domenica 9 luglio 2017

Nani sulle spalle di giganti: il cemento dei romani

Una fase dei carotaggi delle strutture in calcestruzzo di Portus Cosanus,
antico porto romano in provincia di Grosseto (Foto: J.P. Oleson)
Ogni giorno più forte e meno inquinante. C'è un segreto, con più di duemila anni di storia, che da tempo attanaglia gli scienziati: come fanno le costruzioni romane, realizzate con le prime forme di calcestruzzo, a rimanere così solide nel tempo? Del resto, nel 79 d.C., lo aveva notato anche Plinio il Vecchio che nella sua Naturalis Historia, a proposito delle strutture realizzate nei porti e bagnate dal mare, scriveva: "Diventano una massa unica in pietra, inespugnabile alle onde e ogni giorno più forte".
In diversi anni di studi sui templi e le rovine italiane, la geologa e geofisica statunitense Marie Jackson, analizzando per esempio i Mercati di Traiano o il porto romano della baia di Pozzuoli a Napoli, ha cercato di ricostruire la ricetta andata perduta con cui i nostri predecessori realizzavano le loro costruzioni: a più riprese è arrivata alla conclusione che il segreto fosse da ricercare nel mix tra cenere vulcanica, malta, tufo ed acqua con cui venivano realizzate le opere.
I Mercati di Traiano, oggetto dell'indagine già nel 2014
(Foto: repubblica.it)
Oggi, secondo un nuovo studio dell'Università dello Utah da lei diretto, pubblicato sulla rivista Mineralogist, gli scienziati sostengono che l'ingrediente fondamentale del processo chimico che rende così indistruttibili i porti romani sia proprio l'acqua di mare, capace di dar vita a cristalli con nuove forme e davvero rari. Per mesi, in collaborazione con le autorità italiane, i geologi hanno studiato l'antico molo romano Portus Cosanus ad Orbetello analizzandolo con i raggi X: secondo le osservazioni i minerali all'interno della struttura erano cresciuti nelle crepe causate dall'erosione delle onde, fatto che dimostra come la reazione con l'acqua salata continua anche dopo che il calcestruzzo ha fatto presa.
Il Tempio di Apollo a Pompei, realizzato anch'esso in calcestruzzo
(Foto: repubblica.it)
Se si pensa che nel mondo sotto scacco dal riscaldamento globale la produzione di calcestruzzo moderno contribuisce a produrre almeno il 7% di anidride carbonica, l'idea di poter realizzare nuove opere attraverso la formula dei romani "a basso impatto ambientale" diventa dunque prioritaria anche per salvare il pianeta. Inoltre il cemento dei romani, combinazione di cenere, acqua, calce viva (la reazione pozzolanica) dura da oltre duemila anni. "A differenza del cemento di Portland (utilizzato per costruire dighe e impianti), in quello romano non si verificano crepe", spiega la Jackson, affascinata dal fatto che i minerali romani crescano a basse temperature.
Dopo gli esami di Orbetello il team ha concluso che quando l'acqua di mare spinta dalle onde filtra attraverso il cemento di frangiflutti e pontili ed entra in contatto con la cenere vulcanica, permette ai minerali di crescere, dando vita a composizioni cariche di silice, simile ai cristalli delle rocce vulcaniche. Questi cristalli fortificano la cementazione e aumentano così la resistenza al calcestruzzo. "In realtà - continua la Jackson - normalmente questo processo di corrosione sarebbe negativo per i moderni materiali. Invece in quelli di allora funziona e prospera. Non è detto che si possa applicare la formula in tutti gli impianti futuri, ma vogliamo provarci".
Le più grandi terme dell'antichità, le Terme di Diocleziano, realizzate in
calcestruzzo (Foto: repubblica.it)
Ora i ricercatori, insieme all'ingegnere biologico Tom Adams, vogliono provare a sviluppare la ricetta romana ed applicarla a future costruzioni marittime. Un'idea che potrebbe essere applicata, ad esempio, alla laguna di Swansea in Gran Bretagna, dove si pensa di sfruttare l'energia delle maree.
La ricerca era partita già nel 2014. All'epoca, per scoprire il segreto del calcestruzzo romano, i ricercatori hanno riprodotto l'esatta mistura utilizzata nelle costruzioni romane e l'hanno lasciata indurire per 180 giorni, osservando i cambiamenti mineralogici che avvenivano al suo interno e confrontando i risultati con i campioni prelevati dai muri dei Mercati di Traiano. In questo modo hanno scoperto che quando la malta romana si indurisce, i materiali presenti al suo interno reagiscono tra loro, creando dei cristalli di un minerale estremamente resistente noto come stratlingite. Quando la malta è completamente secca questi cristalli formano, al suo interno, un'impalcatura che impedisce alle crepe di propagarsi, rendendo il materiale estremamente duraturo e resistente alle sollecitazioni meccaniche e sismiche, anche per gli standard attuali. 

Fonte:
repubblica.it/scienze

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