mercoledì 31 luglio 2013

Le due navi romane di Pola

Il cantiere archeologico a Pola
Sono due le navi romane che, una accanto all'altra, giacciono nel sottosuolo della città di Pola, al di sotto di una strada anonima che, un tempo, era il porto operativo di Roma, posto all'estuario del fiume di Pragrane.
I primi resti della nave sono emersi la scorsa primavera. Adesso sono, invece, sono apparsi i resti di una seconda imbarcazione di proporzioni minori. La prima nave è un raro esemplare di "nave cucita", in legno e spago, senza l'utilizzo di metallo. Sul cantiere, in occasione della scoperta, sono stati convocati esperti in ingegneria meccanica, edile, navale ed architetti. La particolare tecnica costruttiva, posta in essere senza ricorrere a punti metallici, era tipica di fasi piuttosto antiche dell'era romana. I Romani, in questo caso, non hanno fatto altro che adottare una tecnica di fabbricazione tipica delle popolazioni autoctone, gli Histri.
La prima imbarcazione ha uno scafo di 20 metri per 20 e sembra in grado di affrontare anche il mare aperto. La seconda nave, invece, era lunga più o meno 8 metri. Entrambe risalgono ad un periodo compreso tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.. Nei pressi delle imbarcazioni sono stati ritrovati i resti di un delfino di pietra, vasellame ben conservato, spago intrecciato, cuoio, suole di calzature romane, marmo, ceste, pesi da reti di pesca e anfore. Sono stati estratti anche resti organici sia animali che vegetali che facevano parte del trasporto: ossa, conchiglie, ossicini di pesche, noci, cereali.

martedì 30 luglio 2013

Il teschio e la ciotola

Il cranio e la ciotola
Gli archeologi hanno scoperto, a Tlateloco, zona archeologica di Città del Messico, il cranio di un uomo decapitato ed una ciotola, entrambi risalenti a più di 500 anni fa. I resti umani e la ciotola sono stati ritrovati ai piedi del Grande Tempio.
Gli studiosi hanno appurato che il cranio era quello di un giovane adulto maschio, probabilmente un prigioniero di guerra. Sia il cranio che il vaso sembrano risalire all'epoca della costruzione del Grande Tempio. Quest'ultimo ha rivelato, recentemente, una piramide di oltre 700 anni. e date le somiglianze tra i suoi tratti architettonici e quelli di Tenayuca e Tenochtitlan, si tratterebbe del primo edificio di costruzione mista di Aztechi e Tlatelolca.
Qui, nel 2009, gli archeologi dell'Inah hanno scoperto una fossa comune con 49 scheletri posizionati sulla schiena, con le braccia incrociate e avvolti in foglie di maguey. Tra i corpi, 45 erano di adulti, due di bambini, un adolescente ed un anziano con un anello, che ha fatto pensare ad un nobile. La fossa comune ha fatto pensare ad un sacrificio umano collettivo.

La fanciulla di Llullailaco e la cocaina

L'eccezionale mummia della fanciulla di Llullaillaco
Le giovani vittime dei sacrifici Inca consumavano coca e alcool prima del sacrificio. E' quanto è emerso da un'analisi di tre mummie ritrovate nella città di Llullaillaco, vulcano della parte nordoccidentale dell'Argentina.
Le vittime arrivavano, grazie alle sostanze loro propinate, in un uno stato di alterazione delle percezioni al sacrificio o, come credevano gli Inca, al passaggio alla vita ultraterrena. Il rituale sacrificale (capacocha) era piuttosto complesso ed è descritto nelle cronache dei primi colonizzatori spagnoli.
La scoperta di somministrazione di droga ed alcol si deve ad uno studio di Andrew S. Wilson, dell'Università di Bredfort, Regno Unito, e dei colleghi dell'Università di Copenhagen e della Cattolica di Salta, in Argentina. Le tre mummie esaminate sono state scoperte dieci anni fa sulla cima del vulcano Llullaillaco. Si tratta di una ragazzina di 13 anni e due bambini di 4-5 anni di età, morti 500 anni fa e ritrovati in un eccezionale stato di conservazione.
L'analisi dei capelli della tredicenne ha rivelato la presenza di cocaina assunta tramite la masticazione delle foglie di coca, di benzoilecgonina, metabolati della cocaina, e di cocaetilene, un metabolita che si forma in presenza di alcool che la giovane deve aver assunto per mezzo di una bevanda chiamata chicha. I risultati delle analisi hanno permesso di appurare che la fanciulla aveva assunto coca e alcool nei due anni precedenti il suo sacrificio. Forse si trattava di un complesso rituale che aveva come fine l'elevazione dello status spirituale della vittima. Questa gradualità nella preparazione è stata confermata anche dall'analisi dei capelli che hanno indicato alcuni cambi nell'acconciatura e una brusca variazione della dieta prima del sacrificio finale.
I tre fanciulli furono deposti seduti in tre nicchie naturali della parete del vulcano. Accanto ad essi contenitori in legno e ceramica per i liquidi e borse in tessuto decorato contenenti mais, arachidi e foglie di coca.

I giganti della Sardegna

Uno dei "giganti" di Monte Prama
Ritorno a Monte Prama, quarant'anni dopo la scoperta dei "giganti", le statue di pietra nuragica di grandi dimensioni, una delle più importanti scoperte degli ultimi decenni.
L'annuncio di una riapertura delle ricerche di altre statue simili ai "giganti", è stata data da Marco Minoia, Sovrintendente ai Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano. Gli archeologi sperano di trovare i pezzi mancanti delle statue, per poter capire il fine per il quale sono state scolpite. Gli scavi interesseranno la parte est del sito archeologico, dove sono state ritrovate una capanna nuragica, una nuova sezione della necropoli del Bronzo Finale ed un'altra struttura che ancora non si è ben identificata.
Il complesso archeologico del Monte Prama è uno dei più impressionanti del mondo antico: 28 statue colossali di guerrieri nuragici e 16 modelli di nuraghe databili alla seconda metà dell'VIII secolo a.C.. I reperti furono rinvenuti casualmente nel 1974 e ci vollero tre campagne di scavi affinché fossero recuperati. Alcuni di essi sono esposti al Museo Nazionale di Cagliari. Gli archeologi sperano che dagli scavi possano venir fuori altri "giganti".

lunedì 29 luglio 2013

Le misteriose divinità femminili di Echetla

Alcuni dei reperti ritrovati ad Echetla
Echetla, meglio conosciuta come Ocula prima ed Occhiolà dopo, è un'antica città siciliana, devastata dal terribile terremoto della Val di Noto del 1693. All'indomani del sisma, i superstiti di Occhiolà, guidati dal principe Carlo Maria Carafa Branciforti, ricostruirono il nuovo centro abitato su una delle colline più a sud dell'antico abitato, in una posizione più sicura. Fu lo stesso principe a disegnare la pianta della nuova cittadina.
Ma l'antichissima Echetla giaceva sotto le rovine del terremoto seicentesco e fu Paolo Orsi ad intuire dove cercarla e ad individuarla grazie a ricognizioni di superficie e scavi, seguendo le "indicazioni" lasciate dal geografo Cluverius.
Orsi individuò la necropoli protostorica di Madonna del Piano-Mulino della Badia, i santuari di Madonna del Piano e Poggio dell'Aquila, da cui provengono le statue di divinità femminili ora esposte al Museo Regionale "Paolo Orsi" di Siracusa, porzioni dell'abitato arcaico ed ellenistico e la monumentale necropoli di Casa Cantoniera. Al termine delle sue campagne di scavo, nel 1920, Orsi identificò le strutture di Terravecchia come un centro fortificato occupato da popolazioni indigene e sviluppatosi tra il X e il VI secolo a.C. attorno ad una collina che, in seguito, fungerà da acropoli fortificata.
A partire dal VI secolo a.C. i Calcidesi, provenienti da Katane e Leontinoi, si insediarono su queste colline, coabitando in modo non del tutto pacifico, con i locali.
Parte dell'antico abitato e degli scavi di Echetla
(Foto: Diego Barucco per Sicilia Fotografica)
Il parco all'interno del quale è custodita l'antica Echetla, conserva anche un castello, arroccato nella parte nordoccidentale dell'abitato, del quale non si hanno molte notizie se non che risale alla fine del XIII secolo.
Nel 1398 il feudo e il castrum di Occhiolà furono concessi ai Santapau, signori di Licodia, che ne rimasero in possesso fino al 1591, quando lo cedettero a Fabrizio Branciforti, principe di Butera. Del castello, che fino al terremoto del 1693 era utilizzato come palazzo signorile, restano in piedi le mura perimetrali e il corpo centrale.
Grazie ad un finanziamento europeo, tra il 2003 ed il 2005 poterono svolgersi delle indagini sistematiche all'interno del parco archeologico di Occhiolà. Gli scavi si sono concentrati in prossimità dell'area nota come Rione dello Spirito Santo ed hanno prodotto come risultato la scoperta di tre grandi edifici "battezzati" con le prime tre lettere dell'alfabeto. Si tratta di edific
Il cosiddetto Edificio A è articolato in otto ambienti, ha le pareti interne intonacate in gesso e pavimenti ricoperti da un rivestimento gessoso. Dalle dimensioni dell'edificio gli archeologi pensano che fosse destinato ad una funzione pubblica.
Demetra (o Kore) di Echetla
L'Edificio B, separato dal precedente da un piano stradale di 2,50 metri di larghezza, aveva ambienti suddivisi su più livelli. Anche di questo edificio non si conosce la destinazione d'uso. Una gran quantità di vasellame da fuoco è stato ritrovato in uno dei suoi ambienti che, probabilmente, fungeva da cucina. All'interno è stata ritrovata anche una girella di tornio in granito rosso, utilizzata per le attività artigianali. Di notevole interesse è il ritrovamento, sempre nell'Edificio B, di alcune statuine di terracotta pertinenti ad un presepe, sigillate dai crolli dovuti al terremoto del 1693.
Dell'Edificio C sono stati ritrovati solo i muri perimetrali. A nord di questi edifici è stata intercettata la struttura di un edificio religioso che, probabilmente, corrisponde alla chiesa di S. Leonardo. La chiesa ha una sola navata e pianta rettangolare.
Nel 2010 sono stati ripresi gli scavi, finanziati grazie al gioco del Lotto. Sono state così scoperte le tracce dell'abitato di III secolo a.C.: tre edifici, di cui uno solo indagato completamente. Il cosiddetto Edificio 1 occupa una superficie di 100 metri quadrati ed è stato identificato come un santuario, articolato in sei ambienti disposti intorno ad un vestibolo centrale nel quale troneggia una profonda cisterna. Uno degli ambienti più importanti è il vano I, con pareti rivestite di intonaco bianco, azzurro e rosa acceso. Qui un imponente muro di fondo si conserva fino a 3,50 metri di altezza, realizzato in opus africanum, una tecnica che, partita dall'Africa, finì per diffondersi nel Mediterraneo intero.
Statuina femminile
da Poggio dell'Aquila
Sempre nell'Edificio 1 è presente una nicchia monumentale, nella cui parete di fondo, foderata di pietrame, si apre un'altra nicchia scavata nel banco roccioso. Forse questa nicchia custodiva il busto in terracotta di divinità femminile, dipinto, ritrovato qui in frammenti. Non c'è certezza di questo, dal momento che gli scavi sono stati ripetutamente turbati dall'intervento di scavatori clandestini, la cui attività ha reso sempre più problematica l'interpretazione del rito che qui si celebrava.
Sono stati ritrovati anche un basamento di altare, due grandi louteria (piccoli altari) e un deposito votivo contenente terrecotte femminili, poste ai piedi della nicchia e lungo il muro di fondo. A questo spazio si aveva accesso attraverso un corridoio nel quale sono stati riconosciuti i segni della preparazione dei rituali praticati negli ambienti intorno al cortile: resti di carboni e lucerne ritrovate in numerosi esemplari soprattutto nel vano I, oltre che nel corridoio.
L'ambiente IV ha, invece, restituito integra la sua stratigrafia. Si sono trovati, sotto crolli e tegole, moltissimi oggetti che restituiscono una visione degli ultimi momenti di vita del santuario. Attorno ad un altare, sparsi sul pavimento, sono stati ritrovati diversi oggetti votivi: arule e terrecotte femminili, tra le quali piccoli busti, un grosso coltello in ferro per il sacrificio di animali.
Gli archeologi pensano che destinatarie del culto del santuario di Echetla fossero Demetra e Kore, due divinità molto onorate nell'antica Sicilia e, soprattutto, nella vicina Morgantina. Numerose sono le statuette fittili femminili con fiaccola e porcellino presenti nell'area sacra che portano a pensare che così fosse.

sabato 27 luglio 2013

Una nave carica di marmi...

I marmi ritrovati nelle acque calabresi
Un grande carico di marmi della varietà proconnesia, circa 350 tonnellate, proveniente dalla Turchia sono stati rintracciati nel Mediterraneo, nelle acque antistanti la baia di Punta Scifo, in Calabria. La nave che li trasportava è affondata nel III secolo d.C., mentre trasportava la sua preziosa merce, destinata ad abbellire un edificio di una qualche importante città dell'impero romano.
Si tratta del più grande carico di marmi antichi ritrovato finora nel Mediterraneo. La scoperta è il frutto della campagna di indagini archeologiche sottomarine condotte dall'Università Ca' Foscari di Venezia e dall'Università della Calabria in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, guidata da Domenico Marino.
Le analisi petrografiche ed isografiche compiute sul carico di marmo hanno permesso di rintracciarne la provenienza: le cave dell'isola di Marmara (Turchia, antica Proconneso). Dell'imbarcazione non si è conservato il legno ma è stato stimato che fosse lunga circa 40 metri e larga 14, una delle più grandi imbarcazioni che sono pervenute dal mondo antico.

Memorie dalla Selva del Lamone

Selva del Lamone, sentiero
La Selva del Lamone è stata sempre considerata un luogo inospitale e marginale. Le ricerche archeologiche che vi sono state condotte, invece, hanno sottolineato quanto fosse intensamente sfruttata e frequentata.
Il sistema insediativo si è sviluppato sui margini di un'eruzione vulcanica. Nella fase pre-protostorica i villaggi che vi erano stati insediati distavano tra loro circa 500 metri e coronavano la selva unitamente ad alcune necropoli monumentali (tombe a camera dell'Età del Bronzo Medio di Prato di Frabulino e Roccoia).
I defunti erano deposti in posizione rannicchiata, unitamente agli oggetti del loro corredo, quali cuspidi di freccia in selce, accettine e pugnaletti in rame ed i tipici vasi a fiasca. Spesso le sepolture erano utilizzate più di una volta, forse dai membri della medesima famiglia, e le ossa che vi sono state ritrovate erano ricoperte talvolta di ocra o cinabro.
Nel 1992 fu scavata una sepoltura del Bronzo Medio in località Prato di Frabulino, il cui corredo apparteneva a quattro individui, due dei quali di sesso femminile. Sono stati ritrovati, in questo contesto, vasi miniaturistici, una collana in faience e tre fermatrecce in argento a testimonianza del rango elevato dei defunti.
Un'altra necropoli dell'Età del Bronzo è stata scoperta di recente presso l'insediamento di Roccoia, lungo il corso del fiume Olpeta. L'area è tuttora in fase di scavo da parte del Centro Studi di Preistoria e Archeologia di Milano in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale. Sono emerse, nel corso dello scavo, quattro tombe affiancate e scavate nel tufo, lungo quella che sembra essere stata una via sepolcrale.
Sempre nella Selva del Lamone da trent'anni si scava l'abitato di Sorgenti della Nova, un villaggio posto su uno sperone tufaceo, circondato dai torrenti Varlenza e Porcareccia e dalla sorgente del Fosso la Nova, uno degli affluenti del Fiora. Il villaggio aveva capanne poste sulla sommità dello sperone e sui terrazzamenti artificiali che si trovano lungo i fianchi di quest'ultimo. Le capanne avevano forme e dimensioni diverse. Lo scavo e lo studio di questo insediamento ha permesso agli archeologi di ricostruire la vita delle popolazioni della media valle del Fiora alla fine del II millennio a.C..
Lo spazio abitativo delle capanne era suddiviso in modo razionale ed ha restituito contenitori per la conservazione di liquidi e granaglie, fornelli, un colatoio per la lavorazione del formaggio, ciotole per attingere le bevande e vasi biconici destinati alla dispensa.
In epoca etrusca la regione compresa tra Vulci e il lago di Bolsena e tra le valli dei fiumi Fiora e Albegna, faceva parte dell'agro vulcente, controllato dall'aristocrazia della potente città etrusca attraverso centri minori quali Castro, Poggio Buco, Pitigliano, Sovana e Bisenzio. Nel VII secolo a.C. iniziò lo sfruttamento agricolo della regione e l'insediamento di fattorie collegate da una rete viaria a Vulci.
L'unica tomba monumentale di questo periodo presente nella Selva del Lamone è quella del Gottimo, posta lungo il fiume Olpeta e databile al VI secolo a.C.. Vulci riorganizzò, tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., il territorio fondando molti siti sparsi.
In età ellenistica molti abitati si concentrano nella selva e lungo il medio corso dell'Olpeta. Uno dei più significativi è Rofalco, abitato fortificato fiorente tra il IV ed i primi anni del III secolo a.C., che controllava militarmente un territorio formalmente non dipendente da Vulci. Impressionante è la cinta muraria che proteggeva l'insediamento, dotata di torri quadrate e completamente realizzata in blocchi di pietra lavica del Lamone. I quartieri di Rofalco erano composti da edifici adibiti, con tutta probabilità, a magazzini e da abitazioni private. Sono state recuperate ceramiche da mensa e da cucina, grandi doli per la conservazione delle derrate, pesi da telaio e rocchetti e macine per la lavorazione delle granaglie.
Territorio vulcente
Rofalco fu spazzato via in modo violento dai Romani intorno al 280 a.C.: sono state trovate, infatti, tracce d'incendio, punte di lance e numerose ghiande-missili. Nelle epoche successive il centro non fu più rioccupato. Il territorio in cui si trova la Selva del Lamone venne sottoposto alla praefectura di Saturnia, colonia romana fondata nel 183 a.C.
Il I secolo a.C., a causa delle guerre tra Mario e Silla, vide lo spopolamento degli insediamenti ancora esistenti nel territorio che un tempo apparteneva alla città di Vulci e posto tra il Fiora e il lago di Bolsena. Alcuni di essi riescono a sopravvivere fino al IV-V secolo d.C.. Il territorio ospita piccole fattorie rustiche e ville di notevole estensione, soprattutto nel III-IV secolo d.C.
Scavi di Vulci
Nel II-III secolo d.C. il municipium di Visentium acquistò sempre maggiore importanza rispetto a quelli di Castro e di Vulci, in piena decadenza e l'asse viario Tuscania-Piansano-Latera assunse sempre più importanza rispetto al percorso della Clodia e di Castro.
Le guerre greco-gotiche, le carestie e le pestilenze portarono, soprattutto nel VI secolo d.C., ad un progressivo spopolamento del territorio. I trasporti via terra furono interrotti e la zona di Lamone divenne una fascia di confine tra l'area controllata dai Bizantini e quella sotto il controllo longobardo. Molti toponimi di origine germanica ricordano proprio la presenza dei Longobardi nella regione. Questi occuparono il territorio tra il 597 (assedio di Sovana) e il 607. Nell'VIII secolo d.C. terminò il dominio longobardo ad opera dei Franchi che donarono l'Alto Lazio alla Chiesa.

Una necropoli che è un tesoro

La necropoli di Lovere
Il cosiddetto "tesoro di Lovere" era conosciuto da ben due secoli ma è da due settimane che lo si sta scavando sul serio. Stanno emergendo reperti interessantissimi negli scavi condotti dagli archeologi nel campo dell'oratorio parrocchiale di Lovere, in provincia di Bergamo.
E' stata individuata e verrà presto delimitata e recuperata una necropoli romana risalente ad un periodo compreso tra il I e il IV secolo d.C.. Gli archeologi, sotto la supervisione del direttore dei lavori Marco Agliardi, hanno già scavato le prime due trincee esplorative per una profondità di oltre tre metri ed una larghezza di otto.
Dal terreno sono riemersi due recinti funerari, uno dei quali era stato già indagato nel 1996 a seguito del crollo di un lato del campo sportivo. L'altro non era stato mai scoperto nemmeno durante le campagne di scavo dell'Ottocento.
Una delle sepolture scavate nel 1996
Le prime notizie dell'esistenza di una necropoli romana risalgono, infatti, al 1818 e 1819. Da allora si sono avute sette campagne di scavo. La necropoli, proprio per il vasto lasso di tempo che abbraccia, è importantissima non solo a livello locale ma a livello nazionale. Da essa sono emersi rarissimi oggetti di prestigio ed è stato, dal momento della sua individuazione, uno dei campi più importanti per studiare la composizione sociale degli abitanti del luogo. Gli archeologi hanno, in tal modo, stabilito che nell'antica cittadina ad un ceto medio indigeno, si aggiunse un ceto più facoltoso dedito all'industria ed ai commerci soprattutto attraverso le vie d'acqua.
I primi insediamenti risalgono ad un periodo compreso tra il V e il III secolo a.C., come è stato dedotto dall'esistenza di un nucleo abitativo di origine celtica, oggi detto Castelliere. Con la dominazione romana, Lovere venne dotata di un'importante via di comunicazione, quella poi chiamata strada di San Maurizio. Proprio al periodo romano risalgono i numerosi ritrovamenti di monete e gioielli, custoditi oggi nel Museo Archeologico di Milano.

I misteriosi, ricchissimi Frigi

Tomba frigia di VI secolo a.C.
Il nome della Crimea contiene la radice del nome dei Cimmeri, bellicoso popolo che gli Assiri chiamavano Gimirrai e che nell'Antico Testamento sono chiamati Gomer. Omero credeva che i Cimmeri abitassero in lande desolate nel nord, mentre gli antichi volevano che abitassero, invece, i Campi Flegrei, in Campania e che Cuma abbia mutuato il nome proprio da queste antiche e misteriose popolazioni.
Gli studiosi hanno appurato che i Cimmeri di cippo asiatico invasero la Frigia e ne conquistarono la capitale Gordion nel 700-600 a.C.. I Frigi parlavano una lingua indoeuropea che si perse nel VI secolo a.C., a contatto con l'idioma greco. Ne rimangono pochissime iscrizione e, di conseguenza, pochissime parole, la cui interpretazione e sovente discussa e difficile.
Omero, così come per i Cimmeri, riconosceva due terre di Frigia che sebbene fossero confinanti, erano molto diverse. Una di queste terre era in Bitinia, tra il lago Ascanio e il Mar di Marmara, l'altra, quella più nota, era nella valle del fiume Sangario. Gli antichi ritenevano che i Frigi discendessero dai Brigi, una popolazione di origine balcanica imparentata, a sentire i Greci, con Traci e Macedoni. Proprio dalla Tracia sarebbe arrivato il primo Mida, colui che trasformava in oro tutto ciò che toccava, secondo le leggende. Mida sarebbe stato adottato come successore dal primo Gordio e da questo momento - sempre secondo i Greci - i sovrani della Frigia avrebbero alternato tra Gordio e Mida i nomi dei loro sovrani.
Rovine di Gordion
Ma i Frigi avevano anche fortissimi legami, secondo Omero, con Troia, poiché Priamo era accorso ad aiutare i Frigi quando costoro si erano scontrati con le Amazzoni. Inoltre una delle mogli di Priamo era di stirpe frigia e Paride, figlio di Priamo, è stato sempre rappresentato con copricapo e vesti frigie.
Gli annali assiri datati al 717 e al 709 a.C. menzionano un sovrano di nome Mita capo di un popolo chiamato Mushki, alleatosi con Sargon. L'etnonimo Mushki era attribuito a ben tre popolazioni: quella che viveva sull'alta valle dell'Eufrate, quella stanziata in Cilicia ed una collocata tra l'Armenia e la Georgia.
Erodoto afferma di aver visto, nel V secolo, tra le offerte presentate a Delfi, un vecchio trono appartenuto a Mida e dedicato ad Apollo. Su quel trono il re usava emettere le sue sentenze. Si trattava, pertanto, della più antica offerta presente nel santuario di Apollo.
I Frigi adoravano la Grande Madre, conosciuta con il nome di Cibele dai Greci e considerata la Madre della Montagna. Oltre a Cibele notevole considerazione era rivestita da Sabazio, dio del cielo raffigurato a cavallo ed associato dai Greci a Zeus.
Tumulo frigio rinvenuto a Gordion
Le rovine della capitale dei Frigi, Gordion, furono scoperte nel 1893 ad un centinaio di chilometri a sudest di Ankara, grazie ai lavori per la realizzazione della linea ferroviaria Baghdad-Berlino. Sette anni più tardi Alfred e Gustav Korte iniziarono proprio da Gordion i primi grandi progetti di scavo scientifico del Vicino e Medio Oriente. Raggiunsero presto i livelli del VI secolo e aprirono cinque degli oltre 200 tumuli sepolcrali della necropoli di Gordion. Il tumulo maggiore era di oltre 300 metri di diametro e 53 metri di altezza.
Cinquanta anni dopo gli scavi ripresero sotto la direzione di Rodney Stuart Young, dell'University of Pennsylvania Museum di Philadelphia. In 17 anni furono scavate due monumentali cittadelle fortificate, sovrapposte l'una all'altra al centro della città e furono aperti altri 30 tumuli datati ad un periodo compreso tra il IX e il I secolo a.C.. Tra questi tumuli, due risultarono piuttosto ricchi. Al di sotto delle sepolture monumentali venne trovato l'abitato ed un'altra necropoli. Venne in luce anche una fortificazione in mattone crudo risalente al VII-VI secolo a.C.
Hierapolis di Frigia
Alla morte di Stuart Young, nel 1974, gli scavi vennero sospesi per essere ripresi nel 1988 sempre dagli statunitensi e portarono alla ricostruzione sia dell'economia della regione che alla topografia della città. Sino ad oggi sono 40 i tumuli scavati, dai quali emerge la ricchezza dell'élite frigia attraverso i corredi finora rinvenuti: calderoni e secchi in bronzo e argento, cucchiai, tazze, cinture d'argento, figurine d'avorio, finimenti per cavalli in ferro e argento, gioielli in oro granulato. Uno dei tumuli era stato destinato alla sepoltura di un bambino con i suoi giocattoli: figure di animali in bronzo e legno e vasi in terracotta. Un altro grande tumulo conteneva i resti di un personaggio di alto rango, morto all'età di circa 60-65 anni, deposto su uno spesso materasso di stoffe di lusso colorate dentro una bara ricavata dal tronco di un albero. Tutto intorno alla bara giacevano fibule e cinture in bronzo, un'impressionante numero di mobili in legno forse utilizzati durante il banchetto funebre in cui era stata inserita una situla in bronzo che poteva contenere fino a 5 litri di vino. Oltre a questi reperti il corredo dell'uomo annoverava situle bronzee a testa di leone e di ariete ed una ventina di brocche.
Uno dei tavoli di reperti in legno rinvenuti nel
tumulo del re di Gordion
Analizzando i residui contenuti nei vasi di bronzo, i ricercatori hanno individuato tracce di vino d'uva mescolato con birra d'orzo e miele fermentato a costituire una bevanda dal gusto particolarmente forte. Le pietanze i cui resti sono stati ritrovati nella sepoltura comprendevano uno stufato di carne grigliata di pecora e capra, marinato in miele, olio e vino cotto con lenticchie molto speziate.
I resti lignei ben conservati hanno permesso, attraverso la dendrocronologia, di datare la camera sepolcrale al 740 a.C., facendo pensare ad un avo del mitico re Mida piuttosto che a Mida stesso. Sulle travi della camera, inoltre, erano ripetuti più volte i nomi di Nana, Myksos, Sitidos e Kyrynis, forse invitati di riguardo al funerale del re di Gordion.
Gordion è formata da tre parti distinte: al centro una collina di 16 metri di altezza considerata la cittadella, ricostruita e fortificata più volte; a fianco della cittadella è stata ritrovata la Città Bassa divisa in due settori fortificati; a nordest si estende, invece, la Città Esterna racchiusa per intero da un grande bastione difensivo. Proprio sotto la cittadella giacciono i resti più antichi di Gordion, databili al 3000 a.C. circa.

La divinità minoica di Punta Zambrone

Gli scavi di Punta Zambrone
Recentemente il promontorio di Punta Zambrone è stato oggetto di uno scavo internazionale che ha portato a riemergere testimonianze dell'antica storia d'Italia. La località era nota già negli anni Novanta del secolo scorso, grazie all'identificazione certa di un abitato dell'Età del Bronzo (datato ad un periodo compreso tra il XVII e il XII secolo a.C.). Questo villaggio aveva rapporti commerciali con il Mediterraneo orientale, rapporti testimoniati dal ritrovamento di vasi dipinti micenei. Nel 1994 fu ritrovata anche traccia di un fossato difensivo scavato nella roccia.
Recentemente nuove ricerche hanno confermato la presenza di questo fossato, della lunghezza di 80 metri, che fortificava il lato accessibile del promontorio. Sicuramente si tratta di un'opera eccezionale per l'epoca, dal momento che il fossato è stato interamente scavato nella roccia granitica e che, quasi certamente, era collegato ad una fortezza in pietra della quale, però, rimangono solamente poche tracce. Nel fossato, oltre alla ceramica, sono state recuperate ossa animali ed altri resti, che restituiscono un quadro parziale della vita della popolazione locale, dedita prevalentemente alla pesca, alla caccia, alla coltivazione del farro, delle fave e forse anche della vite.
Manufatto per telaio ritrovato a Punta Zambrone
Ma i recenti scavi rivelano anche altro dell'abitato di Punta Zambrone. Innanzitutto i rapporti con il mondo miceneo che non sono solo concentrati all'Età del Bronzo Recente e che sono stati tutt'altro che sporadici o indiretti. Gli strati di riempimento del fossato di cui sopra hanno restituito frammenti di ceramiche dipinte micenee, prodotte in Grecia ed importate in un periodo compreso tra il XIII e il XII secolo a.C.
Il riempimento ha, poi, restituito un oggetto eccezionale, unico sinora: la più antica raffigurazione di un essere umano con caratteri naturalistici rinvenuta in Italia. Si tratta di una statuetta in avorio di elefante (materiale molto raro e pregiato proveniente dall'Asia o dall'Africa). La statuetta appare forgiata secondo i canoni della civiltà minoica dell'Età dei Secondi Palazzi (dal XVII al XV secolo a.C.) e raffigura un uomo in piedi con la gamba destra leggermente protesa in avanti e la parte superiore del corpo inarcata all'indietro. L'uomo porta in vita una cintura ed è rivestito di un succinto perizoma.
Statuette simili sono state ritrovate, finora, solo a Creta e solo in terracotta, bronzo e pietra. Queste statuette avevano solitamente funzione cultuale, ma non è stato sempre facile identificarle con divinità od oranti. L'uomo in perizoma con pugni sul torace raffigurato nel reperto di Punta Zambrone è stato, comunque, riconosciuto come rappresentazione di una divinità.
La statuetta di Punta
Zambrone
Il materiale - l'avorio - con cui questa statuetta ed altre simili sono state forgiate non li rendeva prodotti per l'esportazione, ma manufatti dall'alto valore simbolico e religioso che venivano utilizzati esclusivamente dei centri di potere egei. Finora gli unici manufatti in avorio di sicura importazione ritrovati nel Mediterraneo sono un piccolo rilievo con la figura di un guerriero ritrovato in Sardegna ed una testa di anatra rinvenuta in Puglia.
La statuetta di Punta Zambrone, con la sua valenza cultuale, pertanto, è un unicum e va ad aggiungersi al sigillo minoico ritrovato a pochi chilometri di distanza, nel sito di Gallo di Briatico. Si tratta di un sigillo in corniola, forse contemporaneo alla statuetta, deposto in una tomba indigena. I ricercatori stanno ora cercando di dare una risposta alle molte domande inerenti la presenza di reperti così preziosi ed inusuali nell'Italia meridionale.
Le ricerche di Punta Zambrone sono condotte dal Ministero per l'Istruzione, l'Università e la Ricerca, dall'Università Federico II di Napoli, dal Fondo per la Promozione della Ricerca Scientifica dell'Austria, dall'Università di Salisburgo Gerda Henkel Stiftung e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria.

venerdì 26 luglio 2013

I mosaici della splendida Kaulonia

Particolare di uno dei delfini appena scoperti
Gli archeologi che stanno lavorando a Monasterace Marina, l'antica Kaulonia, hanno ritrovato il più grande ed articolato mosaico ellenico della Magna Grecia.
Lo scavo era iniziato nel 1998 e lo scorso hanno aveva portato alla scoperta del mosaico di un drago, un rosone e sei riquadri con motivi floreali. Ai lavori partecipano studenti delle Università italiane e dell'ateneo di Bahìa Blanca, in Argentina, sotto la direzione scientifica di Maria Teresa Iannelli della Soprintendenza per i Beni archeologici della Calabria.
Da poco sono stati ripuliti nuovi riquadri che compongono la pavimentazione a mosaico della sala termale della cosiddetta Casa Matta. Sono riemerse, quindi, figure di delfini ed un altro drago. L'ambiente è stato, pertanto, chiamato "sala dei draghi e dei delfini" e la sua scoperta conferma che ci si trova alla presenza di uno dei più grandi mosaici ellenistici della Magna Grecia, con ben 30 metri quadrati di superficie ed una datazione che va dalla fine del IV agli inizi del III secolo a.C..
Gli archeologi si augurano di ritrovare altri pannelli di delfini e draghi.

Il "fertile" mare di Filicudi

Le macine del relitto di Filicudi
E' stato ritrovato, nelle acque di Filicudi, il carico di un relitto romano. Si tratta di 13 macine individuate tra i 42 ed i 53 metri di profondità all'interno di un porto. Ad effettuare il ritrovamento un subacqueo locale, Antonello Berenati, che ha segnalato la scoperta alla Soprintendenza del Mare. Il carico è ora allo studio degli archeologi che devono valutare la possibilità di un'ulteriore ispezione dello stesso nonché tutti i provvedimenti per tutelare il prezioso reperto.
Fra i ritrovamenti effettuati, negli scorsi anni, sempre a Filicudi, si segnala un relitto del II secolo a.C. contenente circa 60 anfore, tuttora in situ, ad una profondità tra i 36 ed i 45 metri. Nel 1966, poi, furono recuperate diverse anfore e scoperto un altro relitto. 

Geronisos, isola battuta dal mare e dal vento

Archeologi al lavoro sull'isola di Geronisos
(Foto: Dipartimento delle Antichità di Cipro)
Il Dipartimento delle Antichità di Cipro ha annunciato il completamento dello scavo di cinque settimane nell'isola di Geronisos, di fronte Agios Georgios tis Pegeias. Lo scavo è stato condotto dagli archeologi della New York University, sotto la direzione del Professor Breton Connelly.
Tra i ritrovamenti più importanti vi sono quelli di monumentali pareti bugnate, letti di malta per blocchi di pietra, andati, con tutta probabilità, a ruba durante il periodo bizantino, per la costruzione delle chiese di Agios Georigios.
La superficie dell'isola di Geronisos è stata soggetta, nel corso dei secoli, ad una progressiva erosione da parte del mare e del vento, erosione le cui conseguenze sono stati diversi crolli. Gli archeologi sono riusciti, comunque, a recuperare grossi pithoi lungo il margine meridionale dell'isola. Queste enormi giare per la conservazione di derrate alimentari sono state utilizzate, probabilmente, per raccogliere acqua piovana, dal momento che l'isola è del tutto priva di sorgenti naturali.
Sono stati ritrovati anche ciotole, brocche e frammenti di anfore su un antico pavimento di limo di età ellenistica. Pavimento che mostra segni di una trincea scavata da chi voleva depredare i muri dell'edificio a cui apparteneva delle sue belle pietre in bugnato.

Le origini della civiltà a Cipro

Uno dei depositi di Politiko-Troullia, sull'isola di Cipro
(Foto: Dipartimento delle Antichità di Cipro)
Il Dipartimento per le Antichità di Cipro ha comunicato il completamento delle indagini archeologiche, per il 2013, nel sito dell'Età del Bronzo di Politiko-Troullia, sull'isla di Cipro. Gli scavi sono stati condotti sotto la direzione del Dottor Steven Falconer e della Dottoressa Patricia Fall, dell'Università di La Trobe.
Il sito di Politiko-Troullia è situato a circa 25 chilometri a sudovest di Nicosia, vicino al Monastero di Ayios Irakleidios. Gli scavi hanno permesso di raccogliere nuovi reperti sulla civiltà dell'Età del Bronzo che ha preceduto l'antica Tamassos, città-stato cipriota nota soprattutto per la presenza di miniere da cui si estraeva il bronzo. Sono state riportate alla luce, tra le altre, due grandi strutture oltre ad una serie di abitazioni circostanti. Un cortile dell'antico villaggio, adiacente ad un lungo vicolo, era pavimentato con strati di cocci, di ossa di animali e di altri detriti qui scaricati dagli abitanti di Politiko-Troullia.
Uno degli oggetti più importanti ritrovati in questo cortile è un askos quasi completo a forma di uccello. Quest'ultimo sembra simile ad una quaglia. Questo vasetto, unitamente ad altri reperti, fa pensare a commemorazioni dei defunti, prevalentemente tenute all'aperto. Altri reperti provenienti dal villaggio dell'Età del Bronzo sono stati ricavati dalla pietra e dalla ceramica.
Le rovine di una casa crollata hanno rivelato diversi vasi rotti e tazze dipinte disposti su di un piano, che ha indotto i ricercatori a pensare ad un ambiente deputato allo stoccaggio delle merci ed alla trasformazione delle derrate agricole. I depositi di Politiko-Troullia raggiungono i 4 metri sotto la moderna superficie, il che li rende i depositi più stratificati dell'isola di Cipro.
Gli antichi abitanti di questo villaggio coltivavano uva e olive ed allevavano capre, buoi e maiali. Si dedicavano anche alla caccia del cervo e delle capre selvatiche. I risultati ottenuti qui dagli archeologi sono estremamente importanti per lo studio di una comunità mineraria che ha fornito le basi per le successive società civili urbanizzate di Cipro.

I mosaici di Kadmeia

Il mosaico tardoantico scoperto a Kadmeia
(Foto: Boiotiki Ora)
La stagione di scavi 2013 a Kadmeia, nell'antica Beozia, Grecia centrale, ha permesso di riportare alla luce stupefacenti reperti micenei, tra i quali degli affreschi ed un mosaico tardoantico.
Uno dei reperti sicuramente di maggiore effetto è un pavimento musivo raffigurante un paesaggio marino, tornato alla luce nella cosiddetta via Antigonis.
Secondo il responsabile della Soprintendenza, nonché direttore degli scavi Dottor Vassilis Aravantinos, il mosaico risalirebbe al IV secolo d.C., la stessa datazione di simili opere d'arte situate in via Pindarou.
Poco lontano dal pavimento musivo, gli archeologi hanno ritrovato le rovine di un palazzo miceneo.

I primi Europei erano spagnoli?

Cranio di leone ritrovato nelle grotte di Atapuerca, in Spagna
Gli archeologi spagnoli hanno ritrovato, recentemente, nelle grotte di Atapuerca, in Spagna, una lama in selce risalente a circa un milione e mezzo di anni fa. Si tratta del primo segno della presenza umana nel sito.
La lama è lunga circa 3 centimetri ed è stata ritrovata nello stesso luogo dove i ricercatori, nel 2007, ritrovarono un dito ed una mandibola umani risalenti a un milione e duecentomila anni fa. Questi sono considerati i resti del più antico Europeo conosciuti.
Le grotte di Atapuerca si trovano vicino alla città di Burgos e sono state oggetto di scavo a partire dal 1978. Il sito, nel 2000, è stato insignito del titolo di Patrimonio dell'Umanità. Le scoperte effettuate nelle grotte contraddicono quegli studiosi che sostengono che il popolamento dell'Europa sia avvenuto attraverso piccole ondate, da gruppi che, a poco a poco, hanno finito per estinguersi poiché non riuscivano ad adattarsi al nuovo ambiente.
Gli archeologi hanno anche ritrovato i resti di un grande orso, antenato del moderno orso bruno, unitamente a resti di altri animali tra i quali rinoceronti, cervi giganti, bisonti ed asini selvatici. Durante la stagione di scavo tuttora in corso, è stata ritrovata anche la scapola fossilizzata di un bambino di età compresa tra i 4 ed i 6 anni, vissuto circa 800.000 anni fa.
In realtà i resti del bambino erano stati già individuati nel 2005, ma giacevano all'interno di un blocco d'argilla calcificata e sono stati necessari tutti questi anni per estrarli.

Stobi, città del marmo e del sale

Scavi di Stobi, in Macedonia
Il sito di Stobi, in Macedonia, è stato oggetto di numerosi scavi e ricerche, nel corso dell'ultimo secolo. Gli archeologi stimano che solo il 15-20 per cento dei suoi resti siano stati scoperti. Dal 2008 gli scavi sono curati dalla Fondazione Patrimonio dei Balcani.
Gli archeologi, studenti e volontari, stanno continuando a scavare la zona residenziale nord della città, dove è stato già ritrovato un grande teatro, una cinta muraria, il foro della città romana, una sinagoga, un battistero ed una serie di cisterne. Recentemente gli archeologi hanno rintracciato un'antica necropoli, in uso fino al V secolo d.C.) ed un tempio del II-III secolo d.C.
Le emergenze degli scavi hanno dimostrato che la città di Stobi è stata continuativamente occupata a partire dal IV secolo a.C. fino a tutto il VI secolo d.C.. Nacque come capitale dei Peoni e fu edificata alla confluenza dei fiumi Erigon e Axios. Si specializzò da subito nella produzione del marmo del vicino monte Klepa.
Lo storico romano Tito Livio scrive che nel 197 a.C. il re macedone Filippo V sconfisse i Dardani in prossimità di Stobi. Con i Romani la cittadina divenne un importante centro per il commercio del sale. Nel 168 a.C. i Romani sconfissero Perseo di Macedonia. La regione venne divisa in quattro repubbliche separate che verranno riunificate in un'unica provincia romana. Nel 69 d.C. Vespasiano le concesse il rango di municipium e il diritto di coniare moneta.
Stobi fu anche un importante centro cristiano e sede vescovile. Nel V e VI secolo d.C. fu capitale della provincia romana Macedonia Secunda. Fu distrutta dapprima dal saccheggio degli Ostrogoti di Teodorico, nel 479 d.C., poi da un terremoto nel 518 d.C.

giovedì 25 luglio 2013

Il tesoro dei Vichinghi

Pendaglio in lega di rame ritrovato in Danimarca
(Foto: Ole Kastholm/Roskilde Museum)
Diversi pezzi di gioielleria vichinga, alcuni dei quali d'oro, sono stati scoperti in un sito archeologico danese che risale a 1300 anni fa. I Vichinghi sono più noti come predoni e guerrieri che come commercianti e agricoltori e il ritrovamento di questi gioielli, di notevole raffinatezza, getta nuova luce sulle capacità artistiche di questo popolo.
Il sito in cui è stato effettuato l'importante ritrovamento si trova su Zelanda, l'isola più grande della Danimarca, in un sito chiamato Vestervang, la cui vita abbraccia un periodo compreso tra la fine del VII e gli inizi dell'XI secolo d.C.. Gli archeologi sono rimasti stupefatti dal ritrovamento di beni così preziosi nel luogo dove sorgeva una modesta fattoria. Il pezzo più spettacolare ha 73 millimetri di lunghezza ed è l'immagine di una testa animale a forma di cuore, con gli occhi circolari. Il pezzo è stato fabbricato in lega di rame ed era, probabilmente, il pendaglio di una collana. Sul ciondolo sono presenti anche tre figure mascherate, ciascuna con baffi spioventi.
Gli archeologi pensano che l'oggetto avesse una funzione sciamanica, mediatrice tra il mondo reale e quello dell'oltretomba. Un altro gioiello misterioso, anch'esso ritrovato A Vestervang, raffigura una croce cristiana e la sua fattura richiama quella delle maestranze dell'Europa continentale e una datazione compresa tra il 500 e il 750 d.C., antecedente alla fattoria vichinga che è stata ritrovata nel sito. La croce è inscritta in una ruota centrale ed è in rilievo, con intarsi d'oro. In alcune parti l'oro è coperto con del vetro rosso trasparente o con pietre dure. 
La croce cristiana ritrovata a Vestervang
(Foto: Ole Kastholm/Roskilde Museum)

Gli archeologi non sanno dare una risposta al come abbia fatto un reperto del genere ad arrivare in Danimarca. Forse si tratta di un oggetto che è stato acquisito in cambio di un'altra merce, oppure apparteneva ad una persona di religione cristiana. Gli archeologi pensano che appartenesse ad una persona di sesso femminile e di alto rango che, forse, usava portarla sul vestito.
Le leggende danesi parlano di una località, non lontana da Vestervang, di nome Lejre. Questo era il luogo dove la prima dinastia reale danese, i Scyldings, avevano posto la loro reggia. Alcuni dei membri di questa casata reale compaiono persino nel poema "Beowulf". Archeologicamente parlando, Lejre sembra essere veramente un sito di notevole interesse e piuttosto ricco di reperti preziosi. Nel 1850 nelle colline vicine Lejre è stato ritrovato un tesoro composto da quattro vasi in argento, un peso, una collana e un lingotto d'argento a forma di disco.
Proprio la vicinanza tra Lejre e Vestervang potrebbe spiegare la ricchezza del tesoro appena scoperto in quest'ultima località. Gli studiosi ipotizzano che Vestervang sia stata una fattoria posta sotto il controllo della dinastia di Lejre, il che spiegherebbe la presenza dei reperti preziosi.

martedì 23 luglio 2013

Le teste nel pozzo del Ceramico

Le due teste ritrovate nel pozzo del Ceramico
(Foto: To Vima)
Due teste marmoree femminili, risalenti al III secolo d.C., sono state scoperte dall'Istituto Archeologico Germanico al Ceramico, necropoli della città di Atene. Le teste sono emerse durante i lavori di ripulitura di un pozzo pertinente una vasca di epoca classica non lontana la Porta Dipylon.
I due reperti sono in condizioni molto buone, malgrado rechino evidenti tracce di danneggiamento, come se qualcuno le abbia volutamente distrutte e gettate nel pozzo. La datazione dei reperti è stata dedotta dalla pettinatura delle due immagini femminili. I capelli sono acconciate come quelli di Salonina, moglie dell'imperatore Gallieno e madre di Valeriano, raffigurato su monete dell'epoca.
Il pozzo è di per sé una costruzione imponente, edificato in pietra e rivestito con malta di calce idraulica di qualità eccellente. Si pensa sia stato in uso per molti anni, tra il V e il VI secolo d.C.

25 anni di scavi nell'antica Patara

Gli scavi di Patara, in Turchia
Per il 25mo anno di seguito sono iniziati i lavori nell'antica città di Patara, posta nel distretto turco di Antalya. I lavori di scavo sono finanziati dall'Assessorato alla Cultura e dal Ministero per il Turismo e sono iniziati nell'oramai lontano 1988 a cura del professor Fahri Isik. Gli scavi di quest'anno si svolgeranno nei pressi della Basilica, della Palestra e dell'Acropoli.
Finora sono state riportate alla luce molte statue, tra queste una di bronzo raffigurante Hermes, di epoca romana, custodita presso il Museo di Antalya. L'attuale responsabile degli scavi, il professor Havva Iskan Isik, ha detto che la statua è un unicum nella Turchia e che sembra risalire all'epoca di Costantino.
Nel 1993 una pietra miliare romana è stata riportata alla luce. Si tratta dello Stadiasmus Provinciae Lyciae, un pilastro monumentale che reca un'iscrizione dedicatoria a Claudio in greco e l'annuncio ufficiale dell'inizio della costruzione di strade da parte del governatore Quinto Veranio.
La città di Patara, insieme al resto della Licia, si arrese ad Alessandro Magno nel 333 a.C.. Fu coinvolta successivamente nelle lotte tra i Diadochi e fu occupata alternativamente da Antigono e Demetrio prima di cadere nelle mani dei Tolomei. Strabone informa che Tolomeo Filadelfo ampliò la città, dandole il nome della moglie e sorella Arsinoe, anche se la città continuò ad essere chiamata Patara.

Ritrovato un tempio in Bulgaria

Gli archeologi bulgari hanno ritrovato un santuario dei Traci dedicato a Zeus e di Hera a Sredna Gora, nella parte centrale della Bulgaria, nella regione di Kozi Gramadi.
L'area in cui è stato trovato il grande tempio si estende su un'area di circa 50 mq ed il suo primo utilizzo è stato accertato all'Età del Ferro, dall'VIII al VI secolo a.C. e si crede che sia stato distrutto nel V secolo d.C. per far posto ad una chiesa cristiana.
Nel sito sono state scoperte anche delle monete di Filippo II e di Alessandro Magno ed altre dell'epoca tardo-repubblicana romana.

Vino etrusco in Gallia

Scavi a Lattara, in Francia
Forse i Galli appresero l'arte di fare il vino dagli Etruschi. L'analisi chimica di due anfore scoperte nel porto di Lattara, nel sud della Francia, ha dimostrato che il vino veniva importato già a partire dal VI secolo a.C. e poi venne prodotto a partire dal V secolo a.C. "E' la prima prova di vinificazione che abbiamo da parte dei Galli", ha affermato Patrick McGovern, archeologo biomolecolare presso l'Università della Pennsylvania a Philadelphia.
La vinificazione ebbe origine nel Medio Oriente più di 8000 anni fa e si diffuse in Egitto a partire dal 3000 a.C.. A partire dal 2200 a.C., mercanti fenici e greci commerciavano vino in tutto il Mediterraneo. Dal 600 a.C. gli Etruschi scambiavano il loro vino sulla costa francese del Mediterraneo, proprio quando i Greci fondavano la colonia di Massalia, odierna Marsiglia.
Una squadra guidata da McGovern ha esaminato i reperti archeologici rinvenuti a Lattara, utilizzando diverse tecniche tra cui la spettrometria di massa e la spettroscopia infrarossa. Tra i reperti analizzati vi sono delle anfore etrusche datate tra il 525 e il 475 a.C., scavate nei quartieri mercantili della città. E' stato riconosciuta, nelle anfore, la presenza dell'acido tartarico, indizio che vi era del vino, oltre a resina di pino ed erbe aromatiche (rosmarino e basilico) che avevano funzione di conservanti o di aromatizzanti. Nel sito sono stati individuati addirittura residui di semi e bucce di uva.

venerdì 19 luglio 2013

Sorprese dall'area sacra di Sant'Omobono

Il basamento del tempio dell'eta serviana
(Foto: La Repubblica)
(Fonte: La Repubblica) - Scoperta eccezionale nell'area sacra di Sant'Omobono di via Petroselli. Gli archeologi della Sovrintendenza capitolina dei Beni Culturali, in cooperazione con i colleghi delle Università del Michigan e del Dipartimento Studi Umanistici dell'ateneo della Calabria, durante un'operazione di ripulitura degli scavi hanno riportato alla luce i resti del muro in pietra di un tempio arcaico del VI secolo a.C., dell'età regia di Servio Tullio.
Si tratta, spiega l'archeologo Paolo Broncato, insieme al tempio di Giove Capitolino, i cui resti si trovano sotto il Campidoglio, "del più antico tempio in pietra trovato a Roma, realizzato con blocchi squadrati in stile etrusco-italico. Sono stati recuperati anche frammenti delle decorazioni. Il nuovo tempio è stato individuato dopo 4 anni di lavoro, nel centro dell'area sacra, vicino ai templi di Mater Matuta e della Fortuna".
La scoperta è stata  mostrata alla stampa alla presenza dell'assessore capitolino alla Cultura, Flavia Barca. "Si tratta di un ritrovamento bellissimo - sono state le sue parole - che mostra il patrimonio eccezionale della città ma anche il valore del lavoro prezioso degli archeologi che spesso, purtroppo, non viene valorizzato. Invece sono un pezzo importantissimo dell'opera di conservazione e valorizzazione della Roma antica".

giovedì 18 luglio 2013

La cappella funeraria di Iny

Cappella funeraria di Iny
Dopo venti anni di intenso lavoro è finalmente possibile ammirare una delle cappelle funerarie dedicate ad Iny, sacerdote-lettore di tre faraoni, i cui frammenti erano sparsi in tutto il mondo al punto che la sepoltura risultava un vero e proprio enigma.
A portare a termine il certosino lavoro di ricomposizione è stato il direttore del Museo di Barcellona, Jordi Clos, la cui opera è stata supportata da ben 20 istituzioni internazionali. L'avventura è iniziata nel 1991, quando una falsa porta egizia fu acquistata in un'asta di Sotheby, a Londra. Questa falsa porta aveva permesso di raccogliere informazioni su Iny, che fino ad allora non era noto agli archeologi. Poco tempo dopo il dottor Clos scoprì, in un negozio di antiquariato di Parigi, frammenti della tomba di Iny, con geroglifici che narravano la sua storia. L'archeologo ritenne la scoperta quasi un miracolo.
La cappella di Iny può essere ora ammirata nel Museo di Barcellona ed è una delle quattro cappelle che costituivano, insieme, il monumento funebre di Iny, originariamente situato a Saqqara. Le incisioni sulle pareti della cappella rivelato che 4300 anni fa Iny era un funzionario vicino ai faraoni Pepi I, Merenre I e Pepi II. Iny aveva anche condotto una serie di spedizioni commerciali per importare argento, lapislazzuli, piombo e altri materiali.
Iny era un funzionario di alto livello che ebbe anche funzioni di supervisore del complesso funerario di Pepi II. Tra i titoli che ricopriva vi erano "portatore del sigillo di Dio nelle due barche" e "unico amico del re".

Bronzo verniciato in Cina

Alcuni degli oggetti ritrovati nelle sepolture
In una provincia centrale della Cina è stata riportata alla luce una serie di tombe, precisamente circa 130, che gli archeologi pensano siano appartenute ai signori dello stato di Zeng.
La tomba più grande è quella contrassegnata dal numero 28, dalla quale sono stati estratti diversi oggetti, tra i quali i più notevoli sono diversi vasi in bronzo.
Gli oggetti in bronzo sono per la maggior parte oggetti destinati alla mensa. L'eccezionalità del ritrovamento è dovuta alla presenza di colori applicati sugli oggetti, che ne fanno i primi oggetti di bronzo verniciato rinvenuti ed appartenenti ad una dinastia di 3000 anni fa.

La dinastia del Serpente, memorie maya dal Guatemala

La Stele 44 ritrovata in Guatemala, con il nome della
principessa Ikoom, della dinastia del Serpente
(Foto: Francisco Castaneda)
Gli archeologi guatemaltechi hanno ritrovato, sotto il tempio principale della città maya di El Perù-Waka, nel nord del Guatemala, una pietra finemente intagliata, recante un testo in geroglifici maya che narra le gesta di una principessa poco nota, vissuta nel VI secolo d.C., la cui progenie sembra aver avuto la meglio in una sanguinosa lotta per il potere.
La pietra è conosciuta ufficialmente come Stele El Perù 44 ed offre nuove e preziose informazioni su un periodo piuttosto oscuro della storia maya, compresi i nomi di due sovrani precedentemente sconosciuti. Monumenti simili sono stati ritrovati a decine in altre importanti città maya e ciascuno è stato fondamentale per la comprensione della cultura maya.
L'epigrafista Stanley Guenter, che ha decifrato il testo, ritiene che la Stele 44 fu dedicata intorno a 1450 anni fa, nel periodo maya che è terminato nel 564 d.C., sotto la dinastia Wak di re Wa'oom Uch'ab Tzi'kin, il cui nome significa, più o meno, "Colui che alza l'offerta per l'Aquila". Questi la fece edificare per onorare suo padre, Chak Took Ich'aak, morto nel 556 d.C.. Nel testo è citata anche la principessa Ikoom, una delle due principesse della dinastia del Serpente, inviate in matrimonio dai governatori della città di El Perù-Waka ad altri sovrani di città maya limitrofe. I matrimoni dovevano confermare il controllo della dinastia del Serpente sulla regione settentrionale del Guatemala.
Dopo essere rimasta esposta alle intemperie per più di 100 anni, la Stele 44 fu spostata da un re successivo e seppellita quale offerta all'interno di una nuova costruzione accanto al tempio principale. L'offerta era parte di un rito funebre per una grande regina sepolta nella costruzione.

martedì 16 luglio 2013

Ritrovati i resti di un sacrificio umano in Perù

I resti della giovane donna Moche trovata a El Brujo
I resti mummificati di una donna della cultura Moche, vittima di un sacrificio, sono stati ritrovati dagli archeologi peruviani nel complesso di El Brujo, a 570 chilometri circa da Lima.
L'archeologo responsabile dello scavo, il Dottor Regulo Franco, si è dimostrato molto sorpreso della scoperta ed ha dichiarato che la donna è stata seppellita in posizione prona, con la testa verso ovest, in direzione del mare, e con un braccio esteso. Una posizione piuttosto anomala.
I sacrifici umani ritrovati nei centri della cultura Moche risalgono ad un periodo che va dal I fino all'VIII secolo d.C. e sono dislocati prevalentemente lungo la costa settentrionale del Perù. Si trattava di uomini rinvenuti tutti in posizione supina.
Il Dottor Franco ha precisato che il corpo, una volta sacrificato, sembra essere stato gettato in un pozzo precedentemente preparato. La donna aveva un'età compresa tra i 17 ed i 19 anni e la sua morte sembra essere stata causata dall'ingestione di una sostanza tossica oppure da strangolamento. Era questo il modo usuale di sacrificare le giovani donne Moche che dovevano accompagnare i dignitari della loro gente nella tomba.

lunedì 15 luglio 2013

Antica casa islamica ritrovata nel Qatar

Gli archeologi al lavoro nel sito nel quale è stata
scoperta la casa islamica (Foto: Gulf Times)
Un team di archeologi della Qatar Museums Authority e dell'Università di Birmingham, hanno scoperto i resti di una dimora islamica del VII secolo d.C. nel sud di Al Wakrah.
Siti di questo periodo sono estremamente rari non solo nel Qatar, ma anche nella regione del Golfo. La località in questione è immersa tra creste di pietra naturale e la casa è rimasta nascosta agli occhi degli abitanti per più di mille anni, poiché era seppellita da spessi depositi di sabbia portati dal vento.
La casa aveva tre grandi camere, una delle quali recava una piccola suddivisione per ricavarne una sala privata. Le pareti sono rimaste in piedi fino a 50 centimetri di altezza e sono state costruite con lastre piane di roccia e malta. All'interno sono stati rinvenuti diversi focolari con frammenti di ceramica, ossa di pesce e frutti di mare. Le datazioni al radiocarbonio indicano che la casa è stata costruita tra il 600 e il 630 d.C.
Uno degli aspetti più interessanti del ritrovamento è il fatto che quest'edificio sembra essere il solo nel circondario, un mistero che gli archeologi sperano di rivelare presto.

"Fumetti" da Smirne

Uno dei graffiti ritrovati nell'agorà di Izmir
Una corposa serie di graffiti di epoca greca sono stati ritrovati ad Izmir, in Turchia, l'antica Smirne dei Greci, nell'agorà, durante alcuni scavi. I graffiti illustrano la vita quotidiana in epoca ellenistica e romana.
Si pensa che le raffigurazioni, realizzate con pittura di color nero, risalgano al II e IV secolo d.C.. Ad esse si accompagnano anche delle incisioni. Il panorama che se ne ricava è quello di una città estremamente tollerante verso le altre culture. Compaiono navi commerciali, gladiatori e, tra le scritte, vere e proprie confessioni come quella che recita: "Io amo una persona che non mi ama". Un'altra incisione, invece, informa che "gli dei hanno guarito i miei occhi, questo è il motivo per cui dedico una lampada ad olio ad essi". Alcune scritte non sono state ancora interpretate.

I vampiri di Gliwice

Le sepolture ritrovate a Gliwice, Polonia
(Foto: Regional Conservator of Monuments)
Gli archeologi polacchi hanno scoperto a Gliwice, nel sud della Polonia, un cimitero dove i morti sembrano essere stati seppelliti con le modalità solitamente usate per i vampiri.
Nel sito sono stati ritrovati quattro scheletri, con la testa staccata dal corpo e posta tra le gambe. Secondo le credenze popolari, questo rito doveva impedire ad un possibile vampiro di ritrovare la strada nel mondo dei vivi. Nel cimitero non c'è traccia di corredo funerario o di beni terreni che accompagnassero i defunti.
Gli archeologi ritengono che le sepolture non siano molto antiche e che i defunti siano stati seppelliti in questo strano modo per proteggere il villaggio dagli attacchi dei vampiri. Un'altra teoria avanzata potrebbe essere quella che vuole i defunti vittime di un'epidemia di colera. Le eventuali ipotesi sono al vaglio degli studiosi che attendono qualche risposta dall'esame delle ossa.

sabato 13 luglio 2013

Scoperta la più antica iscrizione di Gerusalemme

Frammento di vaso ritrovato vicino al Monte del Tempio
di Gerusalemme (Foto: Dott. Eilat Mazar)
Gli archeologi hanno ritrovato la più antica iscrizione alfabetica mai ritrovata in Gerusalemme, risalente al periodo dei re Davide o Salomone, 250 anni prima del più antico testo scritto.
L'iscrizione è stata ritrovata nei pressi del Monte del Tempio, non è in ebraico ma nella lingua di una delle popolazioni che abitavano Gerusalemme.
La scritta procede da sinistra a destra e contiene una combinazione di lettere di circa 2,5 centimetri di altezza che sembrano essere delle m, q, p, H, N, l. Dal momento che questa combinazione di lettere non a alcun significato nelle lingue conosciute parlate nella regione, non si è ancora riusciti a tradurre la scritta.
Gli archeologi sospettano che la scritta indichi il contenuto del vasetto o il nome del suo proprietario. Poiché non è in ebraico, si tratta probabilmente della lingua dei Gebusei, che facevano parte della popolazione della città al tempo di re Davide e Salomone.
L'archeologo Eilat Mazar, dell'Università Ebraica di Gerusalemme, è colui che ha riportato alla luce il manufatto appartenente, si è accertato, ad un pithos, un vaso di ceramica senza collo. L'incisione si trovava sul bordo del vaso prima che ne questo fosse rotto ed è quindi stata ritrovata frammentata insieme con altri frammenti di sei grandi vasi dello stesso tipo. Tutti questi frammenti erano stati utilizzati per stabilizzare la terra di riempimento sotto il secondo piano del palazzo nel quale sono stati ritrovati.

Scoperte diverse sepolture in Messico

Alcuni degli oggetti ritrovati nello scavo di Veracruz
(Foto: Inah)
L'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (Inah) ha annunciato la scoperta di 30 sepolture precolombiane e di una piramide in un antico insediamento nel Messico orientale. I reperti potrebbero risalire a 2000 anni fa.
Le sepolture si trovano nel comune di Jaltipan, nello Stato di Veracruz, ed erano accompagnate da offerte, resti animali e fossili. E' stata ritrovata anche una struttura in mattoni con caratteristiche simili a quella ritrovata nel sito maya di Comalcalco. Le prime ipotesi propendono per un santuario dove la popolazione della regione usava seppellire i suoi morti, ma si pensa che potrebbe essere anche una sorta di mercato o centro di governo. Il suo utilizzo risalirebbe al 700 d.C.
Tra gli oggetti ritrovati e asportati per poter essere studiati ci sono perle di giada, specchi e figurine provenienti da Teotihuacan, di origine maya, Nahua e della cultura Remojadas. Le analisi consentiranno di stabilire se quello appena ritrovato fosse un sito multiculturale, come sembrerebbe dai ritrovamenti. Sono stati rinvenuti anche numerosi scheletri e grandi denti di camelidi preistorici e di rinoceronti.
Di particolare rilievo è la scoperta di una piramide alta 12 metri su una vicina collina: è la prima struttura in pietra scoperta nel sud di Veracruz.

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...