologica dell'Istituto francese per gli studi archeologici ha riportato alla luce la statua di un faraone del Nuovo Regno non ancora identificato. La statua è emersa negli scavi al tempio di Monthu, a nordest del tempio di Karnak a Luxor.
La statua è alta 125 centimetri ed è in granito nero. Vi è raffigurato un re con un abito corto. La statua sarà trasferita nei magazzini del Ministero di Stato per le antichità, affinché possa essere restaurata e documentata. Gli archeologi sperano di trovare altre statue nello scavo.
Il tempio di Monthu è dedicato al culto del dio dalla testa di falco, che presiedeva alla guerra. Il tempio si trova a cinque chilometri a nordest di Karnak, ad Armant, sulla riva orientale di Luxor. Armant è stata scavata dall'archeologo francese Fernand Disson de la Roque dal 1925 fino al secondo dopoguerra, quando ha restituito molti edifici tra i quali il tempio di Monthu, che ha sostituito un vecchio santuario.
Le rovine dell'ultima struttura templare datano all'epoca di Tolomeo VIII, anche se le decorazioni che lo caratterizzano hanno continuato ad essere aggiunte fino all'epoca dei Romani.

sabato 24 novembre 2012

Il relitto del Mentor e i furti di Lord Elgin

Il relitto del Mentor
Lo scavo, sott'acqua, del relitto della nave Mentor, che affondò nel 1802 al largo dell'isola di Citera mentre trasportava beni archeologici saccheggiati dal diplomatico inglese Lord Elgin, ha permesso di ritrovare un vero e proprio tesoro di oggetti personali appartenenti ai passeggeri e all'equipaggio.
Tra gli oggetti sono state ritrovate molte monete, tra le quali due antiche monete d'argento e due monete d'oro della fine del 1700. Proprio il ritrovamento di antiche monete sul Mentor, ha scatenato le ipotesi degli studiosi sui reperti che Lord Elgin trafugò da Atene, oltre a casse di marmi e sculture del Partenone. Si aspettano i risultati della pulitura e dello studio delle altre monete ritrovate sulla nave affondata.
Sono stati anche recuperati un orologio da tasca, un sigillo personale con catena d'oro, un anello, parti di strumenti di navigazione, bottiglie, palle di moschetto e di cannone, stoviglie e ceramiche da cucina. Il Mentor trasportava 16 casse di sculture provenienti dal Partenone e un trono in marmo. Doveva far rotta per Malta e poi raggiungere il Regno Unito. Diari dell'epoca rivelano che le sculture del Partenone e il trono di marmo sono stati recuperati dai pescatori di spugne di Simi e Kaymnos tra il 1802 e il 1804 ma quello che ancora c'è, in fondo a quel tratto di mare, non è ben chiaro.

Ritrovata una statua femminile a Smirne

La statua ritrovata a Smirne
A Smirne è stata recentemente riportata alla luce una statua di 2500 anni fa, raffigurante una donna. La statua è stata ritrovata durante gli scavi della parte antica della città, in corso da ben 22 anni.
La statua è acefala, alta due metri, ed era stata sepolta sotto le mura della città. Il professor Serdar Aynek, del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Trakya ha affermato che, durante gli scavi archeologici, sono state scoperte molte statue attorno alle mura della città di Smirne. Probabilmente la donna raffigurata nella statua appena ritornata alla luce, era una persona di una certa importanza nella vita sociale e politica dell'antica città.

Dzibanche, i Maya dopo...i Maya

Affreschi murari ritrovati a Dzibanche
Un affresco con frammenti di stucchi policromi, appartenente ad una delle dinastie più antiche e importanti dei Maya di Dzibanche, il sito archeologico più vasto dello stato messicano di Quintana Roo, è stato recentemente scoperto dall'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia. Questi affreschi rivelano che Dzibanche fu abitata fino al XIII secolo, due secoli sopo il cosiddetto "collasso" della civiltà maya.
Questi risultati sono venuti alla luce alcuni mesi fa, quando gli archeologi hanno ripreso in esame gli scavi dell'archeologo Enrique Nalda sulle metropoli maya. L'insediamento di Dzibanche ha avuto il suo culmine nel Periodo Classico (250-1000 d.C.), durante il periodo di governo della dinastia Kaan, una delle dinastie maya più antiche e più importanti.
L'archeologa Sandra Balanzario, responsabile del progetto di ricerca a Dzibanche, ha affermato che la città risulta essere stata abitata fino al 1200-1550 d.C.. Tra gli oggetti ritrovati, un piatto volutamente frantumato durante la celebrazione di un rituale e depositato come offerta. Il piatto è decorato con la raffigurazione dei fratelli "Testigo Cielo", tra i governanti più noti della dinastia Kaan.
Oggetti in giada ritrovati come offerta nel Tempio del Gufo
I ritrovamenti effettuati sono importanti soprattutto per la datazione che offrono sulla vita della città. Finora si era, infatti, pensato che la dinastia Kaan si fosse stabilita a Dzibanche durante il periodo Classico e che nel Periodo Tardo Classico (600-800 d.C.) si fosse, invece, spostata a Calakmulk. I nuovi ritrovamenti, invece, stabiliscono una linea di continuità nel governo di Dzibanche da parte della famiglia Kaan.
In una piazza della città è stato scavato, dall'archeologo Enrique Nalda, un complesso architettonico caratterizzato da diverse stanze con una sorta di marciapiede interno. Probabilmente, pensano gli archeologi, si tratta della residenza della famiglia Kaan. Accanto al complesso, nel Tempio di Cormoranes, è stato riportato alla luce un altro affresco del periodo classico, con l'iconografia della montagna sacra, in cui viene narrata la storia delle origini della famiglia Kaan a legittimarne il potere dinastico sulla città maya.
I complessi monumentali di Dzibanche sono molto simili a quelli di Tikal. Alcuni di questi complessi monumentali sono definiti piramidi-tempio e sono caratterizzati da uno stile che iniziò a comparire nel VII secolo d.C. e fu utilizzato fino a tutto il XII secolo. Il nome Dzibanche significa "scrittura sul legno" e deriva dal fatto che il cosiddetto Tempio VI ha un grande architrave in legno di quebracho che reca, incisi, otto glifi datati al 618 d.C..

Scavi a San Severo a Classe

Classe, momenti di scavo
a S. Severo
Il 17 aprile del 967 d.C. l'imperatore Ottone I restituisce al papa la città di Ravenna e il suo territorio, all'epoca nelle mani dell'arcivescovo ravennate. La cerimonia si svolge nel monastero di S. Severo a Classe.
Il monastero viene, poi, definitivamente abbandonato nel XV secolo e, da allora, nessuno ne aveva più avuto notizia fino a che, nel 2006, l'Università di Bologna unitamente alla Fondazione RavennAntica e in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna, ha cominciato a far emergere le tracce dell'antico e dimenticato luogo di culto.
Ma la storia del luogo dove sorse, un tempo, il monastero, risale al I secolo d.C., all'epoca di Augusto. Il complesso cambiò diverse volte destinazione d'uso, fu una villa, poi un mausoleo, quindi una basilica e, infine, un monastero fuori Ravenna, prima e nella scomparsa città di Classe, poi.
Il primo nucleo del monastero fu sicuramente una villa, costruita in aperta campagna, poco distante da un cimitero. Si tratta di un complesso di notevole ampiezza, dotato di mosaici geometrici a tessere bianche e nere. Gli scavi di questo primo nucleo sono ancora in corso, ma gli archeologi hanno appurato che la villa era dotata di terme private (sono stati ritrovati una vasca e un ambiente riscaldato) ed aveva preziose sculture, stucchi ed affreschi.
Resti del campanile di San Severo
La villa fu ampliata nel corso dei secoli (II e III secolo d.C. ed anche IV e V secolo d.C.): si aggiunsero mosaici e un ambiente absidato. Il V secolo, in particolare, fu un momento importante nella vita del complesso abitativo. Una parte dell'edificio va irrimediabilmente in rovina, detriti e terra si accumulano senza che nessuno li rimuova. In altri ambienti del complesso, invece, viene costruito un edificio rettangolare con un ingresso affiancato da due colonne e un'abside sul lato opposto. Si tratta di un mausoleo, nel quale viene sepolto San Severo, come attestano i due mosaici con iscrizioni ritrovati negli anni '60 del secolo scorso.
San Severo fu uno dei primi vescovi di Ravenna che, nel 342 partecipò ad un'assemblea di vescovi in Bulgaria. L'unica testimonianza della sua esistenza è una firma in calce al resoconto di quest'assemblea. San Severo fu, forse, seppellito nel cimitero che si trova nei pressi della villa romana.
Veduta aerea degli scavi della basilica tardo antica
Ma i cambiamenti che il V secolo apporta a Ravenna ed al suo circondario non finiscono qui. La città, infatti, viene scelta come residenza imperiale d'Occidente e questo fa sì che si ponga mano ad una revisione dell'impianto cittadino che viene arricchito con nuovi edifici e viene circondato di nuove mura, molto più ampie delle precedenti. All'interno della città cominciano a crescere nuove basiliche che soppiantano circhi e terme in importanza e necessità. Il progetto urbano prevede, inoltre, la creazione di un porto per Ravenna e per lo scopo viene individuato un suburbio a sud dove nasce la città di Classe, anch'essa circondata di mura importanti.
Classe è attraversata da un canale che la collega a Ravenna e viene dotata anch'essa di monumenti di carattere religioso, come la grande basilica Petriana e il mausoleo di Severo, non lontano dal tratto meridionale delle mura. Nel frattempo vengono monumentalizzate le sepolture di Severo e Apollinare, primo vescovo di Ravenna, che verranno trasformate in vere e proprie basiliche nel VI secolo.
Una delle sepolture ritrovate accanto a San Severo
Verso la fine del VI secolo è il culto di Severo a prevalere e l'arcivescovo Pietro III (570-578) fa costruire una grande basilica che sarà terminata dal successore Giovanni II (578-595). Si tratta di una chiesa di dimensioni notevoli, lunga più di 60 metri a tre navate separate da 12 colonne sormontate da preziosi capitelli. La chiesa è dotata anche di un'abside adorna di un mosaico con tessere in marmo (opus sectile). La basilica viene affiancata la mausoleo del santo che rimane visitabile. La basilica di San Severo diventa, praticamente, la gemella di quella dedicata a Sant'Apollinare a Classe.
Nel VII secolo Classe affronta le prime innovazioni, dovute alla crisi del commercio marittimo: terminano le importazioni di olio, grano e stoviglie dall'Africa; di vino dalla Grecia e dalla Palestina e di molti altri prodotti ancora. Classe perde sempre più importanza. I magazzini dove, un tempo, si raccoglievano le anfore che arrivavano via mare, vengono destinati sempre più ad abitazioni private oppure a sepolture. Alla fine del VII secolo, Classe diventa una città vera e propria, perdendo le sue connotazioni di porto di Ravenna. Con il tempo, lentamente, finirà per cessare anche come città. Le invasioni Longobarde ed un forte terremoto nell'VIII secolo la priveranno del suo centro religioso più importante, la basilcia Petriana.
Classe, strada basolata dell'epoca di Teodorico
Nel 995, attorno alla chiesa di San Severo si installa un monastero benedettino di cui è abate, all'epoca, Gregorio. Il monastero è dotato di un chiostro, che è il centro funzionale e fisico del complesso. Attorno al chiostro si srotolano gli edifici in cui i monaci vivono ed operano.
Gli archeologi sono riusciti ad individuare e scavare la cucina, le cantine, il refettorio, la sala capitolare che restituiscono l'immagine di un complesso piuttosto esteso, all'altezza della basilica alla quale si affianca.
Nell'XI e nel XII secolo l'intero portico che circonda il chiostro viene riparato con mattoni antichi reperiti dalle macerie di Classe, viene ampliata la sala capitolare che viene anche decorata con mosaici. Lo scavo ha restituito anche le tracce della produzione di oggetti in ferro e in osso in un ambiente esterno al monastero. Nel XII secolo viene, inoltre, aggiunto il campanile in mattoni. Gli scavi hanno individuato anche una fornace per la fusione delle campane all'esterno del monastero.
Nel XIII secolo ai benedettini subentrano i cistercensi ed il chiostro del monastero mostra tracce di un ridimensionamento. Su tutti e quattro i lati viene costruito un portico e al centro del chiostro è installato un pozzo. Parte della canalizzazione viene realizzata utilizzando parti di sculture tardo antiche.
Parco Archeologico di Classe
Durante gli scavi di quest'anno è venuta alla luce una tomba piuttosto singolare: si tratta di una fossa di dimensioni notevoli, segnalata da un blocco di calcare. All'interno è stato trovato un solo scheletro, quello di un uomo di almeno due metri di altezza. Gli archeologi pensano si tratti del primo abate cistercense, un certo Guido. Altre sepolture si trovano intorno alla sala capitolare.
Un'altra scoperta sicuramente rilevante è stata quella relativa ad una costruzione separata dal complesso religioso, un ambiente molto grande che, al momento, si ritiene essere una fonte monumentale, dal momento che dietro la facciata è stata ritrovata una vasca con un pavimento in mattoni. Dopo il XIII secolo parte di questo edificio venne adibito a discarica dalla quale sono stati recuperati pezzi in ceramica e vetro.
Nel 1821-1822 viene demolita la settecentesca chiesa di S. Severo ed i ruderi del campanile medioevale restano per molto tempo le uniche testimonianze del complesso ecclesiastico scomparso. Le prime campagne di scavo datano al 1964, al 1967 e al 1981 e 1991, e riportano alla luce i muri di fondazione e i pavimenti musivi della basilica tardoantica.
Gli scavi continueranno sicuramente il prossimo anno ed è stato studiato un progetto destinato ad inserire il monastero nel Parco Archeologico di Classe, in fase di realizzazione

mercoledì 21 novembre 2012

Cimitero romano nel Somerset

Una delle sepolture ritrovate nel Somerset
Un cimitero romano, con diverse sepolture, è stato ritrovato durante i lavori per una nuova rete idrica nel Somerset. Tra gli scheletri ritrovati, ve n'è uno, contenuto in una bara, parzialmente conservato con il suo contenitore funebre.
Il cimitero più che ad un centro abitato sembra essere associato ad una villa e potrebbe essere, pertanto, il luogo dell'ultimo riposo di un proprietario terriero e della sua famiglia. I resti sono orientati nord-sud, con la testa a nord, una pratica di sepoltura pre-cristiana.
I reperti ritrovati nelle sepolture comprendono circa 9.000 pezzi tra ceramiche e spille, oltre ad una moneta di Costantino il Grande e ad un perno di età romana.

martedì 20 novembre 2012

Turchia preistorica

La Valle di Levant, in Turchia
Recenti indagini archeologiche e geologiche nella Valle di Levent, nella provincia orientale di Malatya, in Turchia, hanno rivelato tracce di vita risalenti al Neolitico.
La Valle di Levent, con i suoi 28 chilometri di lunghezza, è un luogo estremamente interessante per le sue formazioni geologiche. Vi sono grotte grandi e piccole scavate dall'uomo, in cui sono ancora visibili le tracce del passaggio di comunità umane.
Nella Valle vi sono tracce della presenza ittita, romana, selgiuchide e ottomana. Gli archeologi hanno mappato la Valle ed hanno individuato 26 aree di rilevanza geologica e ben 20 villaggi neolitici, dove la gente viveva coltivando piante da frutto, fagioli e ceci.

Sorprendente Villa del Casale

Villa del Casale, resti di pavimento musivo
Si torna a scavare nella Villa Romana del Casale. Si pensa di aumentare l'area scavata a sud del sito archeologico, dove peraltro sono emersi, la scorsa estate, altri reperti: una vasca absidata, un pavimento musivo di oltre 80 metri quadrati e numerosi affreschi ben conservati.
Al di sopra dello strato romano, coevo alla costruzione della villa, è stato individuato uno strato medioevale. Gli archeologi saranno a breve impegnati nel collegare gli attuali scavi verso l'ingresso originario monumentale del sito archeologico e la pars fructuaria, dove si trova un granaio che era funzionale alla lussuosa residenza.
Nelle Terme Sud, di età tardo antica, intanto, è emerso un quartiere artigianale di età islamica.
Le terme appena scoperte erano grandi come le Terme Nord e costituite da un grande vano rettangolare con vasca absidata rivestita interamente a mosaico e da un altro settore, un tempo dotato di pavimento musivo, formato da due vani riscaldati con il metodo delle suspensurae. A nord del complesso, inoltre, è stata ritrovata una scritta in mosaico che recita: "Triptona Bibas".

Antiche tracce dell'uomo in Gran Bretagna

Gli scavi di Meadows Lunt, in Gran Bretagna
E' stato ritrovato, in Gran Bretagna, un sito di quasi 8000 anni fa, dal quale sono emerse, finora, tre case. Gli archeologi pensano che questo sito possa addirittura far riscrivere la storia del Paese. Il ritrovamento è avvenuto nella località di Meadows Lunt.
Le fondamenta delle tre case ritrovate sono conservate fino ad un metro di profondità, insieme a resti di diversi strumenti e tracce di focolari. L'eccezionalità della scoperta sta nel fatto che gli archeologi hanno sempre pensato che, in Gran Bretagna, durante il Mesolitico, gli umani fossero nomadi. A Meadows Lunt, invece, è apparso un insediamento stabile. Nel Mesolitico la Gran Bretagna si era appena separata dal nord Europa ed aveva acquisito l'aspetto di un'isola qual'è ora.
Il sito di Meadows Lunt non è ancora stato scavato per intero e gli archeologi si preparano a raccogliere quanti più dati possibili sulla datazione di quanto va emergendo dal terreno. L'impianto delle case si è conservato proprio per il fatto di essere stato praticamente seppellito dal terreno. Molti sono gli oggetti in pietra ritrovati all'interno delle abitazioni, alcuni dei quali si ritiene servissero a conciare le pelli. I reperti vengono catalogati in loco e saranno in futuro esposti al Liverpool Museum.

lunedì 19 novembre 2012

Frammento dipinto scoperto a Sovana

Dopo lo smottamento di terreno avvenuto in seguito alle piogge dei giorni scorsi, è emersa una parte di un manufatto in tufo con decorazione in stucco rosso nelle immediate vicinanze della tomba monumentale Pola a Sovana, in provincia di Grosseto.
Il frammento è piuttosto grosso ed è parte di una tomba che potrebbe risalire allo stesso periodo della tomba Ildebranda. 

Restituiti frammenti dei marmi di Ascoli Satriano

Il Trapezophoros con i grifoni
Altri 150 frammenti di marmo del IV secolo a.C. sono stati restituiti dal Getty Museum all'Italia. Si tratta dei frammenti della tomba di Ascoli Satriano, dove, nel 1978, è stato scavato di frodo il Trapezophoros, un oggetto unico al mondo, con due grifoni che sbranano una cerva, restituito anch'esso all'Italia nel 2007.
I frammenti del Trapezophoros sono al Museo Nazionale Romano, dove saranno studiati dall'ex soprintendente di Roma Angelo Bottini, da Piero Guzzo (ex soprintendente di Pompei) e da Stefano Gasparri, docente alla Sapienza.
Il Getty Museum aveva individuato, attraverso una revisione di quanto contenuto nei suoi magazzini, i preziosi frammenti.
Il Direttore Generale per le Antichità, Luigi Malnati, ha dichiarato: "Ora da Ascoli saranno trasportati a Roma i sette vasi di marmo pieni usati da elementi di architettura, mai visto prima qualcosa di simile, che erano con il sostegno di tavola dei grifoni e con il Podanipter, bacino marmoreo per lavare i piedi, dipinto con il trasporto delle armi di Achille: una pittura che anticipa la pratica di due secoli".
Il Podanipter
Il Getty Museum acquistò gli oggetti e un bellissimo Apollo con un grifone del I secolo d.C., da Maurice Tempelsman, miliardario grazie ai diamanti, che Paolo Giorgio Ferri, il giudice che con due marescialli dei carabinieri ha risolto il caso, reputa essere solo un prestanome del museo.
I tesori di Ascoli Satriano provengono dal territorio dell'antica Ausculum, in provincia di Foggia. Si tratta degli anzidetti grifoni policromi in marmo e di altri reperti che tombaroli senza scrupoli hanno saccheggiato e rivenduto all'estero. L'eccezionalità di questi reperti sta sia nella fattura che nella straordinaria qualità del marmo, cristallino e trasparente, scavato nell'isola greca di Paro.
Tutti i manufatti sembrano rappresentare, in modo straordinario, la versione monumentale di un servizio funebre, le cui forme richiamano la raffinata ceramica italiota del IV secolo a.C.. Il grande cratere di marmo conserva anch'esso tracce di policromia, ma anche l'impronta in negativo di una decorazione in oro rappresentante foglie di edera. Il Podanipter, tipico bacile per uso cerimoniale, conserva ancora, al suo interno, la splendida scena del trasporto delle armi di Achille da parte delle Nereidi. Questo bacile presenta elementi di affinità con le pitture del Sarcofago delle Amazzoni, uno dei più alti esempi di pittura magno-greca del IV secolo a.C.
Il sarcofago delle Amazzoni
Non si è ancora completamente certi della destinazione d'uso di questi eccezionali reperti. Molto probabilmente costituivano il corredo di una tomba a camera della seconda metà del IV secolo a.C.. L'incavo presente nella parte superiore del cratere porterebbe a pensare che sia stato utilizzato come cinerario (come alluderebbe la presenza della corona aurea applicata alla vasca).
Il marmo con cui sono stati fabbricati questi oggetti è per la maggior parte delle cave di Stephani, sull'isola di Paros. Le mensole sono delle cave di Lefkes, sempre a Paros. Il sostegno con i grifi è di marmo di Aphrodisia. I marmi sono decorati con diversi colori: rosso, rosso-violetto, azzurro, rosa, bianco, beige, giallo, marrone, verde.
Per dipingere questi straordinari reperti sono stati utilizzati tutti i colori presenti nella pittura del bacino del Mediterraneo: la cuprorivaite (blu egiziano o azzurro pompeiano) per gli azzurri; il cinabro e l'ematite per i rossi; la cerussite e il caolino per il bianco; la malachite per il verde; la goethite per il giallo dorato. Il violetto è ottenuto da una lacca composta da un colorante di origine vegetale - la robbia - estratta dalla Rubia tinctorum, assorbita su calcite. La tonalità del colore dipende dal grado di macinazione dell'elemento da cui si ricava.

domenica 18 novembre 2012

Il misterioso vaso di Dueno

Il vaso di Dueno
Il vaso di Dueno, in bucchero, formato da tre recipienti rotondi conglobati, custodito nel Museo di Stato di Berlino, appartiene alla categoria dei cosiddetti "oggetti parlanti" ed è al centro di studi da più di 130 anni, proprio a causa della scritta che vi è incisa. Si tratta di un'iscrizione piuttosto difficile da interpretare, ordinata da destra verso sinistra, articolata in tre frasi che non presentano spazi tra una parola e l'altra. Finora nessuno è riuscito a trovare il significato definitivo delle misteriose parole incise sul vaso.
A Roma la scrittura fece la sua comparsa nel VII secolo a.C., il periodo in cui è stato prodotto il vaso di Dueno che, pertanto, costituisce una delle attestazioni di scrittura più antica. Non solo, si tratta di un oggetto di pregevole fattura, sicuramente appartenuto ad una persona piuttosto abbiente.
Il vaso venne ritrovato in un deposito votivo sul Quirinale, nel 1880. In merito al suo utilizzo gli studiosi dell'epoca non erano concordi. Nel 1958 Peruzzi attribuì al reperto un uso in ambito sacrale. Peruzzi era un ottimo conoscitore del latino arcaico e diede anche una sua traduzione della scritta che compariva sul vaso: "chi mi rovescia scongiura gli dei affinché fanciulla non ti conceda i suoi favori se non vuoi essere soddisfatto per opera di Tuteria". Nel 1959 un'altra traduzione venne fatta da E. Gjerstad: "che la tua ragazza possa essere amabile con te, non starti vicina se tu non la conquisterai servendoti della assistenza".
Sviluppo della scritta sul vaso di Dueno
Negli anni '60 e '70 Dumezil, grande cultore della religione romana, esaminò attentamente il vaso e, cercando di contestualizzarlo, fornì una nuova traduzione della scritta: "colui che mi manda giura gli dei che se succede che la ragazza non abbia nei tuoi confronti un buon carattere facili rapporti ce ne venga l'obbligo a noi di far sì che l'accordo si stabilisca per voi".
Filippo Coarelli, verso la fine degli anni '80 rifiutò completamente le traduzioni fino a quel momento proposte e "salvò" solo l'ipotesi che il vaso potesse costituire un'offerta sacra, identificando Tuteria, nome che compariva nella frase del vaso, come una delle tante personificazioni della dea Fortuna, questa volta con caratteristiche ctonie ed erotiche. Quest'ipotesi era ulteriormente confortata dal fatto che il vaso era stato ritrovato nel luogo in cui, anticamente, sorgeva un santuario che, forse, era dedicato alla Tike Euelpis. Coarelli propose che il misterioso reperto poteva essere stato dedicato alla dea Tutela, un aspetto della Fortuna. Il santuario dedicato ad una degli aspetti della Fortuna, la Tike Euelpis, è conosciuto solo attraverso le fonti letterarie, le quali ne attribuiscono la costruzione a Servio Tullio. Del resto proprio il culto in genere della dea Fortuna si collega a Servio Tullio, soprattutto per quanto riguarda la celebrazione dei Matralia, festività annuale che si celebrava nel foro Boario, nel santuario dedicato ad un altro aspetto della Fortuna, santuario che la tradizione vuole essere stato fondato dallo stesso re. Il santuario della Fortuna venerata nei Matrialia aveva il nome di Fortuna Vergine e si trovava accanto al santuario di Mater Matuta. Durante la celebrazione di questa festività, le madri romane raccomandavano a Matuta i figli delle proprie sorelle e, forse, anche i figli dei propri fratelli, celebrando un rito di appartenenza della famiglia ad una particolare gens.
In rosso l'area del foro Boario
Proprio per questo si pensa che il vaso del Quirinale fosse stato dedicato in ambito cultuale, in un rito connesso a quello matrimoniale poiché attinente al sistema di relazioni che si instaurava con il matrimonio tra la gens del padre e la gens del marito della donna.
Gli anni '90 portarono una nuova proposta di traduzione, da parte del Pennisi: "giura per gli dei chi mi acquista e dice a se stesso: se verso di te ridente non sia la vergine, ma tu con doni nuziali come marito vuoi pattuirla. Dueno mi fece per un degno, e da Dueno indegno non mi terrà". Quest'ultima parte di questa nuova traduzione venne, in seguito, sviluppata in un'altra proposta di interpretazione: "non sia fatto del male a me (è il vaso che "parla") e a ciò che è consacrato". Gli studiosi ricordano un passo di Terenzio in cui si narrava di un giovane sposato per imposizione paterna, che si vedeva riconosciuto il diritto di ripudiare la sposa nel caso in cui ella si fosse comportata male e il matrimonio non fosse stato consumato. Qui siamo in ambito giuridico, più che religioso oppure oltre che religioso, essendo il diritto arcaico fortemente influenzato dalla sfera religiosa, alla quale chiedeva, per esempio, in prestito le formule di giuramento.
I colli di Roma e la loro dislocazione
Il testo del vaso di Dueno viene sempre più inquadrandosi come un giuramento arcaico, una formula cristallizzatasi nel corso dei decenni che, probabilmente, non potrà mai essere tradotta con precisione. Il vaso resta, comunque, la più bella dimostrazione di come, già nel VII secolo a.C., i nostri antenati avevano una tradizione cultuale ben articolata, con i suoi riti sacri, i sacerdoti, le formule da mandare a memoria, i codici.
Osvaldo Sacchi ha proposto, differentemente dal Coarelli, l'ipotesi che il misterioso vaso potesse essere collocato nell'area in cui un tempo sorgeva il tempio del dio Fidius, fondato da Tito Tazio. Questo tempio si trovava, secondo la tradizione, anch'esso sul Quirinale. Fidius era la divinità che presiedeva ai giuramenti e che in alcuni calendari, stilati nel periodo precedente ai tempi di Cesare, si celebrava il 9 di giugno. In questo caso il dio Fidius e la dea Fides non erano tanto due divinità distinte, quanto espressione dello stesso culto in epoche differenti. Fidius starebbe per filius e Dius Fidius sarebbe da ricollegarsi ad un arcaico Diovis filius (parallelo al greco Dios kouros). Il figlio al quale le fonti antiche si riferivano era Ercole, omologo del sabino Sancus. Ovidio fornisce il nome completo del Dius Fidius, che è: Semo Sancus Dius Fidius. Il suo tempio, appunto, era sul Quirinale ed era considerato antichissimo.
Anticamente, nell'area laziale, prima della diffusione delle tavole matrimoniali, le parti si scambiavano dei pegni sui quali dichiaravano, in forma di promessa, di consentire lo sposalizio individuando anche dei garanti che testimoniassero della promessa fatta. I vasi, oggetti di uso comune, dunque, potevano essere utilizzati con funzione documentale, specialmente in età arcaica.
Se, quindi, non è ancora concorde l'opinione degli studiosi sulla traduzione della scritta sul vaso di Duenos, è però certa la sua attribuzione ad un uso sacrale nell'ambito di un matrimonio tra persone di alto lignaggio e potrebbe essere stato deposto alla fine di un rito matrimoniale in qualità di documento probatorio dell'impegno del padre della sposa. E', in sostanza, una forma di promessa o obbligazione unilaterale.
Il testo dell'iscrizione è il seguente:
IOVESATDEIVOSQOIMEDMITATNEITEDENDOCOSMISVIRCOSIED
ASTEDNOISIOPETOITESIAIPAKARIVOIS
DUENOSMEDFEKEDENMANOMEINOMDUENOINEMEDMAOSTATOD

sabato 17 novembre 2012

Scoperta un'antica città sull'isola di Creta

Estrazione di un sarcofago romano a Krousona, non
lontano da Koupos e da Hiraklion
Uno scavo archeologico appena aperto nel sito di Koupos, non lontano dalla città cretese di Hiraklion, sta già rivelando sorprendenti scenari. Gli studiosi erano a conoscenza del fatto che qui sorgeva un'antica città, della quale, però, non si conosce il nome.
Lo scavo in questo luogo è stato reso possibile dalla collaborazione tra la Soprintendenza alle Antichità Preistoriche e Classiche e il comune di Malevisi. Il sito era stato già parzialmente indagato negli anni Ottanta del secolo scorso.
Ora sono tornati alla luce i resti di un grande insediamento del Tardo Minoico (1200-100 a.C.), con edifici arcaici molto ben conservati e dotati di numerose camere. All'interno delle stanze sono state trovate delle basi di pietra che dovevano ospitare, con tutta probabilità, le colonne lignee che sorreggevano il tetto. Non solo: sono stati scoperti, in alcuni pozzi scavati nella roccia, utensili, lampade e statuine di animali che sembrano essere stati deposti, come offerta, per garantire la solidità degli edifici. All'interno delle stanze sono stati ritrovati resti di ceramica e di lampade.
Particolarmente interessante è una placca con rilievo in argilla rappresentante delle figurine femminili riccamente vestite, in piedi o sedute, delle figure maschili e dei Satiri. E' stato anche ritrovato il collo di un pithos del VII secolo a.C., decorato con un tema mitologico che sembra essere l'omicidio di Clitemnestra da parte di Oreste in presenza di Elettra.
Sappiamo che la città che sorgeva nel sito di Koupos era attiva ancora nell'VIII secolo a.C. e dal ritrovamento di ceramiche e tavolette, si può supporre che sia rimasta vitale fino al III-II secolo a.C.

Ritrovato lo scheletro di Riccardo III?

Un archeologo al lavoro sul luogo dove sorgeva la
chiesa di Greyfriars e dove sono stati scoperti
due scheletri, un uomo e una donna
Uno scheletro mutilato, portato alla luce in una chiesa medioevale di Leicester, Gran Bretagna, è in fase di analisi degli antropologi e degli archeologi, per stabilire se si tratti di Riccardo III, morto in battaglia nel 1485.
Lo scheletro è stato ritrovato dove un tempo si trovava il coro della chiesa di Greyfriars, che è andata perduta. Nel luogo dove un tempo sorgeva l'edificio religioso, recentemente, si stava per costruire un parcheggio. Documenti storici sembrano avvalorare l'ipotesi che Riccardo III sia stato effettivamente sepolto in quest'antica e perduta chiesa dopo essere stato ucciso in battaglia.
Diverse evidenze riscontrate sullo scheletro fanno pensare che si tratti della scoperta che gli archeologi inglesi aspettavano da tempo. Si tratta dello scheletro di un uomo adulto, con ferite sul cranio provocate, probabilmente, da un'ascia o da una spada. E' stata anche ritrovata, confitta nella spina dorsale del defunto, una punta di lancia. Inoltre lo scheletro mostra segni di scoliosi che avrebbe portato la spalla destra dell'uomo ad un livello superiore a quella sinistra. Questa particolarità corrisponde con quanto si conosce dell'aspetto fisico di Riccardo III.
Lo scheletro è ora sottoposto a diverse analisi e test, come la Tac, che permetterà ad archeologi ed antropologi di ricostruirne l'immagine tridimensionale e, in seguito, anche l'aspetto che il defunto doveva avere da vivo.
Nello stesso luogo, in precedenza, gli archeologi aveano ritrovato anche lo scheletro di una donna.

venerdì 16 novembre 2012

Fine di un impero

Lo scheletro di uno dei bambini di San Miguelito
Sono state trovate, nella località archeologica di San Miguelito, vicino Cancun, in Messico, le prove delle difficoltà di vita della popolazione Maya durante la conquista spagnola. Qui sono state scavate delle sepolture risalenti al 1200-1550 d.C.
Gli studiosi dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) pensano che 30 delle sepolture esistenti appartengano a bambini di età compresa tra i 3 ed i 6 anni, molti dei quali hanno patito la fame e sono morti in conseguenza delle patologie provocate da quest'ultima.
Alcuni dei piccoli defunti sono accompagnati da umili offerte, che parlano anch'esse di una società impoverita. Una delle sepolture conteneva una statuetta a forma di colibrì. San Miguelito è una località posta in posizione strategica all'ingresso della Laguna di Nichupte. Fu un importante centro commerciale tra il 1200 e il 1350 d.C.. La popolazione sfruttava le risorse marine ed il luogo è stato a lungo prospero.
Le cose cambiarono radicalmente con l'arrivo degli Spagnoli nella penisola dello Yucatan. Questi impiegarono venti anni per conquistare il territorio e, una volta fatto, si installarono nella parte occidentale, interrompendo tutte le rotte commerciali che attraversavano il mondo Maya.
Oltre alle sepolture infantili, gli archeologi hanno riportato alla luce 17 tombe di individui adulti, gli scheletri di alcuni dei quali sono talmente frammentati da essere a stento identificabili. Le ceneri di due dei defunti sono state poste in urne di ceramica, mentre i resti degli altri erano accompagnati da un corredo semplice e povero.

martedì 13 novembre 2012

Un tempio di confine ritrovato in Israele

Livello pavimentale del tempio
di Beth-Shemesh
In una città di confine israeliana, gli archeologi hanno scoperto un tempio dell'XI secolo a.C. che, dicono, contiene la prova dei conflitti tra gli Israeliti, i Cananei e i Filistei.
Gli archeologi hanno trovato, sparsi su quello che sembra essere il pavimento del complesso templare di Tel Beth-Shemesh, frammenti di calici e coppe dipinte che non sembrano essere state quelle utilizzate quotidianamente sulle mense. Hanno ritrovato, anche, ossa di animali che circondano una pietra piatta posta all'interno del tempio. Si pensa che l'edificio servisse realmente come luogo di culto.
Il tempio, comunque, non rimase a lungo consacrato, gli archeologi hanno ritrovato le tracce della sua distruzione. Il fatto che ci siano delle ossa animali al suo interno è una prova della deliberata profanazione del luogo da parte dei Filistei, vicini turbolenti di Israeliti e Cananei. Inoltre Beth-Shemesh è una cittadina che si trovava esattamente al confine delle terre abitate dai tre popoli, che se la contendevano con alterne fortune.
Sono stati ritrovati, inoltre, diversi forni di argilla dalla forma rotonda, detti tabuns, scavati nello strato di suolo che ha ricoperto, nel tempo, le rovine del tempio. I laovori sono stati diretti dall'archeologo Zvi Lederman, dell'Università di Tel Aviv. I forni possono essere stati utilizzati per cuocere cibi durante le feste ed anche per onorare la memoria del vecchio tempio.

lunedì 12 novembre 2012

Ritrovato un mosaico romano in Turchia

Il mosaico ritrovato a Tarso
Un mosaico del II-III secolo d.C., con una figura umana, è stato ritrovato durante la costruzione di un locale bazar nella provincia di Mersin, nel distretto di Tarso, in Turchia.
Il governatore di Tarso, Orhan Sefik Guldibi ha confermato l'importanza della scoperta, aggiungendo che si tratta di uno dei più importanti reperti archeologici della regione.
Accanto al luogo dove è stato rinvenuto il mosaico vi era anche una struttura piuttosto grande, probabilmente una cisterna romana. Questa cisterna, forse, prelude al ritrovamento di quanto rimane di un palazzo o di una villa privata.
Il mosaico è completato da una scritta in greco che sarà presto oggetto di interpretazione.

Antichissimo villaggio greco in Tessaglia

Lo scavo di un edificio circolare a Koutroulou Magoula
Qualche giorno fa è stato completato il terzo campo di archeologia nonché il progetto Archeologico Etnografico di Koutroulou Magoula, in Grecia, che ha permesso il ritrovamento di un sito preistorico molto importante e ben conservato.
La località di Koutroulou Magoula si trova vicino ai villaggi di Vardali e Neo Monastiri, in Fthiotida ed è uno dei più grandi siti archeologici greci, con una superficie di circa 4 ettari. Il luogo fu occupato durante il Neolitico Medio (5800-5300 a.C.) da una piccola comunità di poche centinaia di persone. Costoro hanno edificato elaborati edifici abitativi in pietra e mattoni di fango, con un base pavimentale lastricata in pietra. Alcune pareti di queste case si sono conservate fino ad un metro di altezza.
Statuetta in ceramica ritrovata nel sito
Gli scavi nel sito sono iniziati nel 2001 sotto la direzione della dottoressa Nina Kyparissi e sono attualmente co-diretti dal professor Yannis Hamilaki. Tra i reperti recuperanti durante gli scavi vi sono numerose statuette d'argilla - più di trecento. La prospezione geofisica e topografica del luogo ha rivelato che gli antichi abitanti di Koutroulou Magoula hanno apportato delle modifiche all'ambiente circostante costruendo almeno tre terrazzamenti sulla collina dove sorgeva, un tempo, il villaggio. L'insediamento era circondato da fossati curvilinei.
Finora non sono state raccolte prove dell'esistenza di un'autorità centrale, ma soltanto dell'esistenza di una comunità capace di pensare e realizzare progetti comuni. Alla fine dell'Età del Bronzo, in questa località venne edificata una tomba a tholos sulla vicina collina, mentre, durante il Medioevo (XII-XIII secolo), una giovane donna venne sepolta tra le case di età neolitica.
Koutroulou Magoula è un sito collinare a sudovest delle alture della pianura della Tessaglia.

Il Vangelo della moglie di Gesù è un falso?

Ancora nuove sul Vangelo della moglie di Gesù. Fin da subito c'è stato chi ha messo in dubbio l'autenticità del frammento di papiro. Uno studioso dei Vangeli, Andrew Bernhard, formatosi ad Oxford, sostiene che questo Vangelo non solo sarebbe un falso, ma sarebbe stato anche fabbricato.
Bernhard sostiene che questo Vangelo, o presunto tale, sia una grossolana combinazione di alcune frasi prese dal Vangelo di Tommaso, il Vangelo apocrifo copto ritrovato nel 1945 tra i papiri di Nag Hammadi, in Egitto. Lo studioso afferma di aver individuato una serie di coincidenze tipografiche "strane" con la traduzione interlineare copto-inglese di quel testo.
In sostanza Andrew Bernhard sostiene che le parole del supposto Vangelo sono quasi tutte tratte dal Vangelo di Tommaso. Ogni linea del testo del "Vangelo della moglie di Gesù" è composta da parole copte uguali a quelle che si trovano nella traduzione copto-inglese del Vangelo di Tommaso e addirittura, sostiene Bernhard, il testo incriminato riporterebbe lo stesso errore tipografico che si trova nel volume che contiene la traduzione del Vangelo di Tommaso.

domenica 11 novembre 2012

Pesca fruttuosa nel mare di Sicilia

Antefissa con testa di Gorgone ritrovata
nelle acque di Gela
Nelle acque antistanti Gela, in provincia di Caltanissetta, sono stati recuperati dei reperti di notevole valore scientifico, tra questi tre coppe biansate del V secolo a.C. e frammenti di anfore del medesimo periodo e di periodo più recente.
I reperti sono stati recuperati, in seguito ad una segnalazione, dai tecnici della Soprintendenza del Mare Stefano Zangara, Roberto Garufi e Alessandro Urbano, coordinati dal Soprintendente Sebastiano Tusa. Oltre alle coppe è stata anche recuperata un'antefissa in terracotta, elemento di copertura dei tetti posto sulla testata delle travi. La parte anteriore dell'antefissa reca un'immagine in bassorilievo della Gorgone, realizzata secondo i canoni dell'arte arcaica, con la bocca semiaperta e la lingua di fuori. La Gorgone era considerata un'immagine apotropaica, atta a scongiurare il malocchio e le forze negative. L'antefissa è stata datata al VI secolo a.C. ed è l'oggetto più antico ritrovato finora nelle acque siciliane.
Un'ordinanza della Capitaneria di Porto ha interdetto all'immersione la zona dove sono stati recuperati i reperti, in previsione di nuovi sondaggi tesi al recupero di altri materiali e reperti archeologici

Ancora sigilli egizi (e non solo) a Gerusalemme

Lo scarabeo ritrovato negli scavi della zona di Ophel
Un altro scarabeo egizio è stato ritrovato a Gerusalemme. Si tratta di una sorta di sigillo datato al X secolo a.C. ed è stato rinvenuto negli scavi effettuati nella zona di Ophel, a sud del Monte del Tempio ebraico (l'islamico Haram Ash-Sharif).
Gli archeologi israeliani stanno lavorando sotto la direzione del dottor Eilat Mazar, dell'Università Ebraica, in collaborazione con un gruppo di archeologi e studenti dell'Armstrong College americano. Lo scarabeo ritrovato è in ematite verde, grande quanto una moneta ed è stato utilizzato, in passato, per imprimere nell'argilla fresca un sigillo per documenti. Un lato del sigillo riporta l'effige del famoso scarabeo stercorario, oggetto di adorazione nell'Antico Egitto; l'altro lato presenta una figura di ariete, simbolo di Ra.
La domanda che si stanno ponendo, ora, gli archeologi è quanto il culto egizio di Ra possa aver avuto diffusione ed influenza nella Gerusalemme del X secolo a.C., quando governava re Salomone. Infatti il reperto è stato ritrovato all'interno della città antica. Si sa che Salomone sposò una principessa egiziana, forse fu lei a portare a Gerusalemme usanze e culti della sua terra.
Nella stessa zona dove è stato rinvenuto lo scarabeo, sono emersi i resti di numerosi bagni rituali, la cui palnimetria è ancora intatta. La presenza di gradini in discesa, le dimensioni ragguardevoli, l'architettura e la loro prossimità al Monte del Tempio fanno pensare al tipico mikveh, una vasca per bagno ad immersione utilizzata dai pellegrini ebrei per bagni rituali prima della partecipazione alle attività del Tempio. Uno di questi bagni, molto grande, fu costruito in modo tale che i pellegrini dovessero risalire a piano terra prima di entrare nel bagno.

Un mammut...parigino

Il mammut ritrovato a Changis-sur-Marne, vicino Parigi
Uno scheletro di mammut quasi completo è stato ritrovato a Changis-sur-Marne, nei pressi di Parigi. E' una scoperta eccezionale per la Francia, in quanto nell'arco di 150 anni sono stati ritrovati solamente tre esemplari di questo tipo. Il primo è conosciuto con il nome di mammut di Choulans e fu ritrovato nel 1859.
Lo scheletro ritrovato recentemente appartiene, probabilmente, ad un genere di mammut chiamato Mammuthus Primigenius, dalle lunghe zanne e fornito di una sorta di vello lanoso. Questo genere di animali poteva raggiungere i 2,8-3,4 metri di altezza ed erano coperti di una folta pelliccia e protetti da uno strato di grasso. Il loro habitat era la steppa, dove vi era erba sufficiente al loro nutrimento.
Il mammut ritrovato vicino Parigi è vissuto dai 200.000 ai 50.000 anni fa. Lo scavo e lo studio di quanto ritrovato, permetterà agli scienziati di specificare meglio l'età dell'animale e le circostanze della sua morte. Saranno effettuati anche degli studi sulle ossa per rintracciare l'esistenza di eventuali tagli dovuti all'intervento di cacciatori.
Esseri umani e mammut sono stati ritrovati negli stessi contesti in due siti risalenti al Medio Paleolitico: a Lehringen Grobern e in Germania. In uno scavo nel dipartimento della Seine-Maritime sono stati recentemente scoperti, tutti insieme, uri, cavalli, orsi, leoni e pantere i cui scheletri hanno restituito una datazione a 200.000 anni fa.
Il mammut ritrovato vicino Parigi è stato ritrovato durante gli scavi preventivi di un sito gallo-romano a 50 chilometri dal capoluogo francese.

sabato 10 novembre 2012

Thmuis, la città perduta

Testina di Tolomeo V (foto di R. Littman e J. Silverstein)
Archeologi e studenti di archeologia dell'Università delle Hawaii stanno scavando un sito nella regione del Delta del Nilo, in Egitto, dove, nella desolazione del deserto vi sono le rovine di un'importante città portuale che fiorì tra il II e il I secolo a.C., nei pressi dell'attuale città di el-Mansoura. Si tratta dei resti della città di Thmuis, importante porto e capitale dei Tolomei.
Gli studenti e gli archeologi, diretti dal professor Robert J. Littman, hanno riportato alla luce evidenze architettoniche e manufatti in diverse zone della città, particolarmente in una zona chiamata Foro Orientale, sull'acropoli di Thmuis. Qui, forse a fine 2012, dovrebbe essere riportato alla luce un tempio tolemaico.
Thmuis è una delle poche località del Delta del Nilo dove sono stati ritrovati dei papiri. Gli importantissimi reperti sono venuti alla luce alla fine del XIX secolo, quando Edouard Naville ha ritrovato quella che ha definito come la "biblioteca" di una casa romana. Purtroppo Neville non indicò dove aveva ritrovato questi papiri, che erano andati in gran parte bruciati al pari di quelli di Pompei. Nel sito sono stati ritrovati dei magnifici pavimenti a mosaico e delle statue di marmo e bronzo del periodo ellenistico e romano, ora esposti al Museo Egizio del Cairo e al Museo di Alessandria, che testimoniano della ricchezza e dell'importanza della città.
Cratere riassemblato (foto di R. Littman e J. Silverstein)
Il nome Thmuis (in egiziano TamAwy, "nuova terra") è un riferimento che si trova in Erodoto il quale, dopo aver visitato l'Egitto, a metà del V secolo a.C., enumerò una serie di nomoi ed alcune città, tra cui Mendes (una grande città che precedette Thmuis e che sorgeva non lontano da questa) e la stessa Thmuis. Gli scavi archeologici effettuati a Mendes suggeriscono che tra il IV e il III secolo a.C. vi fu una considerevole diminuzione della popolazione che andò di pari passo con l'aumento di importanza di Thmuis, fiorita durante il periodo tolemaico, che divenne ben presto capitale del nomo di Mendesian.
Thmuis sorgeva poco distante da Tell el-Rub'a, dove si trovano le rovine della più antica Mendes, che aveva dominato il Delta per la maggior parte della storia egiziana, dalla fine del IV millennio a.C. fino al IV secolo a.C.. Pare che nel V secolo a.C. venne deviato il corso del Nilo e per questo Mendes perse progressivamente importanza economica e venne abbandonata a favore di Thmuis, che era lambita dal nuovo corso del Nilo.
Thmuis fu menzionata anche da Giuseppe Flavio durante il periodo delle guerre giudaiche (66-70 d.C.), quando narra che il futuro imperatore Tito, partito da Alessandria con il suo esercito, sbarcò a Thmuis per iniziare una marcia via terra verso Gerusalemme.
Durante il III e IV secolo d.C. Thmuis divenne sede vescovile e fu patria di San Serapione. Nel VI secolo d.C. fu inclusa tra le diocesi della prima Eparchia di Augustamnica. Poiché era una città estremamente importante, nel mondo cristiano, ci sono pervenuti i nomi di alcuni suoi vescovi, tra cui Phileas, martirizzato ad Alessandria d'Egitto nel 305 d.C., e Anba Menna, che venne martirizzato nel 744 d.C.
Strutture ellenistiche (foto di R. Littman e J. Silverstein)
Thmuis esisteva ancora quando gli arabi invasero l'Egitto nel 641 d.C.. Fu probabilmente abbandonata nel X secolo, dopo una rivolta locale.
La spedizione archeologica dell'Università delle Hawaii è iniziata nel 2007. Ora la squadra sta lavorando in collaborazione con il Consiglio Supremo delle Antichità, per porre in salvo quel che rimane dell'antico porto di Thmuis, che dovrebbe essere occupato da costruzioni moderne.
Gli archeologi hanno appurato che un evento traumatico, verificatosi nei primi anni del II secolo a.C., rase quasi al suolo la città che fu, in seguito, ricostruita. Alcuni ritrovamenti, come un piccolo tesoro in monete, seppellito al di sotto di un pavimento, e della ceramica, fanno credere che l'evento si sia verificato durante il regno di Tolomeo V e che doveva riguardare una estesa ribellione di cui si fa cenno sia nella stele di Rosetta sia in altri documenti. A tal proposito sono stati ritrovati anche degli scheletri con evidenti tracce di traumi inferti da armi. E' emersa anche una statua, frantumata, di Arsinoe II nelle vesti della dea Iside. Questi reperti sono tornati alla luce nella zona nord, in un contesto successivamente livellato e riempito.
Frammenti di colonne di un tempio
tolemaico
(foto di R. Littman e J. Silverstein)
Nella parte centrale del Foro Orientale gli scavi recenti stanno esplorando un vasto complesso edificato in mattoni crudi, probabilmente una serie di edifici pubblici. E' stata ritrovata, anche, una mole impressionante di manufatti, tra i quali una serie di figurine di origine sub-sahariana, ceramiche in miniatura, ciondoli votivi in piombo, una statua del dio Bes in ceramica. Questi materiali erano sepolti vicino ad un grande piedistallo in granito rosso che, probabilmente, supportava una statua. I manufatti più recenti sono stati datati all'epoca romana.
In una zona non lontana dal perimetro cittadino è stata ritrovata una pietra con una scritta scarsamente leggibile nella quale si è letto il cartiglio con il nome di Tolomeo II o III. Questa pietra potrebbe essere parte di un tempio eretto da Tolomeo II per sua moglie Arsinoe.

Scoperta un'altra mummia in Perù

I resti della mummia Chancay
Gli archeologi peruviani hanno annunciato la scoperta dei resti mummificati di una donna di 500 anni fa, appartenente alla cultura precolombiana Chancay (1100-1450 d.C.).
L'età della donna non è stata ancora determinata. La mummia era avvolta in bende ed è stata scoperta nel sito di Pisquillo-Las Shicras, nella provincia costiera di Huaral, 90 chilometri a nord di Lima. L'archeologo Walter Tosso, capo della missione archeologica che opera sul sito, ha affermato che sicuramente la donna era uno dei membri dell'élite locale.
Gli archeologi, ora, continueranno a lavorare su questa mummia e sui resti di altre simili, avvolte anch'esse da bende meno preziose. Si spera di comprendere meglio i riti funerari della civiltà Chancay.

Ritorno a Karkemish

Veduta dei resti di Karkemish, al confine turco-siriano
Pochi luoghi al mondo intrecciano la storia di antichi e moderni conflitti come la città di Karkemish, dove si svolse una battaglia citata nella Bibbia. La città si trova al confine tra la Turchia e la Siria, dove oggi infuria la guerra civile.
Militari turchi sorvegliano, oggi, quella che fu l'acropoli di una città di 5000 anni fa. Recentemente, inoltre, le rovine sono state "bonificate" dalle mine. Un team italo-turco sta ora conducendo sul luogo un'estesa campagna di scavi, ad un secolo e più di distanza da quelli condotti dal British Museum e dei quali si interessò anche il leggendario Lawrence d'Arabia. Gli archeologi sperano di aprire ai turisti il sito, che si trova lungo il corso dell'Eufrate, entro il 2014.
Karkemish si trovò, in passato, sotto l'influenza ittita e di altri governanti e re. Le ricerche archeologiche sono state spesso interrotte dai conflitti moderni e dalle ostilità tra nazioni confinanti, che hanno portato, oltretutto, all'erezione di frontiere ed alla militarizzazione dell'area.
Direttore del progetto Karkemish è Niccolò Marchetti, professore di archeologia e Storia dell'Arte del Vicino Oriente Antico presso l'Università di Bologna. Con la missione dell'Università di Bologna collaborano gli archeologi e gli studenti delle Università di Gaziantep e Istanbul. I lavori presso l'antica città sono ripresi nel 2011, a distanza di 90 anni dall'occupazione del sito da parte delle truppe turche. Circa 90 ettari della superficie di Karkemish si trovano in territorio siriano e sono, pertanto, off-limits. La maggior parte del materiale scoperto è in territorio turco.
Un corredo funerario di pesi in pietra, fibule in bronzo, orecchini d'oro
ed elementi in ceramica provenienti dalla necropoli di Karkemish
Nel 1911, anno in cui si è cominciato ad esplorare Karkemish, la città faceva parte dell'oramai indebolito impero Ottomano. L'archeologo britannico Woolley e il suo assistente Lawrence trovarono lastre di basalto e di calcare scolpite con figure di soldati, carri, animali e re che oggi sono esposte nel Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara. Durante la spedizione britannica tornarono alla luce palazzi e templi.
Nel libro di Geremia, la Bibbia fa riferimento a Karkemish in merito ad una battaglia in cui i Babilonesi, guidati da Nabucodonosor II, sconfissero gli Assiri ed i loro alleati Egizi. I Babilonesi, in seguito, saccheggiarono la città in altre occasioni.
Karkemish è menzionata anche in alcune tavolette degli archivi di Ebla (III millennio a.C.). Dalle tavolette di Mari e di Alalakh (odierna Tell Atchana, presso Antakya o Antiochia, 1800 a.C.) sappiamo che la città era governata, all'epoca, da un re di nome Aplahanda e che era un importante centro per il commercio del legname. Il momento di massimo splendore della città fu durante i due secoli finali dell'impero ittita, nel Bronzo Tardo. Purtroppo non restano tracce di questo periodo. Le evidenze giunte fino ai giorni nostri risalgono all'Età del Ferro, quando Karkemish era un importantissimo stato neo ittita.
Veduta di Karkemish
Nel 1600 a.C. la città venne conquistata dai Mitanni e nel 1350 a.C. da Shuppiluliuma, che vi insediò, come viceré, uno dei suoi figli. La conquista di Sargon II, nel 717 a.C., segnò la fine dell'indipendenza della città stato. Questo sovrapporsi di dominazioni storiche ha indotto gli archeologi a soprannominare Karkemish la "Pompei d'Oriente".
Il team italo-turco ha aperto ben cinque cantieri, lo scorso anno, nell'area dove sorgeva l'antica città, scoprendo, negli scavi del 1911, vecchi strumenti archeologici, i frammenti di una statua e un mosaico romano. Sono stati, poi, ritrovati un sigillo cilindrico in bronzo, inciso con geroglifici, che apparteneva ad un funzionario ed una statuetta bronzea in cui è raffigurata una divinità con una tiara adorna di due corna. Il dio indossa un gonnellino e brandisce un pugnale d'argento nella mano sinistra. La statuetta è stata ritrovata nelle vicinanze dell'area del Tempio del dio della Tempesta, dove sono emersi anche i frammenti di altre sculture e iscrizioni ittite geroglifiche. Gli scavi dello scorso anno hanno, inoltre, restituito i resti di enormi edifici scolpiti, un'intera necropoli all'interno delle mura cittadine, con tombe dai ricchi corredi. A tre metri di profondità si sono ritrovati livelli con cenere, resti bruciati e travi carbonizzate, che sono la testimonianza della conquista e del saccheggio delle truppe di Sargon.
Casa utilizzata da Woolley e Lawrence durante
gli scavi del 1911
Una tra le scoperte più importanti effettuate nella passata campagna di scavi è una grande stele basaltica intatta. La stele è coperta, alla sommità, di simboli astrali e sulle facciate da diverse linee di un'iscrizione reale ittitta geroglifica. Quest'ultima è stata decifrata da David Hawkins, della British Accademy. La stele è dedicata da Suhis, "signore del paese di Karkemish", ad Ura Tarhunza, "gran re del paese di Karkemish", figlio di Sapazitis. E' la testimonianza di un insolito dualismo istituzionale nella regalità della città ed anche della fondazione, ad opera di Suhis I, di una nuova dinastia reale agli inizi del X secolo a.C..
Nel contempo i botanici hanno identificato piante rare, nel sito, ed una specie di pioppo che si riteneva estinta.
Hasan Peker, filologo dell'Università di Istanbul, spera di trovare, durante gli scavi, gli archivi reali della città, archivi che potrebbero risalire al culmine della civiltà ittita, 3000 anni fa. Al momento si pensa di scendere al di sotto del lastricato delle vie romane, sulle quali è ancora possibile transitare, e di arrivare alle fondazioni degli edifici che vi si affacciavano.

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