sabato 11 novembre 2017

E se il cavallo di Troia fosse una nave?

L'archeologo Francesco Tiboni (Foto: lastampa.it)
Nei giorni scorsi si è tornati a parlare, sui quotidiani non solo italiani, di uno degli episodi più famosi della letteratura antica: la presa della città di Troia con il celebre stratagemma del cavallo di legno, il cavallo di Troia, appunto. Se ne è riparlato perché un archeologo italiano che si occupa spesso di relitti greci, Francesco Tiboni, ha proposto una teoria alternativa secondo la quale il cavallo di Troia non era un cavallo, ma una nave. L'equivoco, secondo Tiboni, sarebbe dovuto ad un errore di interpretazione degli scrittori successivi ad Omero, al quale viene attribuita la stesura dell'Odissea, il testo più antico in cui compare il famoso cavallo di Troia.
Ma Tiboni non è il primo ad ipotizzare che il cavallo di Troia potesse non essere un cavallo. In passato altri hanno proposto l'idea della catapulta o dell'ariete da guerra. Negli ultimi anni, però, Tiboni è stato l'unico a svilupparla compiutamente. Sul tema ha scritto anche due articoli usciti su riviste specializzate ed un libro: "La presa di Troia: un inganno venuto dal mare".
Un hippos fenicio dal rilievo di Kohrsabad (Foto: lastampa.it)
L'Iliade e l'Odissea, poemi attribuiti ad Omero, non vanno presi come romanzi o trattati storici. Vennero fissati in forma scritta intorno all'VIII secolo a.C. e furono tramandati e rielaborati oralmente per secoli, e quasi certamente facevano parte di un corpo molto più ampio di racconti. I testi, dunque, non furono composti da un unico autore. Cercare, dunque, un riscontro storico a quello che si legge nei poemi omerici è un'operazione delicata e scivolosa.
Sappiamo che è esistita davvero una città nel luogo dove è ambientata la vicenda, situata oggi in Turchia. Sappiamo che venne distrutta da un incendio tra il 1210 e il 1180 a.C. e che nel Mediterraneo erano già attivi gli antenati dei popoli che abitavano la Grecia di età classica, che avevano interessi commerciali nell'area dello stretto dei Dardanelli. E' difficile, però, spingersi oltre.
Lo stratagemma del cavallo di legno raffigurato in un vaso greco trovato
a Cerveteri e datato al 560 a.C. (Foto: ilpost.it)
Tiboni parte dalla considerazione che nei poemi omerici l'episodio del cavallo di legno è molto marginale. Sui 27.000 versi complessivi delle due opere, quelli che ne parlano sono appena qualche decina. L'Iliade non contiene alcun riferimento esplicito allo stratagemma. Alcuni studiosi hanno intravisto degli accenni nel penultimo libro, ma niente di significativo. L'episodio viene citato esplicitamente solo nell'ottavo libro dell'Odissea, per bocca di un cantore che racconta gli ultimi giorni della guerra di Troia. La vicenda, per come la si conosce, viene sviluppata invece nel secondo libro dell'Eneide, un libro scritto 800 anni più tardi, in un contesto completamente diverso, l'età imperiale romana.
Nella cultura greca classica sono diversi i casi in cui i cavalli vengono associati alla navigazione: Poseidone è contemporaneamente il dio dei mari e il protettore dei cavalli e nella letteratura le navi vengono a volte definite "cavalli del mare". Nell'Iliade e nell'Odissea, invece, questo legame è tutto da dimostrare. Nei poemi omerici il primo passaggio in cui le navi vengono esplicitamente paragonate ai cavalli si trova nel quarto libro dell'Odissea, ai versi 707-709, in una scena in cui Penelope si lamenta del fatto che suo figlio Telemaco sia partito alla ricerca del padre. Tiboni lo giudica un passaggio chiave per la costruzione della sua ipotesi:
"O cantore, perché mio figlio è partito?
Non c'era bisogno che si imbarcasse sulle navi veloci,
che per gli uomini sono come dei cavalli del mare"
Il cavallo di Troia posto dinnanzi alle rovine della
città, in Turchia (Foto: archeologiavocidalpassato)
Telemaco si era imbarcato su una nave di Tafi, un popolo non greco, noto per commerciare metalli. Tiboni spiega che questo passaggio potrebbe nascondere un popolo e un'attività realmente esistiti e che avevano a che fare con i cavalli. In alcuni bassorilievi assiri, realizzati tra il IX e il VII secolo a.C., sono raffigurate delle navi commerciali con la polena a forma di cavallo. Il più famoso di questi bassorilievi è la cosiddetta decorazione del palazzo di Sargon II a Khorsabad, conservato oggi al Louvre e risalente al 700 a.C. circa.
Il bassorilievo di Khorsabad mostra l'arrivo di un carico di legname dall'odierno Libano, una terra che, all'epoca, era abitata dai Fenici. Tiboni fa presente che navi simili a quelle disegnate su questo bassorilievo siano state trovate in aree del Mediterraneo di colonizzazione fenicia, come Spagna e nord Africa. Scrive Tiboni: "Dal punto di vista navale possiamo affermare che presso i Fenici, nel corso della prima metà del I millennio a.C., era in uso apporre polene zoomorfe a testa di equino [...] a decorazione della prua, e in alcuni casi anche della poppa di navi mercantili"; e questo tipo di imbarcazione era nota ai Greci dell'epoca, che commerciavano frequentemente con i Fenici.
Tiboni sostiene che quando nell'Odissea Omero racconta lo stratagemma che permette ai Greci di conquistare Troia, il famoso cavallo, appunto, non ha in mente un cavallo vero e proprio ma una nave come quella dei Fenici. Hippos, è l'ipotesi di Tiboni, potrebbe essere il termine con il quale i Greci chiamavano le navi mercantili non greche che circolavano ai tempi in cui furono composti i poemi omerici.
Particolare della collina di Hissarlik, dove un tempo sorgeva Troia
(Foto: magnoliabox)
Tiboni rafforza le prove archeologiche con altre di carattere letterario. Nell'unico passaggio dell'Odissea in cui si parla dell'inganno del cavallo, i versi che descrivono la struttura di legno sono molto generici e non citano nessuna parte anatomica dell'animale. Al contrario, molte delle espressioni usate da Omero in quei versi hanno molto più senso se riferite a una nave.
Nel verso 504, il cantore che sta narrando la caduta di Troia davanti a Odisseo racconta che i Troiani "trascinarono" il cavallo fino all'acropoli della città, come leggiamo nelle traduzioni in italiano. Il verbo greco "eruo" viene spesso utilizzato da Omero per descrivere l'azione di tirare in secco le navi. L'aggettivo "koilos", che vuol dire concavo, ricorre due volte nel giro di una ventina di versi per descrivere il cavallo. In molti autori greci successivi è, invece, associato alle navi. L'aggettivo "durateos", riferito al cavallo, significa "composto da placche di legno". Le "durata", nella successiva tradizione greca, sono le tavole con cui si costruiscono diversi mezzi di trasporto fra cui le navi (la radice delle due parole è la stessa che in inglese ha generato la parola "tree", albero).
I vari strati della città di Troia (Foto: Ancient-Wisdom)
Per questi motivi Tiboni sostiene che prove letterarie ed archeologiche dimostrino che nel descrivere il cavallo di Troia Omero abbia avuto in mente una nave e non un cavallo vero e proprio. Il fatto che molti abbiano credo a quest'ultima ipotesi, nel corso dei secoli, è dovuto a Virgilio che nell'Eneide traduce le parole greche "durateos hippos" come "equus ligneus", il cavallo di legno.
La parte che più convince dello studio di Tiboni è quella relativa all'esistenza di navi-hippos nel Mediterraneo nel periodo in cui si pensa si siano formati i poemi omerici. Ma ci sono, a detta degli esperti, anche delle forzature, nella teoria di Tiboni. Per esempio il riferimento del termine hippos ad un meccanismo navale non è molto chiaro nei versi omerici che, del resto, non fanno riferimento esplicito a navi non greche o fenicie chiamate hippos, malgrado Omero utilizzi un lessico marittimo molto ricco e indulga spesso nella dettagliata descrizione di imbarcazioni e materiali navali.
Anche dal punto di vista narrativo, inoltre, c'è qualche perplessità: perché i Greci avrebbero costruito proprio una nave nella speranza che venisse portata dentro alle mura? E perché avrebbero costruito un modello esotico qual'era un'imbarcazione fenicia? Un vaso rinvenuto sull'isola di Mykonos nel 1961 e datato al 670 a.C., poi, raffigura gli eroi greci nascosti nella pancia di un cavallo.
Nell'Iliade Omero fa cenno alle "cuciture" delle navi greche, oramai fradicie, che avrebbero costretto i prodi ad affrettare il ritorno in patria. I posteri e i traduttori hanno spiegato che con cuciture si intendevano le funi e le vele, il degradarsi di questi accessori, però, non sarebbe stato così grave da costringere gli Achei al rimpatrio. "In realtà - afferma Tiboni - molti traduttori di Omero ignoravano che il fasciame delle navi greche fosse veramente cucito con grossi punti a croce di fibre vegetali, cosa che noi oggi sappiamo grazie ai relitti antichi. La decomposizione di queste cuciture, pericolosissima per l'integrità di tutto lo scavo, avrebbe richiesto migliaia di ore di lavoro per ricostruire quasi dal nulla le imbarcazioni: per questo gli Achei non avevano altra alternativa che concludere la guerra".

Fonti:
ilpost.it
lastampa.it

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