domenica 7 maggio 2017

Santa Vittoria di Serri, ritorno al passato

Complesso nuragico di Santa Vittoria di Serri
(Foto: laghienuraghi.it)
Santa Vittoria è il più importante complesso santuariale nuragico finora messo in luce in Sardegna. Sorge su un altopiano basaltico alla quota di 650 metri sul livello del mare. L'altopiano è segnato da dirupi profondi, soprattutto sul lato meridionale e occidentale del villaggio. Là dove questi dirupi si interrompono, la difesa naturale è integrata o sostituita da una muraglia integrata da un passaggio coperto e da una torre fornita di feritoie-occhi di luce. Quest'ultima inglobava una grande capanna circolare con sedili e, sul lato opposto, un'altra capanna anch'essa circolare, che gli archeologi ritengono essere  quella del Sacerdote. L'area archeologica si estende su 22 ettari e ad essa faceva probabilmente riferimento anche il villaggio che gravitava intorno al grandioso Su Nuraxi di Barunimi, sito Unesco.
I gradini di accesso al Pozzo Sacro (Foto: sardegnamia.it)
La civiltà nuragica si sviluppò durante l'Età del Bronzo e si organizzò in nuclei autonomi, tra il XII e il X secolo a.C.. Essa aveva come punti di riferimento dei santuari "federali", spazi neutrali dove, in particolari ricorrenze, le popolazioni potevano riunirsi in una sorta di tregua per stringere alleanze, derimere controversie o semplicemente effettuare scambi.
Il santuario di Santa Vittoria è stato scoperto e indagato sistematicamente a partire dal 1907 dall'archeologo Antonio Taramelli (1868-1939), al quale si devono le denominazioni delle strutture monumentali. La Sovrintendenza è intervenuta tra il 1963 e il 2015, mentre nel 2016 sono iniziati gli scavi a cura del Comune di Serri.
Capanna con sedile gradonato (Foto: Wikimapia.org)
La frequentazione del sito è iniziata intorno al XVIII-XVII secolo a.C., quando venne edificato un nuraghe cosiddetto "a corridoio", caratterizzato da stretti passaggi e privo di tholos, la falsa cupola che si trova nei nuraghi classici. Il sito si connotò in senso sacro già nell'Età del Bronzo recente, tra il XV e il XIII secolo a.C., mentre gli edifici cerimoniali sorgono tra il XII e il X secolo a.C.. La frequentazione proseguì anche nei secoli successivi, in età punica, romana e bizantina. Ancor oggi il luogo è oggetto di culto e vi è stata costruita la chiesetta di Santa Maria della Vittoria.
La visita comprende tre grandi aree o gruppi di edifici: ad est la zona del villaggio e della Curia; ad ovest le zone del Recinto delle Feste e dei templi. Nella zona più orientale sorgevano le abitazioni, qui è stato identificato il Piazzale delle Abitazioni, uno spazio centrale attorno al quale si organizzarono una serie di ambienti. La Curia era un grande capanna circolare, del diametro di 12 metri, con un altare e altri arredi cerimoniali, tra cui vaschette utilizzate, forse, per l'acqua lustrale.
Bronzetto nuragico della madre da Santa Vittoria
di Serri (Foto: ladeamadremediterranea.it)
Un sedile corre lungo la parete. La struttura poteva ospitare fino a sessanta persone. La sua copertura a cono ligneo ha richiesto certamente una raffinata opera di carpenteria. Il diametro esterno della costruzione è di 15 metri. Qui si pensa avvenissero gli incontri degli anziani e dei notabili, si tratta della più grande Capanna delle Riunioni rinvenuta in Sardegna.
Tra i reperti che sono stati raccolti dagli archeologi vi sono un torciere di provenienza cipriota e numerosi bronzi raffiguranti animali e frammenti di navicelle, una cesta miniaturistica e un piccolo melograno in bronzo, rinvenuto nel 2015, frutto legato alle divinità femminili della rigenerazione.
Il fulcro del santuario si trova a circa 300 metri, qui si concentravano la maggior parte degli edifici sacri. Il primo è il Recinto delle Feste, una struttura di pianta ellittica con due ingressi e un ampio spazio centrale, fornita di un porticato e diversi ambienti lungo il perimetro. Qui, secondo gli archeologi, si svolgevano le feste e il mercato, che si serviva di piccoli ambienti adibiti a botteghe.
Santa Vittoria di Serri, sito archeologico (Foto: Sardegna Turismo)
Nella piena Età del Ferro, a partire dal VII secolo a.C. e prima della conquista cartaginese della Sardegna, si ritiene che anche sull'isola venisse praticata la prostituzione sacra, una delle principali entrate dei santuari mediterranei. In questa fase i piccoli vani rettangolari del Recinto delle Feste potevano essere delle cellette dove le ierodule, sotto la protezione delle divinità e dietro presentazione di alcune offerte, accoglievano i pellegrini.
A nord del Recinto delle Feste si trova la Casa del Capo, un tempietto con l'ambiente principale di forma circolare, in origine coperto a tholos, la cui altezza raggiunge i 2,60 metri. E' una delle strutture meglio conservate del complesso. In posizione di dominio sulla piana sottostante, sul limite occidentale del costone roccioso, si trova l'area dei templi dove sono presenti una serie di strutture con fasi cronologiche sovrapposte. Soprattutto qui si trova il Pozzo Sacro, uno dei meglio conservati di tutta la Sardegna, dedicato al culto delle acque. Il manufatto, della lunghezza di circa 11 metri e del diametro esterno di 4,90 metri, è stato realizzato in blocchi di basalto regolari ed è caratterizzato da un atrio, da una scala con tredici gradini e un vano circolare di raccolta dell'acqua. Si tratta, come hanno dimostrato recenti rilievi ed ispezioni, non tanto di un pozzo vero e proprio ma di una cisterna che aveva il compito di immagazzinare le acque meteoriche.
Dalla zona dei templi provengono numerosi bronzetti figurati realizzati con la tecnica della cera persa. Queste figure rappresentano la società dell'epoca: capitribù, guerrieri, offerenti e una madre con il figlio. Questi reperti sono visibili, oggi, al Museo Archeologico di Cagliari.

Fonte:
Liberamente adattato da "Archeologia Viva", maggio-giugno 2017

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