lunedì 29 agosto 2016

Perù, il cactus allucinogeno del fiume Chillon

Il cactus trovato dai ricercatori a Chuquitanta, in Perù
(Foto: RPP News/EFE)
Chuquitanta o El Paraiso sono i nomi moderni per un complesso archeologico monumentale che si trova nella valle del fiume Chillon, diversi chilometri a nord del centro di Lima. Il complesso è stato datato al Tardo Periodo Arcaico (3500-1800 a.C.).
La località venne scoperta da Louis Stumers nel 1950. Nel 1965 Frederic Engel condusse qui una serie di esplorazioni che permisero l'individuazione di otto edifici sparsi su un'area piuttosto vasta, che fa pensare ad un grande complesso architettonico, il più grande dell'antico Perù. Il primo progetto di investimento pubblico iniziò, qui, il 24 dicembre 2012. Il sito venne scavato in cinque settori e gli archeologi scoprirono che che era composto da 12 piramidi in totale, distribuite su un'area piuttosto estesa.
Il 15 gennaio 2013 gli archeologi portarono alla luce quello che battezzarono il Tempio di Fuoco, che somiglia con gli edifici che si trovano a Caral e Kotosh, peraltro contemporanee. Le successive esplorazioni del sito e le conseguenti analisi dei reperti hanno permesso di stabilire che gli abitanti del luogo si nutrivano prevalentemente di erbe selvatiche quali l'amaranto, le patate, la zucca, la carruba e il cactus. Quest'ultima era, molto probabilmente, una specie con caratteristiche allucinogene, di circa 30 centimetri di lunghezza. Ne sono state trovate tracce negli scavi e sicuramente veniva impiegato nel corso di cerimonie rituali. Il cactus era anche importante per i ricercatori poiché non hanno trovato resti ceramici nelle vicinanze dello scavo e sono stati costretti a concentrare la loro ricerca sui rifiuti prodotti dall'attività umana per saperne di più sulla vita degli antichi abitanti del luogo.
Oltre alle piante di cactus, i ricercatori hanno trovato una fionda costruita con materiale vegetale e un bastone o mazza in pietra che parlano di conflitti che dovevano aver luogo nelle vicinanze.

Fonte:
ancient-origins.es

domenica 28 agosto 2016

Presto visitabile l'anfiteatro romano di Genova

Il pozzo ricavato all'interno dell'anfiteatro romano di Genova
(Foto: genova.erasuperba.it)
Nei prossimi mesi il sito archeologico che a Genova ospita i resti dell'anfiteatro romano del I secolo a.C. sarà aperto al pubblico in occasione della rassegna Mura e del Festival della Scienza. Il 23 e 24 settembre l'anfiteatro sarà la scenografia di una performance artistica. I lavori di scavo, però, dovrebbero proseguire al fine di rendere questa incredibile testimonianza storica parte integrante del patrimonio culturale di Genova.
Un sito forse non troppo noto, sconosciuto anche a moltissimi genovesi stessi, nascosto dal cemento della ricostruzione urbana che ha toccato il Centro Storico nei decenni scorsi, che però racchiude una grande testimonianza della storia millenaria della Superba. Scoperto per caso nel 1992, come spesso accade, durante i lavori dei cantieri per la costruzione dei soliti box auto interrati, tra piazza delle Erbe, salita Re Magi e vico del Fico: gli scavi, durati fino al 1996, portarono alla luce una ventina di metri del muraglione che cingeva il campo dell'arena, e poco distante un pozzo in pietra, risalente al IV secolo d.C., oltre a numerose opere murarie medioevali.
Il sito fu inglobato e coperto dalle strutture che portarono alla nascita dei Giardini Luzzati, a due passi da piazza delle Erbe, ma mai aperto definitivamente al pubblico. "Grazie a Piera Melli, l'archeologa che curò gli scavi per la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Liguria - racconta Ferdinando Bonora, responsabile dell'area archeologica per l'associazione Giardini Luzzati e Cooperativa Archeologica - questo sito è stato salvato e in parte predisposto per l'apertura al pubblico: un anfiteatro non grande, costruito con terrapieni e strutture in legno ubicato in quella che allora era una zona esterna alla città, ma decisamente importante perché testimonia una parate importante della storia di Genova". Poche, infatti, sono le vestigia romane ancora riconoscibili in città, inglobate in altri edifici o demolite per costruire nuove strutture.
L'anfiteatro di Genova (Foto: genova.erasuperba.it)
Il piccolo anfiteatro (che vantava un'ellisse con gli assi di 60 e 40 metri), secondo le ricostruzioni, doveva servire ad intrattenere o allenare le guarnigioni di servizio in loco e venne ricavato sfruttando la naturale pendenza del terreno. Già nel IV secolo d.C., però, cadde in disuso, come testimonia la presenza del pozzo in pietra, collocato proprio sul perimetro dell'arena e probabilmente costruito per approvvigionare i campi o abitazioni che nel frattempo avevano preso il posto dell'edificio romano. Alcuni rilievi hanno trovato traccia di vegetali "acquatici", cosa che probabilmente testimonia la presenza di acquitrini o paludi.
Fu l'acqua, quindi, che probabilmente mise sotto pressione la struttura romana, danneggiandola; e la stessa acqua che oggi minaccia il sito archeologico: "Le strutture di cemento che circondano questa area non sono mai state rifinite - sottolinea Bonora, che ha guidato Era Superba alla scoperta di questo luogo - e sono molte le infiltrazioni e le perdite, anche fognarie, che talvolta allagano parte del terreno. Stiamo lavorando per rendere visitabile e fruibile questo sito, ma il Comune di Genova deve fare la sua parte". Oggi tutta l'area, di proprietà del Comune di Genova, è in gestione all'Associazione Giardini Luzzati che, in collaborazione con l'associazione Ce.Sto, la Cooperativa Archeologica Genova e il Teatro della Tosse, recentemente ha visto riassegnarsi la concessione per il prossimo triennio.

Fonte:
genova.erasuperba.it

sabato 27 agosto 2016

Trovato un sarcofago a Luxor

Il sarcofago di Karabasken (Foto: english.ahram.org.eg)
Durante i lavori di pulizia e scavo nella tomba di Karabasken, personaggio di spicco alla corte dei faraoni della XXV Dinastia, tomba posta sulla sponda occidentale del Nilo, è stata scoperta la camera funeraria e il sarcofago dell'uomo.
Il sarcofago è un esempio unico di sarcofago cuscita, in granito rosso, e non reca incisioni di alcun genere. Elena Pischikova, direttore della missione archeologica che qui opera, ha spiegato che la camera sepolcrale è stata trovata per caso durante i lavori di scavo effettuati in una delle stanze che compongono la tomba di Karabasken. La base e il coperchio del sarcofago presentano un foro praticato intenzionalmente, la prova di due tentativi di penetrare all'interno del manufatto già nell'antichità. L'interno del sarcofago si riempì di acqua dopo il primo tentativo di forzare il coperchio, si spera che ulteriori lavori di pulizia potranno mostrare se vi siano ancora frammenti della bara in legno o di altre attrezzature collegate alla sepoltura e conservati al suo interno.

Fonte:
english.ahram.org.eg

Turchia, un giocattoli di 4200 anni fa...

Il sonaglio trovato nel sito archeologico di Acemhoyuk, in Turchia (Foto: IHA)
Un giocattolo di 4200 anni fa, simile ad un moderno sonaglio, è stato scoperto presso il sito archeologico, in fase di scavo, di Acemhoyuk, nella Turchia centrale. Il Dottor Aliye Oztan, responsabile dello scavo presso il sito, ha affermato che il sonaglio è uno dei reperti più interessanti finora ritrovato in uno strato risalente al 2200 a.C.
Il sonaglio ha la forma di una borsa e, probabilmente, aveva anche una maniglia. Il giocattolo ha, al suo interno, dei piccoli frammenti di pietra che producono rumore quando l'oggetto viene scosso. Si tratta di uno dei più antichi esempio di giocattolo. Con il sonaglio sono stati trovati altri oggetti: una collana in osso, aghi di metallo e tazze.

Fonte:
dailysabah.com

Coppa persiana in Siberia

Frammento della coppa  (Foto: YANAO)
E' stato trovato un frammento di coppa in bronzo e parte di un coltello ugualmente in bronzo, provenienti dall'attuale Iran, in Siberia dagli scienziati che stavano monitorando il permafrost sulla penisola di Gyda. Il ritrovamento è avvenuto presso il mare di Kara, una località nel nord.
Manufatti del genere sono emersi nella Siberia occidentale, ma mai finora nel nordest. L'erosione del vento nella zona dove è presente il permafrost che si sta sciogliendo, ha permesso di rivelare la coppa. Si tratta, dunque, di una scoperta casuale.
La coppa è di colore turchese ed è stata probabilmente portata in Siberia circa 200 anni dopo che venne forgiata, intorno al X o XI secolo. Il Dottor Arkady Baulo, dell'Istituto di Archeologia ed etnografia di Novosibirsk, ha affermato che nel VI e VII secolo d.C., iniziarono a comparire dei mercanti nella regione superiore del fiume Kama che commerciavano in trichechi e pellicce. Gli oggetti persiani portati dai mercanti hanno assunto, all'epoca, un significato rituale per i popoli nativi di Khanty e Mansy. Questi oggetti vennero conservati in luoghi sacri e vennero considerati come doni degli dei e degli spiriti.
I piatti in bronzo furono utilizzati per servire il cibo cerimoniale per gli dei durante le feste. La spedizione ha studiato una zona piuttosto vasta vicino al lago Parisento, gli scienziati hanno installato apparecchiature di monitoraggio per gli studi del permafrost e confrontato i dati che hanno registrato con le informazioni raccolta nella stessa località 25 anni fa.

Fonte:
The Siberian Time

venerdì 26 agosto 2016

Trovate 87 sepolture ad Aquileia

La necropoli venuta alla luce ad Aquileia (Foto: ilgazzettino.it)
Importantissime scoperte nel Sepolcreto di Aquileia, l'unico tratto della necropoli romana ancora visibile nell'antica città e uno dei meglio conservati nell'Italia settentrionale. Ben 87 tombe sono state infatti riportate alla luce nel corso dei lavori condotti dalla Fondazione Aquileia, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologica, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, per riportare all'antico splendore  5 recinti, appartenuti ad altrettante famiglie, e i monumenti funerari, scavati da Giovanni Brusin tra il 1939 e il 1940 assieme a 67 tombe, restaurati e integrati con parti in cemento in piena seconda guerra mondiale, nel 1942. Altre 15 tombe furono individuate e recuperate da Lisa Bertacchi nel 1988.
"Estremamente importante è il contributo scientifico di questo scavo archeologico che permetterà di ricavare nuovi dati relativi alle diverse tecniche di sepoltura e alla storia stessa dell'area - dice Paola Ventura, archeologo funzionario di zona della Soprintendenza - Sorto su un importante riporto di materiale da distruzione edilizia, il Sepolcreto ha avuto lunga durata, almeno dal I al III secolo d.C., ed ha visto diversi mutamenti nei piani d'uso; è stato innanzitutto interessante notare le sovrapposizioni delle diverse tipologie delle tombe, ma anche la presenza di apparati più complessi, come l'uso di anfore come segnacoli o apprestamenti per libagioni di incinerazioni sottostanti."
La prima fase dei lavori ha permesso di riconoscere i livelli raggiunti dagli scavi precedenti completando il recupero delle tombe, alcune delle quali erano state già saccheggiate. Il successivo scavo ha riguardato 28 inumazioni, di cui una doppia, per lo più a fossa, ma con evidenza della presenza di casse lignee, o in cassa litica o di laterizi, con resti antropologici di cui è stata effettuata un'analisi per la determinazione di sesso, età, eventuali patologie. La presenza di un feto e di una deposizione prona è stata particolarmente attenzionata. In alcuni casi sono stati rinvenuti anche resti dei calzari.
"Molto interessanti - sottolinea la Dottoressa Ventura - i corredi delle sepolture a incinerazione dove sono state rinvenute diverse coppette in ceramica a pareti sottili, sigillata, ceramica comune di provenienza orientale, lucerne bollate, balsamari in vetro. Per i resti, deposti in cassetta, ancora, olla litica o fittile o in vetro, si è proceduto al recupero del cinerario per proseguire lo scavo in laboratorio, dove sarà possibile procedere all'analisi dei resti ossei e dei corredi. Un dato di eccezionale interesse, infine, è emerso dal recinto II, ricavato successivamente in uno spazio di risulta tra il I e il III, preesistenti: ultimato l'asporto delle sepolture, è stato messo in luce un cospicuo livello di ceramica e resti ossei animali, probabilmente testimonianza dei riti che venivano svolti nelle aree funerarie".

Fonte:
ilgazzettino.it

L'ultima dimora di Vel figlio di Larth

La tomba a casetta recentemente scoperta a Norchia (Foto: tusciaweb.eu)
Celata per secoli dalla vegetazione, è tornata alla luce e pian piano al suo antico splendore. E' la tomba a casetta di Vel, nella necropoli di Norchia. Per raggiungerla bisogna attraversare sentieri tortuosi e scoscesi, immersi nella natura selvaggia e incontaminata.
La tomba del IV secolo a.C. è uno dei pochissimi esemplari a forma di casa. Nella Tuscia ce ne sono una decina: Tuscania, Blera, Barbarano Romano, Castro e ora Norchia. A scoprirla Mario Sanna e Luciano Ilari di Archeotuscia. Partiti i lavori di recupero. Se ne sta occupando un team di esperti, tra cui l'archeologa Simona Sterpa. "Norchia - spiega - è da sempre saccheggiata dai tombaroli, che depredano e disperdono l'eccezionale patrimonio artistico e archeologico".
Appetibile preda è stata anche la tomba di Vel. Almeno in parte. Durante i lavori di ripulitura è stata fortunatamente trovata parte del corredo funerario: 17 vasetti in ceramica e un raschietto in bronzo. Gli oggetti sono conservati al museo nazionale della rocca Albornoz.
La tomba a casetta è dell'etrusco Vel, figlio di Laris (o Larth). Lo rivela un'iscrizione incisa sulla finta porta della tomba che, realizzata in tufo, ha la forma di una vera e propria casa etrusca. L'obiettivo era quello di riprodurre nel mondo dei morti l'abitazione in vita del defunto. Un corridoio scavato nella terra fa accedere alla camera funeraria. In 13 metri di lunghezza e quasi otto di larghezza, sono stati trovati più di 50 sarcofagi, per la precisione 55. Una vera e propria rarità. E' probabile che la tomba sia stata utilizzata per la sepoltura dell'intera famiglia di Vel o riutilizzata in epoca successive, come in quella romana.
L'interno della tomba appena scoperta (Foto: tusciaweb.eu)
L'area si trova sulla vallata del torrente Biedano, nella parte nordorientale della necropoli di Norchia e alle falde del pianoro del Casalone. "L'obiettivo - dice il sindaco di Viterbo Leonardo Michelini. - è rendere accessibile la tomba di Vel. Stiamo pensando ad un percorso guidato che porti anche alle altre necropoli della zona: come quella Lattanzi o quella dorica. La valorizzazione e la bonifica dell'area sarà il primo passo per la riapertura di Norchia, una zona unica dall'inestimabile interesse storico e naturalistico."
I lavori inizieranno a breve. "Il sito verrà aperto entro l'autunno - sottolinea Michelini - Entro agosto, invece, quantificheremo la spesa necessaria all'intervento. Poi passeremo alla ricerca di sponsor e mecenati, sia privati che pubblici". Centinaia di tombe popolano Norchia, un patrimonio unico al mondo. A lavorare alla tomba a casetta la soprintendenza, Archeotuscia e il trust Sostratos. E' stato quest'ultimo a finanziare il recupero.

Fonte:
tusciaweb.eu

Trovata un'iscrizione etrusca in Toscana

La superficie calcarea iscritta con caratteri etruschi che
fanno riferimento alla dea Uni
(Foto: Mugello Valley Project)
Gli archeologi che stanno traducendo un'iscrizione molto rara trovata in un antico tempio etrusco, hanno individuato il nome della dea Uni. Questa scoperta indica che Uni, divinità della fertilità e divinità titolare del santuario, era venerata nel santuario di Poggio Colla, un insediamento chiave in Italia, non lontano da Firenze.
Quella che si sta traducendo è forse la più lunga iscrizione in lingua etrusca mai scoperta su pietra, ha dichiarato l'archeologo Gregory Warden, professore emerito presso la Southern Methodist University di Dallas. L'iscrizione sarebbe un testo sacro.
Gli scienziati hanno scoperto quest'iscrizione incisa su una pietra incorporata nel muro di un tempio a Poggio Colla. Nello scavo sono stati trovati molti altri oggetti etruschi, tra i quali un frammento di ceramica con la raffigurazione di un parto, la prima del genere nell'arte europea. Gli esperti in lingua etrusca stanno ora studiando la lastra, che pesa circa 500 chilogrammi, che è particolarmente interessante anche perché è difficile trovare il nome di una divinità etrusca inciso. Si pensa che il testo sia una sorta di programma di prescrizioni interne al santuario, una prescrizione relativa alle cerimonie che vi si svolgevano. Il testo presenta 120 caratteri ed i glottologi si aspettano di scoprire parole nuove e indizi sulla grammatica etrusca.
La lastra in arenaria recante l'iscrizione risale al VI secolo a.C. e si trovava nelle fondamenta di un tempio monumentale, dove era stata sepolta ben 2500 anni fa. Probabilmente un tempo faceva bella mostra di sé all'aperto. Il testo è ora allo studio di due esperti di lingua etrusca, uno dei quali è l'epigrafista Adriano Maggiani, mentre l'altro è Rex Wallace, professore presso l'Università del Massachusetts.
 
Fonte:
pasthorizonspr.com


giovedì 25 agosto 2016

Scoperto un altro tunnel nell'antica Hattusa

L'ingresso del tunnel che si sta scavando ad Alacahoyuk, in Turchia
(Foto: donanimhaber.com)
Gli archeologi hanno annunciato la scoperta di un antico tunnel ad Alacahoyuk, uno dei centri più importanti dell'impero ittita, l'antica Hattusa. Il tunnel, secondo le prime stime, risalirebbe a 2300 anni fa ed era un passaggio segreto. Gli scavi sono condotti dal Professor Aykut Cinaroglu, dell'Università di Ankara, che coordina 24 ricercatori. Il tunnel è stato ritrovato durante i lavori ad un santuario iniziati nel 2014.
Attualmente sono stati scavati 23 metri del tunnel, ma gli archeologi pensano che sia più lungo. E' stata raccolta, all'interno del passaggio, una tavoletta cuneiforme in cui compare la figura di un re che impartisce delle istruzioni ad un gruppo di sacerdoti. Il Professor Cinaroglu pensa che questo tunnel potrebbe aver avuto una funzione sacra.
Il sito di Hattusa venne scoperto nel 1835 da W.C. Hamilton, ma i primi scavi regolari sono iniziati solo nel 1907, a cura dell'archeologo ottomano Makridi Bey. Gli scavi sono proseguiti fino al 1935. Hattusa è un sito pieno di tesori, menzionato più volte nei libri di storia a causa della ricca corrispondenza tra il re ittita ed altri sovrani tra cui i faraoni d'Egitto. Il sito ospita le tombe dei sovrani preittiti, vissuti nel 3000 a.C. ed ha restituito reperti eccezionali quali armi, contenitori d'oro e d'argento, gioielli, sculture in bronzo ed in argilla di animali, spille d'oro, fibbie per cinture.
Lo scorso anno gli archeologi hanno scoperto un altro tunnel segreto, costruito dagli ittiti circa quattro millenni fa, utilizzato fino in epoca selgiuchide (XI-XII secolo d.C.).

Fonte:
ancient-origins.net

martedì 23 agosto 2016

Il Neolitico in Germania...

La città di Osnabruck (Foto: K. Nowottnick)
Manufatti in rame di importanza nazionale sono stati scoperti nella città tedesca di Osnabruck. Si tratta di un ritrovamento unico in Germania, risalente al Neolitico.
Tra gli oggetti ritrovati vi sono gioielli ed un'ascia, tutti risalgono, molto probabilmente ad un periodo di tempo compreso tra il 2500 e il 2000 a.C. e sono stati trovati presso un cantiere edile in centro città. I ricercatori hanno detto che i manufatti sono stati realizzati con tecniche proprie dell'Europa sudorientale ed ora sperano di poter effettuare ulteriori analisi per stabilire se il metallo con il quale sono stati forgiati sia il più antico mai rinvenuto in Germania se non in Europa.

Fonte:
dw.com

La MInerva di Castro

Il busto di Minerva trovato a Castro (Foto: affaritaliani.it)
E' la statua di culto più alta della Magna Grecia, tre metri. Realizzata con un calcare finissimo, la "pietra leccese", è stata identificata come la dea Minerva. Probabile opera di un artista tarantino, forse di scuola lisippea, è datata IV secolo a.C. e rappresenta il torso acefalo di una figura femminile vestita con chitone e peplo, con il braccio sinistro levato a reggere, verosimilmente, un'asta. Sulla superficie della pietra si sono conservate perfino le tracce di un colore rosso che evidenzia, come un ricamo, i bordi della veste.
E' stata rinvenuta a Castro, la perla marina del Salento, grazie alle ricerche volute dal sindaco Alfonso Capraro e dal consigliere per la cultura Pasquale Rizzo. Era stata nascosta dai Romani in una tomba e perciò si era salvata dalle abituali pratiche religiose iconoclastiche di quei tempi. E' stata rinvenuta in un probabile santuario, che ora si sta cercando, con importanti lavori di scavo, di far emergere nella sua interezza. Si cercano in particolare la testa e il resto della statua. E' in mostra e va ad arricchire il bellissimo e già ricchissimo Museo Archeologico di Castro, ospitato nel Castello Aragonese. E conferma, come aveva scritto Virgilio, che tocca al piccolo centro salentino il prestigio di essere la prima città della penisola toccata idealmente dal mito di Enea.

Fonte:
affaritaliani.it

Cesarea Marittima, importante ritrovamento subacqueo

Alcuni degli oggetti recuperati dai fondali di fronte l'antica Cesarea Marittima, in Israele
(Foto: Clara Amit, Israel Antiquities Authority)
Tesori di epoca romana sono emersi dalle acque del porto di Cesarea Marittima, l'antica città costiera d'Israele. La spettacolare scoperta include una lampada in bronzo raffigurante il dio Sole, una statuetta della dea Luna, una lampada a forma di testa di schiavo africano, frammenti di tre statue in bronzo di grandezza naturale ed una statuetta di Dioniso.
Gli archeologi hanno anche recuperato due grumi metallici formati da migliaia di monete recanti le effigi degli imperatori romani Costantino e Licinio e che avevano mantenuto la forma dell'anfora che le conteneva. Secondo Jacob Sharvit, direttore dell'unità di archeologia subacquea della Israel Antiquities Authority, il carico proviene da quella che era, con tutta probabilità, una grande nave mercantile affondata circa 1600 anni fa. Il carico fornisce importanti indizi sul commercio dell'epoca che saranno presto resi pubblici.

Fonte:
archaeology.org

Mongolia, trovata la sepoltura di Gengis Khan?

Particolare della sepoltura trovata in Mongolia
(Foto: undergroundscience.net)
Dei lavoratori impiegati nella costruzione di una strada nei pressi del fiume Onon nella provincia mongola di Khentii, hanno scoperto una fossa comune contenente i resti di molte decine di esseri umani che si trovavano in una grande struttura di pietra rudimentale. Esperti forensi ed archeologi, chiamati immediatamente, hanno ipotizzato che possa trattarsi di una sepoltura reale del XIII secolo e non negano la possibilità che qui sia sepolto Gengis Khan.
Gli scienziati dell'Università di Pechino hanno concluso che i numerosi scheletri seppelliti nella parte superiore della struttura erano, con tutta probabilità, degli schiavi che contribuirono a scavare il tumulo e che vennero in seguito uccisi per mantenere il segreto sulla costruzione. Sono stati trovati anche gli scheletri di dodici cavalli, sicuramente sacrificati per accompagnare il Gran Khan nella morte.
Il contenuto della tomba è stato trovato gravemente deteriorato, probabilmente perché il sito è stato sotto il letto del fiume almeno fino a quando l'Onon non ha cambiato corso nel XVIII secolo. Al momento sono stati individuati i resti di un maschio di statura elevata e sedici scheletri femminili tra centinaia di manufatti in oro e argento e migliaia di monete. Probabilmente le donne erano le mogli e le concubine del capo qui sepolto, uccise per accompagnare il signore della guerra nel suo ultimo viaggio.
Il tumulo in cui sarebbe seppellito Gengis Khan
(Foto: undergroundscience.net)
La gran quantità di oggetti preziosi, il numero di animali e di persone sacrificate hanno indotto gli archeologi a considerare che il sito potrebbe essere stata la sepoltura di un signore della guerra mongolo. Dopo una serie di analisi, i ricercatori sono stati in grado di appurare che lo scheletro del titolare della tomba apparteneva ad un uomo di età compresa tra i 60 ed i 75 anni, che morì tra il 1215 ed il 1235 d.C.. Sia l'età che la data, il luogo e l'opulenza del sito confermano che la tomba appartiene a Gengis Khan.
L'importanza storica inconfutabile di Gengis Khan rende questa nuova scoperta una delle più importanti della storia dell'archeologia. Nato con il nome di Temujin (che significa "di ferro"), è stato il fondatore e il Gran Khan (imperatore) dell'impero mongolo. E' conosciuto per aver riunito le tribù in guerra della Mongolia e per aver lanciato alcune campagne militari in Cina, Asia Centrale, Medio Oriente ed anche Europa Orientale.
La sua eredità ha preso molte forme oltre alla conquista e si può trovare in giro ancor oggi, contribuendo a fare di Gengis Khan uno degli uomini più influenti nella storia umana. Mise in collegamento l'Oriente con l'Occidente attraverso la via della Seta, una via commerciale che sarebbe stata, per secoli, la rete principale del commercio e della cultura in Eurasia.

Fonte:
undergroundscience,.net

lunedì 22 agosto 2016

Segreti di antiche pievi venete...

L'affresco ritrovato nella pieve di San Martino a Clauzetto
(Foto: messaggeroveneto.geolocal.it)
Inattesa scoperta durante i lavori di restauro della pieve di San Martino a Clauzetto, in provincia di Pordenone. Sulla parete di fondo dell'abside è affiorato un Cristo in croce di buona fattura.
Un affresco inedito, raffigurante un Cristo in croce, presumibilmente databile ai primi del 1400, è stato rinvenuto con grande sorpresa nella parete di fondo dell'abside dell'antica pieve di San Martino, considerata la chiesa "matrice" di tutte le parrocchie della Pieve d'Asio, nate dalla sua disgregazione a partire dalla fine del 1800.
La scoperta è avvenuta nel corso dei lavori di restauro che da alcune settimane stanno interessando la chiesa situata in comune di Vito d'Asio in realtà facente parte della parrocchia di Clauzetto. Ne hanno voluto dare notizia ai fedeli e compaesani, al termine della celebrazione della messa in onore di San Rocco, il parroco della Val d'Arzino-Val Cosa, don Italico José Gerometta, e lo studioso di storia e cultura locale Vieri Dei Rossi, già artefice del rientro a casa della Pala di San Giovanni Battista realizzata da Odorico Politi.
Quest'ultima è una delle opere d'arte più preziose un tempo conservate nella parrocchiale di San Giacomo (in cui è custodita, dal 1755, la reliquia del Preziosissimo Sangue) e, a seguito del terremoto del 1976, trasferite al museo diocesano di Pordenone.
L'affresco è un'opera sconosciuta, riemersa nel corso della fase preparatoria dei lavori di consolidamento e restauro che stanno interessando la pieve. Lavori resi possibili grazie a fondi messi a disposizione della Fondazione Crup e dalla stessa parrocchia. La scoperta rimette in discussione la storia stessa della chiesa, quello che è sempre stato considerato un edificio di culto risalente al '500, in realtà farebbe parte di un nucleo precedente di almeno un secolo.

Fonte:
messaggeroveneto.geolocal.it

Sepolture siberiane e nativi Americani

La sepoltura della nobildonna siberiana e del bambino appartenenti alla
cultura Okunev (Foto: IIMK RAS)
Trovata, in Siberia, la sepoltura di una nobildonna di più di 4500 anni fa, che mostra collegamenti con i nativi Americani. Gli oggetti del suo corredo comprendono un bruciatore d'incenso decorato con simboli solari, 1.500 perline che adornavano la sua veste e 100 pendenti realizzati in zanne di diversi animali.
La nobildonna apparteneva alla cultura Okunev, il ritrovamento è stato effettuato nella Repubblica di Khakassia. La cultura Okunev è l'etnia siberiana più strettamente imparentata con in nativi Americani. Gli antichi Okunev utilizzavano barche primitive per avventurarsi oltre il ponte di terra ghiacciata di Beringia, circa 12600 anni fa. Questa cultura non aveva pari per ricchezza artistica e diversità culturale. La sepoltura della donna sembra non essere stata disturbata dai tombaroli e contiene anche i resti di un bambino.
Il bruciatore d'incenso rinvenuto nella sepoltura siberiana
(Foto: IIMK RAS)
Il capo della spedizione che ha fatto la straordinaria scoperta, Dottor Andrey Polyakov, ha affermato che la sepoltura risale alla prima Età del Bronzo, tra il 2500 e il 1800 a.C. Gli archeologi pensano che la donna abbia goduto, in vita di uno status speciale, come indicato da circa 100 pezzi d'osso di diversi animali, intagliati accuratamente e dal resto del corredo: due vasi con aghi di osso al loro interno, un coltello in bronzo e più di 1.500 perline che impreziosivano l'abito con il quale la donna è stata sepolta. Eccezionale è il bruciatore di incenso, poiché reca facce a forma di sole che richiamano l'arte rupestre recentemente scoperta in Siberia. Il bruciatore è in argilla ed è il ritrovamento più importante di tutti. Presto l'oggetto sarà esposto al Museo dell'Hermitage di San Pietroburgo.
La cultura Okunev deve il suo nome alla omonima località, nel sud della Khakassia, dove nel 1928 venne scavata la prima sepoltura di questo tipo. Le stele di Okunev, colonne di pietra antropomorfe di diversi metri di altezza, sono il monumento più noto attribuito a questa cultura. La parte superiore di ciascuna stele ha la forma di un becco d'uccello. La parte centrale è decorata con immagini di una o più creature antropomorfe, mentre la parte inferiore è simile alla bocca spalancata di un serpente.
Il Dottore Polyakov ha detto che "la cultura archeologica di Okunev è un fenomeno unico dell'inizio dell'Età del Bronzo della Siberia del sud. Abbiamo una quantità enorme di patrimonio artistico sotto forma di immagini-maschere intagliate o incise sulle rocce. Hanno uno stile speciale, che è una sorta di simbolo della cultura Okunev".

Fonte:
siberiantimes.com

domenica 21 agosto 2016

Sorprese sui fondali di Taranto

L'ancora litica trovata sui fondali di fronte Taranto (Foto: quotidianodipuglia.it)
Il sodalizio tra il sub Fabio Matacchiera e l'archeologo subacqueo Mario Lazzarini, con la consulenza di Patrizia Guastella, archeologa, ha portato ad altri straordinari ritrovamenti sui fondali del mare di Taranto, a largo di Marina di Pulsano.
Si tratta di evidenze archeologiche risalenti, pare, ad oltre 4000 anni fa: un'ancora litica, circolare/quadrangolare, con foro centrale, databile probabilmente ad un periodo tra il II millennio a.C. e l'età arcaica (VII-VI secolo a.C.). Nelle vicinanze dell'ancora è stato individuato quello che si pensa essere uno scandaglio o peso monetale in pietra, poi un altro ceppo litico di ancora riconducibile al periodo ellenistico

Fonte:
quotidianodipuglia.it

Matera, riapre la Cripta del Peccato Originale

Particolare della Critpa del Peccato Originale di Matera
(Foto: bari.repubblica.it)
A Matera è stata riaperta al pubblico la Cripta del Peccato Originale, nota per i suoi affreschi come la "Cappella Sistina del rupestre". La fondazione Zétema, proprietaria del sito, ha formalizzato il nuovo affidamento gestionale alla società cooperativa Synchronos.
La Cripta "è una delle più importanti chiese rupestri del territorio materano: per l'unicità dei suoi affreschi e la qualità degli interventi di restauro è divenuta tappa obbligata del turismo" nella città designata Capitale europea della Cultura per il 2019, si legge in una nota della fondazione Zétema. "Viene così restituito alla collettività lo straordinario monumento altomedievale che rappresenta una delle più antiche e significative testimonianze dell'arte nel Mezzogiorno d'Italia, poiché documenta il luogo cultuale di un cenobio rupestre benedettino del periodo longobardo".
La prenotazione è obbligatoria, le visite sono possibili dal martedì alla domenica nei seguenti turni: da aprile a settembre 9.30-11.00, 12.30-15.30 e 17-18.30; da ottobre a marzo 9.30-11 e 12.30-15.30. Il giorno di chiusura è il lunedì, tranne se festivo.
Panoramica della Cripta del Peccato Originale di Matera (Foto: bari.repubblica.it)


Fonte:
bari.repubblica.it

Riapre Villa La Quiete a Firenze

Dettaglio dell'Incoronazione della Vergine del Botticelli
(Foto: intoscana.it)
Grandi capolavori di Botticelli e Ghirlandaio rimasti nascosti al pubblico per anni tornano visibili a Villa La Quiete a Firenze, complesso monumentale sulla collina di Castello di proprietà della Regione Toscana, ma gestito in collaborazione con l'Università fiorentina. La mostra, che resterà aperta fino al 30 ottobre, è la prima parte di un percorso museale più ampio che sarà inaugurato nella primavera del 2017, con il riallestimento delle stanze dell'Elettrice Palatina: qui sarà collocata la porzione più consistente della quadreria presente nella villa.
Nel refettorio della Villa - già convento delle Montalve, ordine religioso dedicato a partire dal Seicento all'educazione delle giovani nobili - si possono così ammirare alcune grandi opere, come l'Incoronazione della Vergine e santi di Sandro Botticelli, lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di Ridolfo del Ghirlandaio e un crocifisso di Baccio da Montelupo.
"Con la decisione di creare un percorso museale per valorizzare l'ingente patrimonio culturale presente nella Villa - ha commentato il rettore dell'ateneo fiorentino, Luigi Dei - abbiamo voluto riaffermare, di comune accordo con la Regione, il principio dell'indissolubilità e dell'integrità della risorsa pubblica, che deve essere patrimonio dell'intera collettività."
"L'apertura dell'esposizione temporanea - ha affermato la vicepresidente della Regione Toscana, Monica Barni - rappresenta il primo passo per la valorizzazione e la fruizione del complesso di Villa La Quiete, straordinario sia per i capolavori che in esso sono contenuti, sia perché rappresenta un unicum di documentazione sulla pedagogia messa in atto dall'ordine delle Montalve. I recenti interventi di restauro realizzati dalla Regione Toscana permetteranno il riallestimento delle stanze dell'Elettrice Palatina e la definitiva apertura al pubblico della collezione."

Fonte:
intoscana.it

Cambridge, antiche scarpe apotropaiche

Le scarpe trovate in un muro dell'Università di Cambridge
(Foto: Cambridge Archaeological Unit)
Il 1° agosto, durante l'installazione di cavi elettrici in una sala comune al St. John College, uno dei collegi che compongono l'Università di Cambridge, è stata trovata una scarpa di pelle da uomo, corrispondente all'attuale misura 38 (la 6 del Regno Unito). La scarpa è stata trovata all'interno di una parete, tra un camino e una finestra, ha specificato l'archeologo Richard Newman di Cambridge. E' stata probabilmente collocata in quella posizione durante i lavori di ristrutturazione tra la fine del 1600 e la metà del 1700. "Data la sua posizione, è molto probabile che sia stata messa lì per svolgere un ruolo protettivo a favore del Maestro del Collegio", ha detto Newman. "Potrebbe anche essere stata una delle sue scarpe".
La pratica di nascondere le scarpe nelle pareti è una tradizione che risale almeno al 1300, secondo il Northampton Museums & Art Gallery, che mantiene un database di circa 2.000 scarpe nascoste e ritrovate a partire dal 1950. Secondo tale censimento sono state rinvenute in molti paesi europei, in Australia e in nord America. La maggiore concentrazione è stata rilevata nel New England e negli stati nordorientali che furono colonizzati originariamente da popolazioni provenienti dalla regione dell'East Anglia, in Inghilterra.
Le calzature nascoste, secondo una superstizione, scongiurano gli spiriti maligni, forse perché le scarpe hanno assunto la forma del piede del proprietario e, pertanto, contengono un pò del suo spirito. La scarpa che veniva tipicamente nascosta era quella di un bambino, molto usata, di solito nascosta in un camino, una parete o sul tetto.
Quella ritrovata a Cambridge è una scarpa sinistra che misura circa 24 centimetri di lunghezza. Era stata indossata abbastanza a lungo da presentare un buco nella suola, ma è complessivamente ben conservata. E' stata trovata nella zona della Seconda Corte del collegio, in una stanza dove gli accademici senior spesso si ritrovano a consumare il pranzo. L'edificio in questione è stato completato nel 1602, ma gli archeologi pensano che la scarpa sia stata posta più tardi, durante la fase di ristrutturazione degli interni.
Le scarpe occultate sono un esempio di gesto apotropaico, un gesto magico con lo scopo di scongiurare il male e la sfortuna. Sono state trovate scarpe nascoste anche in un monastero svizzero e in un manicomio del Northamptonshire. Una è stata ritrovata nell'Hampton Court Palace sul Tamigi. E' stata trovata una scarpa nascosta dietro il coro della cattedrale di Winchester, dove fu posta nel 1308, e anche in quella di Ely, in Inghilterra e in una chiesa battista nel Cheshire.

Fonte:
livescience.com

Riapre la villa di Nerone a Subiaco

Resti della villa di Nerone a Subiaco (Foto: subiacoturismo.it)
Della grande villa imperiale voluta da Nerone nei suoi primi anni di regno (54-55 d.C.) nel territorio di Subiaco, in un'area ricca di vegetazione tra i monti Taleo e Francolano, lambita dal fiume Aniene, rimangono modeste vestigia, ma sufficienti a dare l'idea della monumentalità del complesso: una splendida dimora che si estendeva su una superficie di circa 75 ettari, 15 i più della parte scavata di Villa Adriana a Tivoli.
La scelta del luogo sublacense era legata ai bagni freddi che erano stati prescritti a Nerone dal medico Chamis, secondo quanto racconta Plinio. Si ignorano i nomi degli architetti che progettarono il complesso.
La villa, nota come villa Sublaqueum (sotto il lago), fu costruita sulle rive di tre laghi artificiali, ottenuti con lo sbarramento in tre punti della valle e la realizzazione di altrettante dighe. A destra e sinistra dei tre laghi denominati simbruina stagna, scomparsi dopo una piena del 1305, si levarono i padiglioni della villa, lungo una superficie d circa 2 chilometri e mezzo. I padiglioni erano uniti tra loro da un grande ponte di marmo. Il complesso si articolava su due livelli: una scala, della quale non resta nulla, conduceva ai piani superiori. Tutti gli ambienti, in opera reticolata di calcare locale con ammorsature in blocchetti di tufo, sono privi dei pavimenti originali, asportati in epoca medioevale.
Uno di questi nuclei, il cosiddetto nucleo A, nella zona di San Clemente, grazie a recenti lavori di restauro condotti dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio con la collaborazione del Comune di Subiaco, viene aperto al pubblico in tutti i week end di agosto e settembre 2016. In località San Clemente, sulla riva destra dell'Aniene, si trova infatti le tracce più evidenti particolarmente interessanti perché riguardano il nucleo della villa che San Benedetto utilizzo per costruire la casa-madre, il primo dei monasteri da lui fondati.
Particolare delle antiche mura della villa di Nerone
(Foto: italiavirtualtour.it)
L'area di 1400 mq fu parzialmente scoperta nel 1883 e portata alla luce tra il 1994 e il 1999. Rimane isolata, nel punto più alto, solo una cisterna rettangolare, mentre più in basso ci sono una ventina di ambienti circondati da un corridoio che li stacca dalla roccia. Non è ancora chiaro quale fosse la funzione dei diversi ambienti, sicuramente cinque di essi fungevano da terme: sono stati individuati un locale per il bagno caldo e la relativa camera di combustione. Un altro vano rettangolare corrisponde ad un ninfeo ed è stata individuata anche una vasca ellittica in cui probabilmente venivano allevati pesci. L'individuazione della destinazione d'uso di questi locali è stata facilitata anche dalla presenza di rivestimenti in signino e da fori per il deflusso delle acque.
L'efebo di Subiaco
La villa imperiale era raggiungibile attraverso la via Sublacense, progettata dallo stesso Nerone il quale, però, non si trattenne molto dopo il nefasto episodio - narrato da Tacito negli Annales - della caduta di un fulmine su un tavolo dove stava banchettando. La villa venne abbandonata nel 60 d.C. e solo durante il regno di Traiano venne in parte ristrutturata. Tutte le dighe crollarono durante il medioevo. Nei nuclei della villa situati più in alto, rinvenuti nel 1883-1884, furono ritrovate due statue: l'Efebo di Subiaco, del IV secolo a.C., e una testa di fanciulla dormiente, conservata nel Museo Nazionale Romano.
La villa venne restaurata non solo da Traiano, ma anche da Costantino e Valentiniano e la menzione di Sublaqueum nella Tabula Peutingeriana attestano che ancora nel basso impero Subiaco era un centro importante. I primordi del cristianesimo nella zona, oltre che da un cippo graffito con croce latina ansata, del II secolo d.C., sono stati definitivamente chiariti dalla scoperta, nei primi anni '60, di due catacombe con graffiti di fine III-inizi IV secolo, rinvenute alla sinistra dell'Aniene in località Surriva, vicino al nucleo C della villa neroniana, trasformatosi in borgo in epoca tarda.
I dati archeologici confermano, inoltre, la tradizione secondo cui San Benedetto fondò il primo monastero benedettino sul nucleo A della villa neroniana. Il Chronicon sublacense ci informa che questo primo monastero sopravvisse fino al XIII secolo, quando fu distrutto da un terremoto. I marmi neroniani del monastero furono dispersi e in parte utilizzati per la costruzione dell'Abbazia di S. Scolastica, dove ancora oggi si vedono, usati un pò dovunque.
Ecco i cicli di aperture in agosto e settembre 2016 secondo un programma di aperture regolato dall'associazione Ethea che garantisce l'accoglienza e le visite guidate. Il sito, riaperto ufficialmente il 6 agosto, apre il 20, il 21, il 28 e il 29 agosto. A settembre il 4, l'11 e il 18. Gli orari sono: 10.30-13.30 e 14.30-17.30.

Fonti:
archeologiavocidalpassato.wordpress.com
tibursuperbum.it
treccani.it

sabato 20 agosto 2016

Antichi indiani in Kashmir

L'antica sezione individuata nel Kashmir da archeologi indiani
(Foto: PIB)
Archeologi indiani hanno scoperto un antico sito risalente al IX millennio a.C. nel terreno accidentato del Ladakh, nel Kashmir. Il sito si trova a circa 4.300 metri sul livello del mare, sulla strada per La Saser ed è stato individuato durante l'esplorazione della valle di Nubra.
Si tratta di una piccola zona pianeggiante posta tra cime innevate, dove il terreno è arido e dove l'unico corso d'acqua è un ruscello che scorre attraverso gole profonde. I ricercatori hanno raccolto un campione di carbone e l'hanno inviato ad un laboratorio di analisi in Florida per la datazione al radiocarbonio. I risultati sono stati davvero sorprendenti. In considerazione della straordinarietà della scoperta, una squadra di alti funzionari, archeologi e ricercatori ha ispezionato la località nello scorso mese di luglio, al fine di valutare la possibilità di condurvi ulteriori ricerche archeologiche. Durante quest'ispezione, sono stati raccolti altri campioni di carbone e alcuni frammenti di ossa.
Due dei campioni di carbone di legna rinvenuti in depositi superiori e inferiori rispetto al sito, hanno fornito le prove che effettivamente quanto rimane del passato risale ad un periodo compreso tra il 10500 a.C. e il 9300 a.C.. Queste date hanno confermato la datazione precedente e suggeriscono, inoltre, che l'attività umana è continuata qui per almeno 800 anni. Studi preliminari sulle ossa carbonizzate raccolte sul posto, hanno rivelato che esse appartengono a yak.

Fonte:
Deccan Herald

L'isola di Iona prima di San Colomba

Il monastero sull'isola di Iona (Foto: pressandjournal.co.uk)
E' stato uno dei centri del monachesimo gaelico per quattro secoli e la casa di San Colomba, ma ora è stato scoperto che in passato qui vi era un villaggio preistorico. Si tratta di un luogo sull'isola di Iona, in Scozia. Sono tornati alla luce ceramiche, pietre focaie ed altri materiali preistorici che potrebbero retrodatare la storia dell'isola di più 2500 anni.
Gli oggetti rinvenuti, molto più antichi dell'epoca di San Colomba (563 d.C.), sono emersi durante gli scavi per ingrandire l'edificio scolastico dell'isola. L'isola di Iona è prevalentemente nota per il monastero fondato dal monaco Colomba, in gaelico irlandese Colm Cille, "colomba della Chiesa", che era stato esiliato dalla natìa Irlanda.
Un gruppo di archeologi hanno individuato due diversi tipi di costruzione al di sopra dei resti del villaggio originale e una sorta di recinzione prima d'ora sconosciuta, vicino la scuola. Proprio questo muro difensivo potrebbe riscrivere la storia dell'isola, retrodatandola nel tempo. Alcuni dei resti risalgono al VII-VIII secolo d.C. e sono quanto rimane di un terrapieno e di un fossato che appartengono, con tutta probabilità, al confine del monastero, mentre i terreni sottostanti recano tracce evidenti della tarda Età del Bronzo o dell'Età del Ferro.

Fonte:
The Press and Journal

I misteri di Gobekli Tepe

Il "recindo D" di Gobekli Tepe (Foto: diversi fotografi DAI)
Il sito di Gobekli Tepe è stato soprannominato "uno zoo dell'età della pietra" dal chi l'ha scoperto per ultimo, Klaus Schmidt. Si tratta di un soprannome quanto mai appropriati, poiché la gamma degli animali raffigurati è impressionante: orsi, cinghiali, serpenti, volpi, gatti selvatici, uri, gazelle, rettili, uccelli, ragni, insetti, scorpioni e molti altri.
I recinti di Gobekli Tepe mostrano varie specie animali nell'iconografia di ogni cerchio: in alcuni prevalgono i serpenti, in altri le volpi, in altri ancora i cinghiali. Questa varietà di raffigurazioni riunite in gruppi di animali uguali sembra suggerire che vi furono differenti gruppi umani che operarono all'edificazione di questo straordinario luogo. Gli animali e i recinti potrebbero aver rappresentato le diverse componenti sociali di questi antichi gruppi umani.
La composizione di questi gruppi umani è tuttora in discussione, ma esistono degli indizi. A Gobekli Tepe sembra esserci stata una sorta di restrizione alla partecipazione e soprattutto alla conoscenza degli antichi rituali religiosi. E' significativa la mancanza di alcuni oggetti quali punteruoli d'osso, il che porta a pensare che i vari recinti figurati fossero creati altrove. Mancano completamente statuette d'argilla, differentemente da quanto trovato a Nevali Cori, dove le figurine in argilla sono abbondanti malgrado sia assente un vero e proprio edificio di culto.
I recinti nell'area di scavo principale con gli animali prevalenti in
ciascuno di essi (Foto: fotografi diversi DAI)
Quindi le figurine d'argilla e le sculture in pietra possono essere considerati due diversi gruppi funzionali, uno collegato allo spazio domestico, forse inerente il culto, e l'altro proprio degli edifici cultuali veri e proprio. Per quanto riguarda Gobekli Tepe è stato notato che le iconografie richiamano esclusivamente il mondo maschile e si è dedotto, considerando anche la presenza degli elementi su citati, che il sito doveva essere riservato solo ad una parte della compagine umana che viveva in quest'area, quella dei cacciatori maschi, poiché è a loro che sembra far esclusivo riferimento l'iconografia dei recinti.
Gli archeologi non hanno ancora una risposta alla domanda se tutti i cacciatori maschi avevano accesso al sito. Molti pensano che inizialmente queste strutture litiche dovevano essere in gran parte sotterranee, accessibili dall'alto, quasi del tutto insignificanti all'esterno. E' possibile, pertanto, che solo una piccola parte della società dell'epoca potesse avervi accesso. Nell'iconografia di Gobekli Tepe sono presenti diversi animali feroci e questo potrebbe alludere all'aldilà, soprattutto se le strutture erano parzialmente interrate, delineando una primissima credenza religiosa nella morte simbolica e nella rinascita dell'iniziato, che potrebbe essere stata uno degli scopi per i quali venne costruita Gobekli Tepe.

Fonte:
tepetelegrams.wordpress.com

giovedì 18 agosto 2016

Ravello, vacanze romane...

Le strutture scoperte a Ravello (Foto: ilvescovado.it)
Nuova scoperta archeologica a Ravello nei pressi di Villa Rufolo. In occasione dei restauri di alcuni ambienti privati attigui alla residenza medioevale della maggiore famiglia patrizia di Ravello, sono emersi alcuni ambienti interrati di grosso interesse. Ne è sicura la topografa e archivista ravellese Maria Carla Sorrentino che identifica l'ambiente in un calidarium, un bagno già in epoca romana e poi nella civiltà araba, adibito a sauna, facente parte, in origine, del complesso della villa.
"Il fulcro del nuovo esercizio commerciale è sicuramente il piccolo ambiente che si apre ad una quota più bassa rispetto al pavimento dei due locali più ampi - spiega l'archeologa - L'ambiente, a pianta rettangolare con copertura a volta, con un ingresso dalla zona dei locali e una profonda vasca, separata da un'apertura ad arco, sul lato nord, ha rivelato una bella sorpresa che deve essere emersa in occasione di precedenti lavori. Sotto una complessa stratigrafia costituita da un compatto di carbonato di calcio e uno spesso riempimento di terra e qualche pietra - prosegue - si rileva il pavimento originario con tracce evidenti di combustione. Poggiati sul pavimento e ancora in posizione verticale sono visibili tre tubi di terracotta, che dovevano sorreggere il piano di calpestio che probabilmente dovette crolla re in parte antecedentemente al riempimento in terra, in quanto sul piano combusto sono stati trovati pezzi di lastre in argilla e un quarto tubo non in posizione
Fistulae trovate negli scavi di Ravello (Foto: ilvescovado.it)
originaria. Interessante è poter vedere ancora la traccia del punto su cui poggiava il piano pavimentale. La struttura, così come si legge nella successione dei materiale, rimanda chiaramente alla funzione del piccolo vano che doveva essere un calidarium, il luogo, cioè, che nella struttura del bagno già in epoca romana e poi nella civiltà araba, era la sauna. Infatti la presenza dei tubi che reggevano il pavimento molto spesso permetteva la circolazione di aria calda, che, unita alla presenza di acqua, provocava la sudorazione dei frequentatori. In quest'ottica la vasca a nord doveva essere il posto dove raccogliere l'acqua per generare il vapore da utilizzare."
Di strutture adibite a calidarium si contano a Ravello numerosi esempi, riferiti a complessi edilizi anche non molto grandi ma sempre di proprietà di famiglie che costituivano la nobiltà locale e comunemente identificati come bagni arabi. "L'importanza del calidarium in questione consiste nella sigillatura della struttura pavimentale in tempo antico, probabilmente quando dovette verificarsi il crollo del pavimento sulle suspensurae costituite dai tubi, spingendo i proprietari a cambiare funzione, trasformandolo in una semplice cisterna. - Sottolinea la Sorrentino. - Il forno che alimentava la struttura potrebbe essere individuato tra quelli che sono stati messi in luce a Villa Rufolo e precisamente oltre l'area scoperta a ovest del cortile centrale. La situazione delle quote non è contrastante con tale ipotesi".

Fonte:
ilvescovado.it

Scoperta una fortezza in Crimea

L'antica fortezza rinvenuta in Crimea (Foto: Institute of Archaeology
of the Russian Academy of Sciences)
Gli archeologi russi hanno scoperto una torre e delle mura difensive in Crimea, che apparterrebbero ad una fortezza costruita più di 2000 anni fa, durante il periodo del Regno del Bosforo. I resti sono stati rinvenuti durante i lavori di scavo sulla penisola di Kerch, nei pressi del villaggio di Gornostayevka.
Gli archeologi pensano che le mura siano state costruite nei primi decenni del III secolo a.C. e durante il regno di re Asander le mura vennero fortificate con torri di guardia. Le mura scoperte in questi giorni proteggevano la colonia greca sul Bosforo e la sua capitale Panticapeo (attuale Kerch) dagli Sciti che avevano il controllo di gran parte della Crimea.
Nel 2016 gli scavi nei pressi di Gornostayevka sono iniziati come parte dei preparativi per la posa di un gasdotto che dalla Russia deve raggiungere la Crimea. Nel primo mese di ricerca è stata individuata un'antica torre di pietra ben conservata. Sono state trovate anche alcune tombe, tra le quali quella di una donna sepolta con una brocca, un piatto, uno specchio di bronzo, perle ed orecchini.

Fonte:
archaeologynewsnetwork.blogspot.it

Un naufragio di epoca sasanide

Una delle anfore di epoca sasasnide, ripescate dal fondo marino
(Foto: Ramin Adibi)
Frammenti di anfore per lo stoccaggio di cibo e altre anfore di epoca sasanide (224-651 d.C.) sono state scoperte nelle indagini archeologiche subacquee vicino alla città costiera di Bushehr, nell'Iran sudoccidentale.
Hossein Tofighian, supervisore della squadra esplorativa ha spiegato che le indagini archeologiche subacquee sono state effettuate fuori dalla linea di costa di Bushehr, come parte di un programma di ricerca sul campo in collaborazione con l'Università di Scienze Mediche. Fin dalle prime operazioni di esplorazione del fondo marino, il team ha recuperato frammenti di grandi anfore che contenevano cibo che fanno pensare alla probabilità che un interessante sito archeologico presente nelle acque poco profonde della penisola di Bushehr.
Gli archeologi ritengono che le ceramiche sparse sul fondale costiero siano quel che resta di un naufragio antico. I ricercatori sperano di ottenere, dall'esame dei reperti, preziose informazioni sulla spedizione e sulle rotte commerciali in epoca sasanide.

Fonte:
pasthorizonspr.com

Marcia indietro: il mausoleo kazako non è poi così antico...

Le rovine del mausoleo kazako (Foto: Viktor Novozhenov)
La scoperta di un mausoleo a forma piramidale, di 3000 anni fa in Kazakistan (vedi questo post di oggi), diventata virale nel giro di pochissimo tempo, è stata smentita dagli archeologi: la struttura, composta da cinque pareti che si alzano gradualmente verso il centro, non è così vecchia come è stato fatto credere.
Il mausoleo è alto 2 metri per una lunghezza di circa 14-15 metri, ha dichiarato l'archeologo Viktor Novozhenov, che ha collaborato allo scavo. La struttura è stata realizzata in pietra e terra e fortificata sull'esterno con lastre di pietra. L'età esatta della struttura, in realtà, non è certa. Probabilmente venne costruita nella tarda Età del Bronzo, più di 3000 anni fa, 1000 anni dopo la costruzione della piramide di Djoser, non prima.
La camera funeraria del mausoleo era stata depredata, ma sono stati rinvenuti, nelle vicine sepolture, frammenti di ceramica, un coltello ed oggetti di bronzo. Probabilmente il mausoleo era la sepoltura di un capo clan. L'architettura della struttura è, in realtà, molto simile alla piramide a gradoni di Djoser, che è molto più ampia del mausoleo kazako. Comunque sia, malgrado la notizia della sua antichità anteriore a quella delle piramidi, il mausoleo appena scoperto è piuttosto interessante e i ricercatori si sono impegnati a studiarlo ed a rispondere alle tante domande sulla sua costruzione.

Fonte:
livescience.com

I bellissimi gioielli di Farong

Gli orecchini e la collana trovati nella tomba scoperta a Datong
(Foto: Chinese Cultural Relics)
Una tomba di 1500 anni fa, trovata in Cina, ha rivelato il suo tesoro di spettacolari gioielli in oro intarsiato con pietre preziose ed ametiste e una collana di 5.000 perline. La tomba appartiene ad un gruppo di sepolture della dinastia Wei del nord della Cina (386-534 d.C.), che già avevano restituito diversi orecchini in oro, anche se i ricercatori ritengono che quelli ritrovati nella sepoltura appena scavata siano di migliore fattura.
La tomba venne scoperta nel 2011 ma è stata pubblicata solo recentemente. E' stata scoperta nella città di Datong, nella provincia di Shanxi. Datong venne fondata nel 200 a.C. e fiorì nel secolo successivo, quando divenne luogo di sosta delle carovane di cammelli che percorrevano le strade che collegavano la Cina alla Mongolia. Nel IV e nel V secolo d.C., la stessa epoca a cui appartiene la sepoltura, Datong, poi chiamata Pincheng, divenne la capitale della dinastia Wei.
Un epitaffio trovato all'entrata della sepoltura, scavata nel terreno, ha rivelato che questa apparteneva ad una donna di nome Farong, moglie di un magistrato di nome Cui Zhen. Il suo scheletro, purtroppo malamente conservato, è stato trovato in una bara con il cranio deposto su un cuscino di calce posto ai suoi piedi. Gli orecchini d'oro hanno disegni ornamentali e sono intarsiati di pietre preziose, oro e ametiste. Su di essi immagini fantastiche di draghi ed un volto umano. Quest'ultimo mostra capelli ricci, occhi infossati ed ha fiori di loto sulle spalle. La collana che fa parte del tesoro della nobildonna è composta da 5.000 perle, tra le quali 10 in oro, 2 in cristallo, 42 perle e 4.800 in vetro.
Orecchini in oro con disegni molto simili a quelli trovati in questa sepoltura sono stati rinvenuti, nel 1978, nel nord dell'Afghanistan, il che suggerisce che ci siano stati fruttiferi scampi tra le due culture in tempi antichi.

Fonti:
ancient-origins.net
livescience.com

Riscoperto un antico manoscritto messicano

Il codice come è stato ritrovato, sopra, e come è stato ricostruito, sotto.
(Foto: Universiteit Leiden)
Un testo messicano di 500 anni fa, risalente al primo arrivo di Hernan Cortez, è stato scoperto al di sotto di un altro vecchio manoscritto. Ora i documenti sono in Europa, dove i ricercatori stanno studiando il testo e le immagini per decifrarli. Il documento si trovava sotto il Codex Selden, chiamato anche Codex Anute, un documento mixteco custodito nella Bodleian Library dell'Università di Oxford, in Inghilterra.
Questo manoscritto è praticamente composto da due testi scritti uno sopra l'altro e risale al 1560 circa. Si tratta di uno dei pochi libri sopravvissuti alla razzìa perpetrata dai conquistatori spagnoli. In tutto sono circa 20 i codici sopravvissuti alla colonizzazione europea. Questi codici utilizzano un complesso sistema di immagini, simboli e colori vivaci per raccontare secoli di conquista, l'avvicendarsi di dinastie, le guerre e la storia delle antiche città dell'antico Messico.
Gli studiosi hanno pensato per molto tempo che il Codex Selden contenesse un testo riscritto. Nel 1950 il Codex venne danneggiato poiché venne raschiato per scoprire che immagini si celassero sotto il testo visibile. Il Codex Selden è una una lunga striscia di 5 metri rivestito in gesso e piegato a formare una sorta di fisarmonica di 20 pagine.
I ricercatori ritengono che il manoscritto mixteco contenga le immagini di un re e dei suoi consiglieri. L'analisi testuale ha rilevato la presenza di uomini e donne rappresentati, il che è piuttosto interessante, a detta degli archeologi. Al momento sono state analizzate sette pagine del Codice ed hanno individuato diverse rappresentazioni di individui che procedono armati di lance e bastoni e adorni di copricapi. Il comunicato stampa non spiega come mai questo documento, così prezioso per il popolo messicano, si trovi in Europa.

Fonte:
ancient-origins.net

Scoperta una piramide kazaka più antica di quella di Djoser

A sinistra la struttura rinvenuta in Kazakhstan, a destra la piramide
di Djoser (Foto: artemagazine.it)
Una piramide di 1000 anni più antica rispetto a quelle egiziane è stata scoperta in Kazakhstan, a circa 3900 miglia da Saqqara. Si tratta di un complesso funerario molto simile a quello di Djoser, più conosciuto con il generico nome di piramide a gradoni, eretta nella necropoli di Saqqara (Egitto), a nordest dell'antica città di Menfi, nel 2700 a.C. per il faraone Djoser. La piramide scoperta, invece, sarebbe stata costruita 1000 anni prima, quindi nell'Età del Bronzo. La straordinaria scoperta, di cui parla un articolo uscito il 15 agosto sul "Dailymail on line", sarebbe avvenuta un anno fa, ma a quanto pare gli archeologi l'avrebbero tenuta nascosta fino a questi giorni.
La piramide sarebbe stata costruita per un capo tribù locale oltre tremila anni fa e prossimamente gli archeologi coinvolti nelle ricerche esamineranno la camera sepolcrale non ancora aperta, che misura circa sette metri di diametro. A condurre le ricerche è lo Saryarkinsky Archeology Institute in Karaganda sotto la direzione di Igor Kukushkin. La piramide, secondo quanto spiegato dall'archeologo Viktor Varfolomee, si trova appunto nella regione del Karaganda, nel Kazakhstan centrale. Al momento non si hanno molte altre notizie, se non che la struttura è visibilmente in rovina e che di sicuro si tratta della prima piramide rinvenuta in Kazakhstan.
 
 
Fonte:
artemagazine.it


mercoledì 17 agosto 2016

Riemerge l'antica Bazira, città distrutta da Alessandro

Veduta degli scavi di Bazira, in Pakistan (Foto: dawn.com)
Sono i resti della città espugnata da Alessandro Magno quelli riportati alla luce dagli archeologi italiani a Bazira, l'attuale Barikot, nella valle pakistana dello Swat. La scoperta, che l'AGI è in grado di anticipare, è stata asseverata dagli esami sui materiali rinvenuti che si sono appena conclusi.
Gli archeologi, insomma, non sono andati in vacanza nello scavo italo-pakistano nello Swat. La valle, nota alle cronache per il suo emirato talebano e l'attentato a Malala Usufzai e alle sue compagne di scuola, sembra rientrata nella normalità, ed è di nuovo meta del turismo archeologico con nuovi siti scavati e aperti al pubblico e il nuovo Museo inaugurato nel 2013.
Barikot è in corso di scavo dal 1984 da parte della Missione Archeologica Italiana, quella fondata nel 1955 da Giuseppe Tucci nello Swat. La missione (oggi ISMEO) è sempre rimasta aperta e ha celebrato i suoi 60 anni di attività lo scorso novembre con un ciclo di conferenze e mostre in Cina, Paese molto vicino al Pakistan. Dal 2011 lo scavo di Barikot, l'antica Bazira (12 ettari inclusa l'acropoli) riguarda circa un ettaro dei quartieri sudoccidentali dell'antica città. Lo scavo condotto dalla Missione e dal Directorate of Archaeology and Museums della Provincia di Khyber-Pakhtunkhwa, è finanziato dal progetto ACT nell'ambito dell'accordo italo-pakistano di riconversione del debito.
Resti della città di Bazira (Foto: Flickr.com)
Bazira è una città nota nelle fonti classiche per essere stata assediata e conquistata dai macedoni di Alessandro Magno verso la fine del IV secolo a.C. Fino ad oggi di questa città antica non c'erano tracce. L'archeologia aveva datato la città al periodo indogreco, quasi due secoli dopo Alessandro, al tempo del re Menandro, il re greco di fede Buddhista, le cui monete sono state ritrovate nello scavo.
La città si sviluppò e fu poi abbandonata alla fine dell'Impero Kushana nella seconda metà del III secolo d.C. anche in concomitanza di un devastante terremoto. Ben più vasta dovette essere la crisi, dato che portò all'abbandono dei centri urbani in tutto il nord del Subcontinente indo-pakistano. Crisi delle città e crisi del Buddhismo. Ma se questo è il panorama delle fasi finali, ancora più interessanti sono invece i nuovi dati dell'inizio della città. Lo scavo era recentemente stato onorato dalle cronache in Pakistan e in Europa per la scoperta, avvenuta nel mese di giugno, di livelli cospicui della città indogreca. Questa finora era nota grazie al monumentale muro di cinta (metà del II secolo a.C.) esposto per molti tratti,con i suoi bastioni e terrapieni. La scoperta è stata presentata all'ultima South Asian Archaeology Conference (un appuntamento che riunisce ogni due anni dal 1971 i maggiori esperti mondiali) tenuta nel luglio scorso all'università di Cardiff. Qui era stata avanzata l'ipotesi che esistesse una città precedente dell'epoca dei Maurya, dinastia indiana celebre per il re Ashoka. Sempre a Cardiff era stato comunicato che per la costruzione del muro di cinta indogreco, fosse stata tagliata artificialmente tutta una stratigrafia molto antica lungo il perimetro delle mura, esponendo i resti di un villaggio preistorico.
Bazira, scavi della Missione Archeologica Italiana (Foto: tribune.com.pk)
Nelle ultime settimane, poi, lo studio dei materiali, condotto anche con l'ausilio del team CIRCE diretto dal professor Filippo Terrasi (Napoli2, Dipartimento di Matematica e Fisica) ha rivelato che i livelli urbani pre-indogreci trovati dentro la città sono databili con assoluta certezza alla metà del III secolo a.C., addirittura un secolo più antichi delle mura cittadine. Quindi in piena fase Maurya. Non solo, ma anche che effettivamente il villaggio protostorico rivelato dalla trincea di fondazione all'esterno del muro di cinta risale al 1100-1000 a.C.
"Oggi è chiaro che gli Indogreci fortificarono una città già esistente, e che per costruire le mura urbane distrussero gran parte della stratigrafia ed esposero strutture antichissime con lavori di terrazzamento molto estesi e profondi. Pensavamo che la città si fosse impostata su nulla più di un insediamento rurale tardo-protostorico. Oggi sappiamo che c'era già una città, e che questi resti sotto le mura sono quasi 800 anni più antichi di quanto pensavamo" conferma il Direttore della Missione Luca M. Olivieri. La città ha dunque una spettacolare sequenza di occupazione. "Abbiamo due serie di dati, dal basso e dall'alto. Grazie agli sbancamenti antichi sappiamo che già esisteva una città nella tarda Età del Bronzo, l'epoca delle grandi necropoli del Gandhara e dello Swat. Ma sappiamo anche che sotto la città indogreca c'è quella maurya, e ancora sotto ce n'è un'altra, per così dire".
Edifici di Bazira (Foto: Pinterest)
Questo accenno ci obbliga a tornare ad Alessandro. Le fonti classiche antiche, in particolar Arriano e Curzio Rufo, citano Bazira, come una ricca città assediata da Ceno, generale di Alessandro, nel 327 a.C., mentre il macedone risaliva lo Swat fino alla capitale Massaka, ancora non localizzata. "Fino ad oggi non avevamo dati del IV secolo in avanti - prosegue Olivieri - che confermassero questa urbs opulenta, come Curzio Rufo definisce Bazira. Curzio è peraltro molto preciso in tanti particolari dell'impresa di Alessandro in Swat". I livelli della città antica trovati all'interno dell'abitato indicano con chiarezza che sotto i livelli indogreci c'è invece un insediamento urbano ricco di materiali (dalla piana gangetica e dalla Battriata ellenizzata) datato al più tardi alla metà del III secolo a.C.
Ma strutture più antiche affiorano già, databili per ora - con grande cautela - al IV secolo. "Ci troviamo oltre cinque metri sotto il livello di campagna. Siamo stati fortunati a poter trovare circa 40 metri quadrati liberi in un'area fitta di edifici costruiti l'uno sull'altro per almeno sei-sette secoli. Trovare la conferma di edifici datati alla fine del IV secolo, confermerebbe pure - conclude Olivieri - non solo l'esistenza della urbs opulenta, ma ci porterebbe ovviamente a conclusioni ben più importanti".

Fonte:
AGI

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