lunedì 2 dicembre 2013

Abu Tbeirah, specchio di tutti i tempi

Il corredo di una delle sepolture di Abu Tbeirah
(Foto: Scavi di Abu Tbeirah)
Una città che non è stata spazzata via dalla faccia della terra in modo violento, da nemici più forti o da un disastro naturale. I suoi resti non rimandano a ricordi di battaglie come quelle che si svolsero sotto le mura di Troia o di Ebla. E' l'antica città di Abu Tbeirah, vicino Nassiriya, scavata dagli archeologi italiani. Il sito non è stato oggetto di scavi clandestini, anche se le guerre recenti hanno richiesto, in parte, il suo tributo all'archeologia.
Sono state ritrovate fornaci per la lavorazione delle ceramiche, strade, spazi aperti, fitti ambienti di abitazione, un edificio di grandi dimensioni che circonda un'ampia corte interna, probabilmente un tempio oppure un palazzo gentilizio
Gli abitanti abbandonarono Abu Tbeirah lasciandosi alle spalle cimiteri, corredi funebri e qualche altro misero resto. Perché andarono via da questo luogo? Vi fu, per caso, un improvviso cambiamento climatico che determinò una migrazione di massa?
La tomba del cosiddetto Piccolo Principe ad Abu Tbeirah
I muri della città, una volta riportati alla luce, tendono a disfarsi, dal momento che non sono stati costruiti in pietra, ma sono a secco ed hanno più di 4500 anni. Di queste genti rimangono vasi, resti di ceramica, perimetri di abitazioni, resti degli abitanti sepolti nei cimiteri, strutture di drenaggio dell'acqua. Le sepolture indagate hanno restituito un barlume della ricchezza degli abitanti di Abu Tbeirah. In una è stato rinvenuto lo scheletro di un ragazzo di circa 15 anni di età, seppellito con un corredo di ben 30 vasi per diversi utilizzi. Nella tomba del giovane sono stati ritrovati anche i resti di un banchetto consumato in occasione della sepoltura.
In un'altra tomba sono emersi 70 vasi in ceramica e 4 vasi in rame, tre perline di cornalina di estremo pregio, un pugnale in bronzo, un orecchino e un astuccio di forma conica con tre bastoncini per toeletta all'interno, tutti in bronzo. Anche in questo caso al defunto furono fatte offerte di animali e vi sono state trovate tracce di un banchetto funebre.
La missione italiana ad Abu Tbeirah (Foto: Corsera)
L'archeologo responsabile degli scavi ad Abu Tbeirah è il Professor Franco D'Agostino, docente di Assiorologia all'Università La Sapienza di Roma, che sta vagliando attentamente la possibilità che lo spopolamento della città assira sia stato causato da cambiamenti climatici ed ambientali. Del resto proprio in questa zona la Bibbia scrive che avvenne il diluvio universale, da altre civiltà raccontato in tavolette cuneiformi, nelle quali è rimasta incisa anche la terribile sensazione di chi sopravvisse a quella catastrofe ambientale.
Uno dei reperti recuperati nello scavo di un edificio
(Foto: Corsera)
"Non voglio sembrare un determinista a tutti i costi. - Ha affermato il Professor D'Agostino. - Ma ritengo che proprio i cambiamenti climatici siano stati una delle cause della decadenza e poi dell'estinzione della cultura sumerica alla fine del terzo millennio avanti Cristo". Le prove di questo, secondo lo studioso, sono almeno tre. "Sappiamo che intorno al 2400 a.C. l'eruzione violenta di un vulcano sull'altopiano anatolico spinse diverse popolazioni esterne alla Mesopotamia a emigrare verso i campi irrigati della Mezzaluna Fertile. - Continua il Professor D'Agostino. - Abbiamo trovato cospicue tracce di cenere negli strati del terreno risalenti a quel periodo in un'area molto vasta. Arrivarono allora gruppi diversi, gli Amorrei e i Gutei tra loro, che spinsero al collasso la civiltà accadica, la quale, a sua volta, aveva invaso i Sumeri. Per di più venne scavata una fitta rete di canali nel nord della Mesopotamia, a settentrione dell'odierna Bagdad, che contribuì all'impoverimento dei canali costruiti più a sud dai Sumeri e probabilmente accelerò il processo di salinizzazione dei terreni, causando la crisi dell'agricoltura nel meridione. In meno di un secolo la produzione agricola dei Sumeri scese di due terzi. Infine va annoverata tra le cause la gravissima siccità, durata forse duecento anni".
Gli archeologi de La Sapienza al lavoro ad Abu Tbeirah
(Foto: Corsera)
Questo il quadro catastrofico che portò, in pratica, alla decadenza della civiltà Sumera, unitamente al ritiro progressivo del mare che provocò l'insabbiamento dei due porti di Ur, rallentando notevolmente il traffico con le Indie e l'Africa. Riassumendo: carenza d'acqua, avvelenamento dei campi, crisi commerciale per l'allontanamento della via d'acqua, sovrappopolazione, interramento dei canali, temperature in salita, fame. Un disastro ecologico in piena regola.
Il Professor D'Agostino oltre ad essere un archeologo è un filologo specializzato in sumerologia. Per questo ricorda l'epopea più famosa dei sumeri, quella di Gilgamesh: "Nel ciclo epico sumerico la siccità è raccontata quale strumento della vendetta della dea Inanna ai danni di Gilgamesh e la sua città, Uruk. Circa mille anni dopo il celebre poema assiro-babilonese Atram Hasis ("Colui che è straordinariamente saggio") canta invece il Diluvio Universale, descritto come punizione degli dei contro gli uomini diventati troppo numerosi, tali da disturbare il sonno del capo del pantheon, Enlil".
Resti di un bambino rinvenuti nella necropoli
(Foto: Il Foglio)
Proprio la Mesopotamia, la terra tra i due fiumi, il Tigri e l'Eufrate, tra da questa sua favorevole posizione non solo vantaggi ma anche funeste conseguenze. I flussi dei due fiumi sono meno regolari di quelli del Nilo, il Tigri e l'Eufrate sono spesso fonte di preoccupazione se non proprio di paura. Le fonti dei due fiumi si trovano sulle montagne della Turchia e il percorso dell'acqua è meno prevedibile di quello delle acque del Nilo. Questa è, forse, una delle spiegazioni del possibile spopolamento di Abu Tbeirah (in arabo "quelli della piccola ascia"), a sette chilometri da Nassiriya e a sedici dall'antica e gloriosa Ur dei Caldei.
Ad Abu Tbeirah lavorano da tre anni gli archeologi dell'Università di Roma sotto la direzione del Professor D'Agostino e con i finanziamenti del Ministero degli Esteri italiano e le donazioni private. Lo scavo copre una superficie di 46 ettari attraversata da un gasdotto iracheno, la cui costruzione, inutile dirlo, è stata fatale per molti reperti. Il letto del canale artificiale del III millennio a.C., per fortuna, non sembra essere stato danneggiato. Questo canale collegava la città di Abu Tbeirah ad Ur, partendo dall'Eufrate e terminando nel Tigri. Il canale svolse egregiamente la sua funzione per cinque secoli, finendo per insabbiarsi nel 2200 a.C.. L'insabbiamento segnò la fine di Abu Tbeirah.
In seguito si cercò di far risorgere l'antica città, ma gli esiti furono fallimentari. "La mia ipotesi è che qui fosse situata la mitica Eneghi, citata in alcuni testi classici sumeri del terzo millennio, dove si racconta del viaggio del dio Nannar, originario di Ur, in visita al capo del pantheon suo padre. - Afferma il Professor D'Agostino. - Se così fosse, potremmo ritrovare anche il tempio dedicato a Ninazu, la divinità dell'oltretomba nella fase più arcaica della cultura sumerica". Ma l'obiettivo principale del Professor D'Agostino e della missione italiana è quello di trovare testi scritti che possano gettare luce sugli ultimi anni di Abu Tbeirah.

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