venerdì 30 settembre 2016

La piscina dei Nabatei

La monumentale piscina di Petra (Foto: Leigh-Ann Bedal)
Un giardino monumentale irrigato artificialmente e un'enorme piscina realizzati 2000 anni fa per celebrare la grandezza dei regnanti. E' la sorprendente scoperta degli archeologi al lavoro nel sito di Petra, città situata nella parte sudoccidentale della Giordania e antica capitale dei Nabatei.
Questa popolazione originaria della penisola arabica, poi divenuta sedentaria, era organizzata in una solida monarchia, che ebbe un ruolo fondamentale per il commercio carovaniero dall'Arabia all'Egitto e ai porti della Siria.
Tale scoperta è anche prova della grande capacità degli abitanti di Petra di gestire in modo ingegnoso ed esemplare il consumo di una risorsa tanto preziosa quanto scarsa in una città situata nel cuore del deserto: l'acqua. Grazie a un sistema idraulico avanzato, infatti, gli abitanti della città riuscirono non solo ad assicurarsi un approvvigionamento sicuro di acqua potabile, a prescindere dalla stagione, ma anche a irrigare artificialmente il sontuoso giardino monumentale, attraversato da sentieri costeggiati da alberi, viti, palme e piante erbacee, e situato accanto a una piscina a cielo aperto larga 44 metri, alimentata da un acquedotto.
"La piscina rappresenta il capolinea di un acquedotto che trasportava acqua da una delle sorgenti, 'Ein Brak, situata sulle colline al di fuori di Petra", spiega al quotidiano israeliano Haaretz, Leigh-Ann Bedal, docente di Antropologia al Penn State Behrend College. "L'architettura monumentale della piscina e il giardino verdeggiante celebravano visivamente il successo dei Nabatei nel fornire acqua alla città". La piscina monumentale fu realizzata intorno al I secolo a.C., ma già dal secolo precedente la costruzione di piscine era iniziata a diventare tendenza.
A Petra cadono dai 10 ai 15 centimetri di pioggia all'anno. Gli ingegneri Nabatei avevano messo a punto complessi sistemi di irrigazione che raccoglievano l'acqua piovana e la conservavano in centinaia di cisterne sotterranee, assicurando così agli abitanti una fornitura continua di acqua potabile. Il complesso sistema di canali, tubazioni in ceramica, cisterne sotterranee e serbatoi che servivano a filtrare l'acqua, consentì alla popolazione di Petra di coltivare, produrre vino e olio d'oliva e costruire un sontuoso giardino monumentale con una piscina a cielo aperto in mezzo al deserto. Senza l'implementazione di tecniche per incanalare, purificare, pressurizzare e immagazzinare l'acqua, Petra non sarebbe potuta esistere.

Fonte:
nationalgeographic.it

martedì 27 settembre 2016

In attesa del teatro di Agrigento

(Foto: Corriere.it)
La notizia non è ufficiale, ma ormai ci sarebbero pochi dubbi: il teatro antico, greco-romano, c'è e tra un mese sarà portato alla luce. Almeno questa è la speranza del direttore del Parco Archeologico di Agrigento Giuseppe Parello che fatica a tenere la bocca chiusa: "Ne riparliamo il 10 ottobre quanto tutta l'area sarà scavata". Al suo nome e a quello dell'assessore ai Beni Culturali Carlo Vermiglio potrebbe essere legata la scoperta archeologica più attesa, più inseguita, quella del teatro che si annuncia grande e in una posizione che più bella non si può.
E' curioso che il sospirato teatro si faccia scoprire a due passi dagli uffici della sovrintendenza e dal museo: era lì, ma non verso il nord, dove si ostinavano a cercarlo, ma verso sud. "La conca c'è, il primo gradone della cavea gira perfettamente... tutto sembra iscritto in un ordine urbanistico perfetto", ripete Parello. Sembra così avviarsi a conclusione una lunghissima caccia al tesoro che ha appassionato e contrapposto gli studiosi e indispettito gli agrigentini: era inaccettabile per loro che l'antica e gloriosa Akragas, definita da Pindaro "la più bella città dei mortali", non avesse avuto un suo teatro.
Contro questo beffardo contrappasso si sono invocate da parte dei cultori di storia patria le innumerevoli testimonianze letterarie che attestano direttamente o indirettamente la presenza di una cavea teatrale nell'antica città greco-romana. Si comincia con Tommaso Fazello che a metà del '500 scrive di notare i resti del grande teatro non lontano dalla chiesa di San Nicola. Agli anni Trenta del Novecento Pirro Marconi, finanziato dal capitano inglese in pensione Alexander Hardcastle, scava in una conca poco a nord di San Nicola, ma non trova nulla che somigli ad un teatro.
Da quel momento in poi negli ambienti accademici l'interesse per il ritrovamento del teatro diventa secondario, mentre in quelli semicolti assume i caratteri di una ossessione, di una sfida. A cavallo tra gli anni '80 e '90 si torna a parlare di teatro e incautamente se ne annuncia l'imminente ritrovamento. Ma gli scavi escludono in quell'area la cavea antica; in compenso scoprono una grande piazza porticata dentro la quale si trova un tempio di età ellenistico-romana.
Niente teatro, allora, ma una nuova visione di tutta la zona che sembra profilarsi sempre di più come la vera agorà. Nel frattempo la gestione del luogo passa nelle mani del Parco che dà incarichi di studio e di ricerca al Politecnico di Bari. Un'equipe di studiosi guidati da Monica Liviadotti del Politecnico di Bari e da Luigi Calio dell'Università di Catania con le archeologhe del parco Valentina Caminneci, Maria Concetta Parello e Maria Serena Rizzo cataloga tutte le immagini di questa zona prodotte negli ultimi decenni e le sottopone ad analisi raffinate.
"Durante queste analisi emergono delle anomalie in una particolare zona: anomalie nel gergo dei ricercatori significa che c'è qualcosa sepolta in questa porzione di campagna" racconta il direttore Parello. In particolare le anomalie segnalano la presenza di una struttura semicircolare in un punto molto vicino alla chiesa di San Nicola, direzione sudest. Si decide di fare un piccolo e veloce saggio di scavo per verificare l'affettiva presenza della struttura. Emerge subito quello che potrebbe essere il gradone semicircolare più alto del monumento. Si scava anche in corrispondenza dell'eventuale scena, anche qui si trovano strutture coerenti con la possibilità del teatro. L'età apparente delle strutture emerse risalirebbe al periodo ellenistico-romano. Ma non ci sono i soldi per continuare. Si chiude tutto in attesa di uno scavo totale e definitivo della zona. Si ricomincia il 10 ottobre.

Fonte:
Corriere.it

Misteriose rovine nell'antico Sannio

L'antico Sannio
Sotto la superficie del Molise, nella valle del Tappino, sarebbero nascoste delle rovine romane. In passato la conformazione del terreno non ha permesso di individuarle né attraverso l'esplorazione sul terreno, né con la fotografia area. Il problema è ora stato superato grazie ai droni.
Questa regione era conosciuta dai Romani come Samnium, poiché vi abitavano i Sanniti, protagonisti, insieme con i Romani, di una lunga e sanguinosa guerra per il predominio sulla penisola. L'autore dello studio sul territorio molisano, Tesse Stek, archeologo del Mediterraneo presso l'Università di Leiden, nei Paesi Bassi, ha sottolineato che: "Il modo in cui fosse organizzata questa società di montagna rimane un mistero".
In precedenza erano stati rinvenuti, in via del tutto accidentale, due antichi templi della zona ma "non c'era una buona conoscenza di altri siti, come ad essempio villaggi, fattorie, ville, cimiteri e così via, che potrebbero dirci di più sugli antichi abitanti della zona che visitavano i locali luoghi di culto. Sembravano essere cattedrali nel deserto, per così dire", ha detto Stek.Una delle teorie sulla presenza dei templi era che servissero come stazioni stradali, luoghi di commercio lungo un percorso viario che vedeva passare tanto animali quanto merci. Un'altra teoria suggerisce, invece, che gli edifici religiosi segnassero la frontiera di un grande stato quale poteva essere quello degli antichi Sanniti.
Alcuni reperti trovati, in precedenza, nella zona, suggeriscono che le rovine che dovrebbero emergere dal terreno a breve, grazie anche all'utilizzo dei droni, risalgono in realtà ad un periodo molto esteso che va dal periodo romano classico - V secolo a.C. - sino ai primi secoli del medioevo - VII secolo d.C. - confermando, quindi, che la zona fosse più densamente abitata di quello che ci si aspettava.

Fonte:
amantidellastoria.com

domenica 25 settembre 2016

Inghilterra, il sarcofago troppo corto...

Il sarcofago ed il suo contenuto, scoperti nel Dorset
(Foto: Hills Quarry)
In una cava nel Dorset, Inghilterra, è stato rinvenuto lo scheletro di un antico romano con i piedi piegati all'indietro per meglio adattarsi alla bara. La scoperta è stata fatta a Woodsford, nei pressi di Dorchester, dove gli scavi archeologici proseguono da diversi anni. Lo scheletro appartiene ad un giovane di età compresa tra i 20 ed i 30 anni, si stanno effettuando delle analisi per capire cosa ne ha causato la morte.
Il sarcofago in cui giaceva lo scheletro è in calcare, lungo 1,80 metri. Da un primo esame delle ossa del defunto non sono emerse prove di malattie o di altre circostanze insolite che possono averne causato la morte prematura. Il Dottor Steve Ford, che fa parte dei ricercatori, ha affermato che la sepoltura in sarcofago era un uso comune in Italia ma piuttosto insolito in Gran Bretagna, dove è difficile trovare anche bare in legno di epoca romana. Un sarcofago in pietra rappresentava, in Gran Bretagna, un segno di prestigio sociale. Ne sono stati scoperti circa un centinaio, in Gran Bretagna, undici dei quali nel Dorset. Il Dottor Ford ha aggiunto che il sarcofago appena rinvenuto doveva essere stato riutilizzato, dal momento che era di diversi centimetri più corto rispetto al corpo che vi è stato trovato sepolto.

Fonte:
bbc.com

Scoperte numerose fornaci nel Parco Archeologico di Selinunte

Alcune delle fornaci scoperte a Selinunte
(Foto: palermo.repubblica.it)
Si estende su un'area di 1.250 metri quadrati, nella valle del Cottone, ha una lunghezza di 80 metri ed è l'industria di produzione di terrecotte e ceramiche più grande del mondo antico mai ritrovata quella che il team dell'Istituto Archeologico Germanico di Roma e dell'Università di Bonn, guidati dal Professor Martin Bentz, ha studiato attraverso scavi all'interno del Parco Archeologico di Selinunte.
E' inutile dire che di testimonianze come quella di Selinunte è piena la Sicilia e, più in generale, l'intero Meridione, testimonianze di un passato dove non esisteva alcuna "questione meridionale", quando non si era una periferia, ma il cuore pulsante dell'intera civiltà occidentale.
Sono due le fornaci, risalenti al V secolo a.C., finora riportate alla luce dagli archeologi nella valle del Cottone, in prossimità del fiume, ma dalle prospezioni geofisiche effettuate in tre sezioni dell'area sono state individuate diverse strutture circolari che, secondo gli studiosi, lasciano presagire la presenza di un complesso articolato che, per dimensioni e caratteristiche, doveva essere gestito a livello industriale. Tra le ipotesi, le fornaci più grandi venivano utilizzate per la produzione di tegole in terracotta mentre in quelle più piccole venivano realizzati vasi e altri oggetti.

Fonti:
lecodelsud.it
palermo.repubblica.it

I misteriosi geoglifi di Quilcapampa

Uno dei geoglifi più complessi mappati a Quilcapampa, in Perù
(Foto: Justin Jennings)
Decine di geoglifi circolari, alcuni dei quali rappresentano diversi anelli intrecciati tra loro, sono stati individuati e mappati vicino l'antica città peruviana di Quilcapampa, rivelando che questi disegni sono stati creati nei pressi di antiche vie commerciali. I geoglifi appena scoperti possono avere un significato simbolico, probabilmente alludono al flusso di persone e di merci che, nel tempo, hanno percorso le antiche vie commerciali che costeggiano. La scoperta è stata fatta da Justin Jennings, curatore presso il Royal Ontario Museum di Toronto.
Jennings ed i suoi colleghi hanno mappato i geoglifi di Quilcapampa, nella valle di Sihuas, utilizzando una combinazione di immagini satellitari, droni e rilievi a terra. Molti geoglifi hanno disegni semplici, altri sono più complessi. Un geoglifo presenta almeno sei grandi cerchi progettati in modo irregolare, con cerchi piccoli incorporati in cerchi più grandi. Altri geoglifi contengono cumuli di roccia chiamati cairns all'interno o accanto ad essi.
La maggior parte dei geoglifi sono stati ottenuti rimuovendo le pietre dalla superficie ed esponendo il terreno sabbioso sottostante. I ricercatori hanno datato molti di questi geoglifi al tardo periodo intermedio (1050-1400 d.C.). I geoglifi non sono l'unica testimonianza di arte che hanno lasciato le popolazioni di Quilcapampa. Numerosi sono gli esempi di arte rupestre (petroglifi) incisi sulle pareti delle rocce accanto a Quilcapampa e documentati in precedenza.
Resta il mistero sul perché il popolo di Quilcapampa utilizzasse così frequentemente questi geoglifi a cerchio. All'epoca non esisteva, in Perù, nessun sistema di scrittura, pertanto non sono arrivate a noi notizie sull'origine di questi disegni. Jennings ha affermato che molti di questi geoglifi si trovano in corrispondenza delle vie utilizzate anticamente per il commercio. All'epoca in cui fiorì la cultura di Quilcapampa c'era un notevole scambio tra la costa e l'entroterra. La circolazione di persone e merci era vitale per le popolazioni del luogo.

Fonte:
livescience.com

Riapre la più antica biblioteca del mondo

L'interno della biblioteca di Al Qarawiyyin, in Marocco
(Foto: La Repubblica)
Le donne continuano a rivestire un ruolo fondamentale nella storia della biblioteca di Al Qarawiyyin, a Fez, in Marocco. Fondata nell'859 da Fatima El Fihriya, figlia di un ricco mercante, Al Qarawiyyin è stata affidata recentemente ai restauri dell'architetto Aziza Chaouni, nata tra i vicoli dell'antica città marocchina.
I lavori, avviati nel 2012 per volere del Ministero della Cultura, dovevano essere portati a termine entro l'estate 2016 ma si sono protratti di qualche mese: le autorità assicurano però che prima della fine dell'anno la biblioteca, nota per essere la più antica al mondo, potrà accogliere nuovamente tra le sue sale studiosi e visitatori.
Per accedere alla biblioteca di Al Qarawiyyin - che ospita anche una moschea e un'università - si deve oltrepassare un'enorme porta di ferro dotata fin dall'antichità di quattro grossi lucchetti, ognuno dei quali si apre con una chiave differente. Al suo interno sono custoditi preziosissimi manoscritti, la cui integrità era stata messa a rischio negli ultimi secoli da polvere e umidità: due vere piaghe per testi che vantano centinaia di anni. Aziza Chaouni ha provveduto a dotare la struttura di un nuovo sistema fognario e di un sistema di canali sotterraneo in grado di drenare l'umidità.
La biblioteca, inoltre, è ora dotata di un laboratorio all'avanguardia in grado di trattare, preservare e digitalizzare gli antichi testi. I manoscritti più vecchi sono custoditi all'interno di una stanza speciale dotata di sensori che assicurano uno stretto controllo sulla temperatura interna; tra questi scritti il più antico è una copia del Corano risalente al IX secolo d.C. scritto su pelle di cammello nell'antica grafia cufica.

Fonte:
La Repubblica

sabato 24 settembre 2016

Il tesoro dei Goti di Pietroasele

La patera facente parte del tesoro di Pietroasele (Foto: artearti.net)
Il tesoro di Pietroasele è il nome dato ad un tesoro di manufatti aurei scoperto nel XIX secolo. Questi oggetti si trovavano in una sepoltura rinvenuta nei pressi del villaggio di Pietroasele, nel distretto di Buzau, in Romania, e sono stati datati al periodo gotico, tra la fine del IV e la metà del V secolo d.C.. Quello che contribuisce a rendere questo tesoro così importante è che questi oggetti permettono di comprendere come era articolata, all'epoca, la società gota. Una collana facente parte del tesoro, detta la torque di Buzau, reca inscritte delle lettere runiche che possono dire molto sulle credenze religiose precristiane dei Goti.
Particolare di una delle fibule del tesoro
(Foto: CC BY-SA 3.0)
Nel 1837 due contadini del villaggio di Pietroasele stavano estraendo del calcare per la costruzione di un ponte e proprio durante il loro lavoro si sono imbattuti nei preziosi oggetti, di cui fanno parte, oltre alla torque, una patera (una ciotola poco profonda utilizzata per le libagioni), una grande fibula a testa d'aquila tempestata di pietre semipreziose e una tazza. I contadini trattennero gli oggetti per venderli, in seguito, ad un commerciante albanese. Intenzione di quest'ultimo era di frantumare alcuni dei preziosi reperti per poterli vendere liberamente senza insospettire le autorità.
Nel 1838 le autorità competenti sono venute a conoscenza del ritrovamento e dell'esistenza del tesoro ed hanno sequestrato tutti gli oggetti. Dei 22 pezzi iniziali di cui era composto il tesoro, tuttavia, ne furono recuperati solo 12. Fu, quindi, fatto un primo restauro e il tesoro raggiunse presto la notorietà con la pubblicazione del suo ritrovamento e degli oggetti che lo componevano. Dopo varie vicissitudini, tra le quali un furto che ha danneggiato alcuni pezzi e un incendio, il tesoro venne inviato a Berlino per essere ancora una volta restaurato. Oggi il tesoro di Pietroasele è custodito nel Museo Nazionale di storia rumena di Bucarest.
Nella composizione del tesoro di Pietroasa rientrano due grandi categorie di pezzi: vasellame (un grande vassoio o lanx, una oinochoe, due vasi poligonali e un piatto) e gioielli (una collana con pietre incastonate, due collane d'oro, una con iscrizione, e quattro fibule). I dieci pezzi andati perduti erano probabilmente tre collane - una delle quali con iscrizione e un'altra simile a quella con pietre icastonate - un'altra oinochoe, una patera non decorata, una fibula e due paia di bracciali incastonati con pietre. Secondo gli antichi testi il vasellame metallico era un accessorio indispensabile nei banchetti festivi, mentre i gioielli erano sicuramente indice di un alto status sociale.
Particolare della figurina al centro della
patera (Foto: mondointasca.org)
Alcuni studiosi ritengono che il tesoro sia legato alla disfatta dei Goti di fronte all'invasione degli Unni nel 370 d.C., ma oggi questa data è considerata non corretta ed è stato accertato che gli oggetti d'oro sono stati accumulati nel tardo IV secolo d.C. e poi sepolti intorno alla metà del V secolo d.C.. Alcun hanno suggerito che il tesoro appartenesse ad Atanarico, capo della tribù gota dei Tervingi, vissuto nel IV secolo d.C.
Gli oggetti hanno fornito agli studiosi uno spaccato della vita dei Goti. Sulla patera, il pezzo meglio conservato dell'intero tesoro, sono visibili alcune figure che sono state interpretate come divinità germaniche con gli abiti e gli attributi delle divinità greche. Queste figure sono disposte intorno ad una figura femminile che si crede rappresenti una dea della fertilità, per cui il corteo sarebbe riconducibile al culto della Grande Madre Cibele oppure, secondo alcuni studiosi, ai misteri orfici o dionisiaci. Una delle divinità maschili reca una cornucopia e ha molte somiglianze con Ercole. Un esame più approfondito questo dio appare seduto su un trono a forma di testa di cavallo che lo contraddistingue come Donar, una divinità maschile germanica. Altre figure sono piuttosto difficili da identificare.
Le iscrizioni runiche sulla torque di Pietroasele contiene dei simboli identificati come appartenenti all'alfabeto Futhark antico. Al momento non ci sono pareri concordi sulla traduzione dell'iscrizione, anche se è stato suggerito che le rune potrebbero aver rappresentato una protezione magica per chi indossava il collare. Una delle interpretazioni più probabili è quella che consacra la collana al Giove dei Goti, il che ne fa un oggetto sacro elaborato e destinato ad un ambito cultuale.
La maggior parte dei testi runici in alfabeto Futhark è stato rinvenuto inciso su superfici dure quali la roccia, il legno o il metallo. Si ritiene comunemente che questo tipo di alfabeto sia un'adattamento di quello greco o etrusco, anche se la più antica delle iscrizioni runiche non è antecedente al III secolo d.C.. Le iscrizioni Futhark erano incise sia da sinistra verso destra che da destra verso sinistra, una caratteristica comune ad alfabeti molto antichi adottati in Grecia e all'alfabeto etrusco antecedente al III secolo a.C.
Il tesoro di Pietroasele è anche noto come "la Gallina dai pulcini d'oro", poiché le fibule che lo compongono sono ispirate alla forma di uccello: la grande fibula sarebbe la "gallina" e le altre i "pulcini". La grande fibula era un accessorio probabilmente destinato ad un abito maschile da cerimonia. I quattro pendenti che la caratterizzano la avvicinano alle fibule imperiali.

Fonti:
ancientscripts.com/futhark.html
romanarcheo.blogspot.com
dacia.org/history
ancient-origins.net

venerdì 23 settembre 2016

Il sepolcreto delle monache al di sotto della chiesa di Santa Chiara a Trani
(Foto: santachiaratrani.it)
Fra i preziosi complessi storico-architettonici di Trani vi è, senza dubbio, la chiesa di Santa Chiara, una delle testimonianze architettoniche più significative del XVI secolo.
La storia della chiesa è strettamente connessa a quella del monastero attiguo, fondato dall'ordine delle Francescane intorno al XIII secolo. Durante i lavori di restauro, condotti nel 2004, asportando delle marmette in cemento risalenti agli anni '60 del secolo scorso, sono emersi importanti elementi di valore storico. Innanzitutto, nella zona absidale, sono emerse tracce delle mura trecentesche del convento, abbattute nel 1928-1930. In prossimità del transetto è stata rinvenuta la parte basamentale di un portico composto da una pavimentazione in pietra e basi di pilastri quadrati, che precedono l'ingresso laterale del convento. Una camera a base squadrata e con volta a cupola, posta all'interno del portico, fungeva da camera sepolcrale del convento.
La scoperta più interessante è stata quella di alcune cisterne a campana, ben tredici, il cui imbocco era posto sul terreno, ad un metro e mezzo di quota dal livello stradale. Le cisterne sono profonde fino a nove metri.
La storia della chiesa di Santa Chiara si dipana lungo un periodo che va dal '300 ai primi anni del '900 e che presenta corpi di fabbrica di stili diversi sovrapposti o giustapposti. Probabilmente il monastero venne edificato nel XIII secolo quale sede dell'Ordine Religioso Femminile Francescano, una delle testimonianze è data da una cessione testamentaria del 1421. Le religiose che facevano parte di questa comunità provenivano prevalentemente da vecchie famiglie nobili tranesi.
Nel XV secolo il monastero venne inglobato in un nuovo complesso monumentale di tre piani, visibile ancor oggi, ma è solo nel XVI secolo che il complesso conventuale assume un aspetto più simile a quello odierno. Il monastero venne inglobato nelle mura cittadine e, più tardi, la comunità delle suore francescane si fuse con quella del monastero di San Giovanni, ospitando la comunità delle benedettine di S. Agnese e delle cistercensi di S. Paolo. La chiesa, pertanto, assunte il nome dei Santi Agnese e Paolo. Nel XVII secolo fu ampliato il transetto della chiesa e vennero realizzati gli altari nelle cappelle della navata e l'altar maggiore. Nel XVIII secolo le vaste proprietà, le donazioni e i lasciti testamentari consentirono al monastero di acquistare un ruolo importantissimo nella vita socio-economia di Trani, ruolo favorito anche dalla vicinanza alla porta occidentale della città.

Fonti:
santachiaratrani.it

Mummie antiche, mali moderni

La mummia di una nobildonna egiziana studiata allo scopo di comprendere
le cause della sua morte e le malattie di cui soffriva in vita
(Foto: Michael Miyamoto)
Testimoni silenziose del passato, le antiche mummie egizie possono portare a nostra conoscenza molti particolari della società alla quale appartenevano. In uno studio condotto dall'Università di Macquarie, i ricercatori sono riusciti ad identificare le proteine presenti nei campioni di pelle di alcune mummie di 4200 anni fa, provando la presenza di infiammazioni che avevano attivato il sistema immunitario ed anche le probabili tracce di un cancro.
I ricercatori hanno effettuato un'analisi proteomica su quattro campioni di pelle ed un campione del tessuto di un muscolo prelevati da tre antiche mummie del Primo Periodo Intermedio. "Abbiamo identificato numerose proteine che forniscono la prova dell'attivazione del sistema immunitario in due delle mummie, uno dei quali conteneva anche proteine che indica un'infiammazione piuttosto seria del tessuto, forse indicativa di un'infezione che può essere stata causa della morte dell'individuo", ha affermato il Professor Paul Haynes, del Dipartimento di Chimica e Scienze biomolecolari.
La Dott.ssa Jana Jones del Dipartimento di Storia Antica descrive il Primo Periodo Intermedio come il medioevo egizio. "E' stato contrassegnato da disordini politici, mutate condizioni economiche una grandissima siccità ed un altrettanto grave carestia", ha detto la Dott.ssa Jones. "Il nostro studio scientifico sulle mummie fornisce un contesto storico in cui collocare le condizioni mediche che conosciamo come malattie cardiovascolari e cancro. Questa analisi proteomica è particolarmente significativa non solo perché è il primo tentativo di isolamento delle proteine da tessuti mummificati, ma anche perché è in grado di rilevare le infiammazioni e la presenza di tumori non rivelabili con altri metodi quali l'analisi del Dna".
Ovviamente è sempre presente il problema della contaminazione. I materiali antichi estratti dalle sepolture possono essere stati contaminati da persone coinvolte nel processo di scavo e di raccolta del campione. Non c'è modo per controllare questi processi di contaminazione, al momento. I ricercatori, nello studio attualmente in corso, hanno identificato definitivamente oltre 230 proteine presenti in un campione ristretto di tessuti estratti da pelle e muscoli di tre mummie del Primo Periodo Intermedio. I campioni si sono rilevati contenere grandi quantità di collagene.
L'analisi del tessuto della pelle della mummia conosciuta come Khepeshet, ha individuato una proteina indicativa di una risposta immunitaria severa ed un sottoinsieme di proteine fortemente indicative di un'infezione batterica ai polmoni. Quindi infezioni polmonari batteriche come la tubercolosi, erano, all'epoca, possibili cause di morte.
L'analisi dei campioni di pelle e muscolo della mummia conosciuta come Idi, ha permesso di identificare ugualmente proteine connesse con una grave infiammazione. Nel reperto riferito al tessuto muscolare sono state trovate due proteine indicative della presenza di cancro al pancreas.

Testimonianze sull'importanza delle donne nell'Anatolia di 4000 anni fa

Una delle tavolette d'argilla rinvenute a Kanes e datata
1950-1835 a.C. (Foto: Ankara Museum of Anatolian Civilisations)
Alcune tavolette d'argilla rinvenute durante gli scavi del tumulo di Kultepe Kanes/Karum, nella provincia turca di Kayseri, rivelano che le donne dell'Anatolia hanno giocato un ruolo attivo nell'amministrazione e del commercio di 4000 anni fa.
Scavi sistematici nella regione hanno cominciato ad effettuarsi nel 1948 e fino ad oggi sono emerse più di 23.500 tavolette in cuneiforme, entrate nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità stilata dall'Unesco nel 2014. La caratteristica più importante di queste tavolette è il loro contenuto di natura commerciale ed economica. Ogni cosa di valore è stata registrata e gli archeologi dispongono, pertanto, di fonti formidabili di informazioni sulla vita quotidiana dell'epoca e sulle usanze sociali quali il matrimonio, il divorzio, le adozioni e le sentenze di natura giuridica.
Proprio queste tavolette d'argilla rivelano che le donne, all'epoca, erano parte attiva nel commercio. Una di loro viaggiò per oltre 1.000 chilometri dall'Assiria per ottenere il rispetto dei suoi diritti. Oltre ad essere molto attive economicamente e socialmente, le donne all'epoca avevano diversi diritti. Basti pensare che per approvare un trattato non era sufficiente il sigillo del re, doveva esserci anche il sigillo personale della regina. Il che significa che le regine dell'epoca erano poste sullo stesso piano del re, come Puduhepa, moglie del re ittita Hattusili III.

Antikythera, il relitto delle sorprese: trovate ossa umane

Una parte del cranio, con tre denti, dei resti umani rinvenuti accanto
al relitto di Antikythera (Foto: Brett Seymour, EUA/WHOI/ARGO)
Hannes Schroeder ha analizzato un frammento di osso macchiato di rosso, un osso umano, rimasto sott'acqua ben duemila anni. Si tratta di un osso trovato nel mare che bagna la piccola isola greca di Antikythera, poco distante dal relitto di una nave mercantile, la prima analizzata dagli archeologi subacquei dopo essere stata individuata, nel 1900 dai raccoglitori di spugne. Il pezzo più famoso, restituito dalla misteriosa nave, è stato il cosiddetto "Meccanismo di Antikythera", un oggetto estremamente sofisticato che serviva per registrare i movimenti del sole, della luna e dei pianeti.
Quest'anno, alla fine di agosto, i ricercatori hanno fatto un'altra scoperta straordinaria: uno scheletro umano sepolto sotto circa mezzo metro di sabbia in compagnia di frammenti di ceramica. "Siamo entusiasti", ha dichiarato Brendan Foley, archeologo subacqueo del Woods Holo Oceanographic Institution del Massachusetts e co-direttore degli scavi ad Antikythera.
E' stato proprio Foley ad aver chiamato Schroeder, esperto nell'analisi del Dna antico presso il Natural History Museum di Copenhagen, in Danimarca, per valutare se poteva essere estratto materiale genetico utile ad un'analisi. Il materiale sembra essere ben conservato. "Non sembra un osso di duemila anni fa", conviene Schroeder. Lo studioso ha messo un notevole impegno nell'estrarre il Dna da quanto gli è stato sottoposto dai ricercatori. Ha impiegato circa una settimana per scoprire se il campione contiene il Dna, ma ci vorranno circa due mesi per sequenziarlo e per analizzare i risultati.
Gli archeologi subacquei esaminano le ossa umane trovate nel
naufragio di Antikythera (Foto: Brett Seymour, EUA/WHOI/ARGO)
Questa scoperta offre a Schroeder la possibilità di portare oltre determinati confini gli studi sul Dna. Finora la maggior parte di questi, infatti, sono stati condotti su campioni provenienti da climi freddi come quelli del nord Europa. Foley, dal canto suo, è euforico perché gli viene offerta l'opportunità di sapere di più sulle persone che hanno compiuto quello sfortunato viaggio attraverso il Mediterraneo, per trasportare oggetti di lusso destinati, con tutta probabilità, a facoltosi clienti di Roma.
Scoprire uno scheletro o parti di esso sott'acqua e cosa estremamente rara, a meno che non sia coperto di sedimenti o protetto in altro modo, il corpo di una vittima di naufragio è solitamente disperso nel giro di poco tempo. Scheletri completi sono stati recuperati da recenti naufragi, come quello della nave da guerra inglese Mary Rose, naufragata nel XVI secolo, o della nave svedese Vasa, affondata nel XVII secolo. Entrambe le imbarcazioni affondarono nel fango, vicino al porto al quale erano dirette.
Solo pochissimi resti umani, viceversa, sono stati rinvenuti nei pressi di antichi relitti, dice l'archeologo greco Dimitris Kourkoumelis, dell'Eforato greco di antichità subacquee, che collabora con Foley. Tra i reperti umani antichi ritrovati sott'acqua vi è un cranio, trovato all'interno di un elmo romano vicino alla Sardegna e uno scheletro, scoperto all'interno di un sarcofago vicino l'isola greca di Sima. In quest'ultimo caso le ossa sono sparite prima che potesse essere confermato il ritrovamento.
Il sorprendente meccanismo di Antikythera (Foto: Anthony Ayiomamitis)
L'esempio meglio documentato resta il relitto di Antikythera. Sono state trovate ossa sparse dall'esploratore marino francese Jacques Cousteau, che si è immerso in queste acque nel 1976. Argyro Nafplioti, osteoarcheologo presso l'Università inglese di Cambridge, ha concluso che quei resti provenivano da almeno quattro persone, tra le quali un uomo giovane, una donna ed un adolescente di sesso sconosciuto.
Presso il sito del naufragio rimangono, ora, solo dei vasi rotti, tutti gli artefatti visibili sono stati recuperati tra il 1900 e il 1901 dai pescatori di spugne. Foley, però, ritiene che la maggior parte del relitto possa trovarsi sepolto sotto i sedimenti. Il suo team ha mappato il sito a 50 metri di profondità prima di iniziare l'esplorazione nel 2014. Hanno trovato giare per il vino, bicchieri in vetro, due lance per statue in bronzo, oro, gioielli, brocche utilizzate dall'equipaggio. Hanno, inoltre, recuperato un enorme peso di piombo che potrebbe essere il primo del genere conosciuto, che gli antichi descrivono come un "delfino da guerra" per la sua forma a lacrima, una sorta di arma difensiva che le imbarcazioni mercantili trasportavano per difendersi da navi ostili.
(Fonte: Stefan Williams, Australian Centre for Field Robotics,
Alex Tourtas, EUA/WHOI/ARGO)
I resti umani scoperti a fine agosto consistono in una calotta cranica parziale con tre denti, due ossa del braccio e due femori, tutti appartenenti alla stessa persona. Foley prevede di condurre ulteriori esplorazioni al di sotto dei sedimenti per capire se possano esserci altre ossa. Questi ed altri, possibili, resti umani potrebbero rivelare le meccaniche dell'affondamento della nave di Antikythera. L'imbarcazione era enorme, per la sua epoca, con i suoi oltre 40 metri di lunghezza, vari ponti e la possibilità di imbarcare molte persone. Il relitto si trova vicino alla riva, ai piedi delle ripide scogliere dell'isola. Foley ritiene che una tempesta abbia portato la nave a fracassarsi contro gli scogli. L'imbarcazione affondò e non lasciò speranza ai suoi passeggeri. Si trattò sicuramente di un evento violento e drammatico, in cui le persone rimasero praticamente intrappolate sotto i ponti.
I resti trovati presso Antikythera potrebbero essere quelli di una parte dell'equipaggio, che forse consisteva di 15-20 persone. Le navi mercantili sia greche che romane trasportavano spesso anche dei passeggeri e spesso degli schiavi. Questi ultimi erano incatenati nella parte interna della nave e, curiosamente, le ossa recentemente scoperte erano circondate da oggetti in ferro corroso, finora non identificati. L'ossido di ferro ha macchiato di rosso alcune delle ossa.
Le ossa trovate vicino al relitto di Antikythera, rimaste indisturbate per più di duemila anni, offrono l'eccezionale possibilità di estrarre Dna nelle migliori condizioni possibili. In precedenza le ossa recuperate dal fondo del mare non hanno potuto restituire Dna analizzabile perché soggette ad un continuo dilavamento. Schroeder ritiene, dopo una prima analisi del femore e dei denti, che l'individuo al quale appartenevano doveva essere giovane. L'analisi del Dna potrà chiarire il sesso di questo sconosciuto naufrago e potrebbe anche fornire indicazioni su altre caratteristiche, quali il colore dei capelli e degli occhi ed anche l'origine geografica.

Fonte:
nature.com

giovedì 22 settembre 2016

La casa del pescatore di Ashkelon

Gli oggetti recuperati nella casa del pescatore di Ashkalon
(Foto: jpost.com/Israel-News)
Una scoperta senza precedenti, per gli archeologi della Israel Antiquities Authority: la casa di un pescatore di epoca ottomana ritrovata non lontana dalla costa di Ashkelon. E' la prima volta che si trova una struttura chiaramente associata alla pesca. I direttori dello scavo, Federico Kobrin e Haim Mamliya, ritengono che la casa fosse suddivisa in tre ambienti. Vi sono stati rinvenuti ami per la pesca in metallo, decine di pesi di piombo, una grande campana in bronzo ed un ancoraggio in pietra.
Gli accessi all'edificio erano posti a nord, al fine di evitare che i forti venti le mareggiate potessero sommergere la casa. Un altro edificio, forse un faro, era, invece, utilizzato dagli abitanti locali per guidare le navi lungo la costa del Mediterraneo. Questo edificio era situato su una collina di una certa altezza e si affacciava sul Mediterraneo. Da qui potevano facilmente essere inviate delle segnalazioni alle navi che navigavano tra gli antichi porti di Ashkelon e Ashdod-Yam.
Gli archeologi, per effettuare lo scavo, sono ricorsi all'aiuto di decine di ragazzi e ragazze della zona, con il fine di educarli al loro passato. I giovani hanno lavorato con estrema attenzione e diligenza, mostrando un notevole interesse e molta curiosità verso quanto andava scoprendosi nel corso degli scavi. 

Fonte:
jpost.com/Israel-News

Le Veneri di Petra

Le due Veneri ritrovate a Petra (Foto: Tom Parker)
Due statue in marmo raffiguranti Aphrodite (la romana Venere) sono state recentemente recuperate a Petra, nel deserto giordano. Le due statue sono state datate al II secolo d.C., sono quasi intatte e ben conservate. Sono visibili anche le tracce del colore con il quale erano state dipinte secoli fa. La scoperta è opera di archeologi e studenti americani che collaborano con il Dipartimento delle Antichità della Giordania.
Petra è una città tentacolare che si espande su 264 chilometri quadrati nel sud della Giordania, in parte intagliata nella roccia del deserto circostante. Duemila anni fa Petra era la capitale dei Nabatei ed un punto di sosta lungo le principali vie carovaniere. La città è nota per le sue magnifiche tombe, per i suoi templi e gli altri edifici imponenti che vi sono stati costruiti. Gli archeologi vi hanno indagato fin dal 1920, ma l'archeologo Tom Parker, della North Carolina State University, co-direttore della squadra di scavo che ha scoperto le due statuette, è convinto che ci sia ancora molto da scoprire.
Il progetto triennale degli archeologi si è concentrato sulla cresta nord di Petra, in una zona inesplorata dove hanno vissuto e sono stati sepolti i cittadini meno abbienti. Le statuette sono state rinvenute quasi intatte, sono state recuperate le teste e la maggior parte dei corpi. Aphrodite era conosciuta con questo nome soprattutto nella metà orientale dell'impero romano, dove sorgeva anche la città di Petra. Una delle due sculture è completa dalla vita in giù e quando è stata rinvenuta era ancora attaccata alla basetta di cui era dotata sulla quale si trovava anche Cupido, figlio della dea. Su entrambe le statue vi sono tracce di colore.
La scoperta è sorprendente. Gli archeologi ritenevano che originariamente la struttura dove sono state ritrovate le due statue fosse un edificio piuttosto umile che poteva dare indizi sulla vita condotta dalle classi più umili della popolazione. Al contrario, però, la scoperta ha portato a pensare che si trattasse di una villa urbana di alto livello, con un complesso termale proprio, un lusso che si poteva permettere solo la classe dirigente di Petra. L'edificio è stato datato al I secolo d.C. e venne abbandonato presumibilmente nel II secolo, per essere destinato a deposito di detriti in seguito ad un terremoto che colpì Petra nel 363 d.C.
Nelle vicinanze delle statue e dell'edificio sono stati trovati diversi frammenti di vasellame ed anche delle monete, che hanno aiutato gli archeologi a datare il prezioso ritrovamento al II secolo d.C. e quanto era presente nell'edificio al IV secolo d.C.. Numerosi altri manufatti sono emersi negli scavi degli ultimi tre anni a Petra, manufatti che hanno permesso di indagare meglio la vita quotidiana delle classi meno abbienti della città.

Fonte:
livescience.com

Trovato un peso negli scavi di una sinagoga a Gerusalemme

Il peso trovato a Gerusalemme (Foto: Oren Gutfeld ad Asaf Peretz)
Uno scavo archeologico nella città vecchia di Gerusalemme ha portato alla luce un peso che è contrassegnato con il nome del sommo sacerdote del secondo tempio, distrutto nel 70 d.C.. La scoperta è stata fatta dal Dottor Oren Gutfeld, della Hebrew University di Gerusalemme.
Il peso è stato rinvenuto nello scavo effettuato presso la Sinagoga di Tiferet, nella città vecchia, dove la Israel Antiquities Authority sta scavando in collaborazione con la Hebrew University. E' la seconda volta che viene scoperto un peso del genere. Sul reperto sono presenti due righe di testo in aramaico. Parte del peso è risultato bruciato, probabilmente durante l'incendio del tempio nel 70 d.C.. La prima riga di testo non è stata completamente decifrata, ma era ben distinguibile il nome della famiglia del sommo sacerdote.
La Sinagoga di Tiferet è stata costruita nel XIX secolo, ma è stata presto distrutta. Nel 2014 ci si apprestò a ricostruirla e lo scavo della zona è stato ampliato ed ha permesso di riportare alla luce reperti di epoca ottomana, dell'età dei Mamelucchi, dei Bizantini, del primo e del secondo tempio. Sono emersi anche dei mikvehs (bagni rituali) riscaldati di cui non si conosceva l'esistenza.

Fonte:
ynetnews.com

La dea Diana e la spiaggia di Zara

La statuetta recuperata a Zara
(Foto: total-croatia-news.com)
Una statuetta della dea romana Diana che si ritiene appartenente al II secolo d.C., è stata trovata dagli archeologi Zara Dejan Filipcic e Hrvoje Mijic nella zona balneare di Zara, in Croazia. La statuetta è priva di testa. Zara è una città ricca di storia e di archeologia. I bombardamenti alleati della II guerra mondiale hanno ridotto in macerie diverse case, edifici ed intere strade. Gran parte di queste macerie sono state riutilizzate per costruzioni nuove, senza riguardo a cosa contenevano, in diverse parti della città.
La scoperta della statuetta è stata del tutto casuale, artefice una signora che prendeva il sole sulla spiaggia di Zara, che, infastidita da qualcosa che spuntava sotto il suo asciugamano e pensando fosse un semplice sasso, ha gettato via il prezioso manufatto. Fortunatamente uno dei ricercatori, casualmente sulla stessa spiaggia in quel momento, incuriosito dalla strana fattura del "sasso", l'ha recuperato ed ha dato il via ad uno scavo archeologico che ha permesso di recuperare anche delle monete.
La statuetta di Diana è davvero molto particolare: sul retro è possibile vedere anche le impronte digitali di chi l'ha plasmata. Reperti analoghi sono stati recuperati nei pressi di Sisak e Citluk, ma erano in bronzo, pertanto molto più comuni. Il culto della dea Diana, in antico chiamata, da queste parti, Liburnija, è stato confermato da diversi altri ritrovamenti tra cui anche delle epigrafi, ma finora non erano state trovate statue della dea.

Fonte:
total-croatia-news.com

Rara moneta d'oro romana trovata a Gerusalemme

La moneta d'oro con il volto di Nerone trovata in uno scavo a
Gerusalemme (Foto: UNC Charlotte)
Gli archeologi hanno scoperto, a Mount Zion, a Gerusalemme, una moneta d'oro definita "eccezionale", che raffigura l'imperatore romano Nerone. La moneta risale al 60 d.C., poco prima che i Romani distruggessero Gerusalemme, saccheggiando la città. Probabilmente proveniva dal tesoretto di una famiglia ebrea.
"La moneta è eccezionale", ha spiegato l'archeologo Shimon Gibson, "perché questa è la prima volta che una moneta d'oro di questo tipo è emersa in uno scavo scientifico a Gerusalemme. Monete di questo tipo di solito sono rinvenibili in collezioni private, dove non si possono reperire prove evidenti circa il luogo d'origine".
La moneta si trovava nelle rovine di una ricca villa del I secolo d.C.. Questa villa faceva parte del quartiere aristocratico e sacerdotale situato nella parte alta di Gerusalemme. La villa, scoperta nel 2013, conteneva anche molti gusci di lumaca di mare (Murex), dal quale si ricavava la porpora, un colorante raro e costosissimo. La scoperta, secondo il Professor Gibson, porta a pensare che membri della classe sacerdotale ebraica erano coinvolti nell'industria della tintura.
Il ricco quartiere ebraico sarebbe stato distrutto, insieme al resto di Gerusalemme, nel 70 d.C. e la moneta potrebbe essere stata persa dai soldati romani durante l'assedio.

Fonte:
livescience.com

Stalle e acini d'uva nel Negev

L'interno della stalla trovata nel Negev (Foto: Israel Antiquities Authority)
Nel deserto del Negev è stata trovata una stalla di 1500 anni fa, demolita da un terremoto e identificata grazie ad una sorta di misuratore dello strato di concime animale. La stalla è di epoca bizantina ed è stata individuata all'interno di una grotta suddivisa in varie stanze. Sulle pareti della grotta sono state trovate pitture di croci apparentemente utilizzate dai monaci. Gli archeologi hanno anche trovato vasche in pietra utilizzate per nutrire gli animali e notevoli quantità di letame di asino, pecora e capra.
Lo scavo è stato condotto dal Professor Scott Bucking della DePaul University e dal Dottor Tali Erickson-Gini, della Israel Antiquities Authority. Setacciando il terreno, gli studenti di archeologia hanno trovato anche semi d'uva che possono aiutare a identificare le abitudini alimentari e agricole della gente del posto. I semi d'uva erano ben conservati a causa delle condizioni asciutte del luogo e permetteranno di estrarne il Dna per identificarne la specie.

Fonte:
timesofisrael.com

Turchia, trovata una grande statua marmorea di Cibele

La statua di Cibele e gli archeologi che l'hanno scoperta
(Foto: dailysabah.com)
Nella provincia di Ordu, in Anatolia, sulla costa del Mar Nero, è stata trovata una rara statua in marmo raffigurante Cibele, risalente a 2100 anni fa. Cibele appare seduta sul suo trono, che pesa 200 chilogrammi per 110 centimetri di altezza. Si tratta della prima statua in marmo trovata, in Turchia, nella sua collocazione originaria.
L'antico artefatto è stato portato alla luce negli scavi condotti presso Kurul Kalesi, da un team di archeologi del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Gazi. I lavori di scavo stanno andando avanti senza sosta. Si pensa che la statua sia rimasta intatta dopo che la fortezza di Kurul crollò durante l'invasione romana. Presto sarà trasferita nel museo archeologico di Ordu. Cibele, dea madre anatolica, era il simbolo della prosperità. Nella mitologia anatolica era la personificazione della terra. Nella mitologia greca venne equiparata alla dea della terra Gaia, associata alla natura fertile, alle montagne, alle città ed alle loro mura.

Fonte:
dailysabah.com

Turchia, il sarcofago nell'uliveto...

Il sarcofago rinvenuto dalla polizia turca in un uliveto (Foto: DHA)
La polizia turca, che stava cercando un camion rubato nel distretto di Iznik a Bursa, ha scoperto un sarcofago abbandonato in un uliveto. Il sarcofago è di epoca tardoantica. La polizia ha informato la gendarmeria che ha provveduto a contattare il museo di Iznik per ispezionare il sito.
Gli archeologi del museo hanno iniziato a scavare con cura nell'uliveto per estrarre il sarcofago che è del II secolo d.C. ed è stato forgiato in marmo, ha due antefisse su entrambi i lati, ciascuna delle quali presenta cinque teste di leone. Il sarcofago, ora, attende di essere completamente estratto dal terreno. Un altro sarcofago, appartenente ad una regina, è stato trovato nei pressi dell'area una decina di mesi fa.

Fonte:
dailysabah.com

Scoperta un'interessante figurina femminile a Catalhoyuk

La statuetta femminile trovata a Catalhoyuk (Foto: Catalhoyuk Research Project)
Ben 9000 anni fa prosperò, nell'attuale Turchia, un grande insediamento chiamato Catalhoyuk. Il sito era pieno di case in mattoni di fango, coperte di dipinti e decorazioni simboliche. La popolazione arrivava a 5.000 abitanti, il che rendeva Catalhoyuk una sorta di piccola città. Ora gli archeologi che vi stanno scavando hanno scoperto una rara statuetta, raffigurante una donna, sepolta con molta cura e con un prezioso pezzo di ossidiana.
La figurina presenta grandi seni, pancia e glutei ed è molto simile ad altre trovate nella regione anatolica, pur essendo molto più antica e praticamente intatta. Si trovava sepolta sotto il pavimento di una casa neolitica e lì è rimasta per quasi 8000 anni. Il ritrovamento è stata opera della squadra di archeologi guidati da Stanford Ian Hodder.
Nel secolo scorso si credeva che queste figurine femminili rappresentassero dee della fertilità, ma negli ultimi anni siti simili a Catalhoyuk hanno messo in dubbio questa possibilità. Ci sono poche prove a supporto del fatto che queste statuette fossero degli oggetti di culto. Molte sono state trovate tra la spazzatura, come se fossero state forgiate per uno scopo specifico e poi gettate via. Raramente, poi, avevano delle basi, il che fa pensare che fossero indossati come ornamenti.
Al contrario a Catalhoyuk sono state trovate diverse statuette di animali. Corna di toro erano appese alle pareti e accanto alle porte, mentre altre ossa erano incorporate all'interno dell'intonaco dei muri. Gli archeologi ritengono che le figurine femminili simili a quella appena trovata, siano probabili rappresentazioni delle donne anziane del villaggio, che detenevano una notevole dose di potere direttamente collegato alla saggezza dell'età.
La statuina appena rinvenuta non giaceva in un cumulo di immondizia, ma era stata accuratamente sepolta in un luogo che aveva un profondo significato per i residenti di Catalhoyuk. Pratica comune di questi ultimi era seppellire i morti sotto il pavimento delle case, in corrispondenza di piattaforme rialzate che servivano come letti. Gli archeologi hanno trovato frequentemente scheletri di diverse persone mescolate in questa sorta di sepolture domestiche.
La figurina femminile trovata era sepolta nello stesso luogo in cui erano sepolti i defunti molto amati ed onorati. La casa in cui è stata trovata è stata ricostruita diverse volte, nel corso dei secoli, un'abitudine che sembra essere stata molto comune a Catalhoyuk. Vecchie case sono state abbattute sino alla loro fondazione e nuove abitazioni sono state costruite al di sopra, rispettando le vecchie dimensioni. Lo scavo e la ricostruzione spesso coinvolgevano gli scheletri degli antenati, che venivano seppelliti nuovamente una volta che la nuova casa era edificata.
La statuetta è stata sepolta in una sorta di deposizione rituale. Essa differisce per la sua completezza e la sua manifattura estremamente accurata. Le mani sono raccolte sotto il seno che è raffigurato come se la figura fosse stata concepita per essere posta sdraiata. Occhi, bocca, mento e collo sono tutti incisi. Mani e piedi sono sproporzionatamente piccole rispetto al resto del corpo. Dopo essere stata plasmata, la figura è stata lucidata e incisa con le caratteristiche del corpo.
Probabilmente, dunque, questa statuina, come le altre trovate in tutta l'Anatolia, raffigura una donna anziana, onorata per la sua saggezza. E' stata trattata come una persona morta e sepolta con venerazione, piuttosto che un oggetto soprannaturale di culto.

Arizona, scoperti i resti di una giovane donna nobile ma malata

Le rovine del villaggio Hohokam sulla cima della Mesa Indiana ed i  raggi X
che mostrano un individuo con la scoliosi.
La sepoltura di una giovane donna disabile, affetta da scoliosi, rachitismo e tubercolosi è stata portata alla luce a Tempe, in Arizona. La giovane donna è stata sepolta con cura insieme a preziosi corredi funerari, separata da altre quasi 200 sepolture.
I resti trovati sono quelli di una donna di circa 20 anni, una delle 172 sepolture ad inumazione o cremazione scoperte in un cimitero della comunità di Hohokam, nel deserto di Sonoran. Questa sepoltura, conosciuta come la n. 167, ha attirato l'attenzione dei ricercatori poiché lo scheletro femminile che vi giaceva appariva gravemente sfigurato. Gli specialisti hanno concluso che la giovane soffriva, in vita, di malattie sia congenite che contratte in seguito. La cosa più sorprendente è che la tomba della donna era riccamente adornata, la più bella di tutte le sepolture, e conteneva molti oggetti in ceramica a dimostrazione della cura e della considerazione che la comunità aveva nei suoi confronti.
Durante gli scavi nella necropoli i ricercatori si sono imbattuti anche in un grande villaggio degli Hohokam, risalente ad un periodo compreso tra il 700 e il 1400. Il sito è stato documentato per la prima volta nel 1940 ed oggi è conosciuto come La Plaza. La sua storia, purtroppo, è andata persa per sempre, anche se le nuove sepolture individuate gettano una nuova luce su questa misteriosa popolazione.
La donna sepolta nella tomba n. 167 soffrire, oltre ad altre patologie, di un'infezione che ha minato gravemente sia la spina dorsale che le ossa delle gambe. I problemi di scoliosi, secondo gli antropologi, potevano essere causati da deficit di vitamina D, dovuta a mancanza di sole, il che suggerisce che la donna abbia trascorso la maggior parte della sua vita al chiuso. Altre lesioni individuate sullo scheletro sono tratti distintivi di una grave tubercolosi, un'infezione polmonare che, nei casi più gravi, si diffonde a tutto il tessuto osseo. Questa patologia non le permetteva, molto probabilmente, di camminare. Gli studiosi ritengono che molto verosimilmente la donna sia nata con questa malattia. I denti della donna hanno permesso di scoprire informazioni sulla sua dieta. La maggior parte del popolo Hohokam aveva una dieta che causava loro molti problemi con i denti, ma la donna della sepoltura n. 167 aveva denti perfetti, il che suggerisce che non ha mangiato gli stessi cibi del resto della comunità perché, forse, apparteneva ad un ceto elevato.

Trovati i resti di un grande palazzo anglosassone

Riproduzione della maschera anglosassone ritrovata
a Sutton Hoo (Foto: Bill Tyne, Flickr)
Alcuni archeologi inglesi pensano di aver individuato quel che rimane di un palazzo reale anglosassone, situato a 6 km dalla sepoltura di Sutton Hoo, nella zone di Rendlesham. In questa sepoltura sono stati trovati un magnifico elmo anglosassone ed un tesoro di manufatti di straordinaria importanza storica ed archeologica.
Il coordinatore del progetto di scavo, Faye Minter, ha riferito che sono stati intercettati i resti di una struttura di 23 metri per 9, che avrebbe potuto un tempo essere o una sala reale o un palazzo. Ha, inoltre, aggiunto che potrebbero esserci altre sepolture simili a quella di Sutton Hoo, scavata per la prima volta nel 1939 e risalente al VII secolo d.C.. Stavolta i ricercatori sperano proprio di trovare altre sepolture analoghe, collocate lungo il corso del fiume Deben. Faye Minter pensa che le strutture appena scoperte appartengano al palazzo descritto dal Venerabile Beda nell'VIII secolo d.C.
I resti del probabile palazzo coprono una superficie stimata di 50 ettari e sono stati individuati grazie alla fotografia aerea e alle indagini geofisiche. Finora sono stati trovati, a Rendlesham, qualcosa come 4.000 pezzi antichi, tra i quali metallo, monete e pesi, dei quali 1.000 sono di sicura origine anglosassone.
La scoperta della struttura segue un'altra clamorosa scoperta effettuata, nell'aprile scorso, presso la chiesa di Hildersham, nel Cambridgeshire, di un gruppo di più di 40 scheletri risalenti a 900 anni fa. Le sepolture sono state datate all'XI o XII secolo, alcune di esse si trovavano a 45 centimetri dalla superficie della strada vicina alla chiesa della Santissima Trinità. Le sepolture sono state ricavate scavando delle cavità nel gesso. La maggior parte degli scheletri appartiene ad adulti, cinque sono di bambini. I ricercatori ritengono che le sepolture siano quelle di parrocchiani che vivevano fuori dalle mura di un complesso ecclesiastico medioevale. Le ossa sono state conservate per poi essere nuovamente sepolte.

Fonte:
ancient-origins.net

martedì 6 settembre 2016

Trovata la casa del conte Ugolino della Gherardesca

Gli scavi della casa del conte Ugolino (Foto: quinewspisa.it)
Poco più di un mese sono durati i lavori di scavo per riportare alla luce i resti della casa del conte Ugolino della Gherardesca nella zona dove sorgeva il piaggione, sul Lungarno Galilei nei giardini della storica sede del Consorzio di bonifica Basso Valdarno. Le operazioni, effettuate in regime di concessione ministeriale e  iniziate a metà luglio, si sono concluse venerdì 26 agosto.
Prima dell'inizio degli scavi, oltre alla tradizione di età moderna, anche la documentazione scritta medioevale rintracciata da Maria Luisa Ceccarelli Lemut testimoniava che nell'area, al tempo nella cappella di San Sepolcro, erano ubicate alcune abitazioni dei della Gherardesca, la famiglia aristocratica che ebbe così tanta rilevanza non solo a Pisa ma in Toscana e in tutta l'area tirrenica e dette i natali al conte Ugolino di dantesca memoria.
Poiché le fonti medioevali tuttavia non davano indicazioni topografiche precise, due sono state le aree interessate dallo scavo: la prima, prospiciente il muro di cinta di Lungarno Galilei nel versante di Vicolo Del Torti, l'altra a circa metà dell'ala del giardino ovest. L'area indagata nella porzione nordest del giardino, prospiciente al Lungarno Galilei ha permesso di riportare alla luce una sequenza di strutture e livelli d'uso che si collocano tra il XII secolo e lo scorcio del XVIII secolo, confermando la presenza in questa zona degli edifici di proprietà del conte Ugolino della Gherardesca. Della struttura abitativa posseduta da Ugolino rimangono alcune tracce che testimoniano l'avvenuta distruzione nei primi anni del XIV secolo, come peraltro riportano le fonti scritte. Si conservano solo parzialmente il pavimento di un ambiente interno e quel che rimane di perimetrali esterni e tramezzi interni.
Altra prospettiva sugli scavi (Foto: iltirreno.gelocal.it)
Su questo spazio, oramai libero da edifici dalla fine del XVI secolo, solo due secoli più tardi e dopo la conquista fiorentina della città, fu organizzata un'area per la conservazione del grano, ossia il "piaggione" (prima di proprietà Mannaioni e poi Sbrana) testimoniato da sei sili in laterizio che sono stati riportati alla luce, rimasti in funzione in pratica fino all'inizio dell'Ottocento.
Lo scavo della parte ovest del giardino ha evidenziato una sequenza archeologica e una serie di strutture diverse, importanti tanto per confronto con quanto rinvenuto nell'altro saggio di scavo, quanto più in generale per la storia del quartiere Chinzica e della città di Pisa tra medioevo e prima età moderna. Sono stati rinvenuti i resti strutturali (murature e pavimentazioni) e le stratificazioni relative ad un grande edificio costruito nella prima metà del XII secolo, che hanno restituito importanti informazioni sull'urbanizzazione del quartiere Chinzica e sull'edilizia cittadina in questo periodo.
A differenza dell'abitazione di Ugolino, questo edificio ha evidenziato tracce di frequentazione anche nel XIV e fino alla metà del XV secolo, periodo a partire dal quale nell'area sono state realizzate diverse ghiacciaie seminterrate, che probabilmente sono rimaste in funzione almeno fino al Seicento. Si tratta della prima volta che a Pisa sono state riportate in luce strutture di questa tipologia, in quantità e con varianti costruttive di un certo rilievo. I numerosi reperti ritrovati relativi alla vita quotidiana e materiale in questi edifici (ceramiche, vetro, piccoli manufatti in osso o in pietra lavorati e monete, databili tra il XII e gli inizi del XIX secolo) saranno a breve restaurati per lo studio e saranno presentati al pubblico il prossimo anno.

Fonte:
pisatoday.it

domenica 4 settembre 2016

Esplorazioni sulla seconda barca solare di Khufu

El-Enany e Yoshimura mentre osservano la trave nel
laboratorio costruito a Giza (Foto: english.ahram.org.eg)
Il Ministro per le Antichità egiziano, Khaled El-Enany e Sakuji Yoshimura, direttore del team giapponese di restauro, hanno assistito al sollevamento di una trave di legno recentemente scoperta sulla seconda barca solare di Khufu, nella fossa che si trova a nord della grande piramide di Giza. Il trave è lungo otto metri, largo 40 centimetri e spesso 4 centimetri e presenta diversi pezzi di metallo a forma di L sparsi sulla superficie.
Il trave è stato preso in consegna dal laboratorio creato nella piana di Giza grazie al progetto nippo-egiziano sulla seconda barca solare. Il legno dovrà essere trattato per ridurre l'umidità e poi consolidato. Si pensa che possa essere il trave dal quale si dipartivano i remi della seconda barca solare. E' stato trovato durante gli scavi effettuati all'interno della fossa che conteneva quest'ultima.
I ricercatori pensano che i pezzi di metallo ad L trovati sul trave siano supporti per i remi, una sorta di cornici che dovevano impedire l'attrito del remo con il resto della barca. Presto, una volta consolidato il trave, gli esperti saranno in grado di ricostruire la seconda barca solare, in modo da poterla esporre al pubblico sulla piana di Giza. Finora sono state raccolte 700 travi in legno, 681 delle quali sono state ricollocate nella loro posizione originaria.
La scoperta della seconda barca solare di Khufu avvenne nel 1954. Essa rimase in situ fino al 1987, quando venne esaminata dall'American National Geographic Society in collaborazione con l'ufficio egiziano che si occupa dei monumenti storici. Nel 2009 un team scientifico e archeologico giapponese della Waseda University, si è offerto di rimuovere la seconda barca solare dalla fossa in cui giace, ripristinarla e rimontarla per esporla al pubblico.

Fonte:
english.ahram.org.eg

giovedì 1 settembre 2016

Beghe private nella terra del Nilo

Parte del Libro dei Morti (Foto: realmofhistory.com)
Contrariamente agli antichi testi greci e romani, i testi egizi non sono generalmente accessibili al pubblico, poiché non vi sono molte opere in geroglifico tradotte. Un accademico di Cambridge, nonché egittologo, Toby Wilkinson, ha cercato di sopperire a questa mancanza con il suo lavoro. Egli ha esaminato molti testi geroglifici ritrovati sulle pareti delle sepolture e nei papiri. Il suo lavoro ha preso in considerazione gli aspetti più comuni della storia del Paese del Nilo.
Ad esempio, uno dei testi tradotti da Wilkinson sono le "Volontà di Naunakht", che narra della storia di un'anziana donna egizia e delle sue ultime volontà. Riflettendo sullo status sociale relativamente elevato della maggior parte delle donne libere della società egizia, Naunakht ha deciso di non lasciare a tutti i suoi otto figli le terre che possedeva. Alcuni di essi vennero, infatti, diseredati per aver trascurato Naunakht nei giorni della sua vecchiaia.
Dal punto di vista storico Naunakht è probabilmente vissuta a Tebe durante il tardo periodo del Nuovo Regno e si sposò due volte: prima con uno scriba e poi con un operaio delle necropoli. Il suo ultimo testamento è stato redatto nel novembre 1147 a.C. Scrive Naunakht: "Quanto a me, sono una donna libera nella terra del faraone. Ho partorito questi otto servi tuoi e ho dato loro una famiglia, come avviene abitualmente. Ma sono diventata vecchia ed essi non hanno cura di me. Chi mi ha dato una mano, quello avrà la mia proprietà; a chi non mi ha assistita, non darò niente".
Nel testamento Naunakht ha scelto il preferito tra gli eredi, pur non pretendendo niente da lui. A lui lascerà una ciotola di rame e dieci sacchi di farro. Inoltre si preoccupa di "danneggiare" ulteriormente gli esclusi che, in futuro, potrebbero impugnare il suo testamento, mettendo nero su bianco che sia comminata una punizione di cento colpi e la confisca di quanto avessero ricevuto da lei qualora si azzardassero a non rispettare le sue volontà.
Ottocento anni prima di Naunakht, in una lettera, un contadino di nome Heqanakht (1930 a.C. circa) mostra la preoccupazione per il raccolto e la cura di quanto seminato, ma anche la preoccupazione per l'aggressività di una sua serva nei confronti della propria moglie, della quale chiede conto all'intendente ai raccolti perché intraprenda, nei confronti della donna, una qualche azione. 

Fonte:
realmofhistory.com

Scoperta un'antica tomba in Turchia

La sepoltura trovata nella cittadina turca di Samsun, antica Amisos (Foto: AA)
Una camera funeraria ellenistica di 2300 anni fa è stata portata alla luce nella cittadina turca di Samsun. Il sepolcro è stato scoperto durante gli scavi condotti dal Comune di Carrassi e dal Museo Entografico e Archeologico di Samsun.
La tomba si trova nell'area archeologica del quartiere di Toptepe. Le pareti mostrano il lavoro di muratura effettuato con blocchi di pietra naturale, il corridoio di accesso ha una lunghezza di 12 metri ed un'altezza di circa 2,8 metri.
Il sindaco di Samsun Osman Genç Canik ha detto che in città sono stati trovati molti altri reperti che hanno confermato che, anticamente, Samsun (il cui nome antico era Amisos) era un fiorente centro commerciale.

Fonte:
Daily Sabah

Azerbaijan, trovato un tesoretto del XII secolo

Alcune delle monete ritrovate in Azerbaijan (Foto: azernews.az)
Antiche monete sono state scoperte nel corso di uno scavo nel villaggio di Uzuntepe, nella regione Jalilabad dell'Azerbaijan. Si tratta di 273 monte di rame del XII secolo, riposte in un antico vaso. Risalgono alla dinastia Eldiguzids (XII secolo), nota come Atabegs, dell'Azerbaijan. Le iscrizioni indicano che furono coniate a nome di Seljuk Sultan Arslan Shah (1161-1176).
Il nome del califfo abbaside era inciso su un lato di un dirham, mentre sul lato opposto della moneta era inciso il 33° versetto della Surah al-Taubah del Corano

Fonte:
azernews.az

Ritrovato, in Scozia, il castello di Dun

Particolari degli scavi che hanno permesso di rintracciare l'antico castello
di Dun (Foto: brechinadvertister.co.uk)
Scavi archeologici hanno scoperto a Dun, in Scozia, i resti di quello che si pensa essere un castello del XIV secolo. La baronia di Dun fu acquistata da Sir Robert Erskine di Erskine Renfrewshire nel XIV secolo, il castello venne ricostruito con una cappella dedicata alla Vergine Maria.
Recenti lavori di riparazione che hanno interessato il Mausoleo di famiglia degli Erskine hanno rivelato le fondamenta della cappella. Ora uno scavo condotto dal National Trust nella persona dell'archeologo Dottor Daniel Rhodes, ha individuato la posizione dell'antico castello. La costruzione era, con tutta probabilità, una casa torre circondata da una cortina muraria ed edifici annessi.
Analisi dettagliate del Mausoleo degli Erskine hanno rivelato che dell'edificio faceva originariamente parte una cappella, alla fine del 1300, che si trovava probabilmente a ovest dell'antico castello di Dun. Dopo un'indagine geofisica della località di scavo, è stata rintracciata la posizione del castello medioevale e si spera che presto altri lavori possano contribuire a rivelare più particolari sulla storia del luogo.
John Erskine, V lord di Dun, fu un personaggio molto attivo nel campo della riforma e si pensa che John Knox abbia soggiornato nel castello quando predicava nella cappella di Dun nel 1555. Il castello è stato distrutto durante la guerra civile del 1644 e si diceva che al suo posto fosse stata costruita un'altra tenuta. Sono ancora visibili i resti di un arco all'interno del giardino murato posto ad ovest.

Fonte:
brechinadvertiser.co.uk

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