martedì 29 ottobre 2013

Ritrovata un'eccezionale sepoltura infantile in Inghilterra

La bara di piombo ritrovata a Leichester (Foto: Raymonds Press)
E' stata ritrovata a Leichester, in Inghilterra, la bara di un bambino che risale al III secolo d.C.. La tomba è stata rinvenuta grazie al metal detector.
Il ritrovamento è stato fatto in una fattoria nella parte occidentale della contea di Leichester, accanto alla bara sono state trovate delle monete romane. L'esatto luogo non è stato rivelato, per evitare che la sepoltura sia saccheggiata.
La bara è in piombo e contiene i resti del figlio di un individuo molto ricco. La bara, infatti, costava all'epoca il corrispondente di circa 200.000 sterline attuali (circa 232.000 euro).

Un ostrakon erotico da Rodi

L'ostrakon di Rodi (Foto: A. Dreliosi-Irakleidou, N. Litinas)
Sull'isola di Rodi è stato ritrovato un ostrakon con inciso un epigramma che parla d'amore. Il reperto risale al II secolo a.C.. I ricercatori Anastasia Dreliosi-Irakleidou e Nikos Litinas, dell'Università di Creta, hanno studiato l'epigramma.
L'epigramma giaceva nel terreno dove sorge il cimitero centrale di Rodi. Con l'epigramma sono stati trovati resti di uno scheletro, urne di argilla, frammenti di ceramica, maniglie di anfora con timbro e un gran numero di cocci iscritti. Questi reperti sembrano essere stati trasferiti nel luogo del ritrovamento da un altro luogo, probabilmente a seguito di un disastro naturale.
A parte l'ostrakon che parla delle pene d'amore, gli altri ritrovati sono dei documenti. Chi ha redatto i versi dell'epigramma amoroso non ha tracciato linee di separazione tra le parole, né accenti o altri segni diacritici. I ricercatori hanno ipotizzato che l'epigramma consistesse, originariamente, di almeno quattro distici elegiaci, dei quali sono stati omessi deliberatamente o per errore l'esametro del terzo e il pentametro del quarto. Un'altra ipotesi è che l'epigramma consisteva in tre distici elegiaci.
L'epigramma cita una certa Glykera, forse un'etera Samiana, che cercava di liberarsi del suo amore con il giuramento di dedicare un dipinto. Dal momento che è nominata anche un'altra etera, Papylides, il significato dell'epigramma non è ben chiaro e non si è certi che si tratti di un unico epigramma o di due epigrammi differenti riguardanti le storie di Glykera e Papylides. Se fosse la sola storia di Glykera sarebbe un epigramma erotico, dal momento che questo nome era sovente utilizzato dalle etere, mentre il nome di Papylides, derivante da Papylos, è attestato solo in un'iscrizione bizantina in Bitinia.
Per quanto riguarda la divinità coinvolta in questo "affare erotico", può essere Dioniso (dal momento che viene nominato un thiasos) oppure Adonis. Forse l'ostrakon con l'epigramma è stato utilizzato per scrivere una bozza affrettata e incompleta della creazione originale di un poeta. Ma, quasi certamente, si tratta di una copia di un testo già esistente. L'epigramma è scritto in dialetto ionico ma non rivela l'identità del suo autore.

lunedì 28 ottobre 2013

La prima volta di Roma...

Il frammento di spada con la scritta che fa riferimento a Roma
Risale al IV secolo a.C. la scritta più antica che menziona, per la prima volta, il nome di Roma. E' incisa sulla cosiddetta Spada di San Vittore, un reperto archeologico ritrovato nel 2003 durante gli scavi a San Vittore, cittadina laziale.
A fare il ritrovamento l'archeologo Dante Sacco, durante i lavori di scavo della Sovrintendenza nei pressi di un antico santuario risalente al VII secolo a.C.. La spada è stata piegata, in seguito ad un rito di deposizione fatto dal suo proprietario all'interno del santuario, probabilmente per ringraziare la divinità per averlo protetto durante qualche battaglia.
Il reperto presentava due rappresentazioni stilizzate della cosiddetta Stella Macedone. La presenza di questo simbolo sull'arma può essere ricollegato ad una moda del IV secolo a.C., secondo cui il soldato che brandiva la spada era mosso, sia nell'azione che nel pensiero, secondo lo stile ellenistico di Alessandro Magno.
L'epigrafe incisa sulla lama recita: "Trebios C.F. Pomponios me fecet Romai", Trebio Pomponio, figlio di Caio, mi fece a Roma. 

domenica 27 ottobre 2013

Hierapolis, la Porta degli Inferi

La statua di cerbero scoperta dagli archeologi italiani
(Foto: Ansa)
Un gruppo di archeologi italiani ha scoperto, guidati da Francesco D'Adria, ha scoperto ha Hierapolis, antica città sacra della Frigia oggi Pamukkale, Turchia nordoccidentale, la Porta degli Inferi, visitata da Cicerone e da Strabone.
E' stato lo stesso D'Adria a confermare la scoperta all'Ansa. Si tratta dell'antico Ploutoniom, una grotta da cui esalavano gas mortiferi. A guardia del suo ingresso una statua di marmo di Cerbero, il cane a tre teste che la mitologia greca voleva sorvegliasse l'accesso all'Ade. Accanto a quella di Cerbero è stata scoperta anche la statua di marmo di un enorme serpente, altro animale che fungeva da guardiano dell'Oltretomba greco.
L'annuncio del ritrovamento dell'antico Ploutoniom, avvenuto a marzo ad Istanbul, aveva suscitato interesse in tutto il mondo archeologico. La Porta degli Inferi era stata individuata dagli archeologi salentini grazie ai cadaveri di alcuni uccellini, ritrovati morti davanti ad una sorta di grotta, dalla quale uscivano fumi mefitici di anidride carbonica. Gli archeologi erano confortati anche dalle informazioni fornite da Strabone sul Poutoniom: "di dimensioni sufficienti per far passare un uomo, riempita di un vapore fitto e scuro, così denso che il fondo difficilmente può essere individuato. (...) Noi stessi gettammo dentro dei passeri che immediatamente caddero a terra senza vita".
La grotta è larga non più di due metri e non è stata ancora investigata. D'Adria ha definito la scoperta della statua di Cerbero un unicum di straordinaria importanza storica e archeologica. Gli archeologici italiani, intanto, continuano il lavoro di restauro dello splendido sito di Hierapolis, dove appena due anni fa hanno riportato alla luce la tomba dell'apostolo Filippo.

I morti parlano... dalle necropoli di Roma

La donna sofferente di spondilite sepolta nella necropoli Collatina
Le speranze di vita, nell'antica Roma, erano di appena 27 anni. A "minacciare" gli antichi cittadini dell'Urbe erano soprattutto le fratture gravi, le malattie come ascessi e carie, ma anche le deformazioni ossee dovute al trasporto di carichi pesanti.
Lo scheletro di una donna esumato dalla necropoli Collatina ha mostrato una grave forma di spondilite anchilosante, praticamente il blocco totale della colonna vertebrale. La donna è stata sepolta in posizione fetale. Un altro caso, rarissimo se non unico nel mondo romano, è quello di un giovane dell'età approssimativa di 16 anni, trovato nella necropoli di Fidene, alto ben due metri al momento della morte. Un altro individuo, all'opposto, mostrava segni di nanismo.
Gli esami medici sono stati condotti negli ultimi anni sui resti scheletrici rinvenuti recentemente. I reperti saranno oggetto di una mostra sulla storia della medicina, organizzata dal Servizio di Antropologia della Soprintendenza ai Beni archeologici di Roma, a cura di Paola Catalano. Il progetto prenderà il via il 10 dicembre prossimo presso il Museo Nazionale Romano della via Ostiense a Porta San Paolo.
L'esposizione presenterà campioni scheletrici umani inediti, emersi da sei sepolcreti di età imperiale, selezionati in base alla consistenza numerica e alla peculiarità dei reperti. I reperti arrivano dalla Prenestina Polense, non lontano da Gabii; dalla necropoli Collatina, tra via della Serenissima e via Basiliana; da Casal Bertone, dall'Osteria del Curato, dai sepolcreti di via Padre Semeria e di Ponte Galeria.
Proprio dall'analisi di questi reperti emerge un identikit antropologico del romano-tipo: aspettativa media di vita 27 anni (raramente si arrivava a 49), discreta mortalità infantile sotto i 6 anni, più elevata mortalità maschile. La statura media era di 167 centimetri per i maschi e 156 per le femmine. Le analisi degli isotopi del carbonio e dell'azoto presenti nelle ossa ha permesso ai ricercatori di accertare anche la dieta seguita dai defunti. Sono state rilevate molte patologie elevate: il 70% dei defunti soffriva di carie, il 30% di ascessi. Una donna, cremata e seppellita nella necropoli Collatina, aveva una protesi dentaria in oro.

Un parlamento vichingo in Scozia?

Lavori nel parcheggio scozzese alla ricerca della
sede del parlamento dei vichinghi
(Foto: Dr. Oliver O'Grady)
E' stato ritrovato il luogo dove sorgeva, un tempo, la sede del parlamento vichingo in Scozia. Si trova sotto un parcheggio della città di Dingwall ed è stato chiamato Thing, in riferimento al nome che aveva nell'antichità. Questo era, probabilmente, il luogo dove i vichinghi si riunivano per risolvere le controversie giuridiche, votare le leggi e prendere le decisioni politiche fondamentali.
Gli storici si sono a lungo chiesti se Dingwall fosse il luogo dove era installato un parlamento vichingo, conosciuto come Thing perché lo stesso nome della città, Dingwall, deriverebbe dal termine Thingvellir, che significa "il campo dell'assemblea". Siti analoghi si trovano dall'Islanda alla Norvegia, alle Isole Shetland e a quelle norvegesi e i vichinghi viaggiavano molto per poter partecipare a questi raduni stagionali, convocati soprattutto per derimere controversie che, altrimenti, sarebbero sfociate nel sangue.
Questi parlamenti stagionali, però, non duravano a lungo ed hanno lasciato ben poche tracce della loro esistenza. In diversi siti di parlamenti vichinghi sono stati trovati resti di dimore temporanee. Così, servendosi di documenti storici, gli archeologi scozzesi hanno individuato una collinetta posta vicino l'ingresso dell'estuario del fiume che scorre a Dingwall, un tumulo artificiale risalente al XIII secolo dove, in seguito, furono sepolti molti conti scozzesi. Nel 1947 le autorità locali trasformarono l'area dove sorge la collinetta in un parcheggio.
Frammento di vaso in ferro (Foto: Dr. Oliver O'Grady)
Gli archeologi hanno scavato una sorta di tunnel di sondaggio attraverso la collinetta e vi hanno introdotto isotopi radioattivi, carbonio e atomi di carbonio con differenti pesi molecolari al fine di datare il terreno ed il materiale che, eventualmente, vi era contenuto. In questo modo i ricercatori hanno appurato che alcuni degli strati superiori risalivano al periodo medioevale e contenevano frammenti di ceramiche ed anche di un vaso in ferro. Sotto questo primo strato, gli archeologi si sono imbattuti negli strati originali, quelli che sono stati inizialmente utilizzati per costruire il tumulo, che contenevano terreno risalente all'XI secolo. In quel periodo storico, i vichinghi non erano più i temuti padroni dei mari del nord, che predavano e razziavano le coste di quasi tutta l'Europa. Probabilmente coloro che usavano riunirsi sulla collina di Dingwall erano sudditi di re Norse, che governava le isole Orcadi e le Shetland.
Non si sa come sia stata edificata la collinetta su cui si riuniva a parlamento la gente di re Norse, anche se deve sicuramente essere stato un'impresa significativa dal punto di vista dell'organizzazione tecnica e sociale, segno di una comunità fiorente e politicamente forte. Nessun documento storico reca notizie in merito al parlamento di Dingwill. Le uniche notizie riguardano una battaglia svoltasi nella regione, di cui fu protagonista re Earl Thorfinn detto l'Eccelso, il più potente dei conti delle Isole Orcadi.

Ritrovata un'officina medioevale ad Oslo

I resti dell'officina ritrovati ad Oslo
Resti risalenti al 1500 d.C. sono stati ritrovati sotto Klosterenga, nella città norvegese di Oslo. Si tratta di una vecchia fucina, una punta di freccia in ferro e degli utensili che confermano l'esistenza di un insediamento con attività artigianali piuttosto ben avviate.
Il carbone ed i rifiuti della produzione suggeriscono la presenza di una grande officina dove si lavorava il bronzo, nella zona. Questa officina è stata datata, dagli archeologi al 1600 se non al 1500. La scoperta è stata effettuata durante i lavori per la sistemazione di una fognatura cittadina. Il fatto che l'officina sia stata trovata vicino uno dei fiumi più importanti di Oslo è stata una sorpresa per gli archeologi. Infatti all'epoca la maggior parte degli edifici della città era in legno e la presenza di un'officina del genere avrebbe significato un elevato pericolo di incendi. Questa considerazione ha spinto gli artigiani medioevali ad installare la fabbrica fuori città, accanto al fiume che, nel caso, poteva fornire acqua per le emergenze.
Oltre ai resti dell'officina sono stati individuati anche quelli di una piccola strada risalente agli anni dal '500 al '600. Le ricerche sono ancora in corso e gli archeologi stanno decidendo se effettuare ulteriori scavi nella zona.

sabato 26 ottobre 2013

Il villaggio miceneo di Mygdalia

Vista dall'alto dello scavo sulla collina di Mygdalia, in Grecia
(Foto: Archaiologia Online)
Gli scavi sulla collina di Mygdalia, in Acaia (Grecia), sono un'opportunità unica per gli archeologi per comprendere la vita in una città micenea.
L'insediamento della collina di Mygdalia copriva una superficie di 6.500 metri quadrati distribuiti su tre terrazze. Dalla collina la vista spazia sulla vasta e fertile pianura di Patrasso, sulle isole Ionie e sulla costa dell'Etolia. Sulla prima terrazza è stato individuato un grande edificio a pianta rettangolare, la cui stanza principale (megaron) era ampia 7,80 x 3,60 metri, dotata di basi in pietra per il montante verticale del tetto. All'esterno vi è uno strato di distruzione comprendente pietre, frammenti di ceramica e ossa di animali.
Al periodo arcaico appartengono larghe basi in pietra di quattro colonne della parte orientale e otto colonne per la parte meridionale meglio conservata della peristasi di un tempio greco di 16,50 x 7,40 metri, che rappresenta la prova che era stato costruito un santuario greco sull'area di un insediamento miceneo.
Sulla seconda terrazza gli archeologi hanno scavato un insediamento densamente costruito a più livelli, che si adattava al pendio della collina. Sono stati ritrovati, tra gli altri reperti, una sepoltura a cista in uno spazio tra due edifici ed un magazzino per vasellame domestico. Esisteva anche un muro di difesa che fungeva anche da contrafforte: ne è emerso un tratto di almeno 50 metri a sud dell'insediamento.
Il terrazzamento superiore, dove è stata rinvenuta la grande stanza ed i resti del tempio greco, era evidentemente destinato, in epoca micenea, alla dimora di un re locale e in seguito sembra aver ospitato, oltre al santuario greco arcaico, uno spazio per le riunioni pubbliche. Gli scavi, sulla collina di Mygdalia, sono ancora in una fase iniziale ma le scoperte sono già molto interessanti.
La necropoli della comunità era posta sul lato ovest della collina. E' stata scoperta una tomba del periodo miceneo già saccheggiata, all'interno della necropoli. Una sepoltura a tholos di 4,30 metri di diametro è ancora in fase di scavo sul versante nordovest della stessa collina. All'interno sono già emersi numerosi reperti che parlano della comparsa di un'élite locale e della creazione di diversi centri nell'ambito della regione.
La fine del periodo miceneo sulla collina di Mygdalia è rappresentato dalle tracce di saccheggio all'interno di diverse tombe del sito e dalla distruzione del corredo contenuto nella tomba a tholos.

L'antica Grecia in musica

Stele di Sicilo
Spesso si ignora che i grandi poemi classici che sono alla base della cultura occidentale, quali i poemi epici di Omero e le poesie d'amore di Saffo, così come le tragedie di Euripide e Sofocle, erano in origine musicate. Queste opere furono, in altre parole, composte per essere cantate del tutto o in parte, con accompagnamento di strumenti musicali quali la lira, la zampogna o strumenti a percussione.
I ritmi di questa musica, che sono l'aspetto più importante del problema del recupero delle antiche melodie, sono contenuti nelle parole stesse, nelle sillabe lunghe e brevi della lingua greca. Gli strumenti utilizzati sono giunti a noi attraverso descrizioni o dipinti o resti archeologici e permettono ai ricercatori di stabilire le modalità del suono.
Recentemente alcune novità sulla musica dell'antica Grecia sono emerse da decine di antichi documenti che recavano incisa una notazione vocale ideata nel 450 a.C., costituita da lettere alfabetiche e segni posti sopra le vocali. I Greci avevano elaborato rapporti matematici per gli intervalli musicali. La notazione è un'indicazione accurata del passo musicale: la lettera A nella parte superiore della scala, per esempio, rappresenta una nota musicale di una quinta superiore alla N che si trova a metà dell'alfabeto.
Mentre i documenti incisi su pietra o papiro in Grecia o in Egitto sono noti da tempo agli studiosi delle civiltà classiche, negli ultimi decenni sono stati trovati altri documenti che vanno ad integrare questi primi. Questi ultimi frammenti, databili ad un periodo compreso tra il 300 a.C. e il 300 d.C., offrono una visione più completa della musica della Grecia antica.
Il progetto di ricerca di questi antichi suoni è stato finanziato dalla British Academy ed ha l'obiettivo di riportare in vita la musica come la percepivano e la ascoltavano gli antichi. E' importante, però, ricordare che le antiche regole del ritmo e della melodia erano diverse da quelle occidentali e più vicine a quelle dell'India e del Medio Oriente. Pratiche strumentali derivate dalle antiche tradizioni greche sopravvivono ancor oggi in alcune zone della Sardegna e della Turchia, offrendoci uno spaccato di suoni e tecniche che hanno creato l'esperienza della musica nei tempi antichi.
Qualcuna delle melodie che i ricercatori sono riusciti a ricavare dagli antichi testi sembrano piuttosto gradevoli per il nostro orecchio moderno. Un pezzo completo, inciso su una colonna di marmo e databile ad un periodo compreso tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., l'Epitaffio di Sicilo, ha una melodia seducente. Il testo è composto da 12 righe, di cui 6 accompagnate da notazione alfabetica di una melodia musicale frigia. Le parole del componimento possono essere tradotte in questo modo:
"Finché vivi, mostrati al mondo,
non affliggerti mai:
la vita è breve.
il tempo esige il suo tributo
". 

Questo brano ha un battito ritmico piuttosto regolare. In greco antico la voce saliva di tono su alcune sillabe e cadeva su altre (questo indicavano gli accenti nel greco antico).

Il documento più antico che contiene accenni di musica cantata da una rappresentazione è l'Oreste di Euripide, composta nel V secolo a.C.. Probabilmente fu lo stesso Euripide a comporre il brano musicale. Il tragediografo era considerato, all'epoca, un compositore d'avanguardia, che faceva coincidere i tempi musicali con i sentimenti espressi attraverso le parole: "mi lamento" e "ti prego" erano impostati su un ritmo "in discesa" della musica, su una cadenza quasi lugubre del suono e quando il cantate declama "il mio cuore salta selvaggiamente", anche la musica assume un ritmo che procede quasi a salti. Era questa, in sostanza, l'antica colonna sonora delle opere tragiche della Grecia antica
Lo storico Plutarco racconta che tra le migliaia di prigionieri ateniesi destinati ai lavori forzati nelle cave siracusane dopo la disastrosa campagna militare del 413 a.C., quei pochi in grado di cantare le melodie di Euripide poterono guadagnarsi, con il canto, razioni più abbondanti di cibo e bevande.
Ancor prima di Euripide, Omero afferma che i bardi del suo tempo usavano comporre e cantare su una lira a quattro corde chiamata phorminx. Si trattava, probabilmente, di strumenti accordati su quattro note musicali soltanto. Il professor Martin West dell'Università di Oxford ha ricostruito il canto di Omero proprio sulla base di questo strumento musicale. Il risultato è una musica piuttosto monotona.

Gerusalemme, la maledizione di Kyrilla

La tavoletta contenente la maledizione ritrovata a
Gerusalemme (Foto: Robert Walter Daniel)
Tra i resti di una villa romana a Gerusalemme, gli archeologi hanno rinvenuto una tavoletta in piombo con incisa una maledizione, scritta probabilmente da un mago circa 1700 anni fa.
La villa è in corso di scavo da parte della Israel Antiquities Authority e si trova nella cosiddetta Città di Davide, un'area nella quale l'occupazione umana è ininterrotta da ben 6000 anni. La villa ha un'estensione di almeno 2.000 metri quadrati e contiene due grandi cortili aperti posti l'uno accanto all'altro. Fu abitata fino al 363 d.C., quando fu distrutta da una serie di terremoti.
Il testo inciso sulla tavoletta di piombo appena ritrovata è in lingua greca. In esso una donna, di nome Kyrilla, invoca ben sei divinità per lanciare una maledizione su un uomo di nome Iennys, apparentemente per una questione legale. Per ottenere quel che voleva Kyrilla sembra aver coinvolto riti e divinità di ben tre religioni. Delle sei divinità invocate, quattro sono greche (Hermes, Persefone, Plutone ed Ecate), una è babilonese (Ereschigal) ed una (Abrasax) appartiene allo gnosticismo, un'eresia del cristianesimo primitivo. Il testo contiene anche parole magiche collegate all'ebraismo e al giudaismo.
La tavoletta è stata probabilmente "confezionata" da un mago di professione, che l'ha poi venduta a Kyrilla la quale avrà utilizzato un martello e dei chiodi per migliorare gli effetti del rito e garantire l'efficacia della maledizione. Il martellamento e l'inchiodatura, infatti, erano una forma di controllo e di esercizio di potere sulla persona destinataria della maledizione. In questo caso il destinatario apparteneva, forse, alla classe dominante romana e Kyrilla aveva avuto con costui una disputa di natura legale. La tavoletta di piombo di Gerusalemme è simile ad altre ritrovate a Cipro, ugualmente destinate a risolvere, attraverso la magia, questioni legali.
Gli altri reperti ritrovati nella villa romana parlano della ricchezza dei proprietari: una testa in miniatura di un pugile utilizzata come misura per pesi e diversi gioielli, tra i quali uno con incisa l'immagine di Cupido con in mano una torcia.
Lo scavo della villa romana in cui è stata ritrovata la tavoletta
(Foto: Beror Avi CC Attribution-Share)
La tavoletta con la maledizione giaceva nella parte nordovest della villa e proveniva dal piano superiore della casa, crollato in seguito al terremoto. Gli archeologi Doron Ben Ami e Yana Tchekhanovets hanno riferito di aver individuato anche resti di mosaici e affreschi con motivi geometrici e floreali oltre a frammenti di osso intagliato pertinenti una scatola che recava la raffigurazione del Trionfo di Dioniso unitamente a scene marittime.
Gli scavi hanno permesso di recuperare anche le tegole del tetto della villa, recanti impresso il sigillo della X legione romana, unità che fu di stanza a Gerusalemme per un certo tempo. Infatti era uso che, nelle regioni pacificate dell'Impero, i soldati fossero destinati anche ad opere di ingegneria civile quali la costruzione di acquedotti, la produzione di tegole e mattoni. La X legione è stata molto prolifica, in questa attività.
Tra i reperti più significativi estratti dalla villa vi sono anche delle figurine femminili, probabilmente delle divinità destinate ad un culto privato da parte dei proprietari della casa. Queste figurine giacevano sotto il livello del pavimento e, probabilmente, erano ospitate al secondo piano della domus insieme con la tavoletta contenente la maledizione di Kyrilla. Gli archeologi non conoscono ancora lo scopo di questa stanza al secondo piano, anche se Iennys, il destinatario della maledizione, sembra esservi in qualche modo collegato poiché la tavoletta venne lasciata di proposito proprio in questa stanza. Forse Iennys viveva o lavorava in questa villa.

Ritrovata una sepoltura Wari a Lima

Un archeologo ripulisce la sepoltura intatta ritrovata a
Lima (Foto: Reuters/Mariana Bazo)
In Perù, in un sito archeologico che si trova nel quartiere di Pucilana, a Lima, è stata ritrovata dagli archeologi una tomba Wari contenente due corpi avvolti in un tessuto cerimoniale. La tomba risale a 1000 anni fa ed i corpi sono quelli di un adulto e di un bambino, deposti con una decina di elementi di corredo rinvenuti intatti.
L'adulto, pensano gli archeologi, era probabilmente un maestro tessitore e il neonato è stato forse ucciso e sepolto con lui come offerta agli déi in onore dell'uomo. La civiltà Wari fiorì in questa parte del Perù tra il 600 e il 1000 d.C., mille anni prima dell'impero Inca. Sono state già ritrovate settanta tombe appartenenti a questa civiltà a Pucilama, un quartiere residenziale nel centro di Lima, capitale dello Stato.

mercoledì 23 ottobre 2013

Scoperta la sepoltura di un medico di corte in Egitto

Gli scavi di Abusir, in Egitto (Foto: RAU, Ministero delle Antichità)
In Egitto gli archeologi hanno riportato alla luce una tomba di 4000 anni fa, che conterrebbe, secondo i ricercatori, i resti di un importante medico di corte.
La sepoltura è stata scoperta ad Abusir, a sudovest del Cairo ed è apparsa subito un ritrovamento estremamente interessante. Abusir è una vasta necropoli risalente all'Antico Regno che ospita le piramidi di diversi faraoni della V Dinastia (2500 a.C.).

Iniziano i restauri del teatro di Sparta

Sparta, il teatro
L'antico teatro di Sparta, costruito tra il 30 e il 20 a.C., si distingue dagli altri per le sue dimensioni, la qualità di costruzione e il lusso. Anticamente doveva essere davvero impressionante. Pausania lo descrisse in toni entusiastici.
Il teatro di Sparta poteva contenere circa 16.000 spettatori. La costruzione oggi visibile risale ad epoca romana ed è stata integrata con elementi delle epoche successive. Una delle caratteristiche distintive della struttura era un palco mobile. Altrettanto notevoli sono la qualità e il lusso della costruzione, per la quale ci si è serviti di marmo bianco locale.
Recentemente il Consiglio Archeologico Centrale ha dato il via libera per lo studio di questa struttura ed il suo restauro. Lo studio si concentrerà principalmente sui danni subiti dalle parti in pietra e marmo del teatro a causa dell'erosione e delle piante cresciute spontaneamente, nonché sui danni dovuti alle incisioni ed ai graffiti.

lunedì 21 ottobre 2013

Scoperta una ricca sepoltura in Kazakistan

La sepoltura trovata in Kazakistan
(Foto: tengrinews.kz)
In Kazakistan gli archeologi hanno scoperto la sepoltura di un antico guerriero vicino il villaggio di Kenzhekol. La tomba è stata datata al X-XII secolo d.C. e conteneva, oltre ai resti di un uomo, anche i resti di un cavallo, frammenti di corteccia di betulla, punte di freccia, fibbie di bronzo e piatti in legno.
Il guerriero doveva rivestire, in vita, un alto stato sociale, a giudicare dai resti di una struttura in mattoni essiccati al sole, simile ad altre trovate nelle sepolture di altri famosi guerrieri nomadi: i Kimaks, che avevano sviluppato una notevole abilità costruttiva.

domenica 20 ottobre 2013

Scoperta una sepoltura antica in Polonia

Punte di lancia da Czelin sul fiume Oder
(Foto:PAP/Marcin Bielecki
Gli archeologi hanno ritrovato una tomba appartenente ad un guerriero vissuto tra la fine del I e l'inizio del II secolo d.C.. La scoperta è stata fatta durante gli scavi nel cimitero di Voivodato, a Czelin, in Polonia.
La sepoltura conteneva anche una spada con una serie di borchie appartenenti al fodero, una punta di lancia, parti di uno scudo e una coppia di ganci ornamentali fusi nel bronzo. Quest'anno gli scavi hanno permesso il recupero di altri 18 oggetti, quattro sepolture a fossa e tre a cremazione. Sono tornati alla luce focolari, buche e pietre pertinenti la pavimentazione di una tomba.
Fin dagli scavi del 2004 la necropoli ha restituito una collezione di armi del periodo romano, tra le quali spiccano cinque spade (tre delle quali a doppio taglio e due spade a taglio unico), quelle a taglio unico probabilmente forgiate da fabbri locali. Sono emersi anche frammenti di uno scudo e punte di lance. Degne di nota sono anche numerose fibule, realizzate in bronzo e ferro, fibbie finemente lavorate e accessori per cinture e per l'equitazione, come degli speroni.
Le sepolture di Czelin hanno anche restituito materiale ceramico e umano associabile alla cultura Ware, di epoca Neolitica. A questo materiale, quest'anno, si sono aggiunte anche delle punte di freccia in selce.

sabato 19 ottobre 2013

Riscoperta una grotta neanderthaliana

Grotta di La Cotte de St Helier, nel Jersey
Un sito archeologico chiave, nel quale sono stati conservati depositi geologici che si pensavano perduti in uno scavo di cento anni fa, è stato recentemente riscoperto dagli archeologi a La Cotte de St Helier, una grotta posta sulla costa sudorientale del Jersey.
Il sito contiene sedimenti risalenti all'ultima era glaciale e reca, pressoché sigillati, i cambiamenti climatici intervenuti in 250 mila anni. In esso erano custoditi anche strumenti di pietra forgiati dall'uomo di Neanderthal. Gli archeologi dell'University College di Londra hanno datato i sedimenti del sito utilizzando una tecnica chiamata luminescenza otticamente stimolata, che misura l'ultima volta in cui i granelli di sabbia contenuti nella grotta sono stati esposti alla luce solare.
I risultati dell'analisi mostrano che una parte dei sedimenti può essere datata ad un periodo compreso tra i 100.000 e i 47.000 anni fa, il che indica che i denti dei Neanderthal scoperti nella grotta nel 1910 erano più recenti di quanto si pensasse e probabilmente appartenevano ad uno degli ultimi uomini di Neanderthal che vivevano nella regione.

Il principe di Tarquinia era...una principessa!

I resti della principessa etrusca nella tomba intatta trovata a Tarquinia
Ha destato molto scalpore la scoperta di una sepoltura etrusca intatta a Tarquinia. In essa è stato ritrovato, oltre al corredo funerario, anche lo scheletro del defunto che, al principio, era stato ritenuto un guerriero deposto con una lancia e le ceneri della moglie.
Ora l'analisi delle ossa del defunto ha rivelato che lo scheletro apparteneva ad una donna. Essa giaceva su una piattaforma mentre un altro scheletro semicombusto giaceva poco lontano. Tra le ceneri sono stati ritrovati anche pezzi di gioielleria, come una collana bronzata.
Inizialmente la lancia ha tratto in inganno gli archeologi, suggerendo che lo scheletro deposto sulla piattaforma più elevata fosse quello di un guerriero, forse un principe etrusco. I gioielli sono stati attribuiti, pertanto, al secondo scheletro, ritenuto essere quello della moglie del "guerriero". L'analisi delle ossa, però, ha rivelato che lo scheletro che tiene la lancia è quello di una donna di 35/40 anni di età, mentre il secondo scheletro è quello di un uomo.
Alcuni archeologi pensano che la lancia, a questo punto, possa essere un simbolo di unione tra i due defunti, mentre altri ritengono, viceversa, che si tratti di un simbolo dell'alto lignaggio della defunta.

Salvate Mohenjodaro

Le rovine di Mohenjodaro
Grido d'allarme degli archeologi su Mohenjodaro, l'antichissima città dell'Età del Bronzo che sorgeva, un tempo, nell'attuale Pakistan. Se non si interviene urgentemente, la città potrebbe scomparire entro venti anni.
Quella di Mohenjodaro fu tra le più grandi scoperte del XX secolo, una città dell'Età del Bronzo sopravvissuta quasi intatta. Ora, però, la città rischia di andare perduta per sempre, con le sue case dalle pareti di argilla, il grande sistema stradale, i granai, i bagni e i sistemi di drenaggio dell'acqua. Le cause concomitanti sono diverse e gravi, dall'incuria da parte del governo centrale all'indifferenza della popolazione e alla mancanza di turismo organizzato a causa della paura attentati.
Esperti internazionali e funzionari pachistani, riuniti a Karachi nei giorni scorsi, hanno elaborato un piano per salvare il sito, consentire la sua salvaguardia attraverso finanziamenti costanti e promuovere la conoscenza di Mohenjodaro nel mondo. Gli studiosi si propongono un programma intensivo di interventi conservativi, un sondaggio per stabilire quanta parte della città è ancora conservata sotto terra e un piano per seppellire quelle sezioni che mostrano segni di crollo.
La statuetta bronzea della cosiddetta
"Ballerina"
Mohenjodaro era un importante centro della civiltà pre-indù che abitò la valle dell'Indo attorno al 3000 a.C.. La città ospitava 40.000 abitanti, contemporanei delle antiche civiltà dell'Egitto, della Mesopotamia e degli abitanti gli insediamenti del Fiume Giallo in Cina. Mohenjodaro aveva un ottimo sistema stradale, acqua potabile e un diritto codificato. Gli ingegneri dell'epoca avevano compiuto dei veri e propri miracoli, per i mezzi che avevano a disposizione, quali la costruzione di sistemi di raccolta delle acque reflue o un sistema di contenimento del proliferare di insetti nei pressi delle acque. Mohenjodaro aveva pozzi per l'acqua potabile e bagni in ogni casa e le mattonelle dei grandi bagni rituali erano ricoperte da uno smalto impermeabile.
Anche i quartieri erano molto ben strutturati, con grandi case con cortili e finestre delle abitazioni che si affacciavano su ampi viali percorsi da carri trainati da buoi. Uno dei granai ritrovati era strutturato con dei plinti per sostenere le provviste di grano e di orzo, al fine di proteggerle dalle eventuali inondazioni.
Sono più di 40.000 i reperti recuperati dagli scavi, reperti che hanno permesso, come un puzzle gigantesco, di ricostruire la vita cittadina a Mohenjodaro. Tra i reperti spicca una statua in bronzo di una fanciulla che danza seminuda. Vi sono, poi, urne di argilla, piatti, forni, pesi di pietra, misure, sigilli intagliati, figure scolpite a mano che sembrano essere pezzi di un gioco simile a quello degli scacchi.
Le rovine di Mohenjodaro sono sottoposte al clima difficile della regione. Le opprimenti temperature estive sono seguite dalle gelate invernali e dalle piogge torrenziali dei monsoni che, combinate con l'alta umidità della zona, lasciano sui mattoni delle costruzioni uno strato di cristalli di sale che li corrode lentamente. Il sito, poi, è praticamente un'isola circondata dalle risaie e dal fiume Indo. Gli operai che cercano di salvaguardare Mohenjodaro combattono una battaglia impari contro il sale, spruzzando sulle pareti delle costruzioni uno strato di fango privo di sale e intervenendo sui mattoni fatiscenti cercando di puntellarli.

Chi è sepolto nella tomba di Erode?

I resti del mausoleo che finora si pensava appartenesse ad Erode
(Foto: Joseph Patrich)
Ancora una volta Erode, colui che visse ai tempi del Cristo, sembra voler beffare gli storici ed i ricercatori. Nel 2007 gli archeologi avevano annunciato di aver trovato la sepoltura del re di Giudea, un mausoleo piuttosto modesto che faceva parte dell'Herodium, l'enorme complesso costruito da Erode su una collina a forma di cono nel deserto fuori Gerusalemme.
La struttura identificata come probabile tomba del monarca, però, appare essere troppo modesta e piccola rispetto alle abitudini e allo stile di vita di Erode. Anche la fattura stessa della tomba è considerata mediocre rispetto alle possibilità del re.
Erode visse tra il 74 a.C. e il 4 a.C.. Era un re vassallo di Roma, noto per la sua estrema crudeltà ma anche monarca intelligente. Costruì per sé diversi edifici sontuosi, quali la famosa fortezza di Masada, imponendo tasse gravosissime sul suo popolo. Documenti redatti dallo storico ebreo Giuseppe Flavio fanno pensare che Erode sia stato seppellito all'interno dell'Herodium, su un letto d'oro drappeggiato con tessuti costosissimi.
Nel 2007 l'archeologo Ehud Netzer annunciò di aver scoperto l'ultima dimora terrena del sovrano ebreo. Si trattava di una costruzione di 10 metri per 10, con un tetto a punta (si tratta di una sorta di piramide decorativa) e contenente tre bare, una delle quali era stata confezionata in pietra rossa finemente intagliata. Proprio questa bara fu creduta essere quella di Erode.
Ora gli archeologi dell'Università Ebraica di Gerusalemme sono propensi a credere che non fosse quello il sepolcro del sovrano ebraico. La tomba, oltre che essere piuttosto modesta, non presenta un'architettura eccezionale e non sembra essere rifinita a dovere. La tomba, inoltre, presenta solo una decorazione a piramide, mentre le sepolture degli Asmonei - la famiglia reale che precedette Erode - avevano ben sette piramidi.
Rimane il mistero su chi fosse il proprietario del sepolcro trovato all'interno dell'Herodium. Erode, per edificare quest'ultimo, fece abbattere molte strutture precedenti, conservando solamente questa sepoltura, indice che chi vi era stato inumato doveva essergli molto caro. Forse qui giacciono i resti dei familiari stretti del re: la madre, il padre o il fratello.

Ritrovato un forno antico di 4000 anni in Turchia

Archeologi al lavoro su alcuni dei ritrovamenti nell'antica città
di Alacahoyuk
Durante gli scavi nell'antica città di Alacahoyuk, nella provincia anatolica di Corum, in Turchia, è stato ritrovato un forno antico di 4000 anni (Età del Bronzo).
Già all'inizio della campagna di scavi gli archeologi si erano imbattuti in interessanti reperti, tra i quali diversi sigilli. Il forno ritrovato ha un'altezza di circa 2,5 metri ed è il primo ritrovato nella regione.
Nell'antica città si scava da ben 106 anni e finora è emerso appena il 13 per cento dell'antica Alacahoyuk e gli archeologi si attendono molte sorprese nelle prossime campagne di scavo.

Scoperto un antico edificio pre-vichingo in Svezia

Il luogo del ritrovamento delle grandi buche allineate
(Foto: National Heritage Board)
Gli archeologi svedesi hanno riportato alla luce i resti imponenti di monumenti lignei pertinenti ad una struttura pre-vichinga. Il ritrovamento è stato effettuato durante i lavori per la realizzazione di una linea ferroviaria vicino Uppsala, un tempo rilevante centro pagano.
Sono emerse, dal terreno, tracce di due file di pilastri in legno. Una delle file si estendeva per un chilometro, l'altra per circa 500 metri. L'archeologa Lena Beronius-Jorpeland ha affermato che i resti risalgono, molto probabilmente, al V secolo d.C.. Gli archeologi non sono ancora in grado di stabilire con certezza la funzione di queste file. Si tratta della più grande costruzione dell'Età del Ferro ritrovata in Svezia.
Un archeologo esamina una delle buche per pali
(Foto: National Heritage Board)
La linea di pali è perfettamente diritta e le buche che dovevano contenerli sono profonde ognuna sei metri. I ricercatori hanno stimato che i pali di legno dovevano essere alti almeno 7 metri. In alcune buche sono stati rinvenuti anche resti di ossa animali, probabilmente dovuti a sacrifici propiziatori.
Uppsala è un antico centro religioso dove gli antenati degli attuali svedesi si riunivano per celebrare sacrifici in onore di Odino e Thor. La recente scoperta è avvenuta nei pressi di un noto luogo di sepoltura risalente all'Età del Ferro e contenente, si pensa, i resti di tre sovrani: Aun, Egil e Adils. Le fonti medioevali restituiscono un'immagine dell'antica Uppsala come un luogo dove si svolgevano cerimonie religiose pagane e grandi feste.

giovedì 17 ottobre 2013

Scoperta un'antica cantina in Bulgaria

La cantina ritrovata in Bulgaria
Un gruppo di archeologi bulgari, guidati dalla Professoressa Aneliya Bozhkova, hanno scoperto una cantina perfettamente conservata, contenente anfore risalenti al V secolo a.C.
Il ritrovamento è stato effettuato nella città costiera di Nessebar, in Bulgaria. La ricerca è stata condotta nell'ambito della realizzazione di un progetto del Museo di Nessebar, finanziato dal Ministero della Cultura.
L'antico magazzino di anfore è stato scavato in profondità nel terreno, lungo la costa settentrionale della penisola. La cantina ha una grandezza di 2,60 per 2,50 metri ed apparteneva ad una casa andata distrutta nel V secolo a.C. Gli archeologi vi hanno ritrovato più di 30 anfore ancora chiuse, recipienti in ceramica per il trasporto e la conservazione del vino e dell'olio di oliva. Le anfore hanno un'altezza compresa tra 0,70 e 0,80 centimetri

Riemergono ancora lembi di storia dell'Urbe

Roma, chiesa di S. Maria della Vittoria
Sotto il colle Quirinale giacerebbe un tempio del VI secolo a.C.. La Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma ha effettuato degli scavi all'interno dell'ex Regio Ufficio Geologico, in largo S. Susanna, un edificio liberty progettato nel 1879, individuando, appena sotto il pavimento del salone centrale, un pozzo e i muri che racchiudevano l'orto del convento di S. Maria della Vittoria, chiesa tuttora adiacente.
A meno di tre metri di profondità sono state trovate delle file di solidi blocchi di tufo, pertinenti un edificio cultuale risalente al periodo arcaico (VI secolo a.C.) ed in uso fino al III secolo a.C.. Gli archeologi sono riusciti a riconoscere un ambiente rettangolare ed hanno intuito che il muro in opera quadrata prosegue, prospettando, forse, una fronte superiore a 20 metri.
A questa ipotetica struttura di culto sembra ricollegarsi un vecchio ritrovamento, una fossa nella quale venivano deposti o ammassati gli oggetti sacri da conservare. Questa fossa venne individuata e scavata nel XIX secolo sotto la scalinata dell'odierna chiesa di S. Maria della Vittoria. Materiale pertinente il tempo fu anche trovato durante i lavori di costruzione del Ministero per le Politiche Agricole, su via XX Settembre.
La campagna di scavi della Soprintendenza va avanti dal 2003 ed ha permesso il ritrovamento di un'altra struttura muraria, ancora più poderosa, contraddistinta da tre filari di blocchi. Gli archeologi sono ancora incerti sulla funzione di questo muro. Forse sosteneva il podio dell'arena consacrata al culto, oppure si trattava di una struttura di contenimento del declivio dell'area.
Altri blocchi di cappellaccio sono emersi in cunicoli per l'estrazione di materiale da costruzione, scavati in età imperiale o post-antica. Una traccia, ancora più antica, si trova al di sotto dei muri: si tratta dei resti di un'abitazione di VII secolo a.C., precedente all'edificazione del tempio. Gli archeologi lo hanno dedotto analizzando le terre contenute in un'olla rinvenuta in una piccola fossa circolare. I resti contenevano le ossa di un feto o di un neonato, sepolto secondo le forme tipiche delle dinamiche abitative del VII secolo a.C.

mercoledì 16 ottobre 2013

Riemergono i resti della città di Andriake

Rovine della città di Andirake (Foto: Wikicommons)
La parte occidentale dell'antica città di Andriake, in posizione isolata, circondata da alberi e vegetazione, è stata riportata di recente alla luce. L'antica città, i cui resti risalirebbero almeno al periodo ellenistico (IV secolo a.C.), si trova nel distretto turco di Antalya Demre, noto, un tempo, come Lycia.
I lavori di scavo e recupero dei reperti sono avvenuti sotto la direzione del Professor Serkan Akcai, del Museo di Antalya. Sono stati tagliati i canneti e potati gli alberi, in questo modo è emerso un tratto della città pari a 300 metri di lunghezza. Si tratta di strutture ad arco, un edificio trasformato in chiesa e le mura delle città di epoca romana e bizantina.

Vasi greci in Abruzzo

I vasi funerari di Spoltore
Straordinaria scoperta in Abruzzo, in località Quagliera di Spoltore, in provincia di Pescara. Si tratta di due vasi attici ritrovati nel corredo funerario di una tomba italica. Non risulta siano stati mai rinvenuti reperti di questa qualità, finora in Abruzzo.
I vasi abruzzesi sono una coppia skyphoide a figure nere con soggetto dionisiaco e un'oinochoe trilobata, anch'essa a figure nere. Ad essere eccezionale è la qualità dei reperti, eseguiti con estrema cura dall'impasto alla modellazione.
I vasi risalgono alla prima metà del V secolo a.C., il contesto in cui sono stati rinvenuti è legato ad una necropoli italica tra i comuni di Pescara e Spoltore, a circa 2 chilometri dalla foce del fiume Pescara. Qui sono state individuate 35 sepolture databili tra la fine del VI e il IV secolo a.C.

martedì 15 ottobre 2013

Roma, eccezionali sorprese dal sottosuolo

Gli scavi in via del Tritone a Roma
A Roma stanno riaffiorando straordinari reperti antichi. Si tratta di parte delle strutture originarie dell'Acquedotto Vergine e di un intero quartiere della Roma imperiale: una serie di ambienti appartenenti ad insulae abitative, separate le une dalle altre da tratti di strada. Tra queste ultime è balzata agli occhi una domus riccamente decorata e un vasto impianto termale.
I pavimenti sono caratterizzati da intarsi di marmi dei colori più variegati (opus sectile) a formare disegni geometri. Ma sono stati trovati anche mosaici in tessere bianche e nere che formano motivi vegetali.
Il cantiere copre un'area di circa 4.000 metri quadrati tra via del Tritone e via Due Macelli, a Roma. Qui si sta indagando dal 2011. Il primo degli eccezionali reperti riportati alla luce è l'Acquedotto Vergine, l'unico ancora in funzione a distanza di duemila anni dalla sua costruzione. L'Aqua Virgo, infatti, alimenta le grandi fontane del centro, prima fra tutte la Fontana di Trevi. Si tratta di un prospetto delle arcate in blocchi quadrati di tufo con marcapiano in travertino, che sarà musealizzato all'interno dell'edificio in costruzione sul sito, i cui scavi hanno permesso il ritrovamento di reperti così importanti.
Nell'area a ridosso di via del Tritone ha restituito, invece, molti ambienti in laterizio risalenti ad epoca imperiale. Inizialmente questi ambienti fungevano da abitazioni divise da due tracciati stradali, dei quali sono emersi alcuni basoli. All'interno di questi ambienti è stata, in età antica, impiantata una domus ricchissima, decorata da un pavimento musivo e da pavimentazioni marmoree. Le decorazioni pavimentali sono eccezionali: una scacchiera di marmi policromi a formare elaborate geometrie.
Un'altra porzione dell'area scavata è occupata da un impianto termale che è ancora in fase di scavo.

domenica 13 ottobre 2013

Scoperta una villa rustica a Sant'Agata Bolognese

La zappa ritrovata nel pozzo di S. Agata Bolognese
(Foto: ArcheoBo)
La stagione di scavi appena conclusa a Sant'Agata Bolognese, in provincia di Bologna, in un'area destinata alla realizzazione di abitazioni civili, ha permesso di riportare alla luce un importante sito archeologico di età romana.
L'area interessata dal ritrovamento è di circa 2.100 metri quadrati. Al suo interno i resti di un grande complesso produttivo pertinente una villa rustica della prima età imperiale, inserita nella centuriazione romana e non lontana da un corso d'acqua. Le indagini sono state condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna in collaborazione con il Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto, il Comune di Sant'Agata Bolognese e la Partecipanza di Sant'Agata Bolognese.
E' stato possibile ricostruire quasi interamente l'assetto planimetrico del complesso agricolo, che si dipanava attorno ad una corte di forma quadrata, con un'ala orientale che conteneva le fondazioni di  strutture legate all'attività produttiva (probabilmente una piattaforma che ospitava una vasca, la base di un torcular per spremere l'uva) e un settore settentrionale con 4 piccoli vani che, forse, erano funzionali al complesso. A questo settore si poggiava una vasta zona porticata in cui è stato rinvenuto un doliarium (4 dolia sono stati ritrovati interrati e conservati, mentre sono state ritrovate 6 buche vuote che dovevano contenere altrettanti contenitori).
Il pozzo in fase di scavo
(Foto: ArcheoBo)
L'analisi del materiale recuperato in fase di scavo ha restituito una datazione compresa tra la seconda metà del I secolo a.C. e il III secolo d.C.. Oltre a numerosi frammenti di ceramica e vasellame da mensa in terra sigillata e in ceramica a pareti sottili, sono stati rinvenuti dolii, anfore, pesi da telaio, un mortaio fittile, frammenti di vetro e due monete, una delle quali databile al 43 a.C.. L'analisi delle sottofondazioni della struttura ha rivelato almeno due fasi costruttive collocate a breve distanza l'una dall'altra.
Al centro del complesso è stato individuato un pozzo per l'approvvigionamento idrico realizzato interamente in laterizio, del diametro di 90-100 centimetri nella parte interna e profondo circa 9,20 metri. Nel riempimento del pozzo è stato recuperato un carapace di tartaruga e reperti vegetali (rami, fogliame, fiori, semi-frutti tra i quali ghiande, noci, nocciole, acini d'uva). A partire da 5,20 metri di profondità sono stati recuperati ben 104 reperti di una certa importanza, tutti in eccellente stato di conservazione: brocche integre in ceramica, alcune delle quali con decorazioni, sovradipinture e segni graffiti; recipienti in bronzo/rame con segni di restauro antico; un coltello in ferro; un pettine in legno; fondi di secchi in legno; resti di cordame vegetale; tre denti in metallo con catena o anelle di fissaggio per il recupero dei recipienti; una zappa in metallo con resti del manico in legno; un grande cucchiaio di legno.
L'analisi di alcuni dei reperti rinvenuti nel pozzo ha restituito la datazione del primo utilizzo alle prime fasi costruttive del complesso rustico (seconda metà del I secolo a.C. - I secolo d.C.). Il pozzo fu utilizzato anche come nascondiglio intenzionale di oggetti in momenti di grave instabilità politica e sociale (VI-VII secolo d.C.).
I sondaggi del terreno con l'ausilio di strumentazione meccanica hanno rivelato, nel settore orientale in cui erano situati gli edifici a uso residenziale, due scuri in ferro ad alabarda intere, risalenti al IX secolo d.C.

Scoperta un'interessante necropoli in Molise

Cratere a volute ritrovato nella sepoltura
femminile ed esposto a Campobasso
Durante interventi di archeologia preventiva, intervenuti durante la realizzazione di un metanodotto che collega Larino, Chieuti, Reggente, è stato scoperto, ad Ururi, in provincia di Campobasso, un'importante area sepolcrale. L'area, finora, non aveva rivelato alcun insediamento importante.
Le sepolture intercettate sono riferibili ad un arco temporale di circa tre secoli. Si tratta di una sepoltura maschile ad incinerazione, con i resti combusti del defunto conservati in uno stamnos di bronzo, databile al V-IV secolo a.C.; una sepoltura femminile con struttura a semi-camera, contenente un ricco corredo vascolare, databile all'ultimo quarto del IV secolo a.C.; una sepoltura maschile ad inumazione, in cui era conservato un cinturone di bronzo risalente al III secolo a.C. oltre a tracce di frequentazione tardo-antica.
La sepoltura femminile, in particolare, pur se parzialmente distrutta da quella maschile a inumazione, ha destato l'interesse degli archeologi per via del suo ricco corredo. Si tratta di un unicum nel panorama archeologico molisano, sia per la forma della sepoltura, che per il numero e la qualità del corredo vascolare. Quest'ultimo comprende vasi apuli a figure rosse, balsamari in vetro di produzione fenicia e vasi in ceramica a vernice nera.
A sorprendere i ricercatori è stato il ritrovamento all'interno di uno dei vasi di numerose uova, probabilmente da connettersi allo svolgimento di culti orfici. Attualmente il corredo è in corso di restauro e di studio. Un cratere a volute, parte di tale corredo, è esposto presso il Museo Archeologico di Campobasso.

Un cervello antico di 4000 anni...

Il cervello umano ritrovato in Turchia (Foto: La Repubblica)
E' stato rinvenuto, in Turchia, perfettamente conservato, un cervello umano di 4000 anni fa. La scoperta è stata fatta nella città di Kutahya, nell'Anatolia occidentale. Gli archeologi pensano che si tratti del primo caso di mummificazione spontanea, dal momento che la conservazione del cranio con il suo contenuto sarebbe da attribuirsi a un lungo processo di "cottura" avvenuto post mortem.
"E' una scoperta fondamentale che potrà dare una svolta alla ricerca sulle malattie neurologiche", ha dichiarato Frank Ruhli, ricercatore dell'Università di Zurigo. "Il tessuto cerebrale è piuttosto ben conservato e permetterà così di capire meglio l'evoluzione delle patologie cerebrali".
I ricercatori hanno ipotizzato che un terremoto (il cervello è stato ritrovato in una regione fortemente sismica) abbia seppellito centinaia di abitanti della zona, i cui corpi sarebbero stati bruciati dagli incendi che si sono verificati in conseguenza del movimento tellurico. Questa situazione, unitamente alla composizione geologica del terreno, ricco di potassio, magnesio e alluminio, avrebbe contribuito alla conservazione del fragile reperto.
Il cervello di Kuthaya non è il primo sopravvissuto all'avvicendarsi dei secoli, se non dei millenni, ma potrebbe essere il più antico. Due anni fa gli scienziati hanno trovato un cervello di 2600 anni fa in una palude. L'acqua, impoverita di ossigeno, aveva fermato il processo di decomposizione. Un altro cervello rinvenuto integro all'interno della scatola cranica di un defunto è quello di un bambino inca sacrificato 500 anni fa. In questo caso la conservazione del reperto è dovuta alle temperature rigide, che hanno mantenuto integri i tessuti.

Archiviazione prima della scrittura in Mesopotamia

Le sfere di argilla utilizzate come archiviazione in Mesopotamia
(Foto: Anna Ressman/Istituto Orientale dell'Università di Chicago)

I ricercatori che studiano delle sfere di argilla rinvenute in Mesopotamia, hanno scoperto le tracce di un codice perduto, utilizzato per la registrazione dei dati antecedente di circa 200 anni l'invenzione della scrittura.
Le palline di argilla rappresentano il primo sistema di archiviazione dei dati al mondo, il primo conosciuto dagli archeologi. Le sfere, la cui grandezza varia dalle dimensioni di una pallina da golf a quelle di una pallina da baseball,  sono state sigillate in antico - i ricercatori le chiamano "buste" - e hanno la superficie incisa con diverse figure.

venerdì 11 ottobre 2013

Ritrovato il campo della VIII Legio

Una lampada ad olio ritrovata nel campo romano
in Bulgaria (Foto: Janusz Reclaw)
In Bulgaria, a Novae, vicino Svishtov, è stato ritrovato il campo occupato dalla VIII legione romana di Augusto. Ad effettuare la scoperta gli archeologi del Centro di Ricerca delle Antichità del sudest europeo e l'Università di Varsavia.
La struttura appare composta da una serie di segmenti regolari che componevano delle stanze le cui dimensioni hanno subito diversi cambiamenti nel corso dei secoli. La caserma era larga circa 16 metri e lunga 42. I resti indicano che la struttura di supporto della costruzione era costituita da grandi pali di legno. Nell'ultima fase di vita, la palizzata di protezione era stata coperta con intonaco bianco.
La presenza di piccoli tasselli all'interno delle grandi sale della caserma, suggerisce ai ricercatori che potrebbero esserci stati dei letti a castello negli angoli. Sicuramente erano presenti mensole in legno nei vestiboli. Nell'area della caserma sono stati rinvenuti lampade ad olio e recipienti in vetro quali bottiglie di vino e bicchieri. Gli archeologi hanno scoperto anche frammenti di vasi in bronzo e di altri oggetti: fibbie, pezzi di armatura, catene per lampadari, tavoli pieghevoli con basi in bronzo e piedi a forma di zampa di leopardo. Sono stati ritrovati anche strumenti chirurgici in bronzo in quella che, probabilmente, era la parte del camporiservata al dottore della legione

Spunta una villa romana nel Wiltshire

Vicino Devizes, nel Wiltshire, sono stati ritrovati i resti di una villa romana di duemila anni fa. Gli archeologi hanno ritrovato i resti durante i lavori di sondaggio preventivi ad una lottizzazione di terreno.
I resti della villa romana (Foto: BBC)

I mosaici di Tarso

Il mosaico ritrovato a Tarso (Foto: AA/Hurriyet)
L'anno scorso, durante la costruzione di un bazar locale nel distretto meridionale di Tarso, sono stati scoperti degli antichi mosaici di matrice romana. Questi mosaici, ora, saranno spostati in un museo per meglio garantirne la conservazione e la protezione.
I mosaici pavimentali recano raffigurazioni di esseri umani. Oltre ai mosaici sono stati ritrovati molti vasi di terracotta, strumenti medici, figure scolpite e lampade ad olio. Gli scavi hanno, poi, intercettato un edificio di stoccaggio di merci della lunghezza di 52 metri e dell'altezza di 4, così come un'antica fontana e una piscina.
E' stato anche rinvenuto un altro pavimento a mosaico nella parte orientale di una cisterna. Il mosaico reca la rappresentazione di una meridiana e gli archeologi pensano si tratti del bagno di un palazzo di epoca romana.

giovedì 10 ottobre 2013

Memorie storiche da Testaccio

Scavi nella Porticus Aemilia a Roma
La Porticus Aemilia torna a nuova vita. Nel 2010 era un'area abbandonata nel cuore del quartiere Testaccio, uno dei quartieri storici della capitale. In tre anni la Soprintendenza ha pulito, recintato, scavato e documento tutto il complesso al fine di restituirlo alla fruizione dei visitatore.
Quello che è stato ritrovato riveste un'importanza non secondaria e per preservare le scoperte, si procederà presto ad una loro ricopertura.
La Porticus Aemilia è un gigantesco edificio di 487 metri per 60, costruita intorno al II secolo a.C., quando la pianura che si estendeva fuori dalle Mura Serviane divenne la sede di una serie di fondamentali infrastrutture, come la Porticus e l'antistante nuovo porto fluviale, l'Emporium. Tutti questi edifici erano destinati a supportare lo sviluppo di una città in continua espansione, alla quale era oramai insufficiente l'approvvigionamento assicurato dall'approdo del Campo Boario.
Per otto secoli il porto fluviale e la Porticus Aemilia hanno svolto egregiamente il loro mestiere. Nei secoli l'edificio ha subito cambiamenti e adattamenti interni ed esterni, dei quali rimane testimonianza in due ambienti emersi nel corso delle campagne di scavo che si sono svolte tra il 2011 e il 2013. Le strutture in oggetto risalgono alla fine del II secolo d.C., hanno pareti intonacate ed una pavimentazione che poggia su muretti continui di laterizio. Questo particolare sistema di pavimentazione (suspensurae) era anticamente utilizzato per favorire la circolazione dell'aria che doveva regolare la temperatura e l'umidità del locale soprastante. E' stato proprio questo tipo di pavimentazione ad indurre gli archeologi a credere di trovarsi alla presenza di un horreum, un magazzino per le derrate alimentari, in cui un'accorta regolazione della temperatura era necessaria per evitare la fermentazione dei cereali. A rafforzare il convincimento degli studiosi sono emersi dei chicchi carbonizzati di farro.
Oltre ai cereali, alla Porticus Aemilia dovevano arrivare anche altri beni di consumo non meno importanti: olio, vino, datteri, garum, spezie orientali, legnami, pietre semilavorate. Nel medioevo, accanto alla Porticus Aemilia, era collocata la Ripa Marmorata, oggi via Marmorata, dove un tempo si trovavano le banchine per lo scarico dei marmi cavati o già sbozzati, trasportati a Roma attraverso capaci navi che risalivano il Tevere.
Lo scavo del 2013 è stato il terzo condotto dagli archeologi della Soprintendenza con il Reale Istituto Neerlandese a Roma. All'esterno degli ambienti emersi dagli scavi di quest'anno è stata individuata un'area coeva, con una fontana, una sottostante fogna, una strada basolata e una condotta d'acqua di cui si conservano due tratti originari, che possono essere datati grazie alla presenza di un bollo del 195 d.C.
Lo scavo dei livelli di abbandono dei due ambienti ha fatto riemergere tre sepolture in anfora del V e VI secolo d.C.. Tutti i risultati dello scavo saranno esposti al Museo Diffuso del Rione Testaccio, un progetto della Soprintendenza Speciale per i Beni Acheologici di Roma

Riemerge a sorpresa la Cuma magnogreca

Uno degli ambienti appena scavati a Cuma
L'insediamento romano di Cuma custodiva gelosamente un eccezionale segreto: i resti di quella che fu, un tempo, la prima colonia greca d'Occidente.
A fare la scoperta gli archeologi dell'Università "L'Orientale" di Napoli, sotto la direzione del Professor Matteo D'Acunto. Gli archeologi hanno, tra gli altri reperti, ritrovato un ambiente destinato a cucina, con una serie di focolari che si sono succeduti nel corso del tempo. Il più antico aveva addirittura un piano refrattario realizzato con frammenti di ceramica in stile geometrico dell'ultimo quarto dell'VIII secolo a.C.
Il tutto - ed anche il resto, ovviamente - giacevano ad appena 3,50 metri di profondità al di sotto delle case romane. Sono riemerse, intatte, le dimore dei Greci che approdarono in Italia meridionale alla metà dell'VIII secolo a.C., segnando indelebilmente la storia dell'Occidente e dell'Europa intera.
Gli scavi dell'"Orientale" di Napoli a Cuma
Lo scavo dell'Università napoletana interessa l'area del Parco Archeologico di Cuma, nella città bassa, tra il Foro e le mura settentrionali dell'antica città.
Riemerge, così, la colonna vertebrale, dal punto di vista storico, dell'antica Cuma: un quartiere centrale della città, con strade ed abitazioni; utensili e vasellame domestico. Il tutto reca i segni della trasformazione nel modo di vivere e nella cultura materiale della città, che fu prima greca e poi romana.
I resti che riemergono dal terreno hanno, dunque, una storia di quasi 3.000 anni. Tra focolari e vasi domestici, i ricercatori hanno trovato anche resti di cibo ben conservati che promettono di ampliare la conoscenza sulle abitudini alimentari degli antichi.
Si pensa che Cuma sia stata fondata nel 740 a.C. dai Calcidesi, che distrussero un piccolo villaggio ivi esistente. Se questo fosse documentato con certezza, la città risulterebbe la più antica colonia greca sul suolo italico

martedì 8 ottobre 2013

Il passato sconosciuto della Polonia

Uno dei reperti rinvenuti nelle sepolture
(Foto: M. Sciapanava)
Gli archeologi polacchi hanno trovato delle ricche sepolture in Burdag, Warmia e Masuria. Una di queste conteneva una corazza d'argento, parti di una cintura, una collana in perle di vetro e fibule in argento. La scoperta è stata una vera sorpresa, visto che il sito, dal punto di vista archeologico, era stato considerato di scarso interesse.
Secondo i ricercatori, queste ricche sepolture appartenevano ad esponenti dell'aristocrazia locale. In particolare gli archeologi hanno trovato interessante la sepoltura di una donna che conteneva dei pezzi spettacolari del suo abbigliamento: fibule d'argento di epoca franca. Quest'anno sono state, poi, individuate più di 40 tombe a cremazione, dove erano custodite delle urne molto ben conservate, che è stato possibile scavare e asportare con il loro contenuto. Il cimitero risale al VI-VII secolo d.C.
Gli oggetti ritrovati attestano le forti relazioni che, nel VI-VII secolo d.C., intercorrevano tra Bisanzio, la Scandinavia, gli Slavi, i Goti e gli Avari nomadi.

A Roma i tesori dell'Arabia

Uno dei reperti in mostra
Fino al 30 novembre prossimo, a Roma, al Complesso del Vittoriano, si potrà visitare la mostra dedicata all'Arabia Saudita, realizzata per celebrare gli 80 anni di relazioni diplomatiche tra Italia e Arabia Saudita.
A promuovere l'esposizione la Commissione Saudita per il Turismo e le Antichità del Regno dell'Arabia Saudita, in collaborazione con la Reale Ambasciata dell'Arabia Saudita e con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo di Roma Capitale.
Sono esposti 150 reperti, manufatti e oggetti preziosi che per la prima volta hanno lasciato l'Arabia Saudita, provenienti dal Museo Nazionale di Riyad. Il percorso della mostra accompagna il visitatore dalla preistoria fino alla proclamazione del Regno di Arabia Saudita (1932), con reperti rappresentativi del Paleolitico, del Neolitico, dell'età arcaica e classica fino all'età contemporanea. Si potranno ammirare anche monete di conio romano, sculture e manufatti emersi dagli scavi effettuati in territorio arabo, testimonianze del profondi e longevi rapporti tra l'Italia e l'Arabia.

"Alla scoperta dell'Arabia Saudita. La terra del dialogo e della cultura"
Roma, Complesso del Vittoriano - Gipsoteca
Piazza dell'Ara Coeli, 1
4 ottobre - 30 novembre 2013
orario: dal lunedì al giovedì h. 9.30-18.30; venerdì, sabato e domenica h. 9.30-19.30
Accesso libero
Info: tel. 06.6780664

lunedì 7 ottobre 2013

L'area sacra di Kaulonia e le sue meraviglie

Archeologi al lavoro a Kaulonia
Dopo quindici anni dall'inizio degli scavi a Kaulonia, da parate degli archeologi dell'Università di Pisa, il bilancio delle scoperte è notevole. Ultima testimonianza delle straordinarie scoperte è una tabella in bronzo con una lunga dedica votiva che contiene il testo più lungo della Magna Grecia redatto in alfabeto acheo.
Gli studenti e gli archeologi dell'Università di Pisa hanno riportato alla luce, dal 1999 ad oggi, i resti del santuario di Punta Stilo. La tabella bronzea ritrovata a Kaulonia è un documento unico, anche se ridotto in frammenti minuti e corrosi. E' stato effettuato, su questi resti, un restauro presso il Museo di Monasterace. Successive indagini hanno permesso di scoprire un testo greco del V secolo a.C., su 18 linee, in alfabeto acheo. E' una lunga dedica votiva che menziona l'agorà, una statua ed un elenco di divinità che saranno molto interessanti per lo studio degli antichi culti.
Grazie a tecniche innovative, come le riprese tramite droni ed elaborazioni in 3D, gli archeologi sono riusciti a ricostruire un'immagine del grande complesso magnogreco dell'VIII secolo a.C.. Gli scavi sono stati condotti dalla Professoressa Maria Cecilia Parra, docente di Archeologia della Magna Grecia all'Università di Pisa, che ha operato in sinergia con il Laboratorio di Scienze dell'Antichità della Scuola Normale, diretto dal Professor Carmine Ampolo.
L'area del grande santuario urbano di Kaulonia è stata fonte di grandi scoperte: ex voto del VII, VI e V secolo a.C., in particolare armi e ceramiche per le azioni rituali (elmi, scudi, schinieri, spallacci, spade corte, punte di lancia e di freccia) ma anche deposizioni di sacrifici cruenti ed offerte incruente, con tracce di pasti comunitari seguiti dalla deposizione degli strumenti per la macellazione degli animali.

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