domenica 27 settembre 2015

Trovata in Turchia una sala ed un trono delle "udienze"

Il basamento per trono di Arslantepe scoperto dagli archeologi italiani
(Foto: Marcella Frangipane)
I resti del basamento di un trono di 5000 anni fa sono stati rinvenuti durante scavi archeologici in Turchia. I resti sono stati scoperti ad Aslantepe, nella parte orientale della provincia turca di Malatya. La struttura è formata da una piattaforma sollevata su tre gradini, in cima alla quale sono stati trovati dei frammenti di legno bruciato. Questi ultimi erano, forse, i resti di una sedia o di un trono. Gli scavi sono diretti dalla Professoressa Marcella Frangipane, dell'Università "La Sapienza" di Roma.
La Professoressa Frangipane sta lavorando per portare alla luce un enorme complesso risalente al IV millennio a.C., una sorta di palazzo tra i più antichi del mondo, molto ben conservato, con le pareti che superavano i due metri di altezza. Il complesso palaziale comprendeva due templi, ripostigli, vari edifici ed un ampio corridoio d'ingresso. Alcune pareti sono decorate con motivi geometrici di colore rosso e nero.
Nelle ultime due campagne di scavo gli archeologi italiani hanno scoperto un ampio cortile raggiungibile attraverso il corridoio. Nel cortile sono stati trovati i resti di un edificio monumentale. Al suo interno è stata trovata la piattaforma per trono, posizionata in una piccola stanza aperta sul cortile interno. La Professoressa Frangipane ritiene che il re o il capo della comunità utilizzava questa sorta di trono primitivo per dare udienza ai suoi sudditi radunati nella corte del palazzo.
Davanti alla piattaforma dove si trovava il trono, gli archeologi hanno rinvenuto altre due piattaforme più piccole e basse, costruite in mattoni, destinate con tutta probabilità ad ospitare gli "interlocutori" del sovrano. Queste strutture fanno parte del cuore dell'antico palazzo. Qui non si svolgevano riti religiosi, ma cerimonie civili, destinate a rinnovare il potere del sovrano sui suoi sudditi.

Necropoli preistoriche in Bulgaria

Uno degli scheletri trovati nella necropoli bulgara di Kamenovo
(Foto: Darik Razgrad)
Gli archeologi bulgari hanno scoperto una necropoli di 6200-6500 anni fa sotto il cortile di una scuola nella città di Kamenovo, nel nordest della Bulgaria. Sono state scavate quattro sepolture preistoriche con corredi molto interessanti. Gli scavi sono coordinati dal Professor Yavor Boyadzhiev dell'Istituto Nazionale e del Museo di Archeologia dell'Accademia bulgara delle scienze e dal Professor Dimitar Chernakov del Museo Regionale di Sotria Ruse.
I corredi funebri trovati nelle quattro sepolture preistoriche includono recipienti di ceramica, strumenti in selce, perline ricavate da molluschi Spondylus raccolti nel Mediterraneo in epoca preistorica. Il ritrovamento di queste perline, secondo il Professor Boyadzhiev, prova le relazioni commerciali tra l'attuale nordest della Bulgaria con la costa del Mar Egeo tra il 4500 e il 4200 a.C.
All'interno delle sepolture sono stati trovati tre scheletri di individui adulti e lo scheletro di un bambino. I corpi sono stati collocati in posizione fetale, sul fianco sinistro, e sono stati orientati in direzione est e nordest. Sul cranio di uno degli scheletri adulti gli archeologi hanno trovato ciotole verniciate in nero, rosso e bianco. Nelle altre due tombe di adulti, i corredi erano composti prevalentemente di strumenti in selce, mentre nella sepoltura del bambino sono state trovate tre perline ricavate dai gusci del mollusco Spondylus posti al di sopra del teschio.
Era un'usanza della cultura Calcolitica dell'attuale Bulgaria nordorientale inserire doni simbolici per l'aldilà in capo ai corpi dei defunti. L'altezza media di queste persone variava dai 167 ai 173 centimetri. I ricercatori ritengano che si trattasse di una popolazione provenienti dalla regione dell'Anatolia (attuale Turchia), mescolatesi con una popolazione originaria del nord del Danubio (attuale Romania).
Un particolare del sito archeologico di Monte Sirai (Foto: famedisud)
Nei giorni scorsi, nella necropoli della cittadella fenicio-punica di Monte Sirai a Carbonia, in Sardegna, gli archeologi coordinati dal Professor Michele Guirguis hanno riportato alla luce la tomba di una bambina vissuta tra il V e il IV secolo a.C., deceduta all'età di un anno.
Il corredo funerario riflette la fase di consolidamento della presenza cartaginese sull'isola. La bambina sembra aver goduto, in vita, di una notevole considerazione, accanto le è stata deposta una campanella di bronzo e altri oggetti dello stesso metallo, tra i quali un anello, una collana con vaghi di pasta vitrea policroma e due braccialetti.
Monte Sirai venne edificata su un'alura dai Fenici di Tiro. Il suo nome richiama il termine assiro Suru, fenicio Sr, ebraico Sor, che vuol dire "roccia" o "scoglio" da cui sarebbe derivato, secondo gli studiosi, anche il nome della città di Tiro. Nell'autunno del 1962 un ragazzo di Carbonia ritrovò una figura femminile scolpita su una stele del tofet. Nel 1963 la Soprintendenza e l'Istituto di Studi del Vicino Oriente dell'Università di Roma iniziarono gli scavi e presto portarono alla luce gran parte dell'insediamento punico.
La città di Monte Sirai venne costruita intorno al 740 a.C., il suo abitato è integro nei suoi elementi fondamentali e venne abbandonato nel 100 a.C. per motivi ancora sconosciuti. L'insediamento è composto di tre grandi settori: l'abitato, che occupa la parte meridionale della collina; il tofet sul lato settentrionale, dove venivano seppelliti i corpi bruciati i defunti con riti particolari; le due necropoli nella valle che separa il tofet dall'abitato..

domenica 20 settembre 2015

Ritrovato un medaglione paleocristiano a Poros, Bulgaria

Il medaglione cristiano di VI secolo d.C. trovato a Poros
(Foto: Burgas Municipality)
Un inedito medaglione di bronzo cristiano è stato scoperto negli scavi dell'antica fortezza di Burgos (Poros) a Capo Foros, nella città bulgara di Burgas, sul Mar Nero. Il medaglione è il secondo artefatto paleocristiano ritrovato nella fortezza nel 2015, dopo il ritrovamento della teca in piombo che, secondo la tradizione, conterrebbe le ceneri di Giovanni il Battista.
Il medaglione è stato scoperto durante gli scavi di un edificio di VI secolo d.C., è in bronzo ed ha una forma rotonda, con un diametro di 3,5 centimetri. Vi sono riportate otto croci, una delle quali è posta al centro e le altre sette tutt'intorno. La croce centrale è stata ricoperta con smalto bianco, mentre le croci periferiche con pasta di vetro gialla. Reperti come questo sono molto rari. Solitamente sono in bronzo, argento ed oro e decoravano vasi di culto, tazze, calici, piatti e reliquiari.
Il rovescio del medaglione di Capo Foros presenta tracce della presenza di legno, che fa intuire che fosse posto su un supporto ligneo. "Non vi sono prove sufficienti che questi tipi di medaglioni ornassero scatole o coperchi di legno di libri liturgici", hanno spiegato gli archeologi. "Per questo nella fase attuale si assume che il medaglione ritrovato a Fors adornasse la copertina di un Vangelo o una scatola utilizzata per custodire materiale liturgico come un libro o un calice". Gli archeologi aggiungono che la forma e la decorazione del medaglione di Burgos sembrano molto simili a un'immagine rappresentata nella Basilica di San Vitale a Ravenna.
Gli scavi della città di Poros (Foto: Burgas Regional Museum of History)
Nei mesi di luglio e agosto 2015 gli archeologi del Museo di Burgas hanno lavorato sugli scavi di una villa romana con ipocausto, tornata alla luce nel 2013. La villa risale al III secolo d.C. e su di essa sono stati impiantati, tra il VI e il VII secolo d.C., due edifici di epoca bizantina. In uno di questi edifici è stato trovato il medaglione. Un altro edificio scavato dagli archeologi, sempre di epoca bizantina, presenta un sofisticato sistema di drenaggio delle acque di scarico, che convogliava queste ultime direttamente nel Mar Nero.
Tra i reperti trovati negli edifici scavati vi sono grandi pithoi (vasi in ceramica) per lo stoccaggio dei prodotti agricoli e 30 anfore trovate in un deposito, che sono già in fase di restauro. Non sono stati finora ritrovati oggetti di uso quotidiano e questo ha fatto pensare ai ricercatori che molto probabilmente gli edifici scavati fossero dei magazzini nei quali, in epoca bizantina, venivano custodite le merci in spedizione attraverso il porto di Poros.
Lucerne da Burgos (Foto: BurgasNews)
Al di sotto dei primi strati archeologici bizantini, i ricercatori hanno raggiunto le mura della villa romana di III secolo d.C., lunga 20,80 metri e larga 10, con nove camere delle quali quelle poste ad occidente avevano un ipocausto. La villa continuò ad essere utilizzata fino al 330 d.C. circa.
Dagli scavi del 2015 nella fortezza di Poros sono emersi oltre 200 reperti, tra i quali una statuetta, conservata per metà, raffigurante un cittadino romano recante sull'abito applicazioni in bronzo e in argento. Sono state trovate anche monete in bronzo del periodo che va dalla fine del II secolo alla prima metà del IV secolo d.C., ceramiche in rosso lucido (terra sigillata), un gran numero di piastrelle in marmo e cornici di finestre sempre in marmo.
Gli edifici del primo periodo bizantino (VI-VII secolo d.C.) hanno restituito monete di tutti gli imperatori bizantini dall'inizio del VI fino all'inizio del VII secolo d.C., tra i quali Anastatio I Diocoro, Giustino I, Giustiniano I il Grande, Giustino II, Tiberio II Costantino, Maurizio, Foca.
Tra gli altri reperti vi sono applicazioni in osso, punteruoli, lampade in argilla.

Scavi belgi sull'isola di Creta

Fotografia aerea dell'edificio della Tarda Età del Bronzo sulla collina (Foto: C.Gaston/Sarpedon)
L'estate scorsa la Scuola Belga di Atene, in collaborazione con una squadra di archeologi dell'Università cattolica di Lovanio, ha condotto una serie di scavi, sotto la supervisione del Professor Driessen, a Buffo a Sissi, sulla costa nord dell'isola di Creta, nel quadro di un programma quinquennale.
Gli scavi si sono concentrati sull'esplorazione di un complesso della tarda Età del Bronzo, provvisoriamente identificato come un palazzo di giustizia. L'edificio mostra una corte trapezoidale con tre ali (est, nord, ovest) che hanno orientamento divergente. La facciata monumentale ad ovest è costituita da un corso di grossi blocchi di calcare, il secondo dei quali è in conci di arenaria in parte conservati. Nel Bronzo Antico (circa 2500 a.C.) è stata costruita una sala ben pavimentata con intonaco, corredata di panche ed una piattaforma monumentale accessibile tramite degli scalini.
Questo Palazzo di Giustizia venne abbandonato all'inizio del Tardo Minoico (XVI secolo a.C.).

Scoperto un pavimento musivo sull'isola di Cipro

Il pavimento musivo rinvenuto a Piadhia, sull'isola di Cipro (Foto: Sigmalive.com)
Gli scavi archeologici di Piadhia, nei pressi del villaggio di Akaki, alla periferia di Nicosia (Cipro) hanno rivelato la presenza di un pavimento musivo databile alla prima metà del IV secolo d.C. ed in perfetto stato di conservazione. Il mosaico è di qualità eccellente. Gli scavi sono stati effettuati sotto la supervisione del Delegato Archeologico Dottor Fryni Hadjichristophi, in collaborazione con l'archeologo Vasiliki Lyssandrou.
Gli ultimi scavi hanno portato alla luce resti di una costruzione a poca profondità nel terreno. Di particolare importanza è stato il ritrovamento di una cisterna. Durante gli scavi della scorsa stagione sono tornate alla luce tre sale di diverse dimensioni e quattro cavità parallele scavate nella roccia che, probabilmente, contrassegnavano il limite orientale della costruzione.
Il mosaico pavimentale trovato raffigura una scena di corsa di carri ed è ricco di decorazioni geometriche. Vi sono più quadrighe che corrono attorno ad una spina centrale (euripus). Ogni quadriga è guidata da un auriga e presenta due iscrizioni che, probabilmente, indicano i nomi dei cavalli. Sulla spina centrale si trovano tre colonne, ciascuna sormontata da un delfino da cui sgorga dell'acqua, e un'edicola.
L'edificio appena scavato, quello che contiene il pavimento musivo, non è stato ancora identificato. La presenza della decorazione musiva, però, può aiutare i ricercatori a delineare un quadro più preciso della Cipro romana e aggiunge notizie alla conoscenza dell'utilizzo di pavimenti a mosaico sull'isola.

Conferme dal forte romano di Gernsheim

Vista aerea delle fondazioni di un edificio in pietra di epoca romana trovato
a Gernsheim (Foto: Dennis Braks)
Gli archeologi dell'Università di Francoforte, durante gli scavi dello scorso anno a Gernsheim, in Germania, sospettavano che esistesse un piccolo insediamento romano in questa zona dell'Assia. Ora hanno scoperto i resti di un villaggio romano, costruito in parte sulle fondamenta di un forte abbandonato dai legionari intorno al 120 d.C.. All'epoca i soldati romani vennero trasferiti dal Reno al Limes e il villaggio visse in una relativa pace fino al 260 d.C.
Fino allo scorso anno si sapeva ben poco della Gernsheim romana, anche se erano stati rinvenuti, per tutto il XIX secolo, numerosi reperti romani. Ora i ricercatori sono convinti ed hanno le prove che dal I al III secolo d.C. qui vi era un importante insediamento, un vicus. Quest'anno sono state scoperte le fondamenta ben conservate di un edificio in pietra e almeno due pozzi. Sono stati raccolti anche frammenti di ceramica che dovranno essere esaminati per essere datati più precisamente. Tra i reperti vi sono anche rare fibbie per vestiti, perle, parti di un gioco da tavolo e uno spillone per capelli in osso terminante con una testa femminile.
Pezzi di gioco da tavolo trovati a Gernsheim (Foto: Thomas Maurer)
Il villaggio era abitato prevalentemente da familiari dei soldati romani e da commercianti. Tuttavia gli edifici in pietra eretti nella Gernsheim romana nel corso del II secolo d.C. suggeriscono che il villaggio era piuttosto florido. La popolazione era prevalentemente di origine gallico-germanica, pochi erano coloro che godevano della cittadinanza romana. Uno dei reperti più interessanti trovato negli scavi è una moneta della Bitinia (regione a nordovest dell'Anatolia), che non può certo annoverarsi tra quelle in circolazione nella Germania Superiore. Probabilmente si trattava di un ricordo.
Tra il 70/80 e il 110/120 d.C. nella Gernsheim romana era di stanza una coorte romana, composta da circa 500 soldati. Sono stati individuati due fossati a forma di V tipici di questo tipo di insediamento. Questi furono, poi, riempiti quando le truppe si allontanarono. Sono stati anche trovati numerosi rifiuti relativi a questo periodo, soprattutto nel fossato interno. Si tratta di un colpo di fortuna per gli archeologi, perché proprio attraverso questi scarti della vita di tutti i giorni sarà possibile delineare un quadro più completo della Gernsheim romana.
Il forte romano venne eretto intorno al I secolo d.C. per controllare le vaste aree ad est del Reno e per espandere il commercio verso Magonza-Mogontiacum. Gernsheim era, in epoca romana, molto ben collocata e inserita nel contesto viario della Germania dell'epoca.

Tomba sannitica trovata a Pompei

Pompei, necropoli di Porta Ercolano (Fonte: Repubblica.napoli.it)
E' stata scoperta, a Pompei, una tomba del IV secolo a.C., quando la città era abitata dai Sanniti. Si tratta di una testimonianza funeraria rarissima, specialmente se si considera che la tomba conteneva ancora, intatto, il corredo funerario. Il rinvenimento è avvenuto presso la necropoli di Porta Ercolano, non lontano dalla Villa dei Misteri, ad opera dell'équipe francese del Centro Jean Bérard di Napoli, che opera in collaborazione con la Soprintendenza.
Nella zona dove è emersa la sepoltura sono state già rinvenute, nel corso degli scavi, le officine dei vasai, che erano in piena attività al momento dell'eruzione del Vesuvio. La scoperta della sepoltura sannitica è una conferma che prima che arrivassero i Romani Pompei era un centro organizzato dai Sanniti. La città si sviluppava sulle rive del fiume Sarno e la sua economia era prevalentemente basata sui commerci.
Tradizionalmente le sepolture come quella appena emersa vengono attribuite alla parte meno abbiente della popolazione. Gli scavi del 2015, però, hanno permesso di delineare un quadro diverso, con lo scavo di due urne cinerarie e la sepoltura con copertura di anfore di un infante di sei mesi. Le urne contenevano, oltre alle ossa combuste del bimbo, una moneta ed erano accompagnate da unguentari in ceramica. Questa sepoltura risale ad epoca repubblicana.

sabato 19 settembre 2015

Eccezionali rinvenimenti nella Perperikon romana

Il probabile ninfeo scoperto a Perperikon (Foto: BNT)
Tre templi pagani risalenti all'epoca romana, 49 edifici pubblici e residenziali, oltre 1.000 manufatti, un ninfeo o un monumento dedicato alle ninfe sono quanto è stato scoperto dagli archeologi bulgari quest'anno, in quattro mesi di scavo nell'antica città di Perperikon, nota anche come Perperik o Perperek.
L'obiettivo principale degli scavi era quello di riportare alla luce l'antica acropoli di Perperikon. Gli archeologi sono stati coordinati dal Professor Nikolay Ovcharov, che ha seguito gli scavi di Perperikon sin dal 2000. L'archeologo ha dichiarato che ora è stato disotterrato il 95% dell'acropoli, con la piazza centrale della città antica e di quella medioevale, con diverse strade che confluiscono in questa piazza e con le vie colonnate del centro. "Perperikon non era solo una grande città. Era anche una città creata secondo i gusti più raffinati dell'aristocrazia romana", ha sottolineato il Professor Ovcharov.
Un'altra visione del cosiddetto ninfeo
(Foto: Nenko Stanev, 24 Chasa daily)
Una delle novità degli scavi di quest'anno è la prova che un ambiente scavato nella roccia potrebbe essere stato un ninfeo o un edificio di culto dedicato alle ninfe. Al momento della sua scoperta, gli archeologi pensavano fosse una sorta di cisterna. Proseguendo gli scavi, invece, hanno trovato i resti di una fontana del III-IV secolo d.C., con ricchi fregi e un complesso sistema di gestione dell'acqua.
"Si tratta di una struttura unica, che non ha eguali in Bulgaria. Strutture analoghe di epoca romana si trovano nelle grandi città di Efeso, in Asia Minore, e di Petra, in Giordania", ha spiegato il Professor Ovcharov. Ha, poi, aggiunto che sono necessarie ulteriori analisi per confermare l'attribuzione alla struttura della funzione di ninfeo. L'ambiente ha sei metri di lunghezza, cinque di ampiezza e 4,2 metri di profondità. Tre dei suoi quattro lati sono stati ricavati dalla roccia mentre il quarto era in grandi blocchi di pietra con fregi decorativi. La fontana aveva due canali: uno drenava l'acqua, l'altro impediva che la vasca si riempisse troppo.
Oltre al ninfeo sono stati portati alla luce i resti di tre templi romani che sorgevano sull'acropoli di Perperikon. Si tratta del tempio dedicato ad Apollo, del tempio del Cavaliere Trace noto anche come Heros, suprema divinità del pantheon dei Traci, e di un mitreo dedicato alla divinità persiana Mitra. Le pratiche di culto di Perperikon affondano le radici nel II-I millennio a.C., quando i Traci costruirono un enorme santuario per la celebrazione dei rituali del vino e del fuoco in onore di Dioniso. I Romani, in seguito, mantennero i culti traci.
Parte della strada colonnata romana di Perperikon (Foto: BNT)
All'interno del tempio dedicato ad Apollo è stata scoperta una statuetta in bronzo del dio. Il tempio sitrova sulla cima del colle, accanto ad un colonnato che porta al più grande edificio pubblico della Perperikon romana. Nel secondo tempio gli archeologi hanno trovato una testa in marmo di Heros, il Cavaliere Trace, pertinente una lastra di marmo di almeno un metro di altezza. Tre anni fa una lastra con l'effige del Cavaliere Trace è stata trovata nello stesso punto. All'interno del tempio ci sono anche due nicchie utilizzate, probabilmente, come altari. Il terzo tempio è stato identificato come un probabile mitreo dal Professor Zdravko Dimitrov, dell'Istituto Nazionale e del Museo Archeologico, uno dei principali esperti bulgari di archeologia romana. Nel cosiddetto mitreo vi sono una piscina, dei sedili in pietra e cerchi ricavati nella roccia ai quali sarebbero stati legati i tori prima di essere sacrificati a Mitra.
"Gli edifici dell'acropoli erano grandiosi. Il più grande era lungo 26 metri, aveva almeno due piani ed era coperto con tegole", ha dichiarato Ovcharov. Parte delle pareti degli edifici dell'acropoli sono stati conservati fino ad un'altezza di 1,5-1,9 metri. Si tratta di edifici che formavano delle insulae in cui viveva la popolazione. Le strade strette tra un edificio e l'altro conducevano ad una strada principale di tre metri di larghezza. Questa, a sua volta, confluiva nella piazza principale della Perperikon romana. Parte del colonnato della piazza romana è stata conservata.
Gli archeologi e i restauratori che stanno lavorando agli scavi della città medioevale sono riusciti a conservare sette delle case medioevali impiantate sulle fondamenta degli antichi edifici romani. Lo scavo e la conservazione di questi resti è molto difficile a causa del continuo dilavamento delle piogge.
Tra gli oltre mille reperti rinvenuti a Perperikon vi sono manufatti sia romani che bizantini e bulgari, come una rara moneta d'oro dell'imperatore bizantino Basilio II (986-1025 d.C.). Tutti i reperti sono la testimonianza di oltre 7000 anni di storia della città, dall'epoca preistorica al 1362 d.C., quando Perperikon venne conquistata dai turchi ottomani.

Iscrizione turco ottomana trovata in Bulgaria

L'iscrizione turco ottomana trovata a Zimovina (Foto: Zaman)
Un'iscrizione ottomana del XVIII secolo e monete bizantine non identificate sono state trovate nella cittadina di Zimovina, nel sud della Bulgaria. L'iscrizione si trovava all'interno di una delle pareti di una casa privata ed è in turco ottomano e reca la data del "1200 secondo Hijri". La data, nel calendario gregoriano, corrisponde al 1785.
La cittadina di Zimovina venne fondata nel XVIII secolo da undici famiglie che si stabilirono nei pressi delle persistenze delle caserme turco ottomane, infatti l'antico nome turco della città significa "Grandi Caserme". Nel 1928 sopravvennero i profughi bulgari della regione della Tracia, sul Mar Egeo, attualmente Grecia settentrionale.
La casa in cui è stata ritrovata l'iscrizione, secondo gli archeologi, era una scuola islamica dotata di una moschea costruita dai soldati ottomani che risiedevano nelle caserme. L'iscrizione è ancora da decifrare, ma si ritiene che contenga informazioni su chi ha fatto edificare un'antica fontana che si trovava nei pressi.
Le monete bizantine, invece, sono state rinvenute nei pressi delle rovine di una fortezza bizantina conosciuta come Kaleto. Sulle monete compare anche una croce. Il termine Kale è di origine turca è significa "fortezza" ed è ancor oggi utilizzato in Bulgaria per designare alcune delle migliaia di antiche fortezze che punteggiano il paesaggio bulgaro, soprattutto quelle fortezze il cui nome è andato perduto.

venerdì 18 settembre 2015

Trovata una sepoltura Pacopampa in Perù

La tomba scoperta in Perù (Foto: Latin American Herald Tribune)
Una squadra di ricercatori giapponesi e peruviani ha rinvenuto, nel nord del Perù, una tomba intatta di 2700 anni fa, contenente i resti mortali di due sommi sacerdoti dell'antica cultura Pacopampa. La scoperta è avvenuta nella regione di Cajamarca, 800 chilometri a nord di Lima.
La sepoltura è stata ribattezzata la Tomba dei preti serpente-giaguaro, ispirandosi ad un vaso in ceramica a forma di serpente con la testa di giaguaro trovato vicino ad uno dei corpi. Uno degli individui sepolti aveva una collana con 13 perline di oro ovali incise con figure, mentre un altro corpo era accompagnato da una bottiglia a forma di serpente-giaguaro, di 20 centimetri. Il primo corpo è rivolto a sud, il secondo a nord e si trovato sul lato di un grande quadrato circondato da pareti di pietra scolpita con due rampe di scale.
Si pensa che il luogo della sepoltura, un tempo, ospitasse riti e feste e che i defunti fossero i sacerdoti incaricati di celebrarle. La cultura Pacopampa si sviluppò tra il 1200 e il 500 a.C. ad un'altitudine di circa 2100 metri sulle Ande.

Irlanda, trovato uno scheletro sotto un faggio

Un archeologo scava sotto le radici dell'albero sradicato dalla
tempesta a Silgo, in Irlanda (Foto: Marion Dowd)
In Irlanda, a Silgo, una tempesta ha sradicato completamente un secolare albero di faggio, portando alla luce lo scheletro di un adolescente vissuto nel medioevo. Lo scheletro era diviso in due: la parte superiore era intrappolata nelle radici, mentre la parte inferiore è rimasta nel terreno.
L'analisi delle ossa e la datazione al radiocarbonio indicano che il defunto era un giovane di 17-20 anni vissuto tra il 1030 e il 1200 d.C.. L'adolescente era più alto della media del periodo e apparteneva ad una famiglia di ceppo gaelico. Una lieve sofferenza a carico della spina dorsale indica che il suo corpo venne sottoposto a uno sforzo continuo.
Il giovane è morto di morte violenta: i segni di due coltellate sono chiaramente visibili sulle costole e sulla mano sinistra. Se sia stato assassinato o se sia morto durante un conflitto, questo gli archeologi non possono affermarlo con certezza.
Il giovane venne seppellito cristianamente, anche se non si conosce ancora se il luogo di sepoltura era un cimitero o, piuttosto, un luogo isolato. Nella zona è attestata, da documenti storici, la presenza di una chiesa e di un cimitero, ma al momento non ne sono state rinvenute tracce né. tantomeno, sono stati ritrovati altri scheletri.

La cripta della Fortezza Zaldapa

La fortezza di Zaldapa (Foto: BNR)
Una cripta paleocristiana, la più grande dei Balcani, è stata scoperta dagli archeologi nei pressi della Fortezza Zaldapa, vicino al villaggio di Krushari, in Bulgaria. La cripta è stata scoperta presso il sito dove, un tempo, sorgeva una basilica scoperta nel 2014. L'ambiente è lungo quasi quattro metri, largo ed alto 2,5 metri.
Si stima che la cripta risalga al V secolo d.C. e pare sia stata il luogo dell'ultimo riposo di almeno un martire. Un tempo le basiliche venivano costruite sul luogo di sepoltura dei martiri. Lo scavo della cripta è ancora in fase di completamento. Diverso materiale è stato asportato per essere analizzato.
Zadalpa era la più grande città fortificata romano-bizantina. Si pensa che la fortezza sia stata costruita alla fine del IV secolo. La città, invece, venne fondata, nell'VIII secolo a.C. dai Traci.

sabato 12 settembre 2015

Scoperta una nuova specie umana, l'Homo Naledi

I resti dell'Homo Naledi, una specie finora sconosciuta
(Foto: Corsera)
In Sudafrica sono stati scoperti i resti di una nuova specie del genere Homo. Questa specie avrebbe delle caratteristiche particolari. Si tratta dei resti di quindici individui di Homo Naledi, recuperati da un pozzo di 30 metri di profondità all'interno di una grotta.
L'Homo Naledi era alto circa 1,50 metri e pesava circa 45 chilogrammi. Di lui rimangono, al momento, circa 1.550 resti di ossa. Il nome di Homo Naledi è derivato da quello della Dinaledi Chamber nella grotta Rising Star, dove, tra novembre 2013 e marzo 2014, sono stati scoperti i resti. In lingua Sotho, utilizzata nella zona, "naledi" significa stella.
I ricercatori ritengono che vi siano ancora altri resti di questa specie da recuperare nella grotta presso Maropeng, non lontano da Johannesburg, in un'area inserita nel Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco proprio per l'importante presenza di tracce dei nostri progenitori.
Ricostruzione del volto dell'Homo Naledi
(Foto: Corsera)
I ricercatori, guidati da Lee Berger, dell'Università del Witwatersrand, hanno identificato, tra i resti recuperati nel pozzo, le ossa di neonati, giovani e anziani dai tratti omogenei. La datazione esatta dei resti non è ancora stata stabilita, anche se si parla di un range temporale che va dai 100.000 ai due milioni di anni fa. L'Homo Naledi aveva un cervello piccolo e un corpo slanciato, caratteristiche antiche e moderne insieme. Un calco del teschio di Homo Naledi sarà in esposizione il 25 settembre nella "Notte europea dei ricercatori".
La profondità del pozzo e la sua difficile accessibilità fanno pensare che i resti umani ivi collocati, vi siano stati deposti intenzionalmente. Se così fosse e se la datazione ne accerterebbe l'antichità, sarebbe un dato straordinario, dal momento che la pratica dell'inumazione era conosciuta solo tra i Neanderthal e l'Homo Sapiens, specie recenti.
L'Homo Naledi aveva statura e massa corporea simili a specie più piccole. Le ridotte dimensioni del cranio lo fanno somigliare a specie più antiche, come gli Australopitechi. La dentatura, la forma del polso e della mano, i piedi e gli arti inferiori somigliano a specie moderne. Al contrario di spalle, tronco, pelvi e femore che presentano caratteristiche arcaiche. Le dita dell'Homo Naledi erano curve, il che sta ad indicare una particolare abilità nell'arrampicarsi. Piedi e lunghe gambe ne facevano una specie adatta a lunghi spostamenti.

Ritrovata la sepoltura di S. Matteo?

Un pezzo di ceramica ritrovato nel lago Issyk-Kul, in Kirghizistan, che
reca scritte in lingua armena e siriana (Foto: Dmitri Gorn, The
Siberian Times)
Una tradizione agiografica altomedioevale vuole che l'apostolo Matteo, nato a Cafarnao alla fine del I secolo d.C. sia morto in Etiopia ucciso sull'altare mentre diceva messa. Il Chronicon Salernitanum, cronaca del X secolo scritta da un anonimo, narra del rinvenimento delle reliquie del santo nell'antica Lucania. Da qui vennero, in seguito, trasportate a Salerno per volere del principe longobardo Gisulfo I e collocate nel duomo della città di cui divenne patrono.
Una leggenda kirghiza, invece vuole l'apostolo sepolto in un monastero armeno lungo le sponde del lago Issyk-Kul, nella catena montuosa del Tian Shan, in Kirghizistan, Asia centrale. Nel 2002 sono giunte le prime voci del ritrovamento, sul fondo del lago, del presunto sito di sepoltura dell'apostolo Matteo. Si parlò, all'epoca, anche dell'avvistamento delle rovine di un monastero dove, secondo la tradizione, era custodita la tomba.
Sebbene all'inizio gli archeologi abbiano prestato poca fede alla notizia, qualche tempo fa hanno dovuto ricredersi. L'enorme bacino d'acqua dell'Issyk-Kul, decimo al mondo per grandezza e secondo specchio salato dopo il Mar Caspio, potrebbe realmente conservare le spoglie dell'apostolo Matteo. E' stata, infatti, ritrovata un'antichissima e ignota città della civiltà Saka, un popolo conosciuto da Erodoto come consumatore di soma, una bevanda inebriante. Questa città risalirebbe a 2500 anni ed è stata riportata alla luce da una squadra di archeologi russi della Tomsk State University, che hanno lavorato a circa 23 metri di profondità per recuperarne i reperti.
Gli archeologi si sono particolarmente interessati al frammento di un grande vaso di ceramica su cui compare un timbro e delle iscrizioni in lingua armena e siriana. Proprio queste iscrizioni potrebbero confermare la presenza della sepoltura di Matteo. Il vaso e le iscrizioni sono allo studio dei ricercatori. La spedizione russa è guidata dal Dottor Vladimir Ploskikh, del Dipartimento di Storia e Cultura presso l'Università Russo-Kyrghiza,
Al momento il fondo del lago ha restituito circa 200 frammenti tra ceramica, pietra per affilare i coltelli, un frammento di falce rituale in bronzo e molte scorie della lavorazione di quest'ultimo. E' stato recuperato anche un vaso in ceramica intatto della cultura Saka-Usun che si trovava vicino ad un luogo di sepoltura.
La profondità del lago è variata nel corso dei secoli. Le acque, innalzandosi, hanno sommerso antichi insediamenti un tempo costieri le cui tracce, costituite da reperti di asce, punte di freccia in bronzo, pugnali e monete, sono state trovate già a partire dal 2007

Eccezionale ritrovamento a Roma

Gli scavi di largo Santa Susanna, a Palazzo Canevari
(Foto: Repubblica.it)
I resti di una casa di inizio VI secolo a.C. sono stati ritrovati a Roma, in largo S. Susanna, nell'ex Istituto Geologico a Palazzo Canevari, nel corso di scavi di archeologia preventiva della Soprintendenza. La straordinarietà di questa scoperta sta nel fatto che si riteneva che la zona fosse una necropoli.
Si tratta di una delle case più antiche mai ritrovate a Roma, risalente all'epoca di Servio Tullio e presenta caratteri unici. Ha una pianta rettangolare ed era, probabilmente, divisa in due ambienti da un portico che si apre su uno dei lati lunghi. I muri di legno erano rivestiti in intonaco di argilla sormontati da un tetto di tegole. Per la sua posizione sulla vecchia collina del Quirinale e per la sua età, che risale ad un periodo in cui Roma era ancora governata da una monarchia, la casa è stata ribattezzata la "Casa dei Re".
La scoperta risale a quest'estate ed è destinata a ridisegnare la mappa della Roma di VI e V secolo a.C.. Si riteneva, in fatti, che in questo luogo ci fosse una necropoli e non un'area abitativa. Nel 2003 Palazzo Canevari era stato oggetto di sondaggi per stabilire la presenza di reperti antichi. Nel 2013 fu portato alla luce un enorme tempio di V secolo a.C.
"Questo edificio è sostanzialmente assente nella Roma arcaica: ve ne sono tracce solo nella zona del Foro. Probabilmente l'abitazione visse circa 50-60 anni poi vi venne costruito il tempio che abbiamo rinvenuto nel 2013", ha dichiarato la Dottoressa Mirella Serlorenzi, che dirige gli scavi. "La posizione della casa vicina al tempio lascia pensare che quella fosse un'area sacra e chi l'abitava stesse a guardia di ciò che vi accadeva. Ma ancora più importante è che ora possiamo retrodatare l'urbanizzazione della zona del Quirinale. Le mura serviane andarono a inglobare un'area già abitata e non una necropoli".
Il tempio aveva dimensioni enormi, con almeno 25 metri di larghezza e 40 di lunghezza, dimensioni che corrispondono alla cella interna del tempio di Giove capitolino sul Campidoglio, che era molto più grande. Poco dopo la scoperta del tempio, nel 2011, è stato rinvenuto, a poca distanza, un edificio della Roma arcaica, fino ad oggi assente tra le testimonianze portate alla luce del sole. Una scoperta eccezionale per il suo stato di conservazione e per la sua posizione.

A tavola con gli...Ittiti

Cibi preparati secondo ricette di 4000 anni fa
(Foto: dailysabah.com)
Kanesh (o Nesa nella forma contratta frequente in lingua ittita) è un'antica città balzata agli "onori della cronaca" grazie al ritrovamento di migliaia di tavolette scritte dai mercanti della città di Ashur che operavano del Karum, il mercato di Kanesh, tra il XX e il XVIII secolo a.C.
La città fu abitata continuativamente abitata dal Calcolitico fino all'epoca romana. Un documento del 1400 a.C. ne racconta la ribellione al potere del regno accadico. A Kanesh sono state ritrovate le tracce più antiche della lingua ittita ed il più antico termine per indicarne la lingua, nesili o "lingua di Nesa".
Sono ben 18 gli strati scavati, corrispondenti a diversi periodi storici. La maggior parte delle tavolette ritrovate provengono dall'archivio dei mercanti che hanno fornito agli archeologi preziose notizie sui commerci e sulle attività di questa città, che operava su un'attivissima rete commerciale grazie alla sua posizione vantaggiosa, che le permetteva di accedere alle materie prime dell'Anatolia e dell'Alta Mesopotamia.
Sepoltura di un re ittita ricostruita nel museo di
Corum (Foto: hittitemonuments.com)
Ora gli archeologi hanno pensato di mettere in pratica le ricette riportate su alcune delle tavolette dell'archivio dei mercanti di Kanesh. Aykut Cinaroglu, professore di Archeologia dell'Università di Ankara, e lo chef Omur Akkor, hanno preparato un menù speciale ittita dopo aver condotto ricerche sulla culinaria, il cibo e il pane ittita di 4000 anni fa. Il cibo è stato cucinato cercando di utilizzare le tecniche antiche. "Gli antichi abitanti hanno scritto di mangiare abitualmente carne fredda, cipolla cotta e pane nei giorni di festa. Non usavano il lievito per fare il pane che la squadra ha cercato di riprodurre con farina non setacciata di grano pestato", ha detto il Professor Cinaroglu.
Per porre in essere quest'interessantissimo esperimento è stato importato grano saraceno dalla Germania. Grano che è stato schiacciato sulle pietre. Non sono stati utilizzati altri attrezzi al di fuori di un coltello. Omur Akkor ha detto che sono stati identificati oltre 100 nomi relativi alla pasticceria ittita.
Oltre alle tavolette di Kanesh, archeologi e ricercatori si sono avvalsi di quanto è emerso dagli scavi di Alacahoyuk, un importante insediamento neolitico che si trova nella provincia di Corum, in Anatolia centrale. Alacahoyuk era uno dei centri più significativi della civiltà ittita. Durante gli scavi sono stati scoperti reperti riguardanti olio d'oliva, miele, bevande e vegetali.
Omur Akkor ha sottolineato anche l'importanza di alcune regole igieniche, nella cucina ittita: se un cuoco avesse cucinato con la barba incolta e lunga o con capelli lunghi non raccolti o se avesse permesso a qualche animale di introdursi in cucina, era passibile di pena di morte con tutta la sua famiglia. Stessa pena era comminata anche a quanti cucinassero senza aver fatto prima un bagno.
I primi scavi ad Alacahoyuk sono stati fatti nel 1907 dall'archeologo ottomano Makridi Bey. Nel 1935 gli scavi furono ripresi da Mustafa Kemal Ataturk, fondatore della Repubblica turca. Attualmente vi opera l'Università di Ankara. Ad Alacahoyuk sono emersi dischi solari, statue di tori e cervi e 13 tombe di re ittiti. Sono stati trovati anche alcuni pezzi di rame all'interno di un laboratorio minerario di 3700 anni fa.

Trovati due scheletri nella Valle dei Templi

Uno degli scheletri rinvenuti nella Valle dei Templi
(Foto: grandangoloagrigento.it)
Durante scavi archeologici ad Agrigento, nella Valle dei Templi, sono stati trovati due scheletri umani. Gli scavi sono in corso per approfondire gli studi sul periodo tardo-antico e, in particolare, sulle trasformazioni sulla destinazione del tempio della Concordia nel periodo che va dall'abbandono del tempio pagano alla trasformazione in basilica paleocristiana.
I resti umani trovati in questi giorni risalgono, presumibilmente, ad un periodo compreso tra il III e il V secolo d.C.. Ad operare sul cantiere archeologico sono gli studenti dei corsi di laurea in Beni Culturali e Archeologia, coordinati dall'architetto Giuseppe Parello.
L'ultimo rinvenimento di questo tipo risale ad un paio di anni fa ed è stato fatto nella stessa area. La zona e i ritrovamenti fanno pensare ad una vera e propria necropoli installatasi nei pressi del tempio della Concordia.

venerdì 11 settembre 2015

Scoperta una necropoli nel territorio di Vercelli

Una delle tombe trovate a Santhià (Foto: vercellioggi.it)
Durante lo scavo per la posa di un metanodotto in territorio di Santhià, sono state trovate dieci tombe di epoca romana. Gli archeologi hanno recuperato tutti il materiale di corredo.
La necropoli conta una decina di tombe a fossa, in cui venivano poste le ceneri del defunto, arso su una pira (l'ustrinum). Le sepolture sono tutte di età romana, databili al II secolo d.C., alcune raggruppate, in cui vi sono tombe che in parte si sovrappongono. Questo particolare ha fatto pensare agli archeologi che si tratti di generazioni successive di una stessa famiglia.
Tutte le sepolture conservano le rispettive urne cinerarie, le olle, i balsamari, i pendagli in pasta vitrea. E' stato ritrovato anche uno specchio in bronzo quasi integro.

martedì 8 settembre 2015

I resti della più antica macinazione di cereali in Puglia

Il pestello trovato nella Grotta Paglicci
(Foto: Stefano Ricci/PNAS)
Gli abitanti di Grotta Paglicci, nel Gargano, producevano farina ben 32000 anni fa. Essi usavano macinare chicchi di avena selvatica migliaia di anni prima dell'avvento dell'agricoltura.
Lo studio è di alcuni ricercatori italiani dell'Università di Firenze e di Siena, della Soprintendenza all'archeologia della Toscana e dell'Istituto italiano di preistoria e protostoria. I ricercatori hanno analizzato un pestello da macinazione in pietra, trovato nel 1989 nella Grotta Paglicci. Su di esso sono stati trovati i residui di grani di amido.
Gli antichi abitanti di questa zona della Puglia erano cacciatori-raccoglitori che avevano appreso la sofisticata tecnica di estrazione di farina dalle piante. Prima le raccoglievano, poi le essiccavano nella parte da macinare, poi macinavano i semi e li mescolavano con acqua per la cottura.
Erano utilizzati soprattutto i chicchi di graminacee selvatiche, in maggioranza avena. 

sabato 5 settembre 2015

Esposta a Città del Messico la maschera di Calakmul

La maschera di giada di Calakmul (Foto: MNA-INAH)
Una serie di mostre temporanee chiamate "Un pezzo, una cultura" sono state inaugurate dal Museo Nazionale di Antropologia a Città del Messico. La prima di queste brevi esposizioni è stata intitolata "La maschera di Calakmul. Universo in giada". Si tratta di un pezzo unico di grande rilievo che riassume in sé gran parte degli elementi del pensiero e della visione del mondo dei Maya.
La serie di mostre, inaugurate con l'esposizione della straordinaria maschera in giada, si avvale della tecnologia più recente per avvicinare le opere più rappresentative della antiche civiltà messicane ed è pensata soprattutto per un pubblico giovane. Le prime due sale sono dedicate alla percezione sensoriale ottenuta attraverso effetti visivi, sonori e grafici. Un terzo spazio fa sì che il visitatore possa stare a tu per tu con la maschera. La cosmogonia maya non ha alla base un pensiero lineare, in essa la divinità, la natura, gli animali, gli esseri umani, la vita e la morte sono piani diversi che si intrecciano continuamente.
La maschera di Calakmul (Foto: MNA-INAH)
Nel corso di questa serie interessantissime di esposizioni, scrittori e premi Nobel per la letteratura leggeranno degli estratti da libri sacra come il Popol Vuh e il Chilam Balam de Chumayel, invitando i visitatori ad un approfondimento della cultura maya e delle sue opere.
La maschera funeraria Calakmul è un mosaico composto con la giada, la conchiglia e l'ossidiana grigia. E' stata rinvenuta in una sepoltura nella zona archeologica di Calakmul, da cui prende il nome, nello stato di Campeche, e risale ad un periodo compreso tra il 660 e il 750 d.C..
La giada, per la sua bellezza ed il suo carattere sacro, è stata una delle componenti più importanti delle maschere maya. La pietra, inoltre, era associata all'acqua e collegata al cielo ed al mare come principali elementi della creazione, simboli del respiro, della fertilità e della rinascita. La maschera rappresenta il dio del mais, con le cui sembianze il defunto viaggiava nel mondo sotterraneo. Per i Maya il primo uomo era stato modellato con tre chicchi di mais e questo spiega l'importanza della maggior fonte di sostentamento di questa popolazione e come l'elemento mais sia un elemento centrale per tutte le culture messicane.

Capolavori antichi ritrovati

La museruola di bronzo recuperata a Brescia
(Foto: famedisud.it)
Già a partire dall'Ottocento la città di Crotone era stata funestata da scavi clandestini, favoriti dalla generale noncuranza per la salvaguardia del Patrimonio comune. A volte capita che quanto è stato illegalmente sottratto venga, anche a distanza di decenni, restituito allo Stato e ai cittadini.
Sta per rientrare in Calabria un bronzo di epoca classica, una museruola per cavallo che fungeva da offerta votiva nel santuario di Hera collocato nell'attuale Vigna Nuova, alla periferia di Kroton. Ad Hera era stato dedicato anche il tempio più noto del promontorio Lacinio. Nel santuario di Vigna Nuova sono state rinvenute decine di catene in ferro spesso aperte a colpi di maglio, che giustificano l'epiteto di "liberatrice" conferito alla divinità greca.
I ceppi in ferro associano i santuari di Hera krotoniati ai maggiori santuari dedicati alla divinità femminile sposa e sorella di Zeus: ad essa, infatti, era uso offrire gli strumenti simbolo della schiavitù una volta che quest'ultima era stata annullata. La museruola di Vigna Nuova venne trovata sul finire degli anni '70 del secolo scorso. Gli scavatori clandestini la estrassero dal terreno dove si trova l'unico edificio finora riportato alla luce, un tempio o deposito per le offerte.
Moneta di Kroton raffigurante Heracle infante che uccide i serpenti
(Foto: famedisud.it)
Oggi si sa che questo reperto bronzeo, probabilmente sfoggiato durante parate ed eventi speciali dell'antichità, era finito nella collezione privata di un appassionato di manufatti antichi legati all'equitazione, il quale, in occasione della mostra "Cavallo. Storia Arte Artigianato", allestita a Travagliato (Brescia) aveva consentito che il reperto venisse esposto al pubblico. Naturalmente questa occasione ha permesso alle forze dell'ordine, su segnalazione dell'archeologa Maria D'Andrea, che aveva riconosciuto il reperto attraverso delle foto comparse sul web, di denunciare la presenza della museruola nella sede della mostra.
Del resto il reperto presenta un'iconografia piuttosto inconsueta: una delle due composizioni che la ornano raffigura Eracle fanciullo che strozza i serpenti inviati da Hera per ucciderlo. L'altra composizione consta di due opliti affrontati.
L'iconografia dell'Herkliskos Drakonopnigon era molto nota nell'antichità, ma a noi, purtroppo, restano solo due testimonianze di epoca romana. Vi è anche una serie di emissioni monetali di area egea (fine V - primi inizi IV secolo a.C.) che trovano riscontri in Magna Grecia solo nella monetazione di Kroton e di Taranto. Questi argenti si ispirano, forse, ad una celebre pittura di Zeusi di Eraclea, che lavorò anche nel santuario di Hera Lacinia. 

venerdì 4 settembre 2015

Trovato un pozzo oracolare al Kerameikos di Atene

Il pozzo utilizzato per l'idromanzia ritrovato nell'antico quartiere
ateniese del Kerameikos (Foto: ancient-origins.net)
Nel Kerameikos, nel centro di Atene, è stato scoperto un antico pozzo con iscrizioni riguardanti Apollo, il dio greco della profezia. Gli archeologi pensano che i veggenti che operavano nell'antico quartiere ateniese abbiano utilizzato questo pozzo per cercare di predire il futuro attraverso l'idromanzia, la consultazione delle acque.
Se così fosse, si tratterebbe del primo luogo conosciuto in Atene dove veniva praticata quest'arte divinatoria. Gli archeologi che qui lavorano sono dell'Istituto Archeologico Germanico. L'oracolo di Apollo del Kerameikos comprendeva anche un santuario ed era in uso durante il primo periodo romano della città. Apollo era qui adorato insieme alla sorella Artemide. Sulla parete del pozzo appena individuato comprare la scritta "Vieni da me Paean (epiteto comunemente riferito ad Apollo) e reca una profezia veritiera." Il sito conserva ben venti iscrizioni dello stesso tenore.
Il quartiere del Kerameikos era anche il luogo in cui si concentravano gli artigiani nonché un noto luogo di sepoltura fin dal 2700 a.C.. Il culto di Apollo e di Artemide indica la presenza di una dualità particolare: Apollo era famoso per essere un amante delle ninfe, protettore delle greggi e delle mandrie, patrono dei colonizzatori e dei fondatori di città. Artemide, invece, proteggeva le ragazze ed era una dea della caccia e della natura.
Mentre il Kerameikos ospitava l'unico oracolo di Apollo ad Atene, il dio aveva altre località dedicate, come Delfi, sul Monte Parnaso, dove Apollo si era insediato dopo aver ucciso il Pitone che proteggeva il luogo. A volte Apollo veniva chiamato Loxias, che significa "ambiguo", poiché i suoi messaggi risultavano piuttosto ambigui e difficili da interpretare.

giovedì 3 settembre 2015

Gli Egizi allevavano rapaci per offrirli agli dèi

La mummia di gheppio analizzata dagli specialisti
(Foto: Carina Beyer)
Gli scienziati hanno scoperto che gli antichi Egizi allevavano uccelli rapaci per offrirli agli dèi. L'utilizzo di immagini in 3D per l'analisi della mummia di un gheppio, hanno mostrato che l'uccello è morto per essere stato nutrito forzatamente. L'ultimo pasto, un topo, ha finito per soffocare l'animale.
L'archeologa Salima Ikram ha affermato che "L'idea di rapaci allevati per essere nutriti a forza e offerti agli dèi è una prospettiva nuova." E' comune trovare, in Egitto, animali mummificati: quest'anno gli archeologi hanno trovato una catacomba contenente otto milioni di cuccioli e di cani mummificati. La sepoltura si trova accanto al tempio di Anubi, la divinità egizia cinocefala.
I rapaci come il gheppio erano collegati al dio sole Ra. Questi uccelli venivano sventrati, essiccati e immersi in una resina fusa e avvolti in bende. L'autopsia virtuale effettuata sul gheppio recentemente rinvenuto dagli archeologi ha rivelato la morte per soffocamento dell'anima, a causa dell'ingestione forzata di un topo. Alcune tracce nello stomaco del rapace fanno pensare che l'animale abbia ingerito altri topi ed anche un passeraceo nel corso del suo ultimo giorno di vita. Il rapace, dunque, era allevato in cattività per essere trasformato in offerta votiva al dio sole.
Gli archeologi e i ricercatori sperano ora di identificare il sesso e il Dna degli uccelli offerti alle divinità egizie, al fine di comprendere meglio quali uccelli fossero allevati, il ruolo e l'allevamento dei rapaci.
Il contenuto dello stomaco del gheppio analizzato dai ricercatori (Foto: Stellenbosch Universitu)

Scoperto un sarcofago romano in Israele

Il coperchio del sarcofago ritrovato in Israele (Foto: Discovery.com)
Le autorità israeliane hanno recuperato un imponente sarcofago di epoca romana, che alcuni operai stavano tentando di occultare, dopo averlo trovato per caso durante i lavori per la costruzione di un edificio.
Il sarcofago risale a 1800 anni fa ed è uno dei più belli finora ritrovati nel Paese: è scolpito su entrambi i lati, pesa circa due tonnellate ed è alto 2,5 metri. Sul coperchio è scolpita una figura umana a grandezza naturale. Il sarcofago è stato trovato nella città costiera di Ashkelon, nel sud di Israele. Purtroppo gli operai del cantiere hanno danneggiato il reperto mentre tentavano di nasconderlo: l'hanno trascinato con un trattore fuori dal terreno di costruzione e poi nascosto sotto una pila di lamiere e tavole di legno. L'autorizzazione edilizia all'impresa era stata rilasciata a condizione che ogni scoperta archeologica effettuata nel terreno edificabile fosse stata comunicata.
Secondo l'archeologo Gaby Mazor il sarcofago venne realizzato per una potente e ricca famiglia romana. Sarcofagi del genere erano solitamente collocati nei mausolei di famiglia. L'alto livello della decorazione è indicativo del benessere di cui godeva la famiglia che l'aveva commissionato. A giudicare dai rilievi non si tratta di un'opera destinata a una famiglia ebraica. Il coperchio reca l'immagine di un uomo, forse il defunto, poggiato sul braccio sinistro. Indosso ha una camicia a maniche corte, con una tunica avvolta intorno alla vita. Gli occhi erano, un tempo, intarsiati di pietre preziose ora scomparse. Tutto intorno al sarcofago sono state scolpite immagini di ghirlande, teste taurine, amorini e una testa di Medusa.

martedì 1 settembre 2015

Mostrato per la prima volta il mosaico di Augusta Traiana

Il mosaico di Augusta Traiana con la processione dionisiaca. Sulla destra
è raffigurato Sileno che guida l'incedere di due Baccanti
(Foto: Stara Zagora District Governor's Office)
Il Museo Regionale di Storia della città meridionale bulgara di Stara Zagora ha mostrato, per la prima volta, un mosaico del IV secolo d.C. trovato tra le rovine dell'antica città romana di Augusta Traiana. Il mosaico raffigura una processione dionisiaca. Il mosaico è stato mostrato ai media e al pubblico durante una speciale cerimonia all'interno del Museo, a quattro anni dalla sua scoperta. Il restauro, infatti, è stato molto complesso ed ha richiesto molto tempo.
Il mosaico non comprende la raffigurazione di Dioniso ma, piuttosto, una parte del suo seguito tra i quali alcuni degli "attori" dei baccanali, tra i quali Sileno che, secondo la mitologia greca, era il tutore e il compagno di Dioniso. Nel mosaico Sileno guida due donne che danzano, le Baccanti.
Il mosaico della processione dionisiaca è stato trovato durante gli scavi di salvataggio della parte settentrionale di Augusta Traiana, nei pressi dei muri di fortificazione. Gli scavi in questione sono stati effettuati per tre anni consecutivi, dal 2009 fino al 2011. Il mosaico decorava, con tutta probabilità, un triclinio, la stanza da pranzo delle abitazioni romane. Quest'ultimo aveva una lunghezza di circa 10 metri ed era disposto in direzione est-ovest. Il mosaico ricopre una superficie di circa 30 metri quadrati.
Il mosaico mostra anche diverse sfumature di colori, che vanno dal blu al rosso, al rosa, al rosso scuro. L'artista che l'ha composto ha utilizzato la tecnica dell'opus tessellatum ed aveva una particolare abilità nell'usare i diversi toni dei colori per rendere visibili le pieghe dei vestiti della Baccanti.
In base alla stratificazione rilevata ad Augusta Traiana, il mosaico è stato datato al IV secolo d.C., probabilmente all'epoca dell'imperatore Giuliano l'Apostata (360-363 d.C.). Petar Kalchev, direttore del Museo Regionale di Stara Zagora, e gli archeologi Dimitar Yankov e Maria Kamisheva hanno descritto il mosaico come un pezzo eccezionale di arte romana.
I pavimenti musivi nelle case dei patrizi romani, cominciarono ad essere utilizzati all'inizio del IV secolo d.C., un'epoca in cui si rafforzavano le difese della città a causa delle invasioni barbariche, in cui i templi pagani venivano distrutti e venivano costruite le prime chiese.
Il mosaico della processione dionisiaca è solo uno di una serie di antichi mosaici romani rinvenuti durante gli scavi di Augusta Traiana. Quest'ultima, nella tarda antichità, era conosciuta con il suo nome originario di Beroe. Gran parte di Augusta Traiana venne distrutta dalle invasioni di Goti, Unni, Avari, Slavi e Bulgari che si succedettero tra il IV ed il VII secolo d.C.

Luxor: scoperta la tomba di un alto funzionario egizio

Un rilievo che mostra Padibastet che reca in mano dei fiori di loto (Foto: ahramonline)
Ad Assassif, nei pressi di Luxor, in Egitto, è stata scoperta la sepoltura di un alto funzionario della XXVI Dinastia, nel quadro del progetto di conservazione della riva occidentale di Luxor. La tomba è stata trovata, ha spiegato il capo del Dipartimento delle Antichità egiziano Mahmoud Afifi, all'interno della sepoltura di Karabasken, governatore di Tebe e quarto sacerdote di Amon durante la XXV Dinastia. Questa scoperta pone in evidenza che il funzionario Padibastet, che pare sia sepolto qui, usurpò la tomba la tomba di Karabasken.
Padibastet potrebbe essere stato sepolto in un pozzo all'interno del cortile o nella camera di sepoltura stessa di Karabasken. Una pulizia più approfondita delle diverse sezioni della tomba potrebbe portare alla scoperta del corpo dell'alto funzionario egizio. Padibastet era uno dei nipoti, fino ad oggi sconosciuto, del nobile Pabasa, la cui tomba si trova ad est di Assassif.
Sehetepibenra Padibastet, a volte riportato come Petubastis II, fu governatore di Tanis, nel Basso Egitto, durante la XXV Dinastia. Una sua statua è stata trovata a Menfi. Per breve tempo occupò la città di Menfi in seguito alla fuga del faraone Taharqa contro il re assiro Ashshurbanipal.
L'importanza della scoperta è quella di aver messo in luce la pianificazione delle tombe dei Nobili di questo periodo. I recenti scavi della missione egiziano-americana nella corte della tomba di Karabasken ha rivelato un gran numero di elementi architettonici e decorativi riferiti a Padibastet a dimostrazione del suo alto rango.

Piazza Municipio: emerge una quinta imbarcazione

Il cantiere di Piazza Municipio a Napoli (Foto: Vesuvionline.it)
Il numero delle antiche imbarcazioni trovate nel cantiere della nuova metropolitana di Napoli è salito a cinque. Nel 2003 è stata rinvenuta una barca lunga 10 metri datata al II secolo d.C.. Nel 2005 è stata riportata alla luce una seconda imbarcazione romana e un terzo relitto, tutti ritrovamenti che non fanno altro che confermare l'importanza del porto di Napoli in epoca romana. Un quarto relitto è stato rinvenuto nel medesimo cantiere negli anni seguenti.
La quinta imbarcazione emersa in questi giorni dagli scavi di Piazza Municipio ha, come le altre, l'estremità "a specchio", vale a dire non è sagomata come le barche attuali. Due imbarcazioni simili sono state rinvenute nel porto romano di Tolone, in Francia, ed una è emersa vicino Ostia. Secondo l'archeologa Daniela Giampaola "si tratta di due relitti che sembrano databili tra la fine del II secolo d.C. e gli inizi del III secolo d.C.". Ulteriori informazioni si avranno quando sarà completata l'operazione di scavo.
I battelli trovati nel 2005 sono lunghi circa 15 metri e trasportavano via mare alimentari e merci di vario tipo. Lo stato delle imbarcazioni induce a pensare che siano affondate in seguito ad una delle violenti mareggiate che colpirono il porto. Una volta recuperate si potrà accertare con quali legni siano state costruite.
Entro il 2016 il porto antico fiancheggerà la nuova stazione di Piazza Municipio con passerelle e musei che permetteranno di ammirare quanto è emerso dagli scavi.

Turchia, gli "inviti" di Antioco I di Commagene...

Turchia, l'iscrizione di Antioco di Commagene (Foto: AA) Un'iscrizione trovata vicino a Kimildagi , nel villaggio di Onevler , in Tu...