lunedì 30 gennaio 2017

Trovato un relitto intatto nei pressi delle Baleari

Il carico del relitto affondato di fronte all'isola di Cabrera
(Foto:Jordi Chìas)
Un relitto romano sul fondo del Mediterraneo, sommerso dalle centinaia di anfore che trasportava. E' quello che è stato scoperto a 70 metri di profondità di fronte all'isola di Cabrera, nelle Baleari: una nave da trasporto - probabilmente una galea, mossa unicamente da remi - affondata tra il III e il IV secolo d.C. per ragioni sconosciute. Il ritrovamento è stato effettuato da un gruppo di archeologi spagnoli.
Secondo gli autori della scoperta, presentata ufficialmente il 27 gennaio scorso a Palma di Maiorca, si tratta dell'imbarcazione di questo genere meglio conservata dell'arcipelago delle Baleari, oltre ad essere una tra le poche dell'intero Mediterraneo occidentale arrivate intatte ai nostri giorni. La nave trasportava tra le mille e le duemila anfore di terracotta, che possono aiutare a risalire alla sua origine. La maggior parte di queste sono lunghe un metro, simili a quelle che si fabbricavano a quell'epoca in nord Africa, perciò gli archeologi hanno ipotizzato che l'imbarcazione - probabilmente un mercantile di circa 20 metri - stesse coprendo la tratta che va proprio dall'Africa del nord alla Spagna o al sud della Francia per poi proseguire - come spesso accadeva - fino a Roma.
All'interno delle anfore, con molta probabilità, c'era il preziosissimo garum, una salsa liquida fatta con le interiora del pesce, che gli antichi Romani utilizzavano come condimento. "Gli antichi la consideravano una prelibatezza ed era un prodotto assai richiesto a Roma", spiega Sebastià Munar, direttore scientifico dell'Istituto di studi di archeologia marina delle Baleari.
I primi ad intuire l'esistenza di resti di un antico naufragio di fronte alla piccola isola delle Baleari a sud di Maiorca sono stati i pescatori, che con una certa frequenza trovavano nell'area numerosi frammenti di anfore impigliati nelle loro reti. Proprio seguendo le loro indicazioni, nell'aprile 2016, i ricercatori hanno iniziato a sondare i fondali con un robot sottomarino. Prima della spedizione di due sub, a ottobre, che per la prima volta hanno individuato e fotografato il relitto: è stato possibile così scoprire che molte delle anfore si trovano ancora nella loro posizione originale e che la nave si è miracolosamente slavata dai saccheggi.
"Da quanto sappiamo, è la prima volta che in acque spagnole si trova un pezzo del genere completamente inalterato", spiega Javier Rodrìguez, uno degli archeologi subacquei che hanno partecipato alla spedizione. "Le Baleari si trovano proprio a metà del viaggio tra il nord Africa e il sud della Francia e rappresentavano un rifugio per le navi in caso di temporali. Qusta, però, non deve aver fatto in tempo a raggiungere il porto ed è affondata". La galea si trova in fondo al mare, resterà vedere ora se gli studiosi intenderanno recuperarla oppure lasciarla sul luogo dell'antico naufragio.

Il nobile guerriero di Pilo. Minoico o Miceneo?

Una delle collane trovate nella sepoltura del guerriero di Pilo
(Foto: National Geographic)
Durante uno scavo a Pilo, in Grecia, gli archeologi hanno portato alla luce una tomba rimasta intatta per 3500 anni, contenente un corredo funebre composto da oltre 1.400 tra manufatti e gioielli. Si tratta, forse, della scoperta più importante avvenuta in Grecia negli ultimi decenni.
Nella sepoltura, oltre lo straordinario corredo funerario, vi erano i resti ben conservati di un uomo di circa trent'anni di età. I gioielli ed i manufatti erano disposti attorno al suo corpo: anelli d'oro, coppe d'argento e un'elaborata spada in bronzo dall'elsa in avorio. La vera sorpresa, però, sono stati una cinquantina di sigilli in pietra incisa con figure di divinità, leoni e tori, unitamente a sei pettini in avorio, uno specchio di bronzo e un migliaio fra perle di ametista, diaspro e corniola che, un tempo, componevano delle collane. Tra le gambe dell'uomo è stata rinvenuta una placca d'avorio incisa con un grifone.
La spada di bronzo con elsa in avorio e oro rinvenuta
nella sepoltura (Foto: National Geographic)
"E' dall'epoca di Schliemann che in Grecia non veniva scoperta una sepoltura così completa", commenta John Bennet, archeologo dell'Università di Sheffield in Gran Bretagna e direttore della British School di Atene, non coinvolto nello scavo.
La tomba del guerriero si trova nell'estremità sudoccidentale del Peloponneso, a Pilo, località menzionata da Omero nell'Odissea come il sito in cui sorgeva il palazzo di Nestore. Gli scavi, condotti prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale rivelarono i resti di un grande palazzo miceneo risalente al 1300 a.C. circa, così come centinaia di tavolette d'argilla scritte in Lineare B cretese. La scoperta portò alla decifrazione del Lineare B e confermò che il luogo corrispondeva effettivamente a Pilo.
Ben poco si sa del periodo che precede il 1500 a.C., quando la civiltà micenea stava prendendo forma. Gli archeologi si sono a lungo interrogati sull'influenza esercitata dalla civiltà minoica sull'ascesa della società micenea, di mille anni posteriore. Le tavolette in Lineare B, i simboli di tori e figurine di divinità trovati nei siti micenei come Pilo, testimoniano l'impatto della cultura minoica su Micene. Molti studiosi, basandosi sui resti archeologici che ne evidenziano la distruzione, ritengono che attorno al 1450 a.C. i Micenei invasero e conquistarono Creta.
La fortuna di Pilo e della magnifica tomba del guerriero è cominciata nel maggio 2016, quando i coniugi Davis e Stocker entrambi dell'Università di Cincinnati, con 35 esperti di dieci nazioni diverse, hanno dato vita ad un progetto di scavo quinquennale che portasse alla luce gli albori di Pilo. La missione ha avuto successo sin dal primo giorno di scavo, quando è stato individuato il rettangolo in pietra che si è rivelato essere la sommità del passaggio, ampio circa 120 centimetri per 240. Un metro più in basso sono emersi i primi manufatti in bronzo. A giudicare dal loro stile, Davis e Stocker ritengono che possano risalire al 1500 a.C. circa.
Uno dei sei pettini trovati nella sepoltura (Foto: National Geographic)
Quello che rende particolare questa sepoltura è il fatto che ospitasse una sola persona con un corredo particolarmente ricco, composto da molti elementi non locali e manufatti solitamente femminili, quali i gioielli. Le sepolture delle élite micenee in genere ospitano più persone. A circa un centinaio di metri dalla tomba, negli anni '50, gli archeologi riportarono alla luce una sepoltura collettiva. Secondo le stime di Davis e Stocker, circa i tre quarti dei manufatti della tomba del guerriero provengono da Creta, a circa due giorni di navigazione in direzione sud. Vi sono, inoltre, perle d'ambra provenienti dal Baltico, ametiste mediorientali e oggetti in corniola di origine probabilmente egizia, forse portati a Creta da commercianti minoici.
I sei pettini trovati nella sepoltura, unitamente allo specchio, pone anche altri interrogativi. Così tanti oggetti preziosi mette in discussione l'opinione comune secondo cui i gioielli venivano sepolti solo con donne di ceto elevato. I guerrieri spartani, per esempio, usavano pettinarsi ritualmente i capelli prima di andare in battaglia. Forse i gioielli erano un'offerta del guerriero defunto alle divinità affinché lo accompagnassero e assistessero nel suo viaggio nel mondo dei morti.
La presenza di tutti questi oggetti preziosi induce a pensare che l'occupante della tomba sia stato un guerriero o un capo minoico anziché miceneo. O, forse, potrebbe aver combattuto a Creta da cui riportò con sé oggetti micenei. Sicuramente l'uomo voleva distinguersi dagli altri abitanti del luogo sepolti nelle tombe collettive. Le analisi che saranno effettuate sullo scheletro potranno aggiungere altri particolari per svelarne l'identità. La dentatura, ben conservata, può fornire preziose informazioni sulle origini genetiche; le ossa del bacino potrebbero rivelare la dieta dell'uomo; l'esame delle ossa in generale potrebbe svelare le cause della sua morte.
Sigillo in corniola recante inciso un toro, uno dei tanti manufatti rinvenuti nella tomba di Pilo
(Foto: National Geographic)


Fonte:
National Geographic

domenica 29 gennaio 2017

Scoperta una ricca tomba in Germania

Alcuni dei gioielli trovati nella sepoltura (Foto: Landesamt fur
Denkmalpflege Baden-Wurttemberg/Antiquity Publications Ltd.)
Una tomba dell'Età del Ferro, traboccante di tesori in oro, bronzo ed ambra è stata recentemente scoperta nei pressi del Danubio. Il tesoro circondava lo scheletro di una donna che morì, probabilmente, intorno ai 30-40 anni di età, suggerendo che fosse un membro dell'elite sociale celtica, sepolta in un tumulo chiamato Heuneburg nel 583 a.C., nell'antica Germania.
La presenza di un riccio di mare pietrificato e dell'ammonite (un tipo di mollusco estinto) nella tomba sono elementi che incuriosiscono i ricercatori e suggeriscono che la donna fosse una sorta di sacerdotessa, secondo quanto affermato dallo studio di Dirk Krausse, archeologo dello stato tedesco di Baden-Wurttemberg. Le camere presenti attorno a quella della donna erano state saccheggiate nel corso degli anni.
Heuneburg era una collina-fortezza preistorica nei pressi del fiume Danubio che ebbe una lunga vita. La città-stato celtica venne fondata probabilmente nel VI secolo a.C. e si crede che lo storico Erodoto l'abbia menzionata durante la sua storia del fiume Danubio. Gli scavi del sito, tuttavia, sono iniziati solo nel 1950.
Gli scavi del 2010 (Foto: Landesamt fur Denkmalpflege
Baden-Wurttemberg/Antiquity Publications Ltd.
Nel 2005 l'archeologo Siegfried Kurz, morto nel 2014, trovò una spilla d'oro in un campo arato e condusse uno scavo in piccola scala nella tomba, che era situata in una zona conosciuta come la necropoli di Bettelbuhl. La sepoltura conteneva i resti di un bambino in giovane età, probabilmente di sesso femminile, di età compresa tra i 2 ed i 4 anni, sepolta accanto ad una tomba più grande che aveva una camera funeraria in legno.
Preoccupati che l'intervento di un aratro o di altre attività agricole potesse danneggiare la tomba più grande, i ricercatori hanno proceduto a scavare un'intera sezione nel 2010. La tomba grande conteneva una miriade di tesori: intricati gioielli in ambra, oro e bronzo; mucchi di pellicce e prodotti tessili; un ornamento ricavato dalle zanne di cinghiale, corni, campanelli in bronzo che ornavano, probabilmente, il petto di un cavallo; oggetti intagliati in legno ed osso; braccialetti ricavati da una pietra nera e una cintura di bronzo e cuoio.
La donna, il cui scheletro è stato trovato dalla parte opposta del tesoro, sepolta con pochi ornamenti e, perciò, ritenuta una serva, era alta solo 1,57 metri. Il pavimento della camera funeraria era stato rivestito con tavole di abete, rovere e argento. L'esame del legno ha indicato che gli alberi vennero abbattuti nell'autunno del 583 a.C., il che colloca la tomba nel periodo della cultura di Hallstatt, un popolo che visse nell'Europa centrale proprio in quel periodo.
I gioielli della donna sepolta nel grande tumulo sono molto simili a quelli rinvenuti, nel 2005, nella tomba di un'altra donna appartenente ad un alto livello sociale, situata a due metri dalla tomba attualmente esplorata. La somiglianza nel corredo porta a pensare che la ragazza e la donna siano state sepolte nello stesso periodo.

Fonte:
livescience.com

Winchester, il pellegrino e la lebbra in Europa

Lo scheletro del pellegrino analizzato dai ricercatori
(Foto: S. Roffey)
Uno dei lebbrosi sepolti nel cimitero dell'ospedale di Santa Maria Maddalena a Winchester era, con tutta probabilità un pellegrino che può aver viaggiato in tutta Europa, compresa Santiago de Compostela. L'analisi dei suoi resti getta nuova luce sulla diffusione della lebbra in Europa e su come veniva curata in epoca medioevale.
La sepoltura dell'ignoto pellegrino è stata scavata nel corso di un progetto archeologico più ampio, nei pressi del lebbrosario di Santa Maria Maddalena, dove sono state scoperte oltre 100 sepolture individuali. Il pellegrino è stato identificato per la presenza, nella sua tomba, di una conchiglia, un simbolo ben documentato del pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Si tratta della prima sepoltura di un pellegrino affetto da lebbra documentata in Europa occidentale, che è uno dei motivi per i quali gli archeologi hanno deciso di analizzarla dettagliatamente.
La conchiglia forata, simbolo del pellegrinaggio a Santiago de Compostela
(Foto: S. Roffey)
Il lebbrosario di Santa Maria Maddalena a Winchester è il primo ospedale di lebbra scientificamente accertato in Europa occidentale. Alcune fonti ne documentano altri simili nel circondario, ma finora non ne è stata trovata alcuna prova archeologica. L'ospedale risalirebbe all'XI secolo e venne istituito per rispondere all'emergenza della lebbra che si stava diffondendo in Europa. La datazione al radiocarbonio suggerisce che il pellegrino la cui sepoltura è oggetto attualmente di indagini, sarebbe morto nei primi anni del XII secolo, pochi decenni dopo l'istituzione dell'ospedale.
Il sito è unico, nel Regno Unito, per l'elevato numero di sepolture i cui resti scheletrici riportano le caratteristiche lesioni della lebbra: almeno l'86% degli scheletri presentano questi segni. Poiché la lebbra si manifesta in due forme, una delle quali non lascia tracce sulle ossa, può darsi che il resto degli individui sepolti insieme al pellegrino siano stati anch'essi affetti dalla terribile malattia.
"Un elevato numero di scheletri recanti segni di lebbra sepolti in un unico luogo, suggeriscono che le persone che lavoravano in quest'ospedale sapevano perfettamente cosa stavano facendo. Sapevano come diagnosticare la lebbra e sapevano individuare chi aveva bisogno di essere curato", ha affermato Simon Roffey, lettore di archeologia medioevale presso l'Università di Winchester.
Per quel che riguarda il pellegrino oggetto di studio, il suo scheletro recava minime tracce di lebbra, limitate ai piedi e alle gambe. L'analisi del Dna ha rivelato che egli fu contagiato dalla malattia, ma che questa era solo agli inizi.
Il corpo del pellegrino (Foto: S. Roffey)
"L'idea comune sulla lebbra è quella che vuole che essa giungesse in Europa con le crociate. Tuttavia le prove archeologiche trovate nell'ospedale di Winchester sembrano suggerire che qui la lebbra si manifestò un certo numero di anni prima delle crociate, sicché abbiamo ipotizzato che il pellegrino abbia contratto la malattia in un altro modo. - Ha detto Simon Roffey. - I pellegrini viaggiavano molto, venendo a contatto con molte persone. Probabilmente hanno contratto la malattia durante i loro viaggi in Europa e l'hanno diffusa. Anche se le crociate furono il fattore determinante della diffusione della lebbra in epoca medioevale, altri "conduttori", quali i frequenti pellegrinaggi, hanno avuto una loro parte".
Gli archeologi hanno anche scoperto che la lebbra contratta dal pellegrino apparteneva ad un ceppo di solito oggi associato con casi presenti nell'Asia occidentale e centro-meridionale. Questo potrebbe indicare che la lebbra non giunse in Europa necessariamente dal Medio Oriente e durante le crociate. I ricercatori hanno anche potuto ricostruire le caratteristiche del viso e del cranio del pellegrino, giungendo a dichiarare che per la morfologia del suo cranio lo accomunava alle popolazioni dell'Europa del nord. Vale a dire che l'uomo non era di Winchester, ma non è ancora possibile identificare la regione geografica di origine.

sabato 28 gennaio 2017

Osaka, la bambolina in ceramica...

La bambolina in porcellana trovata ad Osaka (Foto: Takashi Yoshikawa)
Una bambola in argilla della cultura Yayoi (300 a.C. - 300 d.C.) è stata ritrovata in perfette condizioni in un sito archeologico della prefettura di Osaka, in Giappone.
La bambola è stata trovata intatta tra le rovine di Kori, al centro di Osaka, dove gli scavi sono iniziati nel 2016 e dove sono stati scoperti 140 hokei shukobo, tumuli funerari di forma rettangolare. La bambola è stata trovata in uno di questi tumuli. Essa ha un'altezza di 5,9 centimetri ed è larga circa 3 centimetri. Ha fori alle orecchie e la testa di forma sferica. Con la bambola sono stati trovati tre kuda dama, sorta di perline cilindriche in diaspro.
Il più grande dei tumuli scoperti misura circa 18 metri di lunghezza per 12 metri di larghezza. Gli archeologi pensano che qui sorgesse un villaggio di una certa importanza.

Fonte:
asahi.com

giovedì 26 gennaio 2017

Taranto, emerge una dea dal mare...

La statua rinvenuta nel mare di Taranto (Foto: cronachetarantine.it)
Eccezionale ritrovamento a Taranto. Un giovane tarantino, durante un'immersione subacquea, ha scoperto e portato alla luce un reperto di fattura ellenica e risalente probabilmente al IV secolo a.C.
Alla sua quarta esperienza di pesca subacquea invernale, Luca Dinoi, tennista di professione, si è accorto della presenza, in fondo al mare, della statua di una dea greca. La statua è stata portata a galla e sono state contattate le autorità preposte.

Fonte:
Liberamente adattato da cronachetarantine.it

martedì 24 gennaio 2017

I bambini della necropoli di Saqqara

Un'archeologa esamina i resti rinvenuti nella necropoli di Saqqara
(Foto: Wojciech Wojciechowski, Polish Centre
of Mediterranean Archaeology)
Anemia, sinusite cronica, carie, sono tra le malattie più rintracciabili tra i bambini sepolti nella necropoli egizia di Saqqara. I resti di questi bambini sono stati studiati dai bioarcheologi polacchi. Gli scavi in questa località sono stati condotti, per quasi vent'anni, dal Professor Karol Mysliwiec dell'Istituto della Cultura Mediterranea ed Orientale. Attualmente a capo del progetto è il Dottor Kamil Kuraszkiewicz, del Dipartimento di Egittologia dell'Università di Varsavia.
La necropoli di Saqqara risale a circa 6000 anni fa, all'inizio del cosiddetto Antico Regno e rimase in uso per diversi millenni. Con il tempo qui vennero sepolte anche persone comuni, non solo membri dell'élite dell'epoca, come è risultato dallo studio degli scheletri rinvenuti. Le sepolture di epoca tolemaico-romana (IV secolo - I secolo a.C.) erano molto più numerose e semplici nella forma, rispetto a quelle dell'Antico Regno, quando i morti venivano sepolti direttamente nella sabbia del deserto.
Tra le oltre 500 sepolture di questo periodo, ce n'erano solo 83 riferibili a bambini, dei quali sono stati esaminati 29, di età variabile tra le poche settimane di vita e i 12 anni. Alcuni degli scheletri erano avvolti in sudari di lino. Per i ricercatori polacchi è sconcertante aver ritrovato soltano pochi resti di bambini a Saqqara, ci si aspettava di trovarne di più, visto l'alto tasso di mortalità infantile dell'epoca. Tra i resti dei 29 bambini esaminati dagli archeologi, quelli più numerosi erano quelli appartenenti ad individui morti all'età di 3-5 anni. I ricercatori ritengono che questo sia dovuto alla carenza immunitaria immediatamente successiva alla fine dell'allattamento al seno.
Le porosità presenti all'interno dell'osso orbitale, poi, possono essere una prova dell'anemia causata dalla carenza di minerali come il ferro dalla carenza di vitamine come la B12 e la B9 (acido folico), o il risultato di malattie croniche come la malaria. Dall'esame dei denti è emersa anche la presenza di carie causata, probabilmente da una dieta ricca di zuccheri e carboidrati. I seni nasali hanno mostrato anche che alcuni bambini hanno sofferto di sinusite connessa alle condizioni ambientali in cui vivevano: i bambini, infatti, respiravano aria contaminata con polvere e sabbia del deserto che penetrava facilmente nelle loro abitazioni.
I ricercatori stanno progettando ulteriori studi sulla salute, la dieta e le condizioni di vita dei bambini della necropoli di Saqqara da sviluppare nel corso dei prossimi scavi. Durante il periodo di attività della necropoli, l'Egitto perse la sua indipendenza e divenne parte delle conquiste di Alessandro Magno e dei suoi successori, i Tolomei, che qui diedero vita ad una nuova dinastia.

Fonte:
scienceinpoland.pap.pl

domenica 22 gennaio 2017

Paestum, il ritorno del guerriero

Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha recuperato cinque pregevoli dipinti sottratti al territorio di Paestum.
La storia di questi dipinti risale al 1995, quando un'importante indagine della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere per contrastare la piaga degli scavi clandestini e della ricettazione, mette al centro dei riflettori un noto trafficante internazionale. Grazie alle intercettazioni telefoniche si è scoperto che l'uomo aveva centinaia di reperti già piazzati sul mercato illecito in fase di trattativa con i tombaroli.
Ulteriori indagini hanno portato al sequestro di numerosi reperti, alcuni dei quali recavano ancora tracce di terra, custoditi in un deposito a Campione d'Italia (Co). Si tratta di porzioni di una tomba a cassa litica, con scene dipinte che permettono di ascriverle al repertorio delle tombe affrescate sannitico-campane di IV-III secolo a.C. nelle aree archeologiche di Paestum.
Tre lastre tombali recano le immagini di altrettante figure femminili che offrono bevande e frutta alla divinità. Le donne indossano vesti chiare bordate, al centro, di rosso; sono a braccia nude tranne una, che appare velata come ad indicare una donna di età e status superiore, la domina delle sue ancelle. Nella lastra più grande un giovane eroe a piedi, capelli neri e un filo di barba, recante uno scudo conico, un cinturone di bronzo e due corti giavellotti in ferro, conduce un mulo che trasporta un carico con un cagnolino. Questa lastra ha un diretto riscontro con un affresco rinvenuto nel 1969 negli scavi in località Andriuolo-Laghetto (Paestum). L'iconografia del ritorno del guerriero, inoltre, è un tema molto diffuso nel IV secolo a.C.
Il cavaliere è accompagnato da due guerrieri a piedi vestiti con stivali, tunica, cinturoni, scudi ed elmi. Il guerriero a destro, barba fluente e lunghi capelli neri, impugna due corte lance in ferro. Anche l'elmo è in ferro. L'uomo ha un'aria piuttosto esotica, tipica di un mercenario straniero, forse etrusco. Tutte le lastre risultano tagliate e poi ricomposte circa a metà dell'altezza, probabilmente per trafugarle e trasportarle meglio. Erano pertinenti, molto probabilmente, alla sepoltura di un membro dell'aristocrazia lucana del IV secolo a.C.

Fonte:
Liberamente tratto da Archeologia Viva marzo/aprile 2016

La missione archeologica italiana e l'antica città di Nigin

Particolare delle ciotole trovate rovesciate sul pavimento in un ambiente
al centro dell'antico insediamento (Foto: asorblog.org)
Circa 40 chilometri a nordest di Nassiriya, tra il Tigri e l'Eufrate, ha operato, negli scorsi anni, una missione congiunta tra l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma e l'Università di Perugia. Gli archeologi hanno scavato a Tell Surghul, dove, nell'Ottocento, è stata segnalata la presenza di ceramica affiorante dal suolo ed iscrizioni cuneiformi che facevano riferimento ad una città sepolta, Nigin, un insediamento risalente al III millennio a.C., facente parte, con le città di Girsu e Lagash, di un'entità politica conosciuta come stato di Lagash.
Gli archeologi hanno trovato, sulla sommità della collina più bassa dell'insediamento, un muro in mattoni crudi spesso oltre due metri ed i resti di almeno cinque incensieri in ceramica, tutti al loro posto. Tra questi incensieri uno era dipinto in nero su bianco, con una decorazione che, nella parte superiore, richiamava le montagne mentre nella parte inferiore alludeva alle acque sotterranee che la mitologia sumerica collegava al dio Enki, creatore dell'uomo.
Nel crollo del muro è stato rinvenuto anche un meraviglioso cristallo di rocca lavorato e un chiodo in ceramica, entrambi databili al 4800-4500 a.C.. Nicchie e lesene in mattoni crudi ad occidente della struttura scoperta rimandano ad una destinazione sacra della struttura alla quale apparteneva il muro.
Gli incensieri ritrovati nella parte bassa dell'insediamento
(Foto: asorblog.org)
In un'altra parte del sito, al centro dell'antico insediamento, è stato scoperto l'angolo di un vano, delimitato da due muri in mattoni crudi. I ricercatori non sono ancora certi della destinazione d'uso dell'edificio di cui faceva parte, ma un indizio importante è sicuramente costituito da oltre 40 ciotole intere rinvenute rovesciate sul pavimento e ancora ricolme di resti alimentari: semi di grano, lische di pesci e ossa di piccoli animali. Probabilmente si trattava del vano di un edificio pubblico per lo stoccaggio e la ridistribuzione delle risorse alimentari. Il vano presenta tracce di distruzione e di incendio, che portano a pensare ad una fine violenta e drammatica della città di Nigin.
Tra il 2450 e il 2350 a.C. l'insediamento venne ridotto di dimensione, probabilmente a causa di un allagamento parziale. Nigin, infatti, all'epoca era circondata da estese paludi. Il ridimensionamento comportò comunque la costruzione di alcuni edifici sacri e di altre opere pubbliche. Uno dei primi templi fu quello dedicato a Nanshe, divinità delle acque nonché patrona della città. Venne scavato anche un grande canale che terminava al mare. Gudea di Lagash, che regnò tra il 2144 e il 2124 a.C., incrementò gli interventi edilizi a Nigin, facendo costruire templi dedicati alle più importanti divinità del regno.
Nella campagna di scavo del 2016 sono state ampliate le esplorazioni del centro antico di Nigin e sono stati riconosciuti diversi strati databili al tardo Uruk ed al I periodo della Dinastia di Ur. Sono state inoltre scavati tre ambienti dell'edificio scoperto l'anno precedente, che aveva il suo ingresso principale sul lato occidentale. Nello scavo sono state individuate quattro grandi giare rotte.
Veduta generale dell'ambiente in cui sono state rinvenute delle ciotole
rovesciate (Foto: asorblog.org)
Nanshe, dea protettrice di Nigin, era figlia di Enki e  di Ninhursag, dea della terra. Era anche sorella di Ningirsu, dio della guerra, patrono del re Gudea e dello stato di Lagash. La nascita di Nanshe è narrata nel mito sumerico "Enki e Ninhursag", dove si racconta che Enki mangiò alcune piante speciali e protette della dea Ninhursag e per questo fu da lei maledetto. L'intervento del dio Enlil riconciliò la coppia e Ninhursag cancellò la maledizione e diede vita ad una serie di divinità che curassero i malesseri di Enki. Così nacque Nanshe, che alleviò i dolori alla gola del padre.
Nanshe aveva un rapporto particolare con il mondo delle acque dolci, come si riscontra a Nigin, del resto. La città era, infatti, caratterizzata, in antico, dalla vicinanza del mare ma anche da sistemi di canali artificiali e paludi. Lo stesso Gudea ricorda di aver effettuato in barca il suo viaggio a Nigin, al tempio Sirara di Nanshe. Un suo testo lo descrive come "la montagna che si erge sulle acque".
Durante la campagna di scavo di ottobre-dicembre 2016 è stata aperta ed esplorata una nuova trincea di scavo, mirante ad identificare l'ultima fase del tempio della dea Nanshe, citato nei mattoni inscritti di Gudea di Lagash, i cui resti sono sparsi alla base del tumulo sul lato meridionale. Lo scavo è stato aperto in cima alla collina, già esplorata nel 1887. Qui è stata scoperta una placca in argilla con la raffigurazione di un uomo-toro che tiene un anello ed un mattone con sigillo che riporta l'iscrizione di Gudea che menziona Nigin e la costruzione del Sirara, il tempio dedicato alla dea Nashe.
Alla fine del III millennio a.C. le città di Girsu, Lagash e Nigin vennero distrutte come conseguenza della caduta della III Dinastia di Ur. Sono pochi i documenti del periodo paleobabilonese che testimoniano il lento declino e l'abbandono di questi insediamenti.

Fonte:
liberamente adattato da Archeologia Viva settembre/ottobre 2015

La Fonte di Giuturna nel Foro Romano

La Fonte di Giuturna (Foto: thehistorytemple.com)
Nel 2015 sono tornate visibili al pubblico sette grandi sculture legate al contesto della Fonte di Giuturna (Lacus Iuturniae), una delle più importanti dell'antichità, le cui acque erano considerate salutari.
Tra le statue esposte, il gruppo dei Dioscuri trovato in pezzi nella vasca della Fonte di Giuturna (segno che le sculture furono, forse, spezzate intenzionalmente) e in seguito ricomposto. Il gruppo, una copia dallo stile arcaicizzante di epoca ellenistica, è databile tra la fine del II secolo e l'inizio del I secolo a.C. e, insieme alle altre sculture è stato trovato a poca distanza dal Tempio di Romolo.
Il puteale in marmo, anch'esso rinvenuto con le sculture, riporta due iscrizioni che ricordano il magistrato Marcus Barbatius Pollio (I secolo a.C.), che lo dedicò a Giuturna, la ninfa con la quale i Romani personificarono la fonte d'acqua. La leggenda vuole che i Dioscuri siano apparsi ai Romani per guidarli contro i Latini nella battaglia al Lago Regillo (499 a.C.) per la difesa di Roma. Furono poi visti abbeverare i loro cavalli alla fonte di Giuturna e annunciare la vittoria in città. Sul bordo del bacino è stato trovato un calco di un un cippo marmoreo di età traianea, che rappresenta i Dioscuri a rilievo, i loro genitori Giove e Leda e la ninfa Giuturna.
Il gruppo dei Dioscuri in mostra (Foto: eventiculturalimagazine.com)
La sorgente, che scaturiva ai piedi del Palatino, tra il Tempio di Vesta e quello dei Castori (come i Romani chiamavano i Dioscuri, privilegiando il nome di uno dei gemelli, Castore), fu individuata dagli scavi di Giacomo Boni nel 1900. Più tardi, negli anni '80, è stata oggetto di studio da parte dell'Istitutum Romanum Finlandiae.
Il luogo in cui sorgeva la Fonte di Giuturna è individuabile grazie al bacino con al centro il calco dell'ara. Un'edicola sacra, probabilmente il tempietto dedicato a Giuturna, sorella del re Turno, e l'edificio in mattoni della Statio Aquarum (l'ufficio degli acquedotti), che in origine doveva essere decorato da numerose sculture, completano il sito della fonte più importante a Roma.
Sono state identificate diverse fasi di costruzione, grazie ai materiali ed alle tecniche impiegate: opera reticolata alla fine del II e inizi del I secolo a.C., tufo dell'Aniene all'inizio dell'Impero. Probabilmente i restauri della fonte sono contemporanei a quelli del Tempio dei Dioscuri, ipotesi confermata dal ritrovamento dei pezzi delle statue dedicate ai gemelli divini, che in origine avrebbero occupato uno spazio sul piedistallo centrale della fonte.
Si narra che Giuturna sarebbe stata amata da Giove, che la trasformò in una fonte di eterna giovinezza, dove Giunone si bagnava riacquistando la sua giovane freschezza. In onore della ninfa si celebravano, a Roma, gli Iuturnaria per scongiurare la siccità. La fonte era tra i numerosi santuari dedicati alle divinità acquatiche, dove gli ammalati si recavano per avere beneficio dalle acque medicamentose.



Fonti:
liberamente adattato da:
Adnkronos.com
archeologia viva settembre/ottobre 2015
thehistorytemple.it

sabato 21 gennaio 2017

Sudan, scoperti cimiteri accanto al monastero di al-Ghazali

Una delle sepolture trovate nei pressi del monastero di al-Ghazali, in Sudan
(Foto: Robert Stark)
Gli archeologi hanno annunciato la scoperta di quattro grandi cimiteri nei pressi di un monastero medioevale in Sudan. Finora sono stati estratti 123 scheletri, alcuni dei quali sono stati deposti in modo molto strano. La scoperta è degli ultimi due anni e il monastero è quello di al-Ghazali, vicino al Nilo. Già nel 2014 gli archeologi polacchi avevano riportato alla luce un monastero bizantino, che aveva ospitato un nutrita comunità di monaci e pellegrini.
Gli scheletri trovati nei pressi del monastero di al-Ghazali sono tutti maschili, probabilmente si tratta dei monaci che  vivevano qui circa mille anni fa, quando un prospero regno cristiano era fiorito nel Sudan. Nel 2013 altri archeologi hanno annunciato la scoperta di una cripta risalente a 900 anni fa in Sudan. Nella cripta, le cui pareti erano ricoperte di iscrizioni, erano custoditi sette corpi mummificati.
Uno dei teschi con ancora tracce del sudario
(Foto: Robert Stark)
In un'altra sepoltura comune, nel 2009, quella del monastero di Old Dongola, capitale dell'antico regno medioevale di Makuria, che fiorì nella valle del Nilo, vennero ritrovati sette scheletri maschili molto ben conservati. Gli scheletri indossavano vesti di lino, alcuni portavano al collo una croce cristiana. Si pensa che uno degli scheletri potrebbe essere quello dell'arcivescovo Georgios, probabilmente il più potente leader religioso del regno cristiano di Makuria. Nelle vicinanze venne trovato un epitaffio in cui si apprende che la morte dell'uomo avvenne nel 1113 d.C., all'età di 82 anni. Le iscrizioni trovate sulle pareti della cripta erano in greco e in copto, tracciate con l'inchiostro nero.
Tra i resti trovati in questi ultimi due anni vi sono anche sudari ben conservati che, in alcuni casi, coprivano ancora il capo dei defunti. Tuttavia quello che più ha lasciato perplessi i ricercatori sono alcune sepolture "anomale" di questo cimitero. Due corpi, in particolare, sono stati trovati con segni di incisioni sulle ossa praticate post mortem, quando le ossa erano ancora abbastanza "fresche". Altri corpi sono stati sepolti in modo strano. Le gambe di un uomo, per esempio, formavano un angolo di 45 gradi e lo stesso individuo aveva una delle braccia sollevate e poste attorno alla testa.

Fonte:
ancient-origins.net

mercoledì 18 gennaio 2017

Merneith, prima regina d'Egitto?

Stele trovata ad Abydos con il geroglifico
della regina Merneith
(Foto: Looklex Encyclopaedia)
La prima donna considerata alla stregua di un sovrano egiziano fu Neithotep, consorte del faraone Narmer. Il suo nome significa "Neith è soddisfatta". Venne seppellita a Naqada, il che sta ad indicare che apparteneva ad una dinasti di governanti locali.
Alcuni storici, però, sostengono che Neithotep governò come reggente di suo figlio, troppo giovane, alla morte di Narmer, per poter governare il Paese. Neithotep ha, piuttosto, aperto la strada a ruoli femminili importanti nella corte faraonica. Altre regine di questo periodo sono Benerib, Khenthap, Herneith e Merneith, quest'ultima sicuramente governò l'Egitto in prima persona.
Anche il nome Merneith è legato alla dea Neith e significa "amata da Neith". Mernehit governò l'Egitto alla morte del faraone Djet, poiché il figlio avuto da quest'ultimo era troppo giovane. Detenne il potere finché Den, figlio di Djet, fu abbastanza maturo per diventare re. La scarsità di fonti in proposito non chiarisce meglio il suo ruolo, non si sa se fu la prima o la seconda donna a governare l'Egitto.
Il nome di Merneith sembra essere stato dimenticato (più o meno intenzionalmente) durante il periodo del Nuovo Regno. Il suo nome compare in una lista di governanti riportata sulla Stele di Palermo ed è noto da un sigillo scoperto nella tomba di suo figlio Den. In questo sigillo Merneith ricopre il titolo di madre del re.
La prova più importante dell'esistenza e del ruolo di Merneith si trova chiuso nella sua sepoltura, tra le tombe reali maschili di Abydos. La tomba Y è un complesso che appartiene proprio a Merneith. Elementi con il suo nome sono stati trovati nella mastaba numero 3503, tra essi vasi in pietra e guarnizioni.
Neith è una delle divinità più complesse dell'antico Egitto. A lei si ispirarono molte regine che dedicarono a Neith il loro regno. Alla morte di Merneith il potere venne assunto dalle regine Sehemetka, Semat, Serethor e Batirytes. I loro regni non sono stati così importanti da meritare più di una menzione, probabilmente si tratta di regine di faraoni secondari.

lunedì 16 gennaio 2017

Tomba greca all'aeroporto di Comiso

(Foto: ragusanews.com)
Una tomba greca è stata scoperta per caso nel sito in cui si dovrà costruire una rotatoria di accesso all'aeroporto di Comiso. Secondo gli archeologi si tratta di una tomba del V-VI secolo a.C. Il ritrovamento è frutto di una fattiva sinergia e collaborazione tra gli enti pubblici interessati, la Provincia regionale di Ragusa e la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Ragusa e la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Ragusa, in attuazione di una recente normativa in materia di lavori pubblici che prevede la necessità di una verifica preventiva dell'interesse archeologico in sede di progetto preliminare dell'opera da realizzare.
E proprio dall'esito delle indagini e delle ricognizioni effettuate nel sito interessato, è emersa una sepoltura di età greca del V secolo a.C., quasi intatta, con un ricco corredo di vasi attici di quelli che si usava mettere nelle tombe (lekythoi). La qualità e la rarità del materiale rinvenuto, dà delle indicazioi sull'importanza dell'individuo sepolto nella tomba: la più grande delle lekythoi, alta 30 cm circa, è decorata con una figura femminile nell'atto di compiere una libagione, forse il rito sacro in onore di un ricco defunto, probabilmente un greco d'Occidente.
Queste prime indagini nel sito coordinate dalla Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Ragusa e in particolare dal Dottor Saverio Scerra hanno ancora una volta dato l'opportunità alle nuove leve dell'archeologia iblea di cimentarsi nello scavo archeologico e nella collaborazione con l'ente preposto alla tutela dei Beni Archeologici, che da un pò di tempo crede fortemente nella valorizzazione dei giovani archeologi iblei, ormai in gran numero.
Infatti al momento del rinvenimento era presente sul cantiere di scavo la giovane archeologa comisana Laura Diara, che accortasi dell'importanza del ritrovamento ha contattato l'archeologo Saverio Scerra che è immediatamente intervenuto per seguire e coordinare i lavori di apertura della sepoltura e il recupero dei reperti in essa contenuti.
La tomba potrebbe essere indicativa della presenzza di un piccolo nucleo di sepolture come altri indagati da Biagio Pace nel secolo scorso nelle contrade a nord di Comiso.

Fonte:
ragusanews.com

domenica 15 gennaio 2017

Israele, scoperta fortificazione del X secolo a.C.

L'archeologo Erez Ben-Yosef indica la trincea di scavo della miniera
di rame della valle di Timna (Foto: Tel Aviv University, Central
Timna Valley Project)
In Israele è stato scoperto un sistema di difesa fortificato situato accanto ad una miniera dell'età di Davide e Salomone (X secolo a.C.).
Recenti scavi nei pressi di una miniera di rame, conosciuta come "collina degli schiavi", nella valle di Timna, hanno rivelato una guardiola fortificata. Gli scavi sono stati condotti sotto la direzione di Erez Ben-Yosef, dell'Università di Tel Aviv e dimostrano che durante l'Età del Ferro l'insediamento attiguo alla miniera era dotato di una difesa altamente organizzata.
I vasti depositi di rame nel Levante meridionale sono stati sfruttati dagli esseri umani per centinaia di anni. Il campo appena scoperto venne identificato già nel 1930 dall'archeologo biblico Nelson Glueck, che la chiamò "collina degli schiavi", ipotizzando che le possenti mura che circondavano il luogo dovessero servire ad impedire agli schiavi di fuggire nel deserto. I ricercatori che hanno preceduto gli archeologi di Erez Ben-Yosef hanno anche appurato che coloro che vivevano e lavoravano nella miniera di rame non avevano la dieta tipica degli schiavi: mangiavano tagli piuttosto buoni di carne, pistacchi e pesci importati dal Mediterraneo, suggerendo che costoro dovessero godere di uno status piuttosto elevato.
Gli scavi del 2014 hanno rivelato l'esistenza di una porta di accesso al villaggio dei minatori piuttosto prominente, con due camere per ciascun lato, probabilmente si trattava del punto di riferimento più importante del luogo che fungeva da sede amministrativa e difensiva, per controllare e tenere traccia del flusso di merci e persone dentro e fuori il campo.
"Il rame era, all'epoca, un metallo piuttosto raro e impegnativo da produrre. - Ha detto l'archeologo Ben-Yosef. - Il rame, come l'olio oggi, era la più ambita delle materie prime ed era oggetto di diversi conflitti militari. La scoperta della fortificazione indica un periodo di grave instabilità e di minacce militari nella regione". I ricercatori hanno rinvenuto anche cumuli di letame fuori da entrambe le stanze della casa del guardiano ed hanno pensato che qui fossero situate le stalle per gli animali, per gli asini in particolare. I ricercatori hanno studiato anche lo sterco degli asini, giungendo a concludere che non furono nutriti con la paglia, ma con il fieno bucce e polpa d'uva. Lo sterco sembra esser stato deliberatamente accatastato nei pressi della casa del guardiano, a suggerire che, molto probabilmente, era utilizzato come combustibile per le fornaci di fusione del rame.

sabato 14 gennaio 2017

Grecia, scavato un tempio di Esculapio sull'isola di Kythnos

A sinistra l'edificio identificato come Asklepieion, sulla destra l'edificio
ritenuto tempio di Aphrodite (Foto: K. Xenikakis, S. Gesafidis)
Nel 2016 sono stati trovati impressionanti reperti sull'isola di Kythnos, nel sito di Vryokastro, dove si trova l'antica capitale dell'isola. Le indagini archeologiche si sono focalizzate su due edifici pubblici, due santuari, del periodo ellenistico, presenti sull'altopiano centrale della città. Uno degli edifici è stato identificato come Asklepieion. Gli scavi sono diretti dal Professor Alexandros Mazarakis Ainian.
L'utilizzo a fini di culto dell'edificio è stata confermata dalla presenza di un santuario ad est e dalla presenza di alcuni reperti tra i quali frammenti di statuette d'argilla e una piccola testa in marmo di Asklepios, all'interno del portico settentrionale. Le indagini all'interno della cisterna vicina al tempio hanno portato alla luce diversi frammenti di sculture in marmo di epoca ellenistico-romana e una piccola colonna inscritta, un'offerta a nome di una donna di nome Kallisto.
La base inscritta in marmo di una stele ellenistica della seconda metà
del II secolo a.C. (Foto: K. Xenikakis, S. Gesafidis)
Il culto di Esculapio a Kythnos era già noto grazie a un rilievo votivo della seconda metà del IV secolo a.C. provenienti dall'isola, ora custodito nel Museo archeologico nazionale e raffigurante l'accoglienza, da parte di Esculpaio, di un eroe locale. La presenza di molte lampade di età romana nell'edificio deputato al culto, rivela che quest'ultimo rimase in uso fino all'epoca romana. Una base con iscrizione appartenente ad una stele onoraria dedicata a Demos di Kythnias e datata alla seconda metà del II secolo a.C. o all'inizio del I secolo a.C., è stata rinvenuta nel portico meridionale.
La destinazione d'uso del secondo edificio riportato alla luce rimane sconosciuta. All'interno dell'edificio sono state ritrovate ceramiche di epoca ellenistica, anfore commerciali (molte delle quali con anse che recano una sorta di sigillo), oggetti in piombo, figurine femminili in argilla, perni di bronzo e chiodi.
I santuari erano stati costruiti sulla cima della collina, in collegamento con il porto attraverso un sentiero scavato nella roccia. Precedentemente, vicino ai santuari, è stata trovata un'iscrizione di epoca ellenistica: "Samothrakion Theon", che vuol dire appartenente agli dei di Samotracia. E' stato trovato anche un frammento di una statua di marmo attribuita allo scultore Damopho di Messenia. La presenza umana, in questo sito, è datata al periodo Geometrico o al Primo Periodo Arcaico.
La prosecuzione degli scavi potrà rivelare se il secondo edificio scavato sia attribuibile ad un santuario dedicato ad Aphrodite, come ritengono alcuni studiosi.

Tempio di Cleopatra scoperto ad Alessandrio d'Egitto

Cleopatra (Foto: romanoimpero.com)
Tre archeologi dell'Università di Lovanio, in Belgio, Marie-Cécile Bruwier, direttrice del Museo reale di Mariemont e professoressa di archeologia egiziana e museologia; Marco Cavalleri, professore di archeologia romana e antichità italiche; Nicolas Amoroso, assistente presso la cattedra di archeologia romana e antichità italiche, hanno scoperto ad Alessandria d'Egitto un complesso monumentale di età greco-romana dedicato alla regina Cleopatra.
La missione archeologica sta portando avanti una campagna di scavi nel settore orientale esterno alle antiche mura di Alessandria, è qui che sono emerse le tracce di un tempio e di un apparato scultoreo risalente al regno di Cleopatra VII (51-30 a.C.), la più famosa regina d'Egitto.
Le indagini si sono concentrate, in particolare, nella zona del moderno quartiere di Smouha, un sobborgo orientale di Alessandria d'Egitto già conosciuto dal XVIII secolo e oggetto di scavo dal 2008. Le testimonianze si basavano su alcuni frammenti di statue colossali, oggi custodite nel Museo di Mariemont e nel Museo greco-romano di Alessandria.
E' stato portato alla luce, in questi ultimi scavi, un frammento di lucerna romana raffigurante Iside in trono adorna del basileion, il disco solare sostenuto da due spighe di grano e sormontato da due piume. La presenza di spighe richiama l'assimilazione della dea con Demetra. Una seconda lucerna mostra Iside in trono che allatta il piccolo Arpocrate, mentre il frammento di una manica è riferibile ad un busto di Serapide. I reperti rinvenuti evidenziano la pratica di culti isiaci in questo sobborgo alessandrino. Sono stati anche rinvenuti alcuni gettoni da gioco alessandrini di età greco-romana, che recano l'iscrizione Eleusinion, con la rappresentazione di un edificio porticato a più piani che lascia ipotizzare l'organizzazione di giochi nell'Eleusi di Alessandria. Inoltre due iscrizioni geroglifiche frammentarie, scoperte nel 2009 e nel 2010, presentano parte di una titolatura reale dimostrando la presenza di statue reali nel luogo dove sono stati condotti gli scavi. Le ricerche, infine, hanno evidenziato una sessantina di blocchi di forma parallelepipeda in granito, calcare e marmo e parecchi frammenti di colonne in granito rosa.
Del grande complesso monumentale ora individuato si era completamente persa memoria fino al boom edilizio che Alessandria d'Egitto visse nella seconda metà del XIX secolo. Fu in questo frangente che Albert Daninos-Pacha, nel 1892 scoprì le due statue colossali. Poi, negli anni '20, Joseph Smoutha, negoziante di cotone, sviluppò il progetto per prosciugare il lago Hadra e per creare un nuovo quartiere al suo posto. Questi lavori giganteschi fecero letteralmente sparire il sito anticho che fu dimenticato fino alle recenti ricerche.

Fonti:
artemagazine.it
meteoweb.eu

Nuove sepolture a Gebel Al-Silsila, Egitto

Una delle sepolture trovate a Gebel Al-Silsila, completa di resti umani
(Foto: Nevine El-Aref)
La missione archeologica egiziana-svedese ha scoperto, sul lato settentrionale di Gebel Al-Silsila, vicino Assuan, un gruppo di sepolture scavate nella roccia, appartenenti al Nuovo Regno. Le tombe erano state segnalate e descritte da diversi visitatori del sito, ma finora non era mai stata fatta un'indagine completa e dei lavori archeologici. Questi ultimi sono iniziati nel 2015.
Sono state scoperte 43 sepolture, cinque delle quali erano riempite di sabbia e presentavano un pericoloso strato di sale che ne metteva in pericolo la conservazione. Questo intervento ha permesso di mettere in luce le caratteristiche architettoniche delle sepolture, due camere delle quali erano scavate nella roccia. Sono emerse, inoltre, altre 12 sepolture scavate nella roccia, tre cripte, ugualmente ricavate nella parete rocciosa, due nicchie per le offerte ed una tomba con sepolture multiple di animali e tre sepolture di bambini. La maggior parte delle tombe scavate finora, fatta eccezione per quelle dei bambini, era stata già saccheggiata nell'antichità ed era coperta da uno spesso strato di limo, sabbia e detriti. Questi materiali sono molto preziosi per gli archeologi, in quanto permettono di datare i ritrovamenti.
L'entrata delle sepolture di Gebel Al-Silsila (Foto: Nevine Al-Aref)
Le sepolture infantili, attualmente allo studio, possono restituire ai ricercatori uno spaccato della vita sociale nel sito di Al-Silsila. Due dei tre bambini ritrovati sono stati collocati all'interno delle pareti a strapiombo in arenaria naturale. Uno dei tre era stato avvolto in tessuto e collocato all'interno di una bara di legno. Tra le sepolture occupate da animal una ne contiene una dozzina tra ovini e caprini, un'altra custodisce dei pesci del Nilo. Un coccodrillo piuttosto ben conservato riposa sul pavimento del cortile esterno della tomba denominata ST27, la deposizione era orientata in direzione nord-sud, con la testa rivolta a nord.
Nasr Salama, direttore generale delle antichità di Aswan, ha dichiarato che il materiale recentemente trovato nelle sepolture è coerente con quello delle sepolture scavate in precedenza, risalenti all'epoca di Thutmosis III ed Amenhotep II. Gli scavi hanno rivelato anche la presenza di sarcofagi in arenaria, scolpiti e dipinti, corredati di coperchi in ceramica, vasi in ceramica e una serie di gioielli, amuleti e scarabei. La presenza di molti individui, all'interno della necropoli, secondo gli archeologi, fa pensare ad una società piuttosto fiorente. L'analisi degli scheletri non ha evidenziato prove di malnutrizione o di infezioni, per cui la popolazione era sostanzialmente sana. Al contrario ci sono prove di fratture alle ossa lunghe, indice di notevoli sforzi muscolari legati alle attività alle quali si dedicava la popolazione adulta.

Fonte:
english.ahram.org.eg

venerdì 13 gennaio 2017

Trovato un villaggio pre-sassone a Cambridge

Vasellame trovato durante lo scavo a Cambridge
(Foto: cambridge-news.co.uk)
E' stato scoperto, dagli archeologi, un villaggio anglosassone molto importante a Cambridge. Sono stati trovati manufatti usurati e preziosi, utilizzati tra il 500 e il 600 d.C.. Si tratta di spille, vetri multicolori, ambra, anelli, forcine tutti risalenti al VI secolo d.C., ma sicuramente il ritrovamento più importante è stato quello del villaggio.
Sono stati trovati anche vasi in ceramica e un bicchiere in vetro piuttosto raro, un genere di reperti piuttosto elaborati, normalmente riscontrati nel Kent, nel nord della Francia, in Olanda e in Germania, dove, con tutta probabilità furono prodotti. Il responsabile dello scavo, Duncan Hawkins, ha detto: "Le prove risalenti al V-VII secolo d.C. sono quasi inesistenti e questo ci offre la possibilità di comprendere come la gente vivesse all'epoca, le loro attività, in cosa commerciavano". Il sito cadde in disuso nel VII secolo d.C., anche se sono state trovate tracce di un qualche tipo di attività in epoca Sassone (VIII secolo d.C.).
Anche i pozzi presenti nel sito attestano una certa attività industriale locale. Sono state trovate anche alcune testimonianze romane antecedenti l'era anglosassone, tra le quali dei piatti ed anche un forno romano per la ceramica. Attualmente il sito è stato risepolto ed i dati sono stati registrati. I manufatti rinvenuti saranno ospitati nei musei locali.

Fonte:
cambridge-news.co.uk

Paracas, trovato un cranio allungato

La testa allungata di un infante mummificato trovata in Perù
(Foto: Brien Foerster, Hidden Inca Tours)
La testa allungata mummificata di un neonato, appartenente all'antica cultura Paracas, è stata trovata in Perù. Il cranio è allungato geneticamente, poiché il processo di deformazione cranica artificiale richiede almeno sei mesi per produrre l'effetto desiderato. Dal momento che sono stati scoperti più di 300 teschi allungati, nel corso degli anni, a Paracas, è probabile che qui vivesse un genere di umani con questa insolita caratteristica.
Il bambino, la cui testa è stata mummificata, è morto circa duemila anni fa ed aveva al massimo tre mesi. Si sono conservati i suoi capelli, di un bruno chiaro. Paracas è una sorta di penisola nel deserto e si trova all'interno della provincia di Pisco, sulla costa sud del Perù. Qui, nel 1928, l'archeologo peruviano Julio Tello scoprì un enorme necropoli, nelle cui sepolture erano stati collocati i resti di individui dai crani allungati più grandi del mondo. Questi resti sono noti come i "teschi di Paracas", in totale ne sono stati trovati circa 300, alcuni dei quali risalenti a tremila anni fa.
I crani allungati di Paracas suscitarono non poco scalpore nel 2014, quando un genetista che aveva effettuato dei test preliminare sul Dna mitocondriale, affermò che quest'ultimo presentava mutazioni sconosciute per qualsiasi umano, primate o animale conosciuto. Una seconda analisi del Dna, completata nel 2016, ha suggerito che i teschi appartenevano ad un'etnia di origine mediterranea o mediorientale.
La maggior parte dei casi di allungamento del cranio sono il risultato di una deformazione cranica ottenuta comprimendo la testa per un lungo periodo di tempo con bende o tavole. Mentre la deformazione cranica cambia la forma del cranio, però, non altera altre caratteristiche tipiche di un cranio umano normale. I teschi di Paracas presentano funzioni che differiscono da quelle tipiche dei teschi normali quali, ad esempio, un arco zigomatico molto marcato, orbite diverse e nessuna satura sagittale. Tutte queste caratteristiche portano a pensare che l'allungamento dei teschi di Paracas potrebbe essere stato naturale e non prodotto artificialmente.
Solitamente la deformazione artificiale del cranio viene operata su un infante, quando le ossa del cranio sono più flessibili. Un periodo favorevole è quello a circa un mese dalla nascita e fino ai sei mesi. Pertanto la scoperta di un neonato con un cranio allungato suggerisce che non vi fosse, in questo caso, una deformazione artificiale dello stesso. La stessa deformazione del cranio è stata riscontrata in un feto racchiuso all'interno del grembo di una donna mummificata, trovata nella caverna di Hichay.

Fonte:
ancient-origins.net

Nimes, musulmani di Francia nel Medioevo

Yves Gleize, archeo-antropologo dell'Inrap e dell'Université de Bordeaux, ha studiato gli scheletri di tre sepolture musulmane emerse durante gli scavi a Nimes. E' il sito più antico di Francia e le tombe testioniano la presenza delle comunità musulmane nel sud del Medioevo tra il VI e l'VIII secolo.
Le tombe sono state scoperte nel 2006 durante la costruzione di un parcheggio sotterraneo. All'interno i corpi di tre uomini sistemati su un fianco, la testa in direzione de La Mecca. "Ci sarà possibilità con l'avanzare degli scavi archeologici di trovare nuove tombe. - Ha affermato Yves Gleize. - Storicamente ci sono poche tracce. Le tombe sono state trovate all'interno di una cinta romana. Lì sotto abbiamo trovato le tombe e, ancora più giù, sotto metri di terra, tutto un quartiere dell'epoca romana". Altre sepolture sono state scoperte a qualche centinaio di metri: "Ma non possiamo essere sicuri che siano cristiani, perché a quell'epoca non erano sepolti sistematicamente nei cimiteri. - Continua Gleize. Per quel che riguarda le tombe musulmane aggiunge - Questi individui sono venuti diverse volte a seppellire i loro morti. Due delle tombe sono l'una accanto all'altra e la terza è molto più lontana".
"Sapevamo che i musulmani erano venuti in Francia nel VII secolo, ma fino a quel momento non avevamo nessuna traccia fisica del loro passaggio. - Afferma l'antropologo francese. - Avevamo un paio di monete e frammenti di ceramica, segni di commercio, ma niente di più. Le analisi archeologiche, antropologiche e genetiche di queste tombe forniscono prove fisiche di un'occupazione musulmana, a differenza della penisola iberica al sud dei Pirenei, che era sotto l'occupazione araba per secoli".
Le analisi del Dna, raccolti dai denti e dalle ossa dei tre uomini, suggeriscono che essi erano di origine nordafricana, che avevano un'età compresa tra i 20 e i 29 anni il primo, verso i trent'anni il secondo e più di 50 anni il terzo. Quel che restava dei corpi non presentava segni di ferite e dalle analisi risulta siano vissuti tra il VI e l'VIII secolo d.C.. Sembra che tutti e tre siano stati reclutati nell'esercito del califfato Omayyade durante la conquista dell'Africa del nord nel VII secolo. Finora la più antica sepoltura musulmana scoperta in Francia risaliva al XII secolo ed è stata scoperta a Marsiglia.
Anche i testi antichi rimandano ad una presenza musulmana a Nimes tra il 729 e il 752. Non si conosce l'entità di queste comunità musulmane. Nel 737 Carlo Martello prese il controllo di Nimes distruggendola, forse per punire le persone che avevano accettato la protezione dei musulmani.
Le tre sepolture trovate erano relativamente vicine a sepolture cristiane e questo dimostrerebbe una possibile coesistenza dei musulmani con le popolazioni indigene.
La presenza musulmana in Spagna è confermata dopo la conquista della fine del VI secolo da molte tracce archeologiche, ma finora non c'era nessuna prova fisica della loro presenza in Francia aquel tempo. La scoperta delle sepolture di Nimes solleva anche altre questioni: "Questi tre uomini sono stati sepolti da altri che avevano familiarità con il rito musulmano", ha detto Yves Gleize. La localizzazione delle tombe, all'interno della città, vicino una strada medioevale e a dieci metri da tombe cristiana potrebbe essere segno di una convivenza di musulmani con la comunità dei Visigoti di Nimes per alcuni anni, fino almeno al 720.

Fonte:
adattato liberamente da lindro.it

La grande muraglia...persiana

Il fortino vicino Kaser-e Pishkamar (Foto: atlasobsucra.com)
Ma quale muraglia cinese: il muro persiano di Gorgan fu il più grande della storia. Doveva difendere il regno dei Sasanidi dalle incursioni dei popoli del nordest, intorno al mar Caspio. Un'opera di ingegneria militare imponente e scomparsa nei secoli sotto la sabbia, fino al suo ritrovamento nel 1999.
Il vero grande muro della storia venne costruito dai Persiani intorno al VII secolo a.C. nella zona di Gorgan, in Gulestan. Gli storici non lo hanno mai detto perché non lo sapevano: la scoperta è avvenuta nel 1999 e l'opera è ancora in fase di scavo il quale, vista l'estensione, l'altezza e lo spessore della struttura, si preannuncia molto lungo.
In realtà qualche traccia nella memoria collettiva era rimasta. Il muro era chiamato il "serpente rosso" per la sua forma sinuosa e per il colore dei mattoni. Era lungo 195 chilometri e largo almeno sei metri per un massimo di dieci. Sorgeva a circa 200 chilometri dalle coste sudorientali del mar Caspio, vicino alla catena montuosa di Bilikuh. Era imponente, massiccio e incuteva timore, in particolare grazie alle sue 30 fortezze militari, una ogni 10-50 chilometri. Un lavoro di ingegneria militare che, raccontano le leggende, era diventato una tentazione e un cruccio anche per condottieri storici e gloriosi come Gengis Khan.
Il suo compito era semplice: proteggere la regione dell'Ircania - ben coltivata, verdeggiante, ricca di acqua e di terreno fertile - dalle continue scorribande dei nemici. In particolare degli Unni bianchi. A nord la regione era protetta dal mare, a sud dalle montagne. Il versante est (che più o meno conduce verso l'attuale Turkmenistan) era un fianco aperto che era necessario saldare. Gli attacchi delle popolazioni vicine erano molto impegnativi, anche troppo. La decisione di un muro, ad un certo punto della storia, durante la dinastia Sasanide, venne considerata inevitabile.
I lavori, a giudicare dagli stili e dai resti di forni rimasti, furono anche abbastanza brevi. Il progetto, molto disciplinato, prevedeva la presenzza di almeno 36.000 militari lungo tutto il suo tracciato, suddivisi in guarnigioni e distribuiti nei fortini che costellavano la struttura. Oltre a loro, c'era poco altro. Non sono sorti né città né villaggi temporanei intorno al muro e, c'è da supporre, la vita del soldato persiano dell'epoca, rintanato in una fortezza Bastiani centrasiatica, doveva essere molto noiosa.
Alcune parti, anche se non sono famose e si trovano fuori dai tracciati abituali, possono essere anche visitate. Ad esempio il villaggio di Kaser-Pishkamar si è impegnato a proteggere ciò che resta del muro, nel tentativo, fiero e orgoglioso come sa essere l'anima persiana, di mostrare, a tutti quelli che vivono il presente, le vestigia di un passato glorioso.

Fonte:
linkiesta.it
atlasobscura.com

martedì 10 gennaio 2017

Trovato il teatro e il santuario extraurbano di Hippos Sussita

Panorama degli scavi di Hippos-Sussita (Foto: popular archaeology)
Gli archeologi che stanno scavando nell'antica città romana di Hippos-Sussita, nel nord di Israele, hanno finalmente trovato il grande teatro che stavano cercando da anni. Per molto tempo hanno ritenuto che il complesso balnea-teatro, situato fuori dal centro abitato, fosse un santuario.
La prima testimonianza del teatro è stato il ritrovamento della maschera di Pan, nel 2015. Poi è stata rinvenuta una porta monumentale che conduce a quello che, inizialmente, è stato ritenuto un luogo di culto. Quest'anno i ricercatori hanno identificato e scavato parte dei balnea e il teatro. Hippos-Sussita si trova all'interno del Parco Naturale Sussita gestito dalla Israel Nature and Parks Authority.
Solitamente i teatri erano costruiti, anticamente, all'interno dell'area urbana ed i santuari erano collocati, viceversa, fuori le mura della città. L'Asclepion fuori Pergamo è uno dei migliori esempi di centri di cura del mondo antico con balnea e un teatro. Altri esempi simili sono il Santuario di Esculapio a Epidauro, in Grecia, che dispone anche di un'importante porta di accesso e di un grande teatro, ed un altro Santuario di Esculapio sull'isola di Kos.
Il Dott. Iermolin con la maschera di Pan appena
scoperta (Foto: Ferrell's Travel Blog)
In Israele un complesso di strutture dedicate alla guarigione venne costruito dai Romani ad Hamat Gader. Anch'esso comprendeva un teatro e dei balnea. Oggi questo complesso ospita un allevamento di coccodrilli. Nel I secolo d.C., circa un secolo dopo la grande rivolta del 67-70 d.C., la città di Hippos-Sussita venne ampliata oltre le sue mura originarie. Tra i vari motivi della successiva decadenza, i ricercatori citano il terremoto del 363 d.C.
Hippos-Sussita era una delle città della Decapoli, una regione che comprendeva dieci città romane poste lungo il confine orientale dell'impero, una regione attualmente identificata nelle moderne Giordania, Siria ed Israele. Venne fondata su una cresta collegata a sudovest con le alture del Golan, a circa due chilometri ad est del Mare di Galilea.
Durante gli scavi, gli archeologi hanno pensato che l'odeon riportato alla luce all'interno della città fosse, in realtà, il suo teatro, per quanto angusto, cosa ragionevole, visto che Hippos-Sussita non era una città molto grande. Probabilmente, hanno pensato gli archeologi, in quel piccolo odeon si svolgevano letture di poesie e piccole rappresentazioni teatrali.
Nel 2015, durante gli scavi al di fuori della cinta di mura cittadine, è emersa la straordinaria e rara maschera in bronzo raffigurante il dio Pan e i ricercatori si sono chiesti come mai quella maschera si trovasse in quel luogo. Si è pensato ad un santuario dedicato a Pan e Dioniso, entrambi divintà della natura, i cui santuari erano solitamente costruiti fuori città, nei campi.
L'odeion di Hippos-Susita (Foto: Popular Archaeology)
Nel 2016, poi, gli archeologi hanno scoperto una porta monumentale di epoca romana, dalla quale lo sguardo si apriva, in modo stupefacente, sul Mare di Galilea. Sono proseguiti, pertanto, gli scavi fuori città, nei pressi del luogo di ritrovamento della maschera di Dioniso ed è stato intercettato il teatro, di cui solo una piccola parte è stata scavata e che si è stimato potesse contenere fino a 4.000 persone. Sono stati individuati i resti di almeno due blocchi semicircolari e due vomitoria (tipici dei teatri di età romana).
Il santuario extraurbano, comprendente il teatro ed i balnea, era probabilmente dedicato a Pan e/o a Dioniso, le due divinità erano spesso adorate negli stessi luoghi. Dioniso, divinità del vino e della perdita di identità per eccellenza, era spesso associato al teatro e alle maschere. Inoltre non di rado, sia nel mondo greco che in quello romano, i balnea erano connessi ai templi di Esculapio, dio della medicina e della guarigione.
Gli scavi di Hippos-Susita visti dall'alto (Foto: University of Haifa)
La maschera in bronzo raffigurante Pan era stata fissata alla porta monumentale che dava accesso al complesso. Forse una maschera o statua di Dioniso era anch'essa fissata all'ingresso, che è stasto datato all'epoca dell'imperatore Adriano. Il teatro, invece, risale ai primi anni dell'era cristiana. I grandi balnea sono stati scavati solo in parte.
L'area dove sorse Hippos-Sussita è stata occupata dall'uomo per migliaia di anni. Sono stati trovati reperti ceramici a partire dalla preistoria e del Calcolitico. Si pensa che il crinale dove sorge la cittadina sia stato attrezzato a postazione militare all'epoca dei Tolomei, quando gli Egizi controllavano da qui la terra d'Israele. Sono state recentemente trovate delle monete che riguardano questo periodo storico. Anticamente la città venne chiamata Antiochia Hippos, dal nome del re Antioco III (o forse da Antioco IV).
In età romana Hippos-Sussita era una città con una popolazione prevalentemente pagana, pur ospitando una minoranza ebraica al suo interno, come ricorda lo scrittore giudeo-romano Giuseppe Flavio. Gli archeologi non disperano di trovare un teatro anche all'interno delle mura cittadine. Quando venne distrutta definitivamente da un terremoto, nel 749 d.C., Hippos-Sussita era, oramai, una cittadina di provincia in inarrestabile declino.

Fonte:
haaretz.com

domenica 8 gennaio 2017

L'affascinante Alba Fucens

Ricostruzione di Alba Fucens di Francesco Corni
L'antica città di Alba Fucens, in Abruzzo, è circondata da tre colli, il più alto dei quali conserva i resti del centro medioevale di Albe e del castello Orsini, mentre su di un altro si trova la chiesa di S. Pietro. Sul colle Pettorino, invece, sorge il monumentale teatro della città romana. Il centro antico era forse abitato dai Marsi o dagli Equi.
Alba Fucens era uno degli avamposti romani più importanti per la conquista dell'Italia centrale. Venne strappata agli Equi dal console Sempronio Sofo, nel 304-303 a.C.. Nel 303 divenne colonia latina sotto il consolato di Lucio Genucio e Servio Cornelio. La città fu fedele a Roma, supportandola - nel III secolo a.C. - contro la coalizione di Etruschi, Umbri, Sanniti e Galli e, più tardi, durante la discesa in Italia di Annibale e durante le guerre sociali.
L'anfiteatro di Alba Fucens (Foto: Claudio Parente)
Con i Longobardi Alba Fucens venne annessa al gastaldato di Spoleto. Il borgo venne, in seguito, distrutto da Carlo d'Angiò durante gli eventi connessi alla guerra contro Corradino di Svevia. La contea della Marsica, alla quale la città apparteneva, passò nel 1372 agli Orsini, che fecero ricostruire diversi edifici danneggiati e, successivamente, venne consegnata a Lorenzo Colonna (1428), fratello di papa Martino V.
La città si trova a 1000 metri s.l.m. e si estende per 34 acri difesi da una poderosa cinta muraria che si snoda per 3 chilometri. L'impianto urbano visibile risale ad un periodo compreso tra il IV e gli inizi del III secolo a.C., si riconoscono il decumano massimo e il cardine massimo rispettivamente nella via del Miliario (che prende nome dal miliario di Magenzio del 350-351 d.C., sul quale è indicata la distanza da Roma sulla via Valeria) e la via dell'Elefante, chiamata in questo modo dopo il ritrovamento di lastre in pietra decorate da protomi elefantine.
Esterno della chiesa di S. Pietro in Albe (Foto: Claudio Parente)
I fattori naturali hanno condizionato fortemente la vita e lo sviluppo di Alba Fucens, primi tra tutti i terremoti, poi l'alta instabilità dei versanti soprastanti che hanno richiesto, già in epoca di fondazione, bonifiche e ricostruzioni. Nel VI secolo d.C. il Pian di Civita venne abbandonato e venne fondato il nuovo insediamento di Albe. Dopo il terribile sisma del 1915, l'abitato venne ulteriormente spostato.
Gli scavi, a partire dal 1949, si concentrarono nell'area che dalla Basilica conduce al santuario di Ercole, dove venne rinvenuta la statua colossale di Ercole epitrapezios, oggi al Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo a Chieti. Venne presto individuato il centro della città che una pietra miliare confermò essere Alba Fucens. Nuovi scavi nel Foro sono stati avviati nel 2007.
Iconostasi di S. Pietro in Albe (Foto: Roy Focker)
Il Foro occupa il settore settentrionale della valle, delimitato a nord dal Comitium e a sud dal complesso della Basilica preceduta da un portico che alcuni studiosi identificano con il diribitorium, l'edificio pubblico dove si svolgevano le operazioni di voto e il relativo spoglio. La piazza del Foro misurava complessivamente oltre 144 x 43,50 metri. Vi è stato rinvenuto, sul lato occidentale, un ambiente riccamente decorato: la pavimentazione è in opus sectile con crustae di marmo ai muri, sul fondo vi è un podio con colonnine di marmo africano e capitelli corinzi. Gli studiosi ritengono sia un sacellum utilizzato come sede di una associazione professionale o Schola.
Un muro, ora crollato, separava la Sala delle Colonne dalla Schola. Le tegole triangolari del muro portano dei bolli che rimandano l'appartenenza del materiale della fabbrica (figlina) alla famiglia di Q. Naevius Cordus Sutorius Macro (21 a.C. - 38 d.C.), prefetto del pretorio di Tiberio e Caligola e nativo di Alba, dove si occupò prevalentemente di edilizia.
Borgo medioevale di Alba Fucens (Foto: tripadvisor)
Nel 2011, sul pavimento musivo di un portico vicino alla Basilica di Alba Fucens, è stata scoperta una grande iscrizione dipinta di rosso su intonaco bianco entro una cornice verde. Nella parte superiore è presente un calendario; in quella centrale vi è una dedica ai magistrati locali e, nella parte bassa, sono rappresentati i fasti consulares. I frammenti recuperati dell'antico calendario riguardano i soli mesi di aprile, maggio e giugno. I fasti consulares - visibili solo negli ultimi 45 centimetri - erano il registro, anno per anno, dei consoli e magistrati locali nonché l'elenco delle guerre sostenute a partire da quella sociale. Forse l'elenco cominciava dal 90 a.C., quando la Lex Iulia concesse la cittadinanza romana a tutta l'Italia. Grazie a questi frammenti, i ricercatori hanno collocato la redazione dei fasti consulares di Alba Fucens al 30 d.C.
Ercole Epitrapezios da Alba Fucens
(Foto: archeoclublaquila.it)
Ma non sono solo i resti dell'antica Alba Fucens ad essere interessantissimi da visitare. Una menzione merita anche la chiesa di S. Pietro in Albe, la cui prima notizia risale ad una bolla di papa Pasquale II del 1115. La chiesa viene citata tra i possedimenti del vescovo dei Marsi ed era stata costruita poco prima dai Benedettini sui resti di una basilica paleocristiana del VI secolo d.C., intitolata a San Pietro, a sua volta edificata su un antico tempio italico dedicato ad Apollo e risalente al III secolo a.C.
Nel 1310 la chiesa venne ceduta ai Francescani, che edificarono il convento adiacente, soppresso nel 1644 da Innocenzo X. Il convento venne ricostruito in seguito e passò in mano privata nel 1866, mentre la chiesa venne dichiarata monumento nazionale nel 1892. Il terremoto devastante del 1915 distrusse quasi completamente la chiesa di S. Pietro in Albe. Un restauro degli anni '50 ha permesso di ripristinarne l'aspetto originario.
La chiesa è a tre navate suddivise da colonne corinzie scanalate, chiaramente di recupero; ha un abside semicircolare e un corpo quadrangolare. Addossata alla facciata si erge la torre campanaria, costruita nel corso del X secolo. Il portale romanico (XII secolo) presenta elementi vegetali e zoomorfi e reca il simbolo di San Pietro al centro (1494). L'interno ospita un ambone policromo degli inizi del XIII secolo, opera dei maestri cosmateschi romani Giovanni di Guido e Andrea. Il ciclo di affreschi del XIV-XV secolo che decorava la parete della navata laterale sinistra, sono oggi visibili al Museo del Castello Piccolomini di Celano. Visibili tuttora sono i graffiti sulle pareti del pronao, risalenti al II secolo d.C.

Fonti:
liberamente adattato da "Archeo" di dicembre 2016
albafucens.info

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